venerdì 24 ottobre 2008

L'arte della primadonna: Romeo Montecchi di Bellini

Son note le ragioni per cui ho dovuto ridurre un antico mio melodramma, intitolato Giulietta e Romeo, non so se più bene o più male, nella forma in cui viene adesso rappresentato. Una sola io ne dirò, forse da pochi avvertita, e si è quella ch’io dovea tor di mezzo tutto ciò che avrebbe potuto dar luogo a con­fronti fra la vecchia e la recente musica; confronti a cui certamente avrebbe ripugnato la modestia del giovine Compositore. Chi sa quanto costi camminare su tracce di già segnate, e sostituire nuovi concetti ai già scritti, che pur sempre ricorrono al pensiere, scuserà di leggieri i difetti di cui di certo abbonderà il mio lavoro. Co­stretti dall’angustia del tempo, tanto io che il Maestro, ad un’estrema brevità, e persuasi ad omettere parecchie scene di recitativi che avrebbero giustificato l’andamento del Dramma, abbiam diviso l’Azione in quattro parti, perché negli intervalli che passano fra le une e le altre la mente dello spettatore supplisce a quello che non appare: nulla dimeno le due prime si fanno di seguito per servire all’usanza d’oggidì, e alla terza soltanto si cala il Sipario per agevolare la decorazione. Mi sia perdonato cotesto arbitrio, se non per altro perché non prolunga lo spettacolo.

Felice Romani

Così spiegava Felice Romani in testa al libretto dei Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini, opera nata reimpiegando le parole già scritte per il Giulietta e Romeo di Vaccaj.

L’incipit del grande librettista tradisce ancor oggi l’ottocentesca vicarianza di testi e poi di musiche tra le due opere, una vicarianza legata alle consuete prassi di intervento sugli spartiti per mano dei grandi artisti ma, in questo caso, anche da veri e propri giudizi di valore sull’opera belliniana.
Distillato della poetica romantica, Romeo incarna l’amore giovanile, irrazionale ed incosciente, nobilmente eroico ed appassionato. Le rappresentazioni ideali ed idealiste tipiche della poetica rossiniana lasciano spazio in Romeo ad un personaggio meno aulico ma pienamente…romantico. Il lato guerriero è smorzato, perché in primo piano vi è sempre la passione per Giulietta. Il melomane del belcanto è oggi appagato dalla sequenza di numeri di cui consta la parte, che passa dal canto lirico della sortita Se Romeo t’uccise un figlio seguito dalla marziale Tremenda ultrice spada, dove l’eroe da subito sfida i nemici Capuleti; il grande duetto d’amore, ove si alternano un canto di slancio nel recitativo di incontro e quello amoroso della sezione centrale, connotato dal contrasto tra progetto di fuga e dovere filiale; di nuovo l’ardimento e la sfida di Romeo prima del concertato di chiusura d’atto; il desolato e malinconico recitativo accompagnato dal clarinetto che precede la sfida con Tebaldo; lo struggente e patetico finale della morte, luogo di elezione della primadonna fraseggiatrice. Il brevissimo tempo a disposizione per la composizione ( dal 19 gennaio a 5 marzo 1830 ) costrinse Felice Romani al remake del libretto scritto per Vaccaj e Bellini al riuso di parecchi numeri della sua Zaira, oltre che l’aria di Nelly dall’Adelson e Salvini. Condizioni difficili, dunque, per lavorare ad un’opera che, grazie al soggetto celeberrimo, li metteva direttamente in confronto con il Giulietta e Romeo di Zingarelli, ( opera del 1796 per la coppia Grassini – Crescentini, poi riportato in auge da Velluti e dalla Pasta ) e con quello di Vaccaj.

La storia delle rappresentazioni ottocentesche dei Capuleti di fatto coincide con la storia delle trasformazioni operate sul testo originario, in primissima battuta da Bellini, ma e soprattutto dalle primedonne celebri, interpreti di Romeo. Alla prima rappresentazione l’opera ebbe un grandissimo successo di pubblico e critica: alcuni da subito non mancarono di sottolineare l’evidenza del modello belliniano per il finale, ispirato a quello di Zingarelli ed impostato sull’alternanza recitativo – cantabile – recitativo – cantabile. Del tutto unica, ma anticipatrice del destino futuro dell’opera, una critica che sottolineava la freddezza del finale di Bellini rispetto sia a Zingarelli che al finale di Vaccaj, a sua volta strutturato diversamente in due numeri chiusi e separati ( il primo di Romeo e l’ultimo di Giulietta ) secondo tradizione. Quello di Bellini venne giudicato toccante ma meno commovente, e questo nonostante la grande interpretazione fornita dalla primadonna, Giuditta Grisi. E sempre con la Grisi ebbe luogo la prima ripresa dell’opera fuori da Venezia, a Senigallia, con grande successo, tanto che poi l’impresario Crivelli organizzò la ripresa dell’opera in Scala. Nonostante la Grisi avesse già domandato un rifacimento di parole e musica per la cavatina di sortita, che riteneva inadatta al suo peso vocale, a Milano andò in scena una revisione per due mezzosoprani, con la trasposizione della parte di Giulietta. E non è un caso che le variazioni di Rossini per La tremenda ultrice spada, siano datate proprio al 1830 e, dunque, riconducibili per datazione alle pretese della Grisi. Per la Scala Bellini non fece alcun mutamento per la parte di Romeo, a meno dell’abbassamento di mezzo tono del duetto del primo atto, pur non gradendo i cambiamenti imposti dall’impresario: il successo fu grande ma non convincente come a Venezia. E lo spettro dell’opera di Vaccaj si delineò in quell’occasione con tutta evidenza anche nella critica, che iniziò ad indicarne chiaramente la superiorità dell’intera opera rispetto a quella di Bellini. La filolologia moderna ha ampliamente dimostrato come la sostituzione del finale di Bellini con quello di Vaccaj, prassi inaugurata dalla Ferlotti nel 1831 alla Pergola di Firenze e poi ripresa l’anno dopo,dalla Malibran a Bologna ( Romeo anche nel ’33 a Napoli, poi nel ’34 e nel ’36 alla Scala di Milano ), sia stata effettiva risposta al gusto del pubblico, forse ancora molto legato ai modelli rossiniani. La prassi divenne talmente solida che anche altre parti dell’opera di Vaccaj vennero innestate in quella belliniana. Le inserzioni si ampliarono anche ad altre partiture con la stessa Maria Malibran, notoriamente liberissima nell’adattamento degli spartiti, che vi inserì un duetto di Mercadante ed un brano del Celli. Il cambiamento del finale operato da una diva celeberrima di certo contribuì a dare autorevolezza all’operazione, ripetuta numerose volte da altre cantanti più o meno famose, tanto che il brano venne addirittura inserito nelle edizioni a stampa dello spartito al posto di quello di Bellini. Così accadde di nuovo al Théatre des Italiens a Parigi nel 1833, artefice ancora Giuditta Grisi, dove l’opera non aveva riscosso un pieno successo, e di nuovo a Torino 3 anni dopo, sempre con la stessa cantante. A Parigi gli inserti importarono mutamenti robusti operati da un altro musicista, Antonio Marliani, che scrisse una sinfonia e una nuova cavatina per Giulietta ( in quell’occasione interpretata per la prima volta da Giulia Grisi ), e la sostituzione del duetto d’amore del primo atto con un duetto di Marc’Antonio Viviani. Le critiche, ciò nonostante, continuarono anche in terra francese, come pure in Inghilterra ed Germania. Romeo Montecchi trovò grandi e rinomate interpreti in Wilhemine Schroeder Devrient a Dresda, poi a Francoforte, Kassel, Weimar, Lipsia...; a Londra nel ‘33 con Giuditta Pasta e nel ’48, con Pauline Viardot. Anche Caroline Unger fu un celebrato Romeo.

Controcorrente rispetto alla prassi della manomissione del testo autografo, nel '34 andò, forse per prima, la Ronzi, al teatro alla Pergola di Firenze, ripristinando il finale di Bellini. La Ronzi fu Romeo numerose volte, solo al San Carlo di Napoli nel 31, ’32, ’34, ’37. Sostenne la fedeltà a Bellini che addirittura Romani propugnò apertamente sulla stampa, nel ’36 a Torino, contro la Grisi, rea di perseverare in una ”amputazione” che, a dire della primadonna, derivava dallo scarso apprezzamento del pubblico per il brano. Soltanto la critica tedesca, sebbene giudicasse l’opera piuttosto povera di invenzione musicale e di originalità, dimostrò una aperta preferenza per il finale di Bellini, ritenendo quello di Vaccaj uno stile ormai superato ed arcaico, mentre quella inglese, ad onta del successo di pubblico, continuò a manifestare riserve per Bellini, e per i Capuleti, ritenuti “persino” peggiori di Norma!!

Le alterne fortune di questa opera, che si eclissò chiaramente dai cartelloni della seconda metà del XIX secolo ( nemmeno Barbara Marchisio, ultima praticante del belcanto protoromantico, risulta interprete del titolo …, solo la Borghi Mamo e la Biancolini, ma sporadicamente ) provano l’eterogeneità del gusto che caratterizzava il teatro d’opera italiano alle prese con le produzioni post rossiniane. Tradizione di modello rossiniano ed innovazione si confrontarono e scontrarono tra pubblico come tra i solisti e nella critica. Alla ricerca del successo la primadonna ben sapeva che questo era legato alle qualità esecutive ed interpretative, ma anche a quelle musicali dello spartito, alle cui carenze era lecito che una grande artista supplisse operando su di esso in prima persona….ad libitum. Il Romeo dei Capuleti belliniani, sebbene sempre al centro di discussioni e critiche, restò comunque un ruolo di moda, ambito per almeno 15-20 anni dai grandi contralti en travestì. Era evidentemente la poetica del personaggio che spingeva le primedonne a superare ogni riserva di altro genere: spada, mantello, canto amoroso, duello e scena di tomba erano un mix comunque vincente ed attraente per l’interprete in pantaloni.

Dopo un silenzio di mezzo secolo, rotto da episodiche riprese legate ad una cantante di repertorio belcantista ma ormai contaminata, nel gusto, dal verismo, cioè Guerrina Fabbri ( quasi certamente interprete del finale Vaccaj... ), Romeo è rientrato nel repertorio mezzosopranile solo con la belcanto renaissance. Dapprima la Simionato e la Cossotto, poi le virtuose pure come la Horne e soprattutto la celebratissima Dupuy interpretarono il ruolo. A riprova del fascino esercitato nei tempi moderni come nell’Ottocento a questo personaggio, anche cantanti di diversa estrazione, come Tatiana Troyanos, e persino belcantiste improvvisate quanto improbabili come Agnes Baltsa lo hanno interpretato.

La cronologia delle principali rappresentazioni moderne dell'opera annovera riprese in teatri americani ed italiani. Alla Carnegie Hall, con Giulietta Simionato e Laurel Hurley nel 1958, quindi nel 1964 con Mary Costa; nel 1971 con Marilyn Horne e Patricia Brooks; a Dallas nel 1977 sempre con la Horne che in quella occasione eseguì il finale di Vaccaj. In Italia, nel 1958, alla RAI di Milano con la giovanissima Fiorenza Cossotto, quindi a Catania, nel 1959, con Rosanna Carteri ed Irene Companeez .
Per la prima volta alla Scala di Milano, nel 1968, sotto la direzione di Claudio Abbado l'opera venne antistoricamente riproposta con Romeo in versione tenorile, protagonista Jaime Aragall, in compagnia di Renata Scotto e Luciano Pavarotti. Si instaurò in quella circostanza una sorta di piccola tradizione, perchè altre produzioni con il tenore protagonista si ebbe anche per una successiva tournée della Scala a Montreal, nelle produzioni di L'Aja, nel 1970 a Catania (Renzo Casellato) e alla Fenice di Venezia nel 1973 (Luchetti in compagnia di Katia Ricciarelli come Giulietta). Nel 1975 l'opera viene incisa da Janet Baker con Beverly Sills, che aveva debuttato Giulietta lo stesso anno a Boston, in compagnia di Tatiana Troyanos. Nel 1977 viene rappresentata anche alla Wiener Staatsoper con Agnes Baltsa e Sona Ghazarian. Numerose le riprese italiane: a Palermo nel 1976 con Maria Luisa Nave e Maria Chiara, a Catania nel 1978 con Salvatore Fisichella e Margherita Guglielmi e nel 1986 con Helga Mueller-Molinari e Nelly Miricioiu. Altra interprete non proprio aderente ai principi e ai modelli ideali del Belcanto fu Anna Caterina Antonacci.
Fu Martine Dupuy il Romeo più acclamato della Belcanto renaissance, che ne vestì i panni in numerosissime occasioni tra cui Verona 1978, Roma e Napoli 1979, Martina Franca 1980, Reggio Emilia 1981, Palermo 1982, Verona e Brescia 1983, Bologna 1989, Torino 1994 e all'estero Caracas 1982, Marseille 1985, Utrecht e Bruxelles 1986, Londra 1986-88, Ginevra 1990, Amsterdam 1994.
Oggi Romeo Montecchi è intepretato sui principali palcoscenici da Sonia Ganassi, Daniela Barcellona, Vesselina Kasarova, Joyce Di Donato ed Elina Garanca, sebbene con un tasso vocale e stilistico non pienamente aderente agli stilemi del belcanto.

Un suggerimento per gli ascolti, volutamente provocatorio da parte mia, è quello di confrontare l'esecuzione della Tremenda ultrice spada, interpreti una contestatissima, in quanto verista, Agnes Baltsa scaligera ed una trionfante Joyce Di Donato, nella recente esecuzione parigina. A riprova che gli ultimi vent'anni hanno di fatto sdoganato, presso il pubblico, un gusto retrò per il canto sguaiato, inammissibile sino alla fine degli anni '80, e che talora suona come unareminiscenza del canto paraverista della Fabbri.
Vi proponiamo anche il finale Vaccaj, che ben si capisce perchè fosse preferito a quello belliniano da talune grandi primedonne del tempo. L'omaggio è anche alla "filologia pratica e applicata" della Horne, cui và tutto il nostro plauso.

Gli ascolti

Bellini - I Capuleti e i Montecchi

Atto I
Se Romeo t'uccise un figlio...La tremenda, ultrice spada - Guerrina Fabbri, Marilyn Horne, Martine Dupuy, Agnes Baltsa, Joyce Di Donato (solo la cabaletta)
Sì fuggire, a noi non resta - Tatiana Troyanos & Beverly Sills, Martine Dupuy & Lella Cuberli

Atto II
Deserto è il loco...Stolto! A un sol mio grido - Fiorenza Cossotto & Renato Gavarini, Veriano Luchetti & Giorgio Merighi, Martine Dupuy & Vincenzo La Scola
Ecco la tomba...Deh, tu bell'anima - Giulietta Simionato, Jaime Aragall, Tatiana Troyanos, Martine Dupuy

Finale alternativo di Nicola Vaccai - Marilyn Horne & Linda Zoghby

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