lunedì 20 ottobre 2008

La Medea torinese in teatro

Avevamo già riferito della diretta radiofonica di Medea ed eravamo stati tacciati di superficialità da alcuni lettori, che ritengono il mezzo radiofonico inadeguato alla bisogna e ingiusto nei confronti delle voci, falsate e travisate dalla trasmissione via etere. Non pensiamo certo che la radio possa sostituire l'ascolto in teatro (anche se da più parti si invocano per vari motivi spettacoli a porte chiuse), tuttavia non condividiamo l'assunto che la radio non possa fornire un'idea generale di uno spettacolo operistico, stante che le voci "passano" per radio con tutte le loro caratteristiche, salvo quelle relative all'ampiezza e agli armonici (ma questo non sembra un gran problema, dato che molti teatri sono ormai dotati di soccorrevoli sistemi di amplificazione, riporti, rinforzi correzioni di acustica o altro che dir si voglia!). Certo alla radio manca la componente visiva, il fatto teatrale che si accompagna (o dovrebbe accompagnarsi) a quello musicale. E nel caso di un'opera come Medea, la recitazione, intesa anche come gestualità e modo di stare in scena, è una componente essenziale. Per questo motivo siamo andati a Torino per assistere alla Medea di Anna Caterina Antonacci e riferirne ai nostri lettori.

E ribadiamo: Medea dell'Antonacci, e non certo Medea di Pidò o Medea di De Ana, ché in un'opera come questa è impensabile che il peso teatrale dell'evento non gravi sulla protagonista, cui spetta un vero e proprio ruolo monstre per caratteristiche vocali, dimensione e tragicità della parte e, non per ultimo, gloriosa tradizione esecutiva. Degli altri cantanti quindi nulla diremo, rimandando alla recensione radiofonica di Nourrit. E del direttore e del regista diremo solo in quanto la loro opera si pone in rapporto a quella della protagonista.
Medea parte monstre, dicevamo, perché agli accenti imperiosi del declamato neoclassico si alternano momenti in cui la maga deve blandire, supplicare, irretire le sue vittime e altri in cui alla disperazione della donna tradita si sostituisce quella della madre che la sete di vendetta spinge all'estrema delle violenze. Insomma Medea richiede un talento vocale e scenico di primissimo piano, senza il quale l'opera risulta priva del suo fulcro e il rischio della noia si fa concreto.

Anna Caterina Antonacci, ab origine nominalmente mezzosoprano, risulta vuota in prima ottava, che spesso sconfina nella declamazione intonata o addirittura nel parlato (finale del secondo atto, scena con i figli al terzo). Al centro si evidenzia una difficoltà a legare, che si aggrava nel corso della recita (i momenti più ostici sono la scena con Creonte e soprattutto il monologo conclusivo, che vede l'Antonacci stravolta per la fatica) e la voce suona magra, aspra e povera di armonici. In zona acuta nel corso della recita la stanchezza spinge la cantante a forzare ed i suoni risultano via viapiù duri e calanti d'intonazione. Il fraseggio non manca d'interesse: la cantante tenta di essere varia e appropriata quanto ad accento e colori, ma lo scarso sostegno la induce a spingere onde trovare un po' di volume, conferendo alla voce, segnatamente in fascia acuta, un fastidioso stridore.

E siccome nel teatro d'opera, checché ne pensino taluni alti fini cultori del primato registico, l'interpretazione non può che discendere dall'assetto vocale, la Medea dell'Antonacci non è maga né principessa, per quanto barbara e pre-ellenica, ma una malmaritata piccolo-borghese, strapazzata da tutti e la cui furia omicida rimanda più a tristi episodi di cronaca più o meno recente che alla tellurica violenza del mito, sia pure del mito filtrato dalla cultura francese di fine Settecento. La grandezza tragica e composta dell'opera seria, non solo francese ma anche napoletana, può certo giovarsi di voci di grande impatto, ma non può in alcun caso prescindere da un perfetto controllo del fiato, capace di assicurare alla voce l'elasticità e l'omogeneità che sole possono veicolare la dignità sovrumana, o se si vuole anche disumana, della protagonista. In fondo Medea è donna, anzi madre, solo al terzo atto, e per una breve scena: nel resto dell'opera è una principessa, per giunta in ottimi rapporti con le divinità ctonie e come tale parla e si comporta. Benché preghi e si dolga non è la Nina di Paisiello, insomma, e men che meno è una Santuzza, che minaccia l'infame che per ben due volte le tolse l'onore. La Antonacci sembra invece guardare con interesse a questi modelli, e lo stesso fa Hugo De Ana, che confeziona uno spettacolo di grande bellezza (suoi anche scene e costumi, le luci sono di Pascal Merat), di ambientazione novecentesca (indubbio il richiamo al Pasolini dell'Edipo re) che funziona benissimo e tocca il suo vertice nel terzo atto, ambientato, si direbbe, nella stiva della nave Argo, sempre presente in scena. Ma Medea poco ha che fare con questo dramma alla Mandolino del Capitano Corelli, con i soldati di Creonte che al secondo atto sembrano sul punto di sottoporre Medea ad uno stupro di gruppo e la stessa Medea che, al finale secondo, si accascia a terra a quattro zampe e si avvolge poi in una rete da pesca, e alla fine torna in scena, la gola e il seno lordi del sangue dei figli, scagliando contro l'attonito Giasone il cavalluccio giocattolo di uno dei bambini. Anche la buca parla un linguaggio totalmente differente da quello della tragedia neoclassica: Evelino Pidò opta per tempi scattanti e sonorità contenute, certamente funzionali alla sonorità della protagonista, ma che svelano quanto la paludata scrittura di Cherubini possa avvicinarsi al soave melodiare dell'opera larmoyante.


Gli ascolti

Cherubini: Medea


Dei tuoi figli la madre - Grace Bumbry (1983)

Del fiero duol - Leyla Gencer (1969)

Bonus track

Spontini: La Vestale


Tu che invoco con orrore - Ester Mazzoleni (1910)

4 commenti:

mozart2006 ha detto...

Salve amici.Sono reduce da una lettura di un altro forum relativo allo spettacolo torinese (forse avete giá indovinato di quale si tratta) dove il webmaster vi fa a brandelli.Io sulla Medea in questione,dopo l´ascolto radiofonico,sono abbastanza vicino alla vostra opinione.Ma sembra che lí toccare l´Antonacci sia un reato paragonabile alla bestemmia in chiesa...
Ciao da Stoccarda

Pruun ha detto...

I gusti son gusti, ovviamente, e io non sono molto d'accordo con alcuni punti di questa disamina. ;)
Volevo però segnalare che la scelta (pessima) di sostituire il parlato al canto nel Finale II ha origine da Pidò, non dalla Antonacci che comunque, immagino, la abbia accettata di buon grado visto che la esegue anche a Tolosa. Ma detto questo a me pare che molte delle intuizioni del fraseggio siano passate molto bene.

Sulla regia avevo pensato anche io all'Edipo Re ma resto dell'opinione che si tratti di uno spettacolo troppo fumoso, nonostante alcuni momenti di grandissima bellezza scenica!
Ciao!

Antonio Tamburini ha detto...

Mozart: sai, la gravità degli attacchi va sempre misurata dal peso di chi li scaglia. In quel caso, se ho capito a chi alludi, siamo di fronte ad attacchi così deboli, oltre che pretestuosi, che non hanno neppure la forza di lasciare il tempo che trovano :)

Pruun: ma infatti mi sembra di avere dato atto all'Antonacci dell'attenzione prestata al fraseggio. Che poi le stesse intuizioni siano limitate da problemi vocali, mi sembra del pari evidente.

Saluti,
AT

Velluti ha detto...

Assolutamente d'accordo con la vostra disamina... Complimenti per l'acume critico e la profondità della valutazione...