lunedì 11 agosto 2008

L'Equivoco stravagante a Pesaro

Equivoco stravagante, di fatto la prima opera di Rossini dopo le farse è il secondo titolo del ROF 2008.
E’ una ripresa di un precedente allestimento e di un titolo che il medesimo direttore artistico del Festival ha fatto intendere di non particolare pregio e per giunta con il difetto di un libretto, diciamo, pecoreccio. Scusi maestro Zedda, ma ha mai letto il libretto di un quasi capolavoro come Pietra di paragone? E anche l’Italiana non scherza. Forse era l’opera buffa che imponeva certe scelte e certe “finezze”.

Poi Rossini, benché diciannovenne, ce ne ha messo del suo in quel processo, che porterà sotto il profilo vocale ad una assoluta coincidenza fra l’opera serie quella comica e quindi a superare un’immagine volgarotta ed ordinaria del genere comico. Insomma Rossini lo nobilita sino in fondo. Devo però dire che già quel capolavoro assoluto del Matrimonio segreto (dotato della sua giusta dose di doppi sensi per giunta affidati ad una donna) aveva segnato un avvicinamento fra i due generi. E forse, ma la dubitativa Rossini mettendo soprattutto al primo atto due coppie i signori ed i servi aveva reso omaggio al ratto dal Serraglio? E’ un dubbio non una certezza, ma il nostro ragazzino divorava le musiche tedesche disponibili in conservatorio e anche in questo primo titolo l’omaggio a Mozart c’è.
Quando, poi, penso al primo Rossini penso soprattutto al problema degli inserimenti cui gli interpreti erano tenuti, atteso che la coloratura poteva ancora ritenersi lata e non minuta. Sarà anche lata la coloratura di questo titolo, meriterà, per buona filologia inserimenti superiori rispetto a quelli realizzati in corrispondenza dei segni di corona, disseminati per lo spartito e forse le varianti già previste da Rossini non sono definitive, ma la falsa riga per l’esecutore però è già tale da creare problemi al cast assemblato dal ROF.
Ieri sera passando in rassegna Ermione lo abbiamo fatto con l’esame dell’esecuzione dei numeri questa sera cambiamo. Esaminiamo i cantanti.
Quattro i ruoli protagonistici ossia Ernestina, Ermanno e i due buffi Buralicchio e Gamberotto,più prossimo al buffo parlato il secondo, a quello cantante ed anche attestato su una tessitura più bassa il secondo.
Marco Vinco nel ruolo di Buralicchio ha esibito una voce dura ed ingolata, nello stomaco nel vano tentativo di sembrare quello che non è ossia un basso. Alla cavatina di sortita, oltretutto è privo di colori e dell’ironia che il personaggio deve involontariamente esprime neppure l’ombra. Le cose non vanno meglio quando in coppia con de Simone al duetto del primo atto dovrebbero fare il verso ai duetti dell’opera seria
Bruno de Simone nella ancor più vasta parte di Gamberotto destinatario di due arie è molto peggio. La voce ha colore quasi tenorile, ma è sgraziata, spinta senza colori e senza dinamica. Alle prese con la grande aria del secondo atto che prevede anche qualche passo di coloratura le terzine sono eseguite in maniera dilettantesca. Tralascio il commento sul mezzuccio di far cadere il fa acuto della chiusa della seconda aria su una “i” in luogo della prescritta “e”. Il problema è che il cambiamento è proprio brutto musicalmente.
Nel quintetto del secondo atto, forse il passo migliore del secondo atto, presago del grande quintetto del Turco, i nostri due signori suonano bianco e stimbrato quanto a de Simone, strozzato e prossimo all’urlo (la scrittura è abbastanza alta) quanto a Vinco.
Le cose non vanno molto meglio con la coppia protagonistica.
La signora Prudenskaja, importata dalla Deutsche Oper di Berlino (ove abitualmente dirige il direttore artistico del Festival, come chiunque può verificare mediante accesso in internet), teatro dove canta ruoli di Wagner, Verdi e Puccini ha esibito una voce che nei suoni centrali potrebbe essere anche di qualità. Però in basso suona tubata e fissa , quando sale nei pochi acuti previsti per Marietta Marcolini suona fissa, bianca e spinta. Il tutto è già evidente nella cavatina di sortita, evidentissimo, poi, nel rondò finale, che passò nella Pietra del paragone, dove fra l’altro alla chiusa della prima sezione omette l’esecuzione della cadenza, pur prevista.
Il fatto di avere una cognizione tecnica piuttosto peregrina e di affidarsi alla natura, piuttosto che alla tecnica comporta la difficoltà nelle’esecuzione dei passi di agilità l’assenza di un timbro stilizzato e l’incapacità di esibire una vera dinamica. Non solo, ma l’accento manca di grazia e di malizia e non si può certo parlare di un interpretazione, perché i problemi vocali sono preponderanti.
Del medesimo livello l’Ermanno di Dimitri Korchak. La parte richiederebbe sia il virtuosismo che l’accento elegiaco-patetico, che connotano l’amoroso dell’opera comica o di mezzo carattere. L’emissione di Korchak è poco ortodossa, quindi i suoni sono duri e spinti in alto e la voce, poco immascherata nel centro, non consente un canto stilizzato ed elegante. Il difetto tecnico di base impedisce l’esecuzione dei passi acrobatici. Alla seconda aria del secondo atto, priva di agilità Korchak stanco è quasi sempre stonato. Nell’esecuzione della prima aria del secondo atto, complessa per struttura e per scrittura vocale Korchak non brilla nell’andante, dove stenta a legare i suoni e nei due allegri dove pasticcia le agilità soprattutto se terzinate.
Il secondo tenore è un secondo tenore in ogni senso.
Il meglio orchestra e direttore. Benedetti Michelangeli accompagna i cantanti nonostante le loro difficoltà vocali e connota bene le differenti sezioni dei numeri. Poi certo con altri cantanti i risultati sarebbero molto diversi.

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