mercoledì 14 gennaio 2009

divinatio in plauditores n° 2

Caro Oscar,
forse dovrei dire cara contessa Serpieri, richiamando il personaggio della novella boitiana (reso a tutti noto, però, da Luchino Visconti ed Alida Valli), che furente per il tradimento si trasforma da amante in delatrice.

Quello che chiunque affermi altrove non mi interessa. E' la loro opinione che io rispetto in misura inversamente proporzionale a quanto loro non hanno rispettato quella mia e di chi con me condivide l'avventura di questo blog. Lasciami dire però, che taluni fori mi ricordano i salotti della nobiltà nera romana o del cappuccio milanese dove si può essere ammessi solo se la propria opinione si plasma su quella dei padroni di casa. In genere tali salotti mi ricordano certe veglie funebri lombarde dove tutti si è accomunati dalla celebrazione delle "cristiane ed elette virtù" del de cujus, magari noto viveur o nota nave scuola.
Mi disturba e offende, però, che si faccia chiaro ed esplicito riferimento alle opinioni di chi non può e/o non vuole intervenire per controbattere, ovvero che per l'ennesima volta, pur a distanza di tempo si venga meno, secondo un consolidato stile, al rispetto del dibattito e del dialogo.
E allora dall'unico rostro che ho e voglio avere, contando nulla gli altri, credo di dover ribadire ed esprimere il mio ed altrui pensiero sull'esecuzione dei Lombardi del signor Meli, sempre tanto caro a parte del pubblico e degli addetti ai lavori ed oggi proposto come tenore verdiano del futuro.
Ho ascoltato l'esecuzione per mezzo di Teleducato. Ne ho ricavato che vale la pena di starsene a casa non ravvisando un interesse in un Pertusi, per forza di cose usurato, in una Theodossiou, il cui luogo di esibizione sarebbero quei graziosi locali dove, al Pireo, si cuoce e commercializza il gyros pitha e, appunto Francesco Meli.
E all'elogiato signor Meli mi limito.

La parte di Oronte è la prima parte importante e seria (nell'accezione teatrale) composta da Verdi. Verdi, al pari di Bellini, credo, preso da sé stesso, specie in gioventù non era nè Rossini nè Donizetti nel trattare le voci. A sua attenuante l'epoca di transizione fra vocalità protoromantica a vocalità romantica piena, che sarà, appunto, quella del Verdi dalla fine degli anni di galera, quando stilemi compositivi ed espressivi di marca donizettiana verranno definitivamente cassati o almeno superati per divenire verdiani.
Quindi non si può, per correttezza, parlare di vocalità verdiana con riferimento al giovane innamorato jerosolimitano. Oronte canta come i tenori di Donizetti e soprattutto si esprime come loro. Basta sentire la sospirosa e tenera cavatina e la cabaletta, ancor più accorata ed elegiaca. Pur trattandosi di cabaletta. Verdiana per giunta.
Allo stesso modo si esprimerà l'anno successivo Ernani, almeno alla sortita ed alla morte e pure Carlo V, baritono, sempre nell'Ernani.
La sortita di Oronte è di quelle pagine, che per renderne la situazione drammatica, ossia per essere interpreti, richiedono morbidezza di voce, legato, forcelle, smorzature, ovvero l'apparato espressivo di un Edgardo e di un Chalais. Parti donizettiane, che cito perchè il primo Oronte -Carlo Guasco- ne fu interprete famosissimo o, per la seconda, creatore.
Rispetto a queste parti la tessitura è meno acuta, anzi decisamente centrale, senza, però, nulla avere in comune con quelle da baritenore pensate per Donzelli e suoi emuli. Oronte fu di competenza degli eredi o emuli di Rubini, fra cui appunto Guasco, Poggi (alla Scala nel 1844, ma era il marito della divina Frezzolini), Mario a Londra nel 1861, se non sbaglio.
Negli anni '50 dell'800 Oronte, come in misura maggiore Ernani, entra nell'orbita dei tenori più marcatamente verdiani come Raffaele Mirate (Milano), Baucardè a Napoli nel 1853, sino a Gaetano Fraschini, che nella prima parte della carriera passava per un tenore "muscolare".
Ma la parte, marcatamente centrale, consentiva (e consentì per un lungo periodo se si ascolta come affronta il terzetto Francesco Merli) fraseggi vari, ispirati ed eloquenti.

La storia interpretativa di Oronte sembra far propendere che le caratteristiche vocali dei primissimi esecutori, quindi, di scuola e formazione protoromantica potesse anche richiamare quella dell’attuale Francesco Meli, se tecnicamente più ferrato, sapesse legare e smorzare come lo spartito, ossia Verdi, indica.
Quanto alle indicazioni di spartito dell’aria si parte con una doppia forcella prevista su "nel suo bel core” alla quartina di “beato amore” Verdi prevede dolce, sul do centrale di “tante armonie” compare l’indicazione “marcato” e sul fa di “ quanto” quella di con forza. Insomma un po’ di ormoni anche per Oronte, perché subito dopo Verdi riprende a chiedere un “dolcissimo” sul fa di “pianeti” e arrivati alla serie di “mortal” della chiusa dell’aria l’autore stesso oltre a distribuire una dovizia di forcelle, che forse gli esecutori intendevano anche come rallentando e stentando (indicazione che ai tempi era lasciata all’assoluto dominio dell'esecutore) provvede, anche, di qualche gruppetto, che serve ad illeggiadrire ulteriormente l’aria e più, a dare una sorta di indicazione interpretativa. Nella sezione conclusiva la scrittura è sempre marcatamente centrale salvo un paio di sol acuti e la dinamica sempre improntata all’elegia se si pensa che alla chiusa Verdi espressamente indica un “dolcissimo” sull’ultimo sol, preceduto da un pianissimo sul penultimo “non va”.
Questa piccola e parzialissima disamina non rappresenta il “far le pulci” o fare Beckmesser, riducendo l’arte al rispetto dei segni di esecuzione, ma solo informarsi sull’autore e sulla sua opera, come leggere direttamente in latino Cesare o Cicerone anziché in traduzione. Esaminando grandi tenori alle prese con un’altra pagina verdiana come l’aria di Rodolfo della Miller abbiamo, molto tempo fa, rilevato come l’aderenza al pensiero dell’autore possa essere pienamente realizzata con un rispetto ora parziale, ora amplificato delle indicazioni dello stesso.
Essere ascoltatori seri ed autonomi impone di rilevare che tutti i segni di espressione previsti da Verdi (che non credo fossero esaustivi se richiamo alla mente e al cd certe esecuzioni verdiane di Marconi, Bonci, Slezak, de Lucia ed anche Tagliavini o Bergonzi fra i sessanta ed i settanta) non sono stati minimamente rispettati, che la voce del signor Meli suona sul sol acuto stimbrata perché sta nella gola e non nei risuonatori superiori e perché le note precedenti gli acuti (intendo re mi e fa) non sono adeguatamente coperti ed immascherati e che l’unico, ripeto unico, tentativo di addolcire si è risolto in un suono indietro. Dirò anche di più il suono immascherato assume di suo una stilizzazione ed una astrattezza, che sottrae il canto al quotidiano per consegnarlo alle iperboli espressive del Romanticismo. Accedeva ad esempio a Tucker, meno vario nel fraseggio di tenori della generazione precedente, ma dotato di una tecnica di canto, che esaltava con la proiezione del suoni i tratti essenziali dell’eroe romantico, fosse Rodolfo o Manrico.
Il nostro Francesco Meli ricorda altro tenore, sempre genovese, dalla dote cospicua e dalla tecnica approssimativa, anche se più squillante in alto: Alberto Cupido. Ascoltare proprio Cupido nei Lombardi scaligeri del 1987 per la dimostrazione dell'assunto.
Come abbiamo già detto altre volte ed altrove nei grandi teatri o ai grandi appuntamenti si arriva "già fatti" e non da fare. E lo abbiamo detto con il conforto di una assoluta professionista (prima che primadonna) come Maria Callas. Senza questi presupposti l'esecutore verdiano del futuro presto e per forza diventerà Andrea Chenier e don José, come, purtroppo, e per la stessa ragione accadde ad un altro Oronte parmigiano: Josè Carreras.
Spiace, ovvio perchè al melomane quello autonomo e autopensante la smorzatura da sogno l'acuto proiettato e prorompente danno la scarica adrenalica.

Chiosa. E' un po' limitato, calunnioso ed indimostrato, assumere che il fischio isolato provenga da dd o gg. Non sono omnipresenti, non sempre contestano apertamente se insoddisfatti ( come nel caso bolognese) e, forse, il loro pensiero non è poi un...."apax". Purtroppo, diranno in molti.


Gli ascolti

Verdi - I Lombardi alla prima crociata


Atto II

La mia letizia infondere...Come poteva un angelo - Ferruccio Tagliavini, Carlo Bergonzi (1979), Carlo Bergonzi (1986), Alberto Cupido (1986)

Atto III

Qui posa il fianco...Qual voluttà trascorrere - Carlo Bergonzi, Christine Deutekom & Paul Plishka (1979), Carlo Bergonzi, Aprile Millo & Paul Plishka (1986)

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