sabato 6 dicembre 2008

Tristan und Isolde: riflessioni, parte I


Parlare di Wagner non è facile. Lo è ancora di meno per l’ascoltatore o l’appassionato del melodramma italiano o, almeno, di ispirazione italiana.
Tristano ed Isotta è opera sia da grandi cantanti che da grande direttore. E se è per quello anche da grande orchestra. Caratteristica questa non solo di Wagner, ma di tutto il melodramma almeno dal 1870 in poi. In repertori assolutamente diversi dal wagneriano incontri fra grande cantante e grande direttore hanno dato risultati di levatura storica.
Con riferimento a Wagner basta pensare a Furtwaengler con la Leider o la Flagstad.
L’assenza di grandi cantanti, ove per grandi si intenda professionisti dotati di grande tecnica in primo luogo è la condicio sine qua non comune al Tristano ed alla Traviata. Non può essere liquidato l’assunto come opinione di vociomane. Troppo facile ed antistorico, soprattutto.
La credenza che Wagner possa essere eseguito senza il rispetto della quadratura tecnica, che proviene dalla scuola di canto italiana ottocentesca e la sua aberrante derivazione che Wagner (e tutto l’operismo tedesco successivo) si canti con una tecnica differenze ed il corollario che i grandi cantanti di scuola italiana sarebbero negati al canto wagneriano sono malintesi nella migliore delle ipotesi antistorici e nella peggiore forzatamente interessati.
Bastano cento anni di registrazioni, in quanto sono di fatto documentati i primi cantanti che affrontarono il repertorio wagneriano.
Bastano le uniche registrazioni di Marianne Brandt (1842-1921) prima Kundry, in alternanza con Amelia Materna (1844-1918), che canta il brindisi della Borgia e l’aria ! Ah mon fils” di Fides del Profeta con gusto e tecnica sono quelli del canto ottocentesco se non addirittura del bel canto.
A seguire il filone del pensiero “tecnica diversa” si arriverebbero a due egualmente abberranti conclusioni o che la Brandt quando cantava Wagner cantava con una tecnica diversa (quale poi?) o che Wagner, che la scelse personalmente, non capiva nulla di canto wagneriano.
La più concludente prova che Wagner debba essere cantato è la documentazione lasciata da Lilli Lehmann (1848-1929) celebre tanto quanto Isotta e Brunilde quanto come Norma o addirittura Philine di Mignon. La carriera quarantennale, la freschezza vocale documentata sono un altro colpo alle opinioni della differente tecnica o della non necessità dell’uso del canto di scuola.
Gli esempi continuano in tempi all’epoca contemporanea sino a Birgit Nilsson, l’ultimo vero soprano drammatico wagneriano, che abbia praticato il repertorio italiano. Si può discutere l’interprete, la qualità vocale, ma non certo il dominio dei cosiddetti “ferri del mestiere”. Persino nei passi virtuosistici. D’altra parte chi sentisse Lillian Nordica (1857-1914) e Lilli Lehmann, due fra le più famose Isotte della storia, ascolterebbe in altro repertorio un’impeccabile esecuzione dei passi di agilità.
E le risultanze non cambierebbero neppure ascoltando Melanie Kurt (1880-1941), che passava per una Isotta veemente ed interprete e, però, fronteggiava e superava l’impervia scrittura di Berthe del Profeta. Mi piacerebbe sentire le Stemme e le Polansky alle prese con i duetti Berta-Fides.
Per altro il malinteso del canto wagneriano come negazione del canto o superamento della tecnica italiana è un parto degli ultimi cinquant’anni coevo alla decadenza rapida e sembra irreversibile della scuola di canto tedesca.
Olive Fremstad (1871-1951), documentata nella morte di Isotta, e passata alla storia come cantante attrice (l’anti Nordica?) e assai vicina al gusto di Bayreuth, fatte le debite tare dovute ai primordiali metodi di registrazioni, che penalizzano Wagner più di ogni altro autore esegue il brano con una castigatezza di accento un’attenzione al legato ed una levigatezza non molto diffuse nell’ultimo mezzo secolo. L’allusione alle Modl e Varnay è ovvia, scontata e soprattutto dovuta.
Il canto non sostenuto da una tecnica adeguata compromette il legato, elemento indispensabile per dare vita ai due amanti wagneriani.
Basta guardare le indicazioni di cui lo spartito è costellato.
Il problema delle Isotte furenti, stimbrate, spacciato per sacro furore interpretativo è il problema dei protagonisti maschili degli ultimi cinquant’anni. Si chiamino Vickers, Kollo, Hoffmann, Heppner, che arrancano miseramente nel duetto d’amore con timbri per nulla amorosi e neanche eroici) e che rendono grati all’ascoltatore i tagli del terzo atto, che, di fatto, si regge sul protagonista maschile.
Adesso è di grande moda denigrare il più documentato e qualificato Tristano della storia dell’opera Lauritz Melchior. E figuriamoci se ci fossero le registrazioni di Jean De Reszke (1850-1925), che accadrebbe. Qualcuno dai microfoni RAI ci direbbe che cantava come Maurice Chevalier o Luciano Tajoli.
E pensare che il maggior elogio documentato all’arte di Melchior viene proprio da una intervista di Astrid Varnay, la quale in un’intervista televisiva parla della straordinaria proiezione ed ampiezza del suono del tenore danese. Strano che la presunta profetessa del Wagner senza tecnica classica canti le lodi del più tecnico cantante wagneriano !!!!
Anche qui delle due o la Varnay non capisce nulla di canto ed è priva di autostima o, più probabilmente, i cultori del canto parlato in Wagner sono smentiti dalla loro medesima profetessa.
In linea di principio la scrittura vocale marcatamente centrale (salvo qualche impennata all’acuto, do compreso per Isotta), in certi punti prossima all’omofonia richiede voci che abbiamo la loro miglior ampiezza e penetrazione in quella zona, tenuto anche conto della necessità di svettare sul magma orchestrale.
Al centro, è noto, tutti o quasi cantano anche per virtù naturale con la sostanziale differenza che la voce impostata in quella zona assicura a differenza della naturale la proiezione idonea a fronteggiare senza sforzo la massa orchestrale. Quel suono che in Verdi come in Wagner riempie il teatro
Sotto questo profilo sono esemplari le ricchezze degli strumenti della Flagstad e della Grob Prandl (la cantante wagneriana vocalmente più dotata, che i dischi documentino) nella scena di Isotta che apre il secondo atto, ma sono ancor più sorprendenti i risultati di due voci estesissime in alto come la Nilsson e più ancora Nanny Larsen-Todsen(1884-1982). Quest’ultima soprano wagneriano ufficiale a Bayreuth fra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 protagonista della prima registrazione in studio dell’opera.
E’ evidente che sia il cosiddetto racconto di Isotta al primo atto che l’attesa della protagonista al secondo vengono eseguiti con grande rispetto del legato (il segno di espressione più speso nell’intera partitura), con una dinamica spesso più varia di quella prevista dall’autore e, naturalmente dominando con irrisoria facilità il pesante orchestrale.
Ancora nella sezione centrale del duetto d’amore gli amanti se dilettanti del canto aiutati dalla tessitura centrale reggono, ma il suono non ha né la penetrazione né la lucentezza di voci come Melchior e la Leider o la Flagstad. Melchior ha lasciato le incisioni del duetto con entrambe le partners.
E quanto ad ampiezza e proiezione di suono colpiscono, più di ogni altro per le registrazioni assolutamente primordiali Lillian Nordica e Georges Anthes (1863-1923) negli stralci dei cilindri Mapleson. Impressionante quando i due amanti cominciano a “dare volume” alle voci per l’idea di un canto, che si espande e riempie il teatro. Poi si potrà anche discutere che sin dai primi acuti si percepiscono suoni un poco fissi nella Nordica, ma l’idea dello stile grandioso che a Wagner derivava dal grand-operà è reso a meraviglia.
All’ascoltatore attento non sfuggirà, almeno sotto il profilo vocale che Wagner non è affatto un unicum nella storia del canto, che, al contrario, si inserisce nella tradizione e secondo la tradizione deve essere eseguito.L’impressione circa l’effetto della voce “live” di Lillian Nordica, al di là della frammentarietà e difficoltà dell’ascolto si rinnova nel delirio finale di Isotta sul cadavere di Tristan. Le doti vocali e tecniche sono anche nel finale il discrimen fra le Isotte di tradizione “belcantistica” e quelle dello sprachgesag. Ed anche qui si devono superare i malintesi. Certo che l’esecuzione della Flagstad è tale da far dire a Joan Sutherland che il soprano norvegese è una belcantista e privilegia la qualità del suono, la perfezione dell’emissione tutti attributi e manifestazioni prima di tutto delle regalità; però le esecuzioni della Gadski (1872-1932) o della Fremstad, che sarebbero ispirate ad altra di estetica sono, comunque, rispettose del testo musicale e della tecnica. Le altre, spiace dirlo, latitano come interpreti ed anche come esecutrici.

Atto I
- Entrata di Isolde - Kirsten Flagstad, Gertrud Grob-Prandl
- Wie lachend sie mir Lieder singen - Nanny Larsen-Todsen, Kirsten Flagstad, Birgit Nilsson

Atto II
- Attesa di Isolde - Kirsten Flagstad, Gertrud Grob-Prandl, Birgit Nilsson
- Duetto d'amore - Nordica & Anthes (Mapleson 1 e 2), Leider & Melchior, Larsen-Todsen & Graarud, Flagstad & Melchior, Grob-Prandl & Windgassen, Nilsson & Windgassen
- Canto di Brangaene - Ebe Stignani

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