lunedì 20 ottobre 2008

Il soprano drammatico in Verdi

Il soprano drammatico di Verdi inizia, credo, quando finiscono le cabalette.
Quindi con il Ballo in maschera e, di fatto, limitato alle protagoniste di Ballo, Forza del destino, Aida ed alla Elisabetta di don Carlos. Esclusa Desdemona, ricompresa l’Amelia della versione 1881 del Boccanegra.
Nasce da una commistione fra il soprano della precedente produzione verdiana, definito generalmente drammatico di agilità e il cosiddetto soprano Falcon del grand-opera francese. A questa categoria vocale apparteneva, fra l’altro la prima Valois, Maria Sass e molti soprani verdiani frequentarono anche il grand-opera sino agli anni cinquanta del XX secolo.
Per capire le difficoltà vocali e prima di tutto la resistenza fisica richiesta al soprano verdiano basta leggere in “voci parallele” l’opinione di Lauri-Volpi. Riferita all’Amelia del Ballo, è, però, comune a tutte le protagoniste degli ultimi lavori di Verdi.

Banale quindi assumere che sono richieste una tecnica di canto saldissima, le cui prime conseguenze sono la possibilità di reggere la lunghezza degli spartiti, la massa orchestrale, duetti ed ensamble con tenore, baritoni e coro, ed al tempo stesso sfoggiare una dinamica dal pianissimo al fortissimo. Spesso il famoso do dei cieli azzurri, che prevede l’esecuzione della forcella , rimane una mera indicazione di spartito.
Mai come nel tardo Verdi la saldezza tecnica è il presupposto per una esaustiva esecuzione dello spartito ed, al tempo stesso, mai come nel tardo Verdi in primis per lo spessore orchestrale abbiamo sentito dilettantesche, propiziate sia nel canto maschile che nel femminile dalla ricerca di volume e foga, scambiate per aderenza al personaggio ed al dramma.
E’ vero che farsi prendere la mano soprattutto per voci dotate in Verdi è facilissimo. Il risultato sono precoce declino, derivato dalla tendenza ad emettere note di petto in zona centrale a ghermire gli acuti a trascurare per insipienza tecnica la dinamica, che – richiamo sempre Lauri Volpi sul canto verdiano- sono riposo per la voce.
Non solo, ma spesso un malinteso stretto rapporto fra il tardo Verdi ed il verismo ha aggravato la situazione. La storia del canto verdiano è costellata o di precoci declini o di ritirate strategiche o di conclamate inadeguatezze. Rosina Penco, prima Leonora del Trovatore e quindi non siamo neppure nel tardo Verdi, ritornò appena possibile al repertorio antico ossia Rossini e Bellini, assicurandosi una carriera trentennale e quando alle esecuzioni dei belcantisti applicati a Verdi (le sorelle Marchisio per tutti) è un continuo lamentare limiti ed inadeguatezze. Una situazione confermata in tempi recenti, sembra.
Non disponiamo delle prime registrazioni dei soprani del Tardo Verdi. Sappiamo, però che a 40 anni Teresa Stoltz era ritirata per gli abusi di suoni di petto e ciò, nonostante, nel periodo migliore si trattasse non solo di una cantante eccezionalmente dotata, ma anche con cospicue disposizioni tecniche, stando almeno alle indicazioni dinamiche che le arie per lei appositamente inserite in Aida e Forza prevedono.
Non solo, ma le idee circa le doti dei primi soprani verdiani sono piuttosto vaghe dalle registrazioni almeno sino agli anni 20, incapaci di captare l’ampiezza e le vibrazioni delle poderose voci dei soprani verdiani
Né fanno, per certo, le spese, voci d’eccezionale qualità come Giannina Russ, Ester Mazzoleni, Emmy Destinn o Melanie Kurt.
A conti fatti la Destinn e la Kurt suonano piuttosto fisse in alto, della Russ possiamo ammirare la compostezza, ma la voce suona molto chiara e non si percepisce quella ampiezza che i contemporanei le riconoscevano; quanto alla Mazzoleni si può essere certi che la voce, fra l’altro piuttosto vibrante, corresse nei teatri, ma delle doti di fraseggiatrice nessuna o pochissima traccia, atteso che le registrazioni non captavano la dinamica.
Un pessimo servizio le registrazioni lo rendono anche ad Eugenia Burzio, che fu ritenuta un vero mito e che, per contro dimostra soltanto il legame ed il vezzo – discutibile- fra il tardo Verdi ed il Verismo.
Davanti ad Eugenia Burzio il dubbio che la grande fama fosse dettata proprio dal favore che il pubblico aveva per una esecuzione verista di Verdi avesse maturato, sorge abbastanza spontaneo. Ossia si può ritenere che la fama assoluta di una Burzio sia dipesa soprattutto dalla aderenza al gusto imperante del tempo.


L’avvento delle registrazioni elettriche da un lato testimonia finalmente le qualità delle voci verdiane, dall’altro, per ovvi motivi il crescente vezzo dell’esecuzione in “salsa verista”.
Alle esecuzioni rispettose della tecnica di canto e, quindi, illuminate da una facilità di esecuzione in ogni gamma della voce, castigate nell’accento, attente ai segni di espressione di Giannina Arangi-Lombardi (nessuna Aida sia detto per inciso può vantare eguale rispetto dei segni di espressione) si contrappongono quelle di Bianca Scacciati, Maria Carena e, in quanto famosissime di Maria Caniglia e Gina Cigna.
Le autentiche stroncature di cui soprattutto la Cigna e la Caniglia sono state oggetto devono essere ponderate.
Il tardo Verdi non è il primo Verdi (che peraltro le nostre praticavano alla bisogna), dove l’esecuzione impacciata del canto di agilità rappresenta un ulteriore handicap e poi gli autentici torrenti vocali della Cigna e della Caniglia (che molte registrazioni live fra il 1935 ed il 1946 dimostrano), sono ben consoni a Verdi ad onte di esuberanze temperamentali e limitazioni tecniche.
Una voce poco immascherata al centro e, quindi, non astratta e con inflessioni più vicine al parlato che al canto configura il maggior limite delle esecuzioni verdiane dei soprani verdiani di scuola italiana fra il 1920 ed il 1950. Le eroine verdiano sono pur sempre dame di rango, regine e non figure di estrazione popolare come le veriste. In questo anche il tardo verdi è legato a modelli e stilemi romantici.
Eppure nonostante i limiti derivati da una tecnica limitata i soprani del periodo 1920-1950 spesso dimostrano una aderenza alle esigenze vocali superiori a quelle delle cantanti delle generazioni successive. Il colore, l’ampiezza e la tenuta sulla massa orchestrale della Valois di una declinante Maria Caniglia sono ignote a tutte le altre Valois discografiche.
A parte, fra le cantanti italiane fra le due guerre, deve essere considerata, benché non documentata da registrazioni live, Claudia Muzio.
La Muzio cantò spesso Traviata e Trovatore, ma anche Aida, Forza del destino e Ballo in maschera, opere dove suppliva con la dinamica sfumata, una attenzione al dettaglio, che sarà la caratteristica delle primedonne del dopo guerra la carenza di una presenza vocale tipo Scacciati, Cigna ed anche Arangi-Lombardi.
Un po’ differentemente negli Stati Uniti e nei paesi di lingua tedesca sino alla seconda guerra mondiale venne eseguito un tardo Verdi di qualità sia tecnica che interpretativa.
Il primo nome è quello di Rosa Ponselle, debuttante al Met nel 1918 proprio con Forza del destino.
Non si discutono, anzi sono i punti cardinali dell’ascoltatore di 78 giri la bellezza vocale, il fraseggio castigato ed alieno da vezzi veristi, però ad un ascoltatore attento non sfuggirà che il passaggio fra le note basse e le prime centrali è sempre fortunoso con la conseguenza, tipica delle voci femminili, che non eseguano correttamente il primo passaggio di una gamma acuta limitata e della difficoltà a reggere le tessiture acute. Il tutto evidenziato sia dall’attacco del “ D’amor sull’ali rosee” che dalla difficoltà ad eseguire gli staccati di “vedi per non s’affretta” del duetto finale di Aida ed ancora dal fatto che la Ponselle mai affrontò in teatro l’Amelia del Ballo e limitò le recite di Aida, poche in confronto a Forza ed anche a Don Carlos. Ma Elisabetta di Valois, creata per l’Operà di Parigi è, in fondo, un soprano Falcon.


In quegli anni al Met il monopolio di Aida appartenne ad Elisabeth Rethberg. Chi ascolta, oggi, le registrazioni delle arie del Ballo e di Aida , nonché tutto il terzo atto di Aida della Rethberg rimane stupito davanti a modalità esecutive e interpretative che, a torto, pensiamo “inventate” dalla Caballé, mentre erano praticate in pieno Verismo.
Ma per comprendere la differenza fra una Rethberg ed una Caballè ci sono le registrazioni in house della seconda metà degli anni 30. Qualche acuto dopo il 1935 suona un poco duro (venti anni di Verdi e Wagner!), ma la registrazione restituisce una ampiezza e sonorità della voce, che galleggia e supera coro, orchestra e perfino Giacomo Lauri Volpi o Giovanni Martinelli. Mi riferisco soprattutto al finale secondo di Aida (Covent Garden 1936) ed alla scena del palazzo degli Abati nel Boccanegra del Met 1935.
Attenzione non si tratta del suono spinto, fibroso e forzato del soprano di grande dote naturale, ma di un suono ampio che, ad onta dei sistemi di registrazione e trasmissione primordiali, si espande e sovrasta.
Per altro una simile esecuzione verdiana in area di lingua tedesca non rappresentava l’eccezione, ma una norma assai praticata. Lo testimonia per prima Frieda Leider, passata alla storia del canto come esecutrice wagneriana, ma usa al repertorio verdiano, dove sfoggiava una esemplare esecuzione del primo passaggio, dinamica sfumata a tutte le altezze, prodigiose tenute di fiato e, sia pure con i limiti delle registrazioni, un materiale vocale di assoluta eccezionalità.. Il tutto dimostrato al massimo grado nell’aria di Leonora di Trovatore del quarto atto.
La carriera ed il repertorio della Leider, soprano drammatico da Wagner e da Verdi fanno riflettere su cosa accadrebbe oggi ad una Aida o ad una Leonora di Calatrava affidate alle più quotate e registrate cantanti wagneriane.
Vicine per tecnica e gusto alla Rethberg sono le esecuzioni sia di Maria Muller che di Margarethe Teschemacher. Praticavano un tardo Verdi attento alla dinamica ed alla tecnica. L’esecuzione, ad esempio, del duetto finale di Aida della Teschemacher con Wittrisch è ben distante da quella praticata negli stessi anni in Italia.
La situazione sarà capovolta nel secondo dopoguerra, allorché la scuola tedesca non produrrà più cantanti di tecnica e di gusto al contrario di quanto accadrà in Italia e negli Stati Uniti.
Intendiamoci beni non moltissimi se escludiamo dal 1939 al Met Zinka Milanov, il cui gusto, però, inclinava al Verismo o autentiche meteore come Caterina Mancini.
Limitatamente ad Aida e Forza il tardo Verdi connotò la prima parte della carriera di Renata Tebaldi, le cui qualità vocali eccezionali, il gusto sponteamente sorvegliato e l’accento nobile sono ben noti e celebrati, ma i cui acuti sempre un poco duri e spinti dal si bemolle hanno limitato la frequentazione verdiana alla prima fase della carriera. La verità, difficile a comprendersi, è che nonostante alcuni passi unici in Aida e una Forza di levatura storica come la fiorentina del 1953 con Mitropoulos, la Tebaldi mancava del vero accento verdiano. Non era volgare, non era verista, era spontaneamente nobile, ma quel qualche cosa di paludato ed aulico del canto verdiano, che connota una regina ed una dama di rango le era estraneo.
E’ paradossale dirlo, ma era più verdiano l’accento applicato ad una voce che per dote naturale era anti verdiana come quella di Maria Callas.
E rispondeva anche all’aulicità della dama di rango quello di Anita Cerquetti dotata, ad onta di acuti bianchi e fissi di un timbro di eccezionale nobiltà e grandeur.
In sostanza gli anni del dopoguerra furono anni di soprani che in taluni personaggi di Verdi o in alcuni passi dei lavori verdiani raggiungevano livelli eccezionali, ma mancavano di quell’assoluto di quella paradigmaticità delle generazioni precedenti.

Il caso più significativo è Leontine Price, Leonora, Amelia ed Aida per eccellenza dal 1960. Però , a parte la musicalità censurabile, l’integrità vocale fu di breve durata e l’interpretazione ispirata più alle doti naturali , che non a studio e ricerca
Anche le esecuzioni verdiane della Callas, della Gencer e della Caballé, maestre di tecnica nella fase migliore della carriera e quindi di dinamica sfumata ed accento analitico sono rimasti splendidi episodi isolati. Erano cantanti la cui qualità vocale e la cui idea interpretativa pertineva più al primo che non al tardo Verdi.
Nel 1969, parlando del soprano drammatico del tardo Verdi, Rodolfo Celletti identificò in Monteserrat Caballé, allora alle prime esecuzioni di brani del Verdi più tipico il modello di tale soprano. Questo repertorio eseguito ripetutamente fra il 1973 ed il 1977 rappresentò la rovina vocale della Caballé, prova che una voce di questo tipo non bastava a sostenere gli orditi orchestrali le masse corali del tardo Verdi, nonostante, appunto, singoli estratti limitati per lo più alle arie solistiche, tipo “Cieli azzurri”, “Pace mio Dio”, “Morrò, ma prima in grazia”
La precoce rovina vocale della Caballé non ha insegnato nulla a nessuno, cantanti e direttori sia d’orchestra che artistici o responsabili di agenzia e case discografiche. Esclusa Mirella Freni, che cantò il tardo Verdi per semplice dovere d’ufficio e con una esemplare parsimonia.
Sul presupposto, valido solo se si dispone di Elisabeth Rethberg o Maria Muller o Giannina Arangi Lombardi, che Verdi non richieda urla e grida, abbiamo visto e sentito Mimì, Adina, Manon promosse a soprani di forza. In un paio di casi, Mirella Freni e Maria Chiara, il risultato è stato decoroso, ma la Freni ha brillato come cantante verdiana soprattutto per parsimonia di prestazioni e severo autocontrollo mentre Maria Chiara, dotata di strumento di eccezionale bellezza, ha accorciato per le Aide areniane la propria carriera. Ma, ripeto, si trattava di cantanti di meditata e sicura tecnica. Negli altri casi il risultato è stato disastroso (Katia Ricciarelli e Cheryl Studer), costellato di strilli ed urli (Maria Guleghina), ridicolo (Ileana Cotrubas) ridicolo e disastroso (Fiamma Izzo d’Amico).

Gli ascolti

Un ballo in maschera

Atto II

Ecco l'orrido campo - Eugenia Burzio; Gertrud Grob-Prandl; Leontyne Price
Teco io sto - Ester Mazzoleni & Nicola Fusati; Birgit Nilsson & Richard Tucker

Atto III

Morrò ma prima in grazia - Elizabeth Rethberg; Montserrat Caballè, Katia Ricciarelli
Scena della congiura - Zinka Milanov, direttore Bruno Walter (Met 1944)

La forza del destino

Atto I

Me pellegrina ed orfana - Gina Cigna

Atto II

Son giunta! - Antonietta Stella
Infelice, delusa, reietta - Maria Caniglia & Tancredi Pasero
La vergine degli angeli - Rosa Ponselle; Maria Caniglia

Atto IV

Pace mio Dio - Claudia Muzio; Renata Tebaldi

Don Carlos

Atto II

Io vengo a domandar - Maria Caniglia & Mirto Picchi; Eleanor Steber & Richard Tucker
Non pianger mia compagna - Leyla Gencer; Montserrat Caballè; Renata Scotto

Atto V

Tu che le vanità - Anita Cerquetti; Renata Scotto
E' dessa - Leyla Gencer & Richard Tucker; Ghena Dimitrova & Nicola Martinucci

Aida

Atto I

Ritorna vincitor - Frieda Leider; Maria Callas

Atto II

Fu la sorte dell'armi - Maria Caniglia & Ebe Stignani; Leontyne Price & Grace Bumbry
Scena del trionfo - Elizabeth Rethberg, Giacomo Lauri-Volpi - Londra 1936

Atto III

O patria mia - Giannina Arangi-Lombardi; Montserrat Caballé
Ciel! mio padre! - Giannina Russ & Antonio Magini-Coletti; Zinka Milanov & Richard Bonelli
Pur ti riveggo - Margarethe Teschemacher & Helge Rosvaenge

Atto IV

La fatal pietra - Rosa Ponselle & Giovanni Martinelli; Maria Callas & Kurt Baum

Simon Boccanegra

Atto I

Come in quest'ora bruna - Renata Tebaldi; Margaret Price
Cielo di stelle orbato - Renata Tebaldi & Richard Tucker
Favella il Doge - Elizabeth Rethberg & Lawrence Tibbett; Raina Kabaivanska & Piero Cappuccilli
Plebe! Patrizi! Popolo! - Elizabeth Rethberg, Lawrence Tibbett

Requiem

Libera me Domine - Margarethe Teschemacher

3 commenti:

Pruun ha detto...

Che bella disamina, complimenti! E grazie per gli ascolti! ;-)

Ciro ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Ciro ha detto...

(I am writing in English since I can read Italian but writing is difficult for me) - Great article and awesome listening. Your blog is already on my favorite's list and I agree with mostly everything. Molto Bravi!