lunedì 22 settembre 2008

Festival Donizetti a Bergamo: La Favorite

All’annuncio del cartellone operistico del Donizetti Festival 2008 ciascuno di noi ha istintivamente esclamato: c….orbezzoli, che coraggio!
Tre titoli come Favorite, Puritani e Marino Falliero in una volta, a distanza ravvicinata, con interpreti diversi, privi di esperienza o blasone. Tre ruoli tenorili, in particolare, ai limiti delle possibilità umane, in piena carestia di voci acute maschili, scritti per Duprez e Rubini!
Il tutto sotto l’egida di una direzione artistica (im)perita nel produrre ( e autoscritturarsi ! ) operazioni scioccanti quali le recenti Anna Bolena, Roberto Devereux e Lucrezia Borgia. Evidentemente nell’“orobia città”, patria di Donizetti come pure di una straordinaria scuola tenorile ( forse sconosciuta alla Direzione del Festival ), si ritiene che basti andare in scena per onorare il grande musicista e che gli esiti artistici non contino nulla nella conservazione di una tradizione musicale ed esecutiva.
E così ecco la prima ambiziosa proposta, quella di La Favorite, per giunta nella versione grand operà 1840, disponendo di un’orchestra notoriamente modesta, poco budget per la necessaria pompa scenica e con il cambio di gran parte del modesto cast originariamente annunciato, il tenore sostituito prima delle prove ( ora è collocato su alcune recite del……. Corsaro di Verdi a Busseto !!! ) e la protagonista anch’essa sostituita, lei si!, per cause di forza maggiore, a ridosso della prova generale. Premesse che lasciavano intravedere sul teatro bergamasco le “nuvole nere” della spedizione punitiva.
L’esecuzione ha avuto luogo con taglio parziale dei balli, peraltro eseguiti in forma sinfonica, taglio del da capo del concertato atto III e di parte della chiusa del duettone dell’atto IV, con una economica quanto opportuna messa in scena di carattere oleografico, retta da proiezioni a fondale di disegni e fotografie d’architettura ( finalmente è comparsa la Giralda di Siviglia….peraltro comprensiva del sopralzo dell’epoca di Carlo V!). I costumi avevano un che di ordinario per stoffe e colori, ma tuttavia Puggelli & Co. non ci hanno disgustato come quell’orrendo centone di idee scopiazzate qua e là che fu la Borgia ultima scorsa. Avremmo gradito, certo, che qualcuno dicesse al signor Cassi, Alphonse XI, che nell’incarnare un re non ci si può atteggiare a truce, gesticolando come un barbaro, che non ci si appoggia al trono con il gomito come al bancone di un bar...etc.., e che Leonore, per quanto maitresse du roi, non è esattamente una donna da bordello. Ma transeamus su questi che, alla fine, sono solo dettagli a fronte degli handicap del cast alle prese con tanto cimento vocale.
Nella buca, a cercare di far quadrare i conti, il maestro Zambelli che, forse anche a causa degli spaventi che ci hanno provocato l’anno passato i vari Montanaro, Bisanti, Fogliani....etc, ci è parso bacchetta sicura, che sa bene misurare le forze di cui dispone e che, senza tante fisime, stacca il tempo più conveniente al cantante e…..sa concertare! L’orchestra bergamasca, come ho detto, non è gran che come suono, ma tutto è andato via pulitissimo, preciso, sobrio, con cifra stilistica pertinente al grand operà ( per quanto possibile.. ), in perfetta sintonia e sincronia con il coro ed i cantanti. Nessun problema nei due concertati, per nulla facili; tempi opportuni per le arie ed i duetti…..insomma, il maestro Zambelli, col suo gesto semplice ma chiarissimo, nessuna megalomania o recita da podio, ha governato la barca e si è guadagnato il maggior consenso ( il solo convinto, direi..) del pomeriggio. Si è èire regalato una parte delle danze, non tutte, dirette davvero con gusto.
Vorremmo sentire nei nostri teatri più maestri Zambelli e meno fenomeni inventati dalle agenzie, se fosse possibile. Si eviterebbero sciagure inutili, per noi come per i signori cantanti.
Che poi ad ottenere il maggior riscontro di pubblico in un opera di belcanto sia la bacchetta dà, ovviamente, il metro di misura del cast.

Antonio Gandia è ragazzo di bell’aspetto e voce di bel timbro. Ma è tenorino, di quelli che questo blog retrò indica anacronisticamente come “un bel Paolino da Matrimonio Segreto”. E La Favorite, per giunta integrale, con tanto di “Isola del Leone”, non è opera da tenorino. Per nulla. Il tenorino soffre la spinta drammatica del cabalettone, è sfiancato dal peso tragico del duettone finale come del concertato III. Il fiato è spesso corto, troppo corto, impedendo le grandi arcate di canto legato ed aristocratico. Soffre maggiormente, poi, se gli acuti non sono sicuri. O meglio, se il do diesis è inarrivabile nell’aria del primo atto ( si è capito all’incipit della salita che non arrivava in fondo…) , non parliamo poi del do in chiusa all’immane fatica dell’Isola del Leone appunto. Tutti gli acuti regolarmente scroccati, sino al miracoloso atto IV, con l’aria cantata con voce leggera leggera. Troppo poco per Fernand, prova terribile che obbligava tenori espertissimi e lunghi come Alfredo Kraus a tagliare la scena dell’atto…e svariati da capi, come ad offrire un Fernando un tantino isterico, piuttosto che irato nel fiale terzo.
Duprez gestiva il canto amoroso come quello epico: ecco perché gli spagnoli amarono affidarlo, nella tradizione recente, ad una vera grande voce, di nome Jaime Aragall, le cui doti naturali erano quelle del cosiddetto tenore d’espada, di cui Fernando è il prototipo.
Insomma, un tenorino canti pure Favorite, ma si abbassi l’entrata se non dispone di un agevole do diesis, si tagli la scena dell’Isola del Leone che è molto onerosa, e faccia i compromessi che i tenori leggeri han sempre operato. Kraus in primis..

Il signor Cassi, lontanissimo per attitudine naturale dal canto di Alphonse XI, ha sostenuto la parte sforzandosi di essere corretto ed adeguato. L’emissione non molto stilizzata, la povertà del legato ( fondamentale per il nobile baritono amoroso di sapore ancora belcantista ), la tendenza a “sparare” e spingere gli acuti, anche facili, a voce piena e, soprattutto, la mancanza di quel gusto, di quel modo di “porgere” le frasi che sono basilari in questo genere di vocalità, gli hanno impedito di essere all’altezza. Per quanto non abbia vociferato apposta ( grazie al direttore? ) come và molto di moda oggi tra i baritoni, e non possedendo mezzi sufficienti nemmeno per il generoso pubblico bergamasco, è stato sonoramente buato dopo Leonor! Viens j’abandonne. E la sua incapacità di stare in scena col decoro consono al personaggio ha certo contribuito a fargli guadagnare la contestazione.

La signora Mastrangelo è arrivata direttamente dal Sudamerica al momento della generale o giù di lì. Avrebbe anche una presenza scenica discreta, se fosse dotata di un portamento scenico un po’ più aristocratico. Mi è sembrata stare lì un po’ per caso e un po’ con la sola evidente preoccupazione di chiudere la recita. Il suo canto non è stato certo fascinoso, né per eleganza di linea di canto né per fascino timbrico, anzi! La voce, sebbene non piccola, non è di bella qualità, complici i difetti tecnici per cui il centro spesso risultava poco composto, insistendo sempre sulla e, regolarmente scoperta, ed acuti poco appoggiati e talora ghermiti. Sotto, per quanto il ruolo non sia molto grave, discretamente tubata. Il tutto a dar luogo ad un canto davvero poco fascinoso e non sempre facile. Ha tappato il buco e nulla più. Ed il pubblico l’ha anche sbuacchiata dopo l’aria….e a me ha suscitato una certa pena.

Il signor Palmieri ha gestito Balthasar con una certa provinciale autorevolezza, con voce un po’ stomacale, come consueto negli epigoni di Ghiaurov, e gli acuti belli duri ed indietro. Tutto nella norma odierna..

Quanto alla signorina Locatelli, ha dispensato una Ines in linea con i colleghi, vocina leggera, sonora ma un po’ troppo petulante per i miei gusti. Una subrettina gentile, che ci stava bene nel pomeriggio di ieri. Con un po’ di fantasia rococò avremmo gradito qualche scaletta, trillo, qualche notina ribattuta magari anche un po’ kitsch, tanto per renderci la scena sopportabile ma….accontentiamoci, via!

Morale della favola
Nell’incontrare un giovane amico che vedeva l’opera per la prima volta, mi sono sentita dire che questa Favorite “proprio non và giù”. E per quanto si possa stigmatizzare l’inesperienza del fanciullo, non ho potuto fare a meno di constatare che opere come queste, dove talvolta l’invenzione musicale latita, se non sono sorrette dal grande artista, dotato di voce, tecnica di canto e personalità, restano inesorabilmente zoppe. Non v’è dubbio, ascoltando le leggendarie esecuzioni dei 78 giri, che per Alphonse XI, ad esempio, Donizetti abbia scritto due arie straordinarie, con cui tutti i grandi vollero sempre cimentarsi. Arie bellissime, ma pensate anche per “far cantare”, cioè per dar spazio e sfogo alle capacità vocali ed interpretative di un grande artista.
E La Favorite è una successione di straordinari momenti come questi per tutti i protagonisti, nessuno escluso. Il ruolo dell’interprete nel dar vita al Grand’Operà è pari a quello del compositore, è un vero coautore. Perciò è chiaro che riprese di titoli come questi senza cast sono operazioni prive di senso in partenza. Dunque, un pomeriggio bergamasco all’insegna del “Vorrei ma non posso”, anzi, “Non so nemmeno da che parte cominciare”, una mera velleità che ha prodotto solo sperpero di denaro, un teatro mezzo vuoto e nulla da ricordare per noi spettatori, a parte gli apprezzabili sforzi del maestro, il solo che pareva sapesse cosa è un Grand Operà.
Veramente disdicevole ed anch’essa velleitaria, perlomeno per questa produzione, la dedica a Leyla Gencer: “Rea son io, pregar non oso” la frase che, incredibilmente, introduce la dedica della stagione 2008 alla grande Diva nel programma di sala. Ma povera Leyla! Per noi: “I rei son loro, pregar non s'osi”.

Gli ascolti - La Favorite

Oui, ta voix m'inspire - Giuseppe Morino
Léonor, viens! J'abandonne - Renato Bruson
O mon Fernand - Maria Luisa Nave


0 commenti: