mercoledì 8 ottobre 2008

Scotto, Callas, Vespri Siciliani e Loggione Scaligero


L’inaugurazione della stagione scaligera 1970-’71 andò, tenuto conto del titolo prescelto, benissimo.
Tenuto conto del titolo perché i Vespri sono opera quanto mai complessa sotto il profilo vocale e musicale che spesso, come ben potrebbero insegnare il maestro Muti ed i signori Studer e Merritt, procura affanni e dolori. E, poi, perché i Vespri erano stati una delle opere della Callas in Scala.

Inaugurarono, infatti, la stagione 1951-’52, furono la prima inaugurazione di una Callas al meglio delle proprie possibilità vocali ed interpretative.
La serata inaugurale, ripeto, andò benissimo. Buona compagnia di cantò, cospicui ed opportuni tagli nella miglior tradizione di Gavazzeni, la novità della trasposizione dell’azione dal 1282 agli anni del Risorgimento, costumi appropriati, la prima esecuzione del balletto le quattro stagioni con trovate coreografiche veramente spettacolari.
E poi a Sant’Ambrogio apparve proprio la Callas, ospite del soprintendente nel suo palco. Il loggione le tributò un applauso fragoroso al secondo intervallo
L’applauso di trasformò in un’ovazione all’uscita di via Filodrammatici, con la folla degli appassionati, che gridava “Maria, Maria” all’indirizzo della diva, più affascinante che mai.
Quegli applausi si trasformarono in un rospo per la primadonna, in ogni senso, che vestiva i panni della duchessa Elena: Renata Scotto.
E alla Scotto, che aveva dato una bella raffigurazione della protagonista, tenuto anche conto delle sue caratteristiche vocali, che non erano quelle del drammatico di agilità, di digerire il rospo, ammesso che tale fosse, proprio non riuscì.
L’operazione era caratterialmente impossibile alla signora Scotto, che aveva manifestato questa impossibilità già anni prima al rientro dalla tournée scaligera a Mosca.
Quindi, si inaugurarono le ostilità la divina Renata e con lei l’intera compagnia di canto disertarono il rituale dopo Scala organizzato pressa l’abitazione della signora Biki, sarta e storica mentore della Divina, ancora la Scotto scaricò il proprio rammarico, rincrescimento e malanimo in un’intervista alla rivista Stop (giornale scandalistico del tempo), che istituzionalmente inseguiva e proponeva lo scandalo.
Una cantante giovane e famosa, che lamentava torti da parte della Divina, era quanto di meglio potesse il mercato servire.
Peccato che la rivista a larghissima tirature e diffusione finisse nelle mani dei cosiddetti vedovi Callas, all’epoca numerosissimi e più agguerriti che mai.
Alla seconda, quando l’intervista non era ancora diffusa ci fu dal loggione un commentino alla cadenza dell’”Arrigo ah parli a un core” tipico del loggione “la cadenza contessa”.
Poi in via Filodrammatici all’uscita gli appassionati, che nell’intervallo erano diventati lettori di Stop, si presentarono a chiedere alla Scotto se le dichiarazioni corrispondessero al vero.
Nessuna negazione da parte della diva, anzi la Scotto fece presente che la giornalista aveva tagliato qua e là.
Dichiarazione di guerra immediata.
Nella più consumata tradizione scaligera gli insulti non si risparmiarono alla “pupattola da immigranti” la diva rispose con il verduresco insulto riservato agli omosessuali, abituali abitatori del loggione e sfegatati callasiani.
E quindi alla terza recita il tam tam di quel loggione definito “pieno di verdura”, serrò i ranghi con arrivi da tutta Italia e salutò alla fine dell’aria del carcere con cinque minuti di fischi la Scotto, rea e reproba. Le riprovazioni proseguirono anche al bolero.
Il folklore di espressioni come “teiera” e “lasciatela cantare è focomelica” sono l’immagine dell’ira autentica de pubblico.
Ira ed insulti che non scalfirono di un centimetro la signora. Anzi. Ci furono anche le tentate conciliazioni fra cantate e pubblico, propiziate dall’allora direttore della biglietteria, che mandò uno dei più noti loggionisti ( fra l’altro in odore di santità, agli occhi della diva, perché aveva mancato la terza recita) in camerino, dove l’accoglienza dell’offeso consorte, così mi ha raccontato l’interessato, fu delle meno propizie alla pacificazione.
Passarono, quindi le ultime repliche di dicembre e le prime di gennaio 1971 che ebbero una grandiosa protagonista in Leyla Gencer e alla fine di gennaio con la recita del 29, presente il capo dello stato finlandese Kekkonen, scattò il finale ed ennesimo redde rationem, perché il loggione non era certo placato.
Il copione delle contestazioni era consolidato, se la memoria di undicenne, capitato per caso nella sua prima serata bagarre scaligera non falla, i primi mormorii del loggione furente cominciarono a colpire durante il duetto Elena –Arrigo.
La sezione centrale del duetto ormai trasformata in aria “Arrigo, ah parli a un core”, fu salutata alla cadenza da un “miao” sonoro.
Copione consolidato. Era, per inciso, il sigillo del fiasco, tenuto anche conto che di “miagolare” nei piani e pianissimi era una delle censure più praticate dal loggione nei confronti della Scotto.
Seguirono fischi e rumoreggiamenti alla fine del quadro. Al quinto atto il bolero, che la Scotto alla prima dopo il trionfo fuori dal palcoscenico della Callas, aveva cantato dinnanzi al palco della soprintendenza, ci fu la cannonata finale del loggione dopo un mi nat non proprio perfetto “scema Verdi non è Donizetti”.
La Scotto non uscì a ringraziare alle prime uscite, poi all’ultima si presentò.
La Callas, nonostante i desiderata del loggione non ritornò mai più a cantare in Scala, pur ricomparendo ad una recita di Carmen in cui nella successiva stagione di Stefano cantava ( si fa per dire) don José, ma anche la Scotto, se si esclude un concerto di canto fuori stagione (30 giugno 1985) ricalcò più in un’opera il palcoscenico scaligero.


1 commenti:

stecca ha detto...

Intervista "inqualificabile"......avrei preferito non leggerla mai essendo un grande ammiratore di quello che ritengo essere stato forse il più importante soprano italiano del dopoguerra. Non basta sapere ben cantare per essere una grande donna, la Callas pure mancò di delicatezza verso la Tebaldi ma con ben altro stile e senza toccare la vita privata di una collega pergiunta in difficoltà affettiva.
La "poveretta" oggi come oggi risuta più essere lei della Callas ci ha pensato la storia a fare giustizia di tutto e di tutte....