mercoledì 4 giugno 2008

Traviata alla Scala: la Devia passa e sul podio salgono il dottor Jekyll e Mr Hyde!

Produzione dell’Imprevisto quella di giugno per il Teatro alla Scala di Milano! Rivoluzionata la programmazione, è il caso di dirlo, dalla “Rivoluzione” di Chénier, la Scala si credeva al riparo da ogni emergenza seraficamente aggrappata alla più sicura, certa ed inossidabile delle cantanti, Mariella Devia, che invece all’ultimo è stata colta da una faringite ...improvvisa e fortunata. Già, perchè dopo aver assistito alla prova generale pubblica e a questa prima non ho potuto fare a meno di domandarmi se la malattia della signora non porti, invece, il nome di “Montanaro”, direttore sponsorizzato in questi giorni sui giornali milanesi che, come un perfetto dottor Jekyll-Mr Hyde, dopo aver diretto con tempi plausibili una generale in cui il cast andato in scena ier sera ha cantato benissimo, ha letteralmente distrutto la prima con una direzione insulsa, fiacca, lentissima, che ha sfiancato i cantanti ( oltre che noi!) al di là di ogni decenza. E come tutti i grandi artisti di rango, si è codardamente nascosto dietro il cast alle uscite singole, senza avere il coraggio di venirsi a prendere i giusti e meritatissimi buu del loggione! Dove la Scala trovi siffatti geni, Dio sa, ma è certo che in questo ha davvero un talento specialissimo.
Ma andiamo con ordine,

recensendo le due recite, perché a tanto ci ha costretto il dottor Jekyll sul podio. Già, perché per me come per altri, che hanno assistito alla generale, più che una recita la serata è parsa una vera assurdità, dove il buon ritmo, fraseggio e un certo nerbo indispensabili per questa partitura erano stati spazzati via senza ragione. Dopo la buona prova, tutti siamo arrivati in teatro ottimisti, con l’idea di vedere premiato il coraggio ed il bel canto in prova della Lungu, il talento tecnico e l’eleganza di un signor tenore, di quelli che sa come si canta fraseggiando, che si chiama Josè Bros, e gli sprazzi di grandissimo canto del grande baritono nobile, Renato Bruson. Ma ieri sera Montanaro ha cambiato idea, pretendendo di essere protogonista (!) più del dovuto e fregandosene altamente dei colleghi. Ha scelto di andare indifferente per la sua strada solitaria finendo in realtà col distruggere sé e gli altri....un po’ come quelli del quarto quadrante della legge di Murphy. Si è messo a gesticolare armonicamente per suo conto, dipingendo grandi arcate nell’aria con la bacchetta, con tempi lenti, lentissimi...sempre più lenti.... senza vigore alcuno; una mollezza insulsa che avremmo voluto gridargli mille volte “ sveglia maestro!”, soprattutto nei da capi, che finivano davvero con canto ed orchestra...fermi!. Il tutto nella più serafica indifferenza al fatto che, sin dalla primo atto, coro, comprimari e cantanti non andavano affatto con l'orchestra, spesso in ritardo, gli attacchi sporchissimi e suono per nulla di qualità e che la serata, più che decollare, andava spegnendosi. Un non sense direttoriale assoluto, quasi una sorta di …autocompiacimento narcisistico, alla ricerca di tutto quanto nella Traviata proprio non c'è o ce lo vede solo lui : mentre i cantanti scoppiavano sulla scena, il maestro si beava di se stesso nella buca….Roba da matti!
E così, già dal Un di felice eterea di Bros, che ha dovuto da subito piegare le sue mille sfumature ed elegantissime intenzioni mostrate in generale, sono iniziati suoni tenuti e larghi, che si sono fatti sempre più periclitanti nell’intonazione (crescenti) nella continua ricerca della proiezione della voce, che arrivava nella sala sonora ed alta, ma non “libera” come al solito. Una scena della Borsa inflittagli dal dottor Jekill ad una lentezza adatta più che ad un tenore di grazia ad Aureliano Pertile! E se l’acuto arriva imballato, chi si meraviglia?? Noi no.

Se la recita di stasera fosse stata come la generale vi avrei scritto quanto segue:

Il più perfetto sul piano tecnico e vocale è stato certo Josè Bros, un Alfredo elegantissimo e, finalmente, nobilmente appassionato. Il signor Bros è quello che di soliti i melomani definiscono “un signor cantante”: sicurissimo, di grande linea di canto, mai banale perché sempre teso a cercare sfumature, colori ed intenzioni. Tenore lirico leggero figlio della grande tradizione spagnola tenorile, avvezzo alle grandi altezze di Donizetti e Bellini dove o si canta o si muore, Bros domina questo ruolo con una facilità impressionante, strappandolo dal luogo comune della vociferazione affannata ed inconsulta degli Alfredi dell’anno scorso. Non è mai caduto nella tentazione di pompare i suoni per avere più peso specifico di quanto effettivamente non abbia, fermo, come quelli che sanno davvero cantare, nella ricerca della proiezione e della sonorità piuttosto che della larghezza della voce. Ed il canto è arrivato bellissimo, appassionato nell’Un di felice del I atto, addolorato ed intenso al secondo atto, facilissimo, quasi senza sforzo, alla cabaletta dell’aria come alla scena della Borsa ( per nulla isterico…mi piace sottolinearlo ), di nuovo appassionato ed addolorato, con un Parigi o cara emozionantissimo. Una lezione di canto, davvero!.... che la Scala, mi spiace dirlo, avrebbe dovuto metter in cartellone molto, molto prima e non per caso.

Irina Lungu, miracolosamente scampata all’omicidio dei tempi e dei monumentali, noiosissimi da capo di questa integrale lettura postmutiana, è sopravvissuta all’aria del primo atto, di una lentezza mortifera che avrebbe ucciso Maria Caniglia, con quella forza e quel carattere che già qui ha mostrato andando in scena durante le tumultuose Violette gheoghiane e nella maratona donizettiana inflittaci da Fogliani con la Stuarda. Forse ha calato e ballato in un paio di momenti nell’aria, ed il primo dei do diesis non è stato certo bello….ma, cari amici, quei tempi avrebbero ucciso un bisonte! Ha reagito, ed ha infilato anche il mi bemolle. Bellissimo il duetto con il padre, dove ha trovato accenti ( quelli cui nessuno fa più caso oggi…) nel Dite alla giovine in pianissimo, anche questo sfiancante perché la bacchetta era ormai in letargo. Ha cantato bene anche il terzo atto, con tante intenzioni nell’Addio del passato, eseguito sempre col da capo, perché la Lungu è una musicista con tante intenzioni ( lo avevamo sentito bene nella Stuarda…. ). E’arrivata alla fine stravolta, morta non di tisi, ma per colpa di Montanaro, che ha rallentato il Parigi o cara ( integrale pure questo!) all’inverosimile, come pure il Prendi questa è l’immagine. Il sadico maestro è stato assolutamente e scandalosamente indifferente al suo morire. E il mio pensiero è andato alla Devia, non posso negarlo…..staremo a vedere quel che accadrà…
Se fosse stato tutto facile come alla generale, e non questo calvario, vi avrei scritto una cosa così:

Non è la prima volta che sentiamo la Lungu qui a Milano. Sempre chiamata per serate onerosissime in Scala, la Lungu aveva ben cantato durante le tumultuose serate della precedente Traviata e davvero stupito nella Maria Stuarda, ove era andata ben oltre le nostre aspettative in un ruolo terribile, anche allora dietro l’”enorme” Devia. Lasciati gli orridi abissi dell’inadatta tessitura della Fiordiligi parmigiana, la Lungu si è presentata con una Violetta dalla voce nettamente più sonora e proiettata ed un chiaro restyling del personaggio, laddove l’anno passato il fraseggio era apparso ancora acerbo o scolastico. Ho trovato più curato il primo duetto con Alfredo, con l’Io sono franca eseguito con nettezza e facilità, come pure l’aria del primo atto, in particolare la cabaletta, dove le agilità sono uscite sgranate e precise, grazie ad una direzione mordente che, finalmente, ha consentito al soprano di volare sulla scrittura ostica. Molto bene il secondo atto, come la scena della festa, dove il giovane soprano, ad onta della pesantezza del concertato, è riuscita ad emergere e a non essere risucchiata dal coro. Toccante l’aria dell’ultimo atto, mentre un po’ di stanchezza l’ho sentita al Parigi o cara, staccato con una certa lentezza che a fine serata proprio non ci sta.
Una buona Violetta, che non ha nulla da invidiare a nessuna delle colleghe che l’hanno oggi in repertorio, anzi, direi la miglior,e se penso alle intenzioni musicali ed anche al modo elegante di stare in scena. Speriamo che continui a lavorare nella direzione tecnica intrapresa e sul repertorio del lirico leggero, idoneo al suo peso vocale
.

Quanto a Bruson, che dire? Ha subito l’offesa, a 73 anni, di una bacchetta che gli ha chiesto di avere i polmoni di un trentenne. E forse è quello che ha meno sofferto rispetto alla generale, perché il suo modo di tagliare i fiati, anticipando sempre di un qualcosina l’orchestra gli ha consentito di cavarsela. Spesso il fraseggio si è trasformato in una sorta di legato parlato, puro mestiere da grande cantante…non so come spiegarvi. Qualche stonatura anche per lui, assenti invece alla prova generale.

Per la sua generale vi direi questo:
Inattesa la prova di Renato Bruson. Il suo Germont, vecchio e un ieratico nell’aspetto, è uscito tutto dall’esperienza e dalla furbizia del baritono nobile, abituato all’accento. La voce è ancora buona per timbro ( in alto l’età si sente tutta per la fatica sulle frasi come Dio m’esaudì…Dio mi guidò…). Il legato ne soffre qua e là, ma la parte ha una tessitura comoda e quindi gli è facile mascherare il declino. Ed il grande baritono viene poi fuori nei due duetti del secondo atto laddove trasforma le prese di fiato una volta assenti in….espressione. Già, se si vuole intendere a cosa alludessero i cantanti di vecchia scuola quando parlavano di “fiati espressivi”, si senta questo Bruson, che tratteggia questo Germont forte ma compostissimo, dolente e paterno a fianco di Violetta e del figlio affranto. Anche qualche frase, che finisce smorzata più per l’età che per l’intenzione vocale, appare……sfumata. L’orrenda cabaletta non viene scontata nemmeno al grande papà dei baritoni, ed a lui, astuto ed esperto, basta cantarla con poco volume per venirne a capo con arte. Insomma, i cerotti del gran segneiur che ha 40 anni di carriera! Di lusso e di esempio!


Taccio dei comprimari, tra i quali è stato degno solo il dottore, assortiti con rara imperizia...alcuni direi..sconvolgenti!

Quindi, cari amici, mi sarebbe tanto piaciuto concludere così la recensione di questa prima:
la Scala in emergenza, senza tante fole di novità ed arte, ma costretta a mettere insieme uno spettacolo alla garibaldina, ottiene quasi per caso un successo inatteso con una Traviata che nessuno voleva. Ma il teatro non è forse fatto anche di casualità e sorpresa?

Ed invece, l’antico adagio della vera prima così ci fa congedare da voi:
Anche questa volta, secondo una tradizione che potremmo dire instauratasi qui parecchi anni fa, i cantanti sono stati sacrificati e crocefissi da una bacchetta che, dopo tante belle intenzioni in sala, al cospetto dell’austera Orchestra della Scala, miseramente frana, perdendosi nei meandri dei suoi pensieri e annichilendo un’opera che fino a venticinque anni fa si dava nei grandi teatri come in quelli parrocchiali senza tema di annoiare ( con i tradizionali e sacrosanti tagli! ) Il Requiem diretto da Montanaro corrisponde a quello del moderno recitar cantando, dove ormai troppo si recita, molto si distrugge con l’orchestra e assai poco si riesce a cantare.
Per fortuna che il pubblico sa anche rendersi conto di quanto accade sulla scena: i cantanti sono stati tutti premiati con affetto, perdonando ogni loro incolpevole manchevolezza.
L’opera deve tornare ad essere governata DAI CANTANTI, la bacchetta e la scena devono servire AI CANTANTI, perché se Montanaro ( e la Cavani ) lo avessero fatto, non ci saremmo mortalmente annoiati, il cast avrebbe dato molto di più, ci saremmo divertiti e…..la bacchetta non sarebbe stata sonoramente buata!
Evviva i Molinari Pradelli, i Votto, i Serafin con le loro efficaci orchestracce; evviva le Sutherland o le Gruberova che imponevano i mariti per mettersi al riparo da siffatte punizioni; evviva le direzioni artistiche e i cantanti di nome un tempo capaci di protestare o far protestare siffatti direttori. E' ora di tornare a quelle sane antiche prassi del teatro d'opera!

PS
Dimenticavo l’allestimento. …..! Alla prima come alla generale:

Peccato per l’allestimento, volutamente obsoleto sin dalle origini, di concezione oleografica, di stampo zeffirellesco ( si pensi alla modernità dell’allestimento degli Hermann, più vecchio di una decina d’anni…), per nulla sostenuta da una vera regia che, ad onta del nome roboante che la firma, impone una insopportabile assenza di gestualità e troppa fissità in scena. Il lusso esagerato delle due scene di festa, con lo spazio che più dell’equivoco salotto urbano ha la monumentalità pomposa di Versailles e del suo giardino, così come le compromesse signore mantenute che sono addobbate ben oltre le possibilità di ogni dama di gran rango restano gli aspetti più incredibili per lo spettatore, incredibili perché avulsi ….dal semplice buon senso!

13 commenti:

Lele B. ha detto...

Condivido in tutto e per tutto le interessanti considerazioni a latere della puntualissima recensione. Discordo totalmente su "...l'orrida cabaletta"... e non dico altro!

Continuo a leggervi giornalmente e con crescente simpatia. Orfano inconsolabile di una critica che credevo estinta con Rodolfo Celletti, mi par di sognare nel poter leggere nuovamente delle vere recensioni che si occupino della parte preponderante di uno spettacolo lirico, cioè IL CANTO!

Gabriele Brunini

Anonimo ha detto...

Non avendo, purtroppo, assistito alla generale non posso basarmi che sulla prima di ieri sera che, devo ammetterlo, mi ha lasciato piuttoto perplesso. Ho assistito alla recita dalla seconda galleria e, forse per la scomoda posizione forse per una non eccezionale proiezione della Signora Lungu, la voce di Violetta mi arrivava a stento (in particolare nel primo e terzo atto), a questo vanno aggiunte un'intonazione mai veramente a fuoco e delle agilita' non proprio ortodosse, anche se, spezzando una lancia in favore della Signora Lungu, bisogna precisare che la pessima direzione del Maestro Montanaro non l'ha certamente aiutata. Piu' convincente la prova del tenore Bros che arrivava perfettamente anche da dietro il palcoscenico, anche se, probabilmente a causa della mortifera direzione, pure lui e' andato incontro a diverse tensioni nel registro acuto che l'hanno portato ad un passo dalla stecca in ben due occasioni. Per quanto riguarda il Gran Vecchio (leggasi Renato Bruson) non si puo' negare il peso degli anni, la voce risulta impoverita nel suo tipico velluto e i fiati arrivano spesso un po' corti, ma l'accento e la signorilita' del personaggio sono assolutamente immutati rispetto a 20 anni fa, e il carisma del grande artista esce da frasi quali "bella voi siete e giovane,col tempo..." o nella emozionante ripresa del Di provenza. Come gia'detto sopra la noiosa e pesante direzione di Montanaro non ha fatto altro che mettere a disagio per l'intera recita i cantanti.

P.S.Alla fine della serata ho avuto il piacere di conoscere la Signora Grisi che spero di reincontrare in altre piu' piacevoli occasioni.

Luigi-Orbazzano

maxblu78 ha detto...

Concordo con l'accurata recensione.
Ieri ero seduto dietro di lei e mi ha fatto piacere conoscerla e ascoltare i suoi commenti.
Rammaricato...per essere stata la mia prima Traviata in Scala...non ho portato a casa il sorriso sulle labbra considerato che ne ho sentite di migliori in teatri "di provincia".
Un saluto alla prossima occasione.
Massimo

Sehnsucht ha detto...

mi dispiace, ma la lettura della Signora Grisi è assai faziosa. e se fosse il contrario? se il direttore fosse stato costretto a una tessitura lenta per rispettare, per esempio, l'assenza di capacità della protagonista? lo sentiremo lunedì 9, quando canterà Mariella Devia, e poi ne riparleremo. In quanto a mettere in dubbio la veridicità dell'indisposizione della Signora Devia, lo trovo veramente ignobile: in decenni di carriera è la prima volta che rinuncia a una generale e a una prima. Che alla Signora Grisi piaccia o non, Mariella Devia è l'unico, dico l'unico, soprano in grado, oggi, di interpretare Stuarda e Bolena, Traviata e Lucrezia Borgia, Donn'Anna e Costanza (e molto altro) a livelli assolutamente imparagonabili in ambito MONDIALE.
Spero di incontrare la Signora Grisi lunedì 9 per ascoltare il suo giudizio.

Antonio Tamburini ha detto...

E da quando in qua tempi lenti (anzi, slentati) aiutano le voci? La stessa Devia, per averlo provato in Stuarda sotto Fogliani, sa bene quali effetti simili tempi possano avere su voci non esattamente enormi e non proprio freschissime.

In un mondo in cui le Gruberova cantano Borgia (e bene, per giunta, con una consistenza al centro che la signora Devia non ha), le Ciofi Stuarda e le Forte Traviata (assai meno bene), le Jaho annunciano debutti in Bolena (l'anno prossimo a Parigi) come le Mei li avevano annunciati in Elisabetta del Devereux... in tutto questo, e malgrado tutto questo, la signora Devia può essere ammirata quale modello di canto e atteggiamento professionale, ma sconta anch'essa una voce non propriamente adatta a siffatti ruoli.

Detto questo, spero davvero che la signora si rimetta e proponga anche al pubblico scaligero la sua Violetta tanto applaudita anche di recente in quel di Ancona.

mozart2006 ha detto...

Interessante il fatto che Montanaro abbia cambiato i tempi dalla generale alla prima...io l´ho sentito diverse volte qui a Stoccarda e non mi é mai sembrato un gran direttore,ma nemmeno cosí terribile.C´é da dire peró che,come voi certo saprete,le orchestre tedesche possiedono una sorta di automatismo contro il cattivo manico.Ció significa che i musicisti,quando il direttore non li convince,decidono semplicemente di arrangiarsi da soli.E´un diverso modo di affrontare le cose,che ha i suoi pregi e difetti.Da un lato,il livello minimo esecutivo é garantito;dall´altro,il direttore deve essere veramente carismatico e bravo per convincere l´orchestra a seguirlo.Chi,come Montanaro,é abituato a lavorare con questo sistema,quando si trova sul podio di un´orchestra italiana di rango,regolarmente affonda.
Ciao da Stoccarda.

Giulia Grisi ha detto...

Caro Sehensucht,
scusa se ti rispondo solo ora, ma ti leggo in questo momento.
A quanto dice Tamburini posso aggiungere solo un paio di cose.
Circa la signora Devia, non credo che il mio pensiero sul suo forfait sia maligno. In primo luogo, la signora è una di quei cantanti molto “tecnici” in grado di cantare anche malati, e credo che lo abbia fatto molte volte senza nemmeno dare l’annuncio, perché….non ne aveva bisogno. E da qui la riflessione sull’altro, ossia:
- che la Traviata non è mai stata un suo ruolo nemmeno quando era in grande forma;
- che l’allestimento, irritante per la sua assenza di regia, in nulla le si addice, dovendo stare sempre ferma e non avendo la signora una grande phisique du role ( è una donnina minutissima……non può mettersi lì immobile come …che so, una Anderson, tanto per intenderci…);
- che l’esecuzione integrale è pesantissima oltre che…..fatemelo dire! …veramente noiosa ( anche le grandi fraseggiatrici del passato lo hanno sempre tagliato….chissà perché?! E la signora una fraseggiatrice ( perdonami!) non lo è proprio mai stata. La sua Traviata aveva il senso della grande scena del primo atto….e basta, perché dopo c’è veramente assai poco più del canto professionale;
- ad Ancona la prova non è stata esattamente travolgente, anzi, proprio laddove cantava i suoi pezzi forti ha mostrato pezze e cerotti robustissimi.
- non mi risulta che mai la Devia abbia cantato più di 5 recite e 7 sono davvero tante, sebbene collocate a buona distanza di tempo;
- titoli come la Bolena, al contrario di quanto tu affermi, mi pare si stiano OPPORTUNAMENTE E GIUSTAMENTE trasformando in Giuliette Capuleti, come a Genova, e questo fa pensare…ma non in modo maligno, bensì realistico. Ossia che opere centrali e pesanti come già la Stuarda scaligera adesso forse sono troppo….ed è giusto così, perché ha 60 anni, e la vocina del soprano di coloratura che non fa il coloratura da anni, e con un centro ove la voce si è fatta piccola piccola, come nella Stuarda…..
La lentezza geologica di certi tempi, che abbiamo sentito in Stuarda come già in Bolena ( quante critiche a Liu Ja che poi diresse subito dopo una Gazza molto buona ed assai diversa ) sono da tempo la modalità del canto della Devia per opere centrali dove per fare i suoni la signora a bisogno di rallentare, perché li fa ma……di tecnica.
L’altra sera sentimmo la Gruberova, cantante certo stonata in alto, ma con una organizzazione vocale diversa da quella della Devia: quelle sonorità piene che abbiamo sentito in Scala, con la voce messa sotto al lampadario anche nei piani in zona centrale, la voce con il “giro” ancora facilissimo, sono estranee da sempre alla Devia, e non perché valga meno, intendiamoci, ma perché al centro lei ha sempre cantato diversamente, mai in modo così proiettato. Dunque, a mio modo di vedere, è già un miracolo che abbia retto a questa età le opere che tu mi nomini, ma ………tu pensi serenamente che possa reggerle fino al giorno prima del ritiro??? Quale voce sentiremo in Traviata se canterà? E come sarà il legato……date le ultime prove, dove il centro…..mi spiace dirlo, ora balla…E la Traviata non è Bellini o Donizetti, dove il belcanto ti permette di interpolare, nascondendo i difetti vocali ( perché cantanti come la Devia sono lucidissimi nel farlo….)…Quel canto sul centro non è la stessa cosa, ed il fraseggio non può essere quello astratto e rarefatto del belcantista, in un teatro grande come la Scala…..
Credo anche che alla sua età, quando si è più fenomeni di longevità vocale che artisti in vera forma, le cose possano mutare molto rapidamente e variare anche da sera a sera……
Ecco qui le mie nude considerazioni che sono solo realiste e che illustrano quello che ho già scritto qualche giorno fa su operafree ( dove ti potrai rendere conto di quel che penso…). Una bacchetta mutevole, anche se opportunamente lenta, può anche far paura a chi ha 60 anni e non ha nessun motivo per esporsi……...


Quanto alla Lungu, beh….partigiana della Lungu non mi pare di essere. Ti basta leggere la recensione del Così di Parma per provarti che qui non siamo partigiani…..mica le abbiamo scontato nulla…
Personalmente ho visto prima e generale, oggettivamente diverse e resto della convinzione che i tempi veloci fossero giusti perché nascondevano i difetti e lasciavano uscire il soprano leggero, perché tale la considero.
E la valuto per quello che è, ossia una ragazza che ha iniziato ora a fare i primi cast, che è uscita oltre modo bene dalla Stuarda, opera che ai leggeri non si addice e da cui sono uscite ben peggio cantanti come la Ciofi a Liegi, tanto per farti un esempio di cantante assai più esperta; che ha migliorato in accento la sua Violetta; che deve lasciar perdere i Così fan Tutte ( quanti ne ha fatti la Devia? E la Gruberova?). Non mi pare pompata.. né che usufruisca di sconti. Ha fatto il suo dovere di secondo cast, con tre recite, ed ha retto la prima con una buca che avrebbe stroncato la Sutherland ( confronta per gioco i tempi del disco integrale della Sutherland con quelli del’altra sera dal vivo……ti chiariranno le idee..o i tempi di qualunque soprano leggero in Sempre libera nei dischi…). Certo che più il tempo è lento è la più la voce sembra piccola; più è lento e meno c’è effetto di fraseggio ( vatti a sentire i tempi della Callas o della Scotto…..)...ti meravigli se il soprano cala quando è senza fiato?...Io no….però alla generale non calava…e c’era maggiore velocità…
Insomma, io penso che la voce non sia grande, che le manchi ancora un po’ di proiezione e sonorità, ma …….non ha sostituito la Caniglia, o la Callas, ma la voce piccola della Devia. Se non chiediamo la voce vera al soprano più grande del mondo, perché lo chiediamo alla ragazzina dell’Accademia che la sostituisce? Ma che voce avevano qui le Rost ?le Mula? che voce ci fa sentire la Ciofi?.o la Amsellem?.... ..ma stiamo scherzando vero? Girardi sul Corriere parla di voce piccola, ma l’anno prossimo qui farà i Foscari la Vassileva, più sonora ma anche più strillata, e farà il soprano drammatico….!!!!
La Lungu è un doppio che ha cantato una prima importantissima ed onerosa, ed ha fatto anche troppo bene. Resto dell'idea che abbia ben fraseggiato, sopra la media odierna.
Siamo stati vent’anni senza Violetta perché nessuno aveva il coraggio di cantarla. Non ci bastava June Anderson,perché incapace di fraseggiare, ma che cantava la Violetta con vera voce. Eppoi applaudiamo alla grande Violetta della Devia che non c’è mai stata e di nuovo critichiamo il suo doppio perché non ha una grande voce o non fraseggia abbastanza……..mi sa che la confusione regna ormai sovrana!

Non vorrei mai fare rientrare la Devia nella logica del nome, perché non lo merita e la stimo davvero tanto, però, scusatemi se ve lo dico, dovreste usare lo stesso metro con tutti, e smettere di scontare e perdonare tutto ai grandi, ed essere pieni di pretese dai piccoli o da chi comincia!

A presto!

Giulia Grisi ha detto...

Ciao Orbazzano!
Benvenuto a te ed alla tue signore!

gg

Carlo ha detto...

Caro Tamburini, non si può avere orecchi solo per i cantanti.
Se un direttore sa concertare con le voci, riesce a imprime la sua visione e a creare atmosfere anche con cast mediocri. La Gersteva non ha effettivamente colori né cavata, ma un accompagnamento meno meccanico e frettoloso l'avrebbe indotta a esprimere qualcosa di più.
Che Inbal sia negato al teatro lo dimostrano numerose direzioni ascoltate negli anni in più teatri. Ricordo dei Verdi terrificanti a Venezia e anche a Bologna (Don Carlo). E non parliamo della recente Salome ancora a Venezia: la saga dell'urlo e dello squasso.
Nemmeno come direttore sinfonico Inbal mi sembra un'aquila. Non conosco il suo Brahms, ma mi basta (e avanza) averlo ascoltato in Mahler e Beethoven.

Antonio Tamburini ha detto...

Sa com'è Carlo, l'opera la fanno prima e più di ogni altra cosa i cantanti, quindi è logico che siano loro al centro dell'attenzione. Lo dimostrano i cimenti operistici di Claudio Abbado, non sempre (e negli ultimi anni direi quasi mai) dotati di cantanti adeguati allo splendore della direzione. Taccio delle atmosfere che cantanti come Carlo Guelfi, la Mattila e la Harnisch sanno creare in teatro, pur con Abbado "sotto".

Detto questo, resta da vedere come possa la Gertseva esprimere alcunché, con quella vocina che si spezza ogni tre note o poco più. Davvero s'impone con lei la regola aurea, cara agli antichi maestri, del "sbrighiamoci al più presto in modo onesto".
Poi nessuno dice che Inbal abbia diretto in modo memorabile. Ma la buca era l'unica a parlare il linguaggio del grand-opéra, a... cantare nel vero senso della parola.

Carlo ha detto...

La Traviata alla Scala per me è un'edizione deprimente. Con molti distinguo si può salvare qualcosa della parte vocale (non i pessimi comprimari, però).
Ma insomma siamo a livello di teatro di provincia. E quel che è peggio è che anche il pubblico si sta adeguando a questa omologazione verso il basso.
Non ho mai sentito, nemmeno nella più sperduta provincia, scattare l'applauso dopo "Si ridesti in ciel l'aurora" e prima dell'inizio di "Sempre libera" (forse i battimani erano diretti alla risatina ripristinata dalla Lungu?).
La Scala è certamente in declino ma, quel che è più grave, lo è anche il suo pubblico.

Antonio Tamburini ha detto...

Non ho sentito questa Traviata, ma ricordo quella dello scorso anno: Gheorghiu spompata (sembrava emettere aria), Kaufmann ululante e il vecchio Leo, con tutto il rispetto e l'affetto, stonato in alto e nel complesso assai poco elegante. Della serie: comunque vada sarà... un progresso!

Decadenza del teatro e decadenza del pubblico vanno sottobraccio. E s'influenzano a vicenda. Perché meno il pubblico chiede, più "s'accontenta", peggio i cantanti rendono, e meno "si gode". Se non altro a Milano c'è un loggione che, le poche volte che ancora "si desta", sa come accogliere certe performance imbarazzanti (ma veramente al di là del bene e del male). E ne abbiamo avuto le prove in questa stagione.

Carlo ha detto...

Concordo in pieno, caro Tamburini. E grazie per la risposta sintetica.
Quelle della Grisi sono un po' logorroiche per i miei gusti.