martedì 29 gennaio 2008

Juan Diego Flórez in concerto alla Scala

Il tour concertistico di JDF ha fatto finalmente tappa anche al Teatro alla Scala di Milano.
Il celebre tenore è ritornato tra i proclami un po’ eccessivi dell’ufficio stampa del teatro ("Il 20 febbraio dell’anno scorso, li aveva ripetuti di slancio: i nove Do di Tonio ne La fille du régiment di Donizetti, coroncina che alcuni tenori non riescono nemmeno a iniziare. Ed era esplosa la gioia del pubblico. Qualcuno aveva obiettato che il rito del bis è un passo indietro, ma Juan Diego Flórez è così: il regalo della naturalezza nel toccare e tenere le vette del suo registro, se può, lo elargisce senza risparmio e senza pensarci troppo. E condivide con molti il pensiero che il teatro musicale è il cerchio magico in cui chi eccelle ha diritto a qualche eccezione, se serve a tenere in vita l’antico rito del melodramma……" ), sull’onda del successo dell’ambizioso disco dedicato a G.B.Rubini e del concerto-conferenza tenuto all’Università Cattolica.
Concerto molto atteso dei suoi innumerevoli fans, come ad ogni esibizione di una superstella che si rispetti, soprattutto per la curiosità di sentirgli eseguire dal vivo le due impegnative arie del Bianca e Fernando e dell’Elisabetta Regina d’Inghilterra. Si, perché il programma, o meglio, i programmi della nutrita stagione concertistica del peruviano ( di circa 60 serate programmate per il 2008 un terzo sono concerti di canto, come l’anno passato del resto..) si fondano sull’esibizione di alcuni particolari estratti del suo ambizioso cd, intorno ai quali sono collocati opportunamente pezzi di assoluto riposo, limitato contenuto virtuosistico, un po’ di folcklore peruviano ( forse in onore dei “folcloristici” come noi! ), anticipazioni sul suo futuro operistico e…pause.
Un mix sapientemente dosato e calibrato, dove si osa ma solo il minimo indispensabile al mantenimento dell’immagine di grande virtuoso contraltino: le alte puntature del Bianca e Fernando e la drammatica fatica dell’Elisabetta vengono subito archiviate al primo tempo, con tanto di soccorrevole intermezzo pianistico tra le due esecuzioni, non bastando quelli di prammatica. Poi giù, al secondo tempo, con i pezzi della Morales, per tornare all’antico scaldavoce dei tenori di un tempo, J’ai perdu mon Eurydice, al più facile virtuosismo dell’aria aggiunta L’espoir renait dans mon ame sempre di Gluck, a chiudere il programma con la lirica Linda di Chamounix. Un programma sopra la media corrente, è sicuro, ma che non ha certo le velleità universali e la magnificenza dei programmi di una Horne, o la lussuosa eleganza di una Sutherland, di una Berganza o di una Cuberli, né l’esprit de merveille della sequenza di grandi scene con cabaletta di un Merritt, di un Blake, di una Dupuy o di una Anderson. Insomma,un programma perfettamente in stile con la carriera di Flórez, forse un po’ troppo riciclato, perché nell’era dei mass media gli strumenti che servono a costruire le fame planetarie svelano poi anche gli aspetti seriali e ripetitivi del lavoro degli artisti, nel suo caso la reiterazione eccessiva dei programmi da concerto ( ed ancora il pensiero và al buon Bonynge, che, in altri tempi, già riteneva che un programma da concerto non dovesse essere ripetuto più di 3-4 volte affinchè conservasse appieno il suo vero contenuto artistico e …magico ). Ci siamo recati tutti assieme al concerto, anche noi presi dalla curiosità che l’allure mediatica che circonda questo cantante suscita. E' stato il solito Flórez.
Decisamente migliore il secondo tempo anzi i bis, quasi che Flórez abbia pensato il concerto più sui bis che non sul programma vero e proprio. In questo è stato veramente generoso e simpatico con i fans in delirio. Per altro non ha eseguito nessun brano nuovo rispetto a quelli che ha eseguito nel folto carnet di concerti tenuti sino ad ora, anzi alcuni erano già stati eseguiti proprio a Milano lo scorso mese di novembre.
Ciò nonostante e nonostante una serie di problemi vocali, e per conseguenza interpretativi, il pubblico, fra applausi fuori tempo e ostentati ringraziamenti, ha decretato al tenore un successo che ricorda certi concerti scaligeri di autentici fuoriclasse.
Siccome Flórez e i suoi ammiratori sono convinti che il tenore peruviano sia un cantante assolutamente unico e di levatura storica la prestazione del tenore peruviano non può essere giudicata in raffronto alla situazione mediocre del presente, ma oggettivamente.
I grandi o ritenuti tali si devono comparare solo fra loro.
Oggi il problema è che a Flórez non si addicono né i brani di tessitura acuta né quelli di tessitura centrale.
Nella scena di Gennaro di Lucrezia Borgia, aggiunta per Nicola Ivanov, tenore contraltino per eccellenza, Flórez è stato in costante difficoltà, senza dinamica e senza colori, perennemente sul forte e per contro nella belliniana “Ricordanza”, che si rifà alla pazzia di Elvira, ha retto con sforzo e afonia la tessitura centrale. In entrambi i brani il legato è inesistente e i tentativi di sfumare, di cantare piano e pianissimo si risolvono in suoni vuoti, smorti, veramente poco piacevoli.
Non solo, ma un tenore di origine rossiniana ossia di agilità ha eseguito con evidente difficoltà sia gli elementari passi di agilità dell’aria del Re pastore che quelli dell’aria di Orfeo nella versione Le Gros.
E siccome Rossini sarebbe l’autore per eccellenza di Florez quello che il tenore peruviano ha eseguito lascia molto perplessi.
L’accento assolutamente minimalista da parte comica dell’opera del settecento napoletano secondo il miglior gusto anni ’50, non si addicono né alla poetica dell’”Esule” nè alla verve salottiera dell’Orgia e le cose peggiorano quando lo stesso peso e la stessa inesistente dinamica vengono applicate alla grande scena di Norfolk, dove le agilità in tempo veloce sono spesso pasticciate e l’accento assolutamente inerte. Dinamica inesistente. E come sempre acuti ghermiti e spesso ovattati. Ossia la negazione dell’estetica e della tecnica rossiniana.
In generale si deve rilevare che gli acuti di Flórez suonano ghermiti ed ovattati soprattutto i primi, chevrotanti e nasali gli estremi sicchè è facile pensare che il sostegno del fiato non sia quello del fuoriclasse, quale Flórez vorrebbe essere. Il tutto è evidentissimo nella cadenza dell’aria di Carlo della Linda, dove il primo acuto (credo un do) suona nasale, ma facile ed abbastanza squillante poi accade qualche cosa e la cadenza con un altro do finisce malamente rappezzata.
Che qualche cosa nell’organizzazione vocale di Flórez vada male alle prese con i primi acuti è evidentissimo nell’aria di Orfeo, troppo bassa per un tenore come Florez, privo del timbro e dell’ampiezza che il genere tragico richiede ed anche - in fondo siamo in una esecuzione concertistica - della dinamica e del gusto di uno Schipa, che eseguiva normalmente il lamento di Orfeo.
Il problema emerge uguale ed identico anche nell’arioso di Romeo dove manca l’estasi e abbandono e dove la voce, oltre ad accentuare il fastidioso vibrato che da sempre la caratterizza, si irrigidisce irrimediabilmente nello sforzo di emettere e tenere il do conclusivo. Come gusto Flórez tiene “comizio” solo che il volume e l’ampiezza limitata nascondono e mitigano lo svarione interpretativo.
Insomma, di questa serata abbiamo apprezzato la verve di JDF, la simpatia e comunicativa di un artista consumato e la sua generosità nei confronti del pubblico (che non è stato liquidato, ai bis, con un paio di ariette da salotto), ma, con la voce messa in questo modo e quindi regolarmente nasale e falsettante nei piani e a mal partito fin dai primi acuti (e si taccia dei contorcimenti adottati per produrli), è difficilissimo sfumare, variare, imprimere a ogni brano il suo carattere. Il programma scorre monotono, senza fremiti e sorprese, generando una comprensibile impressione di noia e freddezza esecutiva. Non è ingessato l'interprete, lo è la sua tecnica di canto, che non gli consente la necessaria flessibilità.

PRIMA PARTE

I. “Dies Bildnis ist bezaubernd schön” (aria di Tamino da Die Zauberflöte) - Wolfgang Amadeus MOZART
II. “Si spande al sole in faccia” (aria di Alessandro da Il Re Pastore) - Wolfgang Amadeus MOZART
III. “La ricordanza” - Vincenzo BELLINI
IV. “All’udir del padre afflitto” (aria di Fernando da Bianca e Fernando) - Vincenzo BELLINI
V. “L’esule” (Qui sempre ride il cielo)- Gioacchino ROSSINI
VI. “L’orgia” (Amiamo, cantiamo) (testo del Conte Pepoli) - Gioacchino ROSSINI
VII. (Piano solo) “Prelude de musique anodine” (Allegretto moderato), dai Péchés de vieillesse (vol. 13) - Gioacchino ROSSINI
VIII. “Deh! troncate i ceppi suoi” (aria di Norfolk da Elisabetta, regina d’Inghilterra) - Gioacchino ROSSINI

SECONDA PARTE

I. “La zamacueca” - Rosa Mercedes AYARZA DE MORALES
II. “Malhaya” - Rosa Mercedes AYARZA DE MORALES
III. “Si mi voz muriera en tierra” - Rosa Mercedes AYARZA DE MORALES
IV. “La rosa y el clavel” - Rosa Mercedes AYARZA DE MORALES
V. “Hasta la guitarra llora” - Rosa Mercedes AYARZA DE MORALES
VI. “J'ai perdu mon Eurydice” (aria di Orfeo da Orphée et Eurydice) – Christoph Willibald GLUCK
VII. “L’espoir renait dans mon ame” (aria di Orfeo da Orphée et Eurydice) – Christoph Willibald GLUCK
VIII. “Linda! si ritirò” (aria del Visconte Carlo da Linda di Chamounix) – Gaetano DONIZETTI

BIS

"Una furtiva lacrima" - da Elisir d'Amore -Gaetano DONIZETTI
"Ah, lève-toi soleil" - Roméo et Juliette -Charles GOUNOD
"T'amo qual s'ama un angelo" - Lucrezia Borgia -Gaetano DONIZETTI
"La donna è mobile" - Rigoletto - Giuseppe VERDI
"L'alba separa dalla luce l'ombra" - ( testo di Gabriele d'Annunzio ) - Francesco Paolo TOSTI

by GG, DD, AT

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