venerdì 20 febbraio 2009

Lucia di Lammermoor a Parma: il ritorno del Loggione !!

Ci sono delle serate in cui, nell’andar per strada verso il teatro domandandosi che avverrà mai, cosa si ascolterà e come andrà a finire, qualcosa non torna nei conti. E’ ben di più di un presagio o di una mera intuizione quella che percorre il melomane che, una volta letti i nomi in cartellone, sa quasi sempre quel che l’attende, nel bene e nel male. Eppure ieri sera, nel percorrere il bellissimo giardino, che mena dalla Pilotta al Regio e mentre aspettavo al bar l’inizio della serata con gli amici, non ero molto sicura che avrei assistito al già preventivato successo di questa Lucia parmigiana. Non sapevo perché, ma qualcosa, forse quel sixth sense, che a volte si accende anche debolissimo dentro di noi, mi diceva qualche sassolino lungo la strada ci sarebbe stato, sebbene non me ne sapessi indicare un reale motivo. Certo, il cast non era di quelli che piacciono alla Grisi, ma, indipendentemente dalla sottoscritta, ritenevo che il pubblico avrebbe gradito un prodotto che, sulla carta, mai e poi mai mi sarei immaginata in grado di suscitare una simile reazione. Non so dirvi se l’esito della serata sia stato il mero frutto di una Lucia triste e malcantanta oppure una di quelli punizioni “cumulative”, che sfogano, come una tempesta, le ire represse in altre precedenti serate. Fatto sta che più che di sassolini lanciati dall’amichevole e gioviale loggione di Parma, bisognerebbe parlare di catastrofe naturale, perchè il disastro è stato davvero di vaste proporzioni. La catarsi finale, tra l’altro, è giunta dopo una serata andata via praticamente sotto silenzio o con commenti e sbuacchiamenti sparsi sino alla scena della pazzia, ed ha colpito tutti, salvo il tenore sostituto last minute, in particolare la protagonista, Desireè Rancatore, per quanto concerne il reparto vocale ed il regista, Denis Krief.


Questa produzione di Lucia si incardinava sulla protagonista femminile, Desirèe Rancatore, scritturata a dare garanzie e certezze di successo ad una Soprintendenza che originariamente aveva pensato il titolo per altro e diverso soprano, giustamente messo da parte dopo alcune prove negative fornite proprio in quel di Parma. Garanzie e certezze che, a modo di vedere di questo blog, non erano esattamente tali, ad onta della buona prova bolognese dell’anno passato, ove la Rancatore aveva esibito una confortante saldezza del registro acuto e sopracuto in particolare. Prerogative anch’esse divenute incostanti in questa cantante, di cui già altre volte vi abbiamo illustrate le evidenti mende vocali che la accompagnano: una zona centrale della voce quasi inesistente, con suoni acidi, scoperti e striduli, ieri sera poi continuamente degenerati nel parlato vero proprio ( l’acme è stata la scena con Raimondo all’atto II…..terribile!!); zona bassa della voce tutta tubata, artificiosamente scurita, anch’essa come il centro completamente fuor della maschera ( in bocca ) e incapacità di far girare fluidamente la voce nell’importante passaggio centro basso. Quanto alla zona acuta della voce, da sempre la migliore, ier sera è suonata priva di quella bella proiezione mostrata a Bologna: i sopracuti sono arrivati con maggior facilità e giusta intonazione rispetto al Rigoletto ultimo scorso, ma la voce è apparsa sempre piccola e poco proiettata anche in questa zona ove iltimbro è buono e gradevole.
In queste condizioni è difficile legare i suoni, smorzarli, insomma modulare la voce per esprimere tutto quel che vi è nel personaggio di Lucia sino alla scena della pazzia, il solo momento in cui la Rancatore, complice la scrittura più acuta, è riuscita a dar senso vocale al suo personaggio….. ma ormai la serata era compromessa. Sino a quel momento il pubblico non ha né sentito né visto ( perché le mende sceniche sono state complici attive nell’esito infausto) la malinconia, la dolcezza, il lirismo, anche il tragico dolore di miss Ashton, tenera vittima predestinata da subito alla sua tragica fine. Lucia tocca il nostro cuore dal primo momento in cui entra in scena, con la tenerezza del suo giovanile innamoramento, per la malinconia struggente con cui si separa da Edgardo promettendo di inviargli sull’aure i suoi sospiri ardenti, per il doloroso canto con cui ricorda, nella scena col fratello, le lacrime e la sofferenza per la separazione dall’amato Edgardo. La pazzia può anche arrivare algida, mera espressione virtuosistica….ci sta e piace anche quando il canto è sfolgorante, sebbene sia un limite intenderla così. Ma i grandi momenti chiave che fanno di Lucia un personaggio immancabile nel repertorio dei soprani estesi, non possono essere sottoposti a sistematica latitanza o mancanza di pertinenza interpretativa. Lo sa bene la più amata, consumata ed algida Lucia degli ultimi anni, Mariella Devia, che al suo debutto scaligero nel ruolo, in debito di volume sino alla scena della pazzia, ci regalò un attacco di “Verrano a te sull’aure” in pianissimo, lento, astratto e di suono purissimo, capace di staccarci tutti dalle seggiole per lo struggimento e l’emozione violenta che ci diede. Non era emozione vera, ma grande artificio, sapiente calcolo della belcantista che l’emozione la simula, la“descrive” con la voce.
D’altra parte, non voglio nemmeno ricordare l’intensa dolcezza, la malinconìa davvero commmovente di una interprete più partecipe della Devia, sebbene meno perfetta, Luciana Serra, capace di manovrare la voce in zona centrale e di passaggio con una disinvoltura assoluta, e che ben sapeva come si vince il limite naturale del timbro che il destino dona ad un cantante, trasformando ogni frase, per forza di mero accento, in malìa lirica. E furono tutti trionfi, trionfi di virtuosismo ma anche di intensità espressiva e pertinenza di personaggio, di cantanti, solo per citarne due di tradizione italiana, che avevano ben chiaro nella testa cosa sia Lucia, in cosa consista il canto di questo ruolo, dove e cosa il pubblico si aspetta dal soprano.
Mi duole dirlo, tutte quelle che sono le prerogative del personaggio ieri sera non arrivano a noi, che, anziché commossi siamo stati……urtati dalla trasformazione della sfortunata miss Asthon in una ragazzina quereula, capricciosa e petulante. Una Lucia ragazzina non significa che a questa si tolgano eleganza, minimale portamento scenico, ogni lato dolce e tenero. Se il personaggio ier sera ci fosse stato reso almeno per ciò che è nella tradizione, i difetti vocali sarebbero passati via come di solito accade, nè vi sarebbe stata tanta reazione da parte del loggione. O perlomeno la bonaria platea ed i palchi di Parma avrebbero almeno applaudito di cortesia, come di rito, i vari numeri di una Lucia che, invece, salvo qualche applauso e qualche brava dei fans alla scena di sortita, non è stata in grado di suscitare altro che un silenzio tombale sino alla pazzia. Scena applaudita dopo la cadenza, ma contestata dopo la cabaletta. Per non parlare di quanto accaduto all’uscita singola.
Per la sottoscritta, che sente con le medesime orecchie questa cantante sin da quando ha iniziato a calcare palcoscenici importanti e che non ha mutato di una virgola la propria originaria impressione, niente di nuovo ieri sera, eccezione fatta per la voce che davvero correva meno del solito. Mi sono solo domandata come facesse ad avere tanta proiezione in alto a Bologna e ad avere la voce tanto sgonfia ieri sera a Parma, in uno spazio di dimensioni pressoché uguali, ma questo è forse uno dei misteri dei moderni cantanti e lascio a voi il piacere di rispondere al quesito. Il pubblico, invece, stando alle lamentazioni da foyer, pare avere visto e sentito la cantante con altri occhi ed orecchi rispetto al passato.

Quanto ai signori uomini, sono stati dal cattivo al pessimo le voci gravi, corretto ma nulla più il tenore, il solo che si è salvato al cospetto del pubblico.
Viviani, nel ruolo di Enrico, mi è parso meno muggente rispetto ai Puritani bolognesi, sebbene le puntature di prammatica alla scena del primo atto, eseguita con taglio del da capo della cabaletta, siano stati dei berci enormi e spaventosi, davvero…inutili. Spesso questo baritono dà di naso, ed in questa occasione ha cercato di moderarsi, ma ci vuol ben altro stile, ben altra emissione per questo repertorio. Tralascio la performance della Scena della Torre, che Ranzani ha tagliato in modo tradizionale come già nella recente Lucia fiorentina: tra agilità farfugliate ed accento plebeo siamo un po’ scaduti nel Verismo, come và oggi di moda, del resto, nel belcanto. Ed il loggione non lo ha fatto andar via indenne, anzi!!

Il signor Cigni, Raimondo, ha una voce abbastanza grande, direi la più grande di tutte ieri sera, ma terribilmente spessa e bassa di posizione. Il modello di canto è sempre quello del Grande Bulgaro, ma, come al solito, solo nei difetti, con tanti suoni aperti al centro. Il personaggio mi è parso piuttosto caricaturale, forse a causa dell’emissione non stilizzata, talora davvero sgraziata, che avrebbe meritato il taglio di prammatica della scena con Lucia dell’atto II.

Stefano Secco, sostituto all’ultimo di Aronica, ha cantato correttamente ma sempre con voce che, man mano che sale all’acuto, si strozza, ora più ora meno, e falsettante nei piani. Sempre la solita bassa collocazione della voce toglie al cantante, che per sua indole è elegante e composto, la possibilità di dare proiezione alla voce, che è vocina lirico leggera, nonchè di modularla con vera dinamica. Il personaggio garbato e misurato fa dimenticare il limite vocale, evidentissimo al finale, ove ha faticato non poco nel “Tombe degli avi miei”, peggio ancora nel “Tu che a Dio”, ove ha iniziato troppo presto i parlati e rantoliìì della morte, causa l’alta tessitura, ove Secco non era certo a suo agio. Una prova corretta e nulla più.

Stefano Ranzani ha diretto con gli stessi tempi di Firenze, effettuato gli stessi tagli, ed evitato, a meno dell’inicipit dell’atto terzo ( peraltro commentato da un loggionista ), gli spernacchiamenti dell’orchestra. Soprattutto ha tenuto la sordina alla buca, onde consentire ai due protagonisti di “passare” un po’ di più. Questo atteggiamento, condivisibile, gli è però stato fatale, perché il loggione dapprima lo ha pochissimo applaudito al rientro dalle pause, quindi apertamente contestato prima di attaccare l’ultimo atto, ed infine duramente punito alle singole. Su questa contestazione non mi trovo d’accordo, perché ho visto nella prova di Ranzani soltanto un mestiere al servizio di un cast evidentemente limitato, che si è giovato dei suoi tempi, funzionali al canto.

Stessa cosa dicasi per l’allestimento di Krief, che è stato subissato dalle contestazioni.
Dissento da alcuni elementi di arredo e regia, in particolare la malinconica panchina neorealista al proscenio; Edgardo che beve da una bottiglia (!!!!!!!!!!) all’inizio della Scena della Torre; le P38 in mano ad Enrico ed Edgardo ( qualche rivoltella d’epoca non c’era????? ) ; la morte di Edgardo en plein air in mezzo al cimitero, perché quella è scena indiscutibilmente notturna.
Se le luci avessero maggiormente collaborato a rendere il clima dell’opera, invece di sembrare un parco alogene da Expo del Design, l’allestimento, sia nella collocazione temporale, che nelle sue prospettive inclinate come nelle proiezioni sul fondale, non è affatto brutto né privo di pertinenza. Ma forse a Parma non la pensano come me, perché le contestazioni sono state così violente da far tremare la volta del teatro.
Quanto alle dichiarazioni del medesimo circa il fatto che il pubblico vada educato, le condivido in pieno: solo che se questo avverrà molti suoi colleghi, registi e cantanti, e forse anche lui stesso, si troveranno disoccupati, perché gli allievi li cacceranno dai teatri a pedate………
E qualche calcione ben assestato direi che se lo sono presi già ieri sera!!

3 commenti:

mozart2006 ha detto...

Interessante cronaca.Il pubblico va educato,certamente...educato a tornare ad utilizzare fischi e,se é il caso,anche pomodori!Sapete,anche qui in Germania si comincia a sbuacchiare i registi.Forse il pubblico ne ha finalmente piene le tasche!

Giulia Grisi ha detto...

Io comincerei con lo spiegare agli artisti che quando il pubblico dissente, si prende e si incassa. E si riflette su quel che non è andato, sulle ragioni dei flops.

Oggi invece si critica il pubblico, si parla di inesistenti congiure, si sminuisce la portata dell'insuccesso, insomma di fa DISINFORMATIA, magari anche con la complicità della stampa ( basta leggere la recensione del 7 dicembre scaligero us pubblicata sulla nota testata specialistica italiana.....uff...)

Un tempo i giganti raccoglievano i rapanelli del loggione dopo performances straordinarie e tacevano.
Oggi le nullità arringano il pubblico, si permettono di criticarlo, fanno sceneggiate pur avendo tutto da imparare.E infatti l'opera è ai minimi storici

maometto II ha detto...

sono daccordo con la Diva Giulia.Ormai sembra che sdiano gli artisti a dover "giudicare" il pubblico e non viceversa, una volta era il publico che andava a teatro per ascoltare gli artisti, e pemiarli o biasimarli a seconda del rendimento ora gli artisti salgono sul palco e si ritengono intoccabili. guai a non applaudire sempre....basta osservarli alle uscite singole alla ine dello spettacolo, come mi disse una volta la immensa Renata Tebaldi: " Vede, una volta noi uscivamo a ringraziare e guardavamo in alto, verso il logione, perchè dipendeva da loro il nostro successo, ora gli artisti escono e guardano in platea, cercano gli amici..." e sono parole sue, riportate estualmente alla presentazione di un libro su di lei a Prato. non ho altro da aggiungere......