mercoledì 4 febbraio 2009

Lucia di Lammermoor fiorentina, primo cast


Come anticipato in sede di recensione del secondo cast abbiamo anche visto la Lucia fiorentina con la prima compagnia. Una recita nel complesso grigia e spenta, con qualche aspetto positivo e molti punti che ci hanno destato perplessità.

Lo spettacolo di Vick non inventa nulla e cammina a tratti sul filo del ridicolo involontario (la prima scena, in cui il coro fa capolino da quello che nell'avanspettacolo si chiamava siparietto, l'entrata di Edgardo nella scena della festa, costretto a farsi largo tra la calca come nelle "vasche" delle grandi occasioni, e il maldestro cozzare di spade durante le rampogne di Raimondo, il quale Raimondo, visto che non ha da officiare messa, si affretta a cavarsi cotta e stola), ma si fa apprezzare per l'essenzialità di elementi scenici e light design e la sobrietà dei costumi, e soprattutto per la capacità di creare un terzo atto che, funerale di Lucia a parte (che richiama chiaramente quello di Ofelia nel film di Zeffirelli), funziona a meraviglia e ha momenti di vera poesia (la pazzia nella brughiera in cui fioriscono i papaveri).

Assai meno bene funzionano i cantanti, tutti, chi più chi meno, non all'altezza dei ruoli.

Eglise Gutiérrez canta un primo atto tutto sul piano e pianissimo, ha belle intenzioni, si sforza di essere dolente e poetica ma con una voce piccola perché fatalmente in bocca, non di rado stonacchiante soprattutto nella zona del secondo passaggio (impietose le scale ascendenti della cabaletta dell'aria di sortita, che appunto in quella fascia insistono), è difficile essere Lucia. L'ottava bassa è molto poco consistente, i sovracuti sono suoni ora ghermiti ora flautati e, benché intonati, comunicano un senso di precarietà assai poco piacevole. L'assenza di cavata si avverte soprattutto al duetto con Enrico, mentre il concertato del finale secondo, che Lucia dovrebbe "tirare", passa quasi inosservato. La scena della pazzia, ancora una volta risolta tutta nei toni della mestizia e quasi ripiegata su se stessa, vede la Gutiérrez lottare (non sempre vittoriosamente) con l'intonazione soprattutto nella cadenza del cantabile. Nel tempo di mezzo la cantante, ormai afona, sfodera suoni di petto grotteschi di per sé, ma soprattutto in questo personaggio e in un simile momento, chiudendo la grande scena con una cabaletta scolastica, condotta peraltro da Ranzani a un tempo letargico. Un bel dilemma, in effetti: staccare un tempo rapido, che permetta di concludere il tutto alla svelta, ma anche con il rischio di compromettere ulteriormente la tenuta delle agilità, o rallentare il più possibile, dando così modo alla cantante di riprendere, spesso anche rumorosamente, fiato? Il direttore ha scelto la seconda opzione.

Stefano Secco, la cui agenda farebbe pensare a uno strumento a metà strada, come qualità e potenza, fra il lirico e il lirico spinto (quindi, tanto per non far nomi, Aragall o Pavarotti), canta tutto di gola, senza preoccuparsi di vetusti ammennicoli quali maschera o proiezione. E', in questo, degno seguace di certa tradizione che negli ultimi anni sembra avere rimpiazzato, nei nostri teatri, altre modalità esecutive per il repertorio romantico, e non solo. Purtroppo, a differenza di altri colleghi nella stessa corda, la dote di natura è più vicina a Tonio della Fille, se non a Paolino del Matrimonio, e quindi i problemi vocali sono molto più evidenti. In debito d'ossigeno fin dalla sortita (tutto spoggiato l'attacco di Verranno a te sull'aure), ha urlacchiato alla maledizione e cantato di strozza, ma senza voce, la scena finale.

Alberto Gazale ha sfoggiato voce grossa (ma presto ridimensionata, come spesso avviene a chi tenti di urlare per l'intera serata), scarso senso del fraseggio donizettiano e "svirgolate" notevoli (la prima alle parole "Pria che d'amor sì perfido" nell'aria di sortita). Un po' meglio Giovanni Battista Parodi, che, spento e fiacco nell'aria del sorbetto (davvero orrenda e meritevole di ripristino del taglio e discesa nell'oblio, in assenza di un basso capace di sfumare e variare con eloquenza e nobiltà), ha dato prova, nel racconto della pazzia di Lucia, se non della necessaria ampiezza, almeno di un tono composto e una voce certo poco duttile, ma meno dura e sgraziata della media (ultimamente bassina) dei cantanti di questa corda.

A lui quindi il nostro applauso, ma... se in una Lucia il migliore è Raimondo... signori, c'è da preoccuparsi!!!


Lord Enrico Ashton
Alberto Gazale

Miss Lucia
Eglise Gutiérrez

Sir Edgardo di Ravenswood
Stefano Secco

Raimondo Bidebent
Giovanni Battista Parodi

Alisa
Antonella Trevisan

Lord Arturo Bucklaw
Saverio Fiore

Normanno
Enrico Cossutta

Orchestra e Coro del Maggio
Musicale Fiorentino
Piero Monti maestro del coro
Stefano Ranzani direttore

Graham Vick regia
ripresa da Marina Bianchi
Paul Brown scene e costumi
Nick Chelton luci

Allestimento del Maggio
Musicale Fiorentino

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