giovedì 5 marzo 2009

Italiana in Algeri a Torino: riflessioni

Siccome non si può essere omnipresenti per l'Italiana in Algeri di Torino, nuovo allestimento con regia di Vittorio Bonelli, ci siamo accontentati dell'ascolto radiofonico
Poco tempo or sono avevamo dedicato un post al rondò di Isabella, scena clou dell'opera, ed alle sue interpreti di levatura storica. Senza nessun intento polemico.

E' certo che qualcuno, che non condividerà queste riflessioni, tirerà fuori la solita storia della discutibile fedeltà dell'ascolto radiofonico, rispetto a quello diretto in teatro. Una volta per tutte l'ascolto radiofonico non consente di cogliere il reale volume di una voce e gli equilibri fra tutte quelle in scena, e con la buca, regalando ampiezza a strumenti vocali di volume e proiezione limitati, togliendone, invece, a voci ampie e timbrate.
Ma da qui a sfalsare completamente l'ascolto e sopratutto la qualità tecnica di una voce ne passa e molto.
Abbiamo sentito Antonio Siragusa, dal colore sempre molto bianco (sbiancato?), certo più idoneo per timbro ed accento al mezzo carattere che non al genere tragico, che esegue con facilità i passi vocalizzati dell'allegro della cavatina "Languir per una bella", ma patisce le frasi lunghe e legate della prima sezione della stessa, che arriva esausto e stimbrato alle battute conclusive della seconda aria e che scrocca gli acuti (si nat al termine di una tessitura da tenore contraltino) dell'allegro del duetto con Mustafà "mi confondo". Anche al quintetto del caffè ed al trio dei pappataci (e nel secondo atto Lindoro è davvero poco impegnato) acuti stimbrati e note centrali non proiettate correttamente.
Quando al protagonista maschile Lorenzo Regazzo credo che la ripresa radiofonica ne falsi ampiezza e volume, che sembra, via radio, considerevole. Non credo lo sia dal vivo altrimenti sarebbe già stato arruolato per parti verdiane e, poi, la voce, alla ricerca di suoni da vero basso suona ingolata e ne risente la fluidità e scorrevolezza della vocalizzazione (vedasi l'aria "già d'insolito ardore", le agilità martellate del primo incontro con Isabella ed il quintetto del caffè) e l'estensione (stimbrato il fa acuto, che chiude il trio dei pappataci).
Le cronache coeve a Rossini, prime quelle di Stendhal, riferite al maggior buffo allora in carriera -Giuseppe Pacini- non fanno mistero che fosse privo di voce e che altre fossero le risorse per essere, appunto, il grande Pacini.
Avere poca voce, ovvero essere privi di dote naturali, che nelle corde di basso e baritono porta ai ruoli comici, non significa, almeno credo, adoperarsi per renderle il proprio strumento sgradevole e volgare ed evitare di cantare su fiato, come , invece accade a tutti i buffi del giorno d'oggi. Nessuno escluso, ossia de Candia compreso.
Il risultato di tale comportamento aprofessionale sono interpretazioni ordinarie e volgari, e prima ancora suoni sgradevoli e sgraziati, che confliggono con lo strumentale elegante e stilizzato di Rossini. Insomma comportamento assolutamente antirossiniano.
A maggior ragione quando, come ier sera, l'aspetto migliore è venuto dall'espertissima bacchetta di Bruno Campanella, che sicuro ha guidato con grazia e garbo e pure verve e brio l'orchestra del Regio . Il miglior in campo.
Però mi limito al direttore d'orchestra perchè il concertatore, che tolleri il canto e l'interpretazione della protagonista, Vivica Genaux, rende un pessimo servizio a Rossini.
Gridare allo scandalo con la Genaux, forse, è esagerato. E molto, molto peggio quando fa la baroccara. In Rossini, invece, imita la Horne. E se imitare la Callas porta ad imitarne i difetti, lo stesso accade nella copiatura del modello Marylin, ad un soprano centrale come la Geneux, la cui voce suona fra naso e gola al centro, gonfiato e non proiettato, afona e volgare in basso e urlata nei due o tre inserimenti (stretta del duetto con Taddeo e finale del rondò) di note acute.
Quando sta al centro ed è quella la zona in cui i cantabili di Isabella insistono e non imita nessuno il timbro è poco personale e la vocalizzazione, se non fantasmagorica, decente.
Intendiamoci niente di chè, però.....
E qui devo aggiungere le ultime riflessioni. La torinese è, dall'ascolto radiofonico, una edizione che non esalta e non fa gridare allo scandalo (certo un po' di suonacci li abbiamo sentiti). Sono ben conscio che i primi Rossini della mia esperienza di ascoltatore, se da un lato prevedevano Teresa Berganza o Marilyn Horne portavano la tara dei Corena, dei Montarsolo (per giunta in ruoli previsti per Filippo Galli) di tenori come Benelli ed i direttori che non concepivano di essere al servizio del canto (Abbado in primis, sino al Viaggio pesarese). Però, poi, sono arrivati cantanti con altro bagaglio di tecnica e di gusto e differenti risultati estetici ed interpretativi (i soliti Ramey, Blake, Matteuzzi), abbiamo anche capito che alcuni cantanti della generazione precedente erano ben più aderenti al gusto rossiniano di altri loro coevi (sopra tutti Bruscantini nei ruoli di basso buffo) ed abbiamo capito o immaginato e ricostruito come debba essere una grande esecuzione rossiniana. E solo quella, ci spiace, dobbiamo e vogliamo sentire in nome ed in ricordo dell'evoluzione del gusto e, forse -sono parole grosse- del progresso culturale. Da tempo , invece, siamo e non solo economicamente in regressione. Pesante, pure.

Gli ascolti

Rossini - L'Italiana in Algeri


Atto I

Cruda sorte, amor tiranno! - Lucia Valentini-Terrani (1984)

Atto II

Per lui che adoro - Bernadette Manca di Nissa (1994)
Pensa alla patria - Elizabeth Connell (1979)

4 commenti:

Semolino ha detto...

Carissimo Donzelli, tu affermi quanto segue a proposito della Genaux, cioè che : -il timbro è poco personale e la vocalizzazione, se non fantasmagorica, decente-. Mi spiace ma devo contraddirti in quanto alla "decenza" della vocalizzazione della Genaux. Personalmente l'ho vista ed ascoltata dal vivo, dalla quinta fila di platea, in un teatro di non grandi dimensioni come quello dei Champs-Elysées, e posso assicurarti che la sua vocalizzazione è INDECENTE. Innanzi tutto possiede una vociuzza da sopranino corto, il cui repertorio dovrebbe limitarsi alla dama di compagnia della Lady Macbeth. La limitatezza della sua voce in volume ed estensione è dovuta anche alle tare tecniche. Forse con altra tecnica potrebbe tirare miglior partito da una voce che comunque non mi pare molto dotata in natura. Ma quel che c'è di peggio sono proprio le agilità a colpetti di mandibola, tutte a tremarella farfugliata. Non sono eseguite sul fiato ma tutte tartagliate col vàvàvàvàvàvà nella bocca. Non solo è ridicolo da vedersi ma è anche brutto da sentirsi. C'è stata gente nel publico che si è alzata ed è andata via dicendo -che cambi mestiere questa quì!!!-

Velluti ha detto...

Devo dire che non conoscevo l'Italiana della Manca di Nissa e, almeno nell'aria postata qui, è più che notevole... La voce è molto bella, compatta, sembra ampia e ricca di bruniture... L'accento è misurato, calibrato, anche sensuale... Mi ha stupito... Grazie!!!

Velluti ha detto...

Non conoscevo l'Italiana della Manca di Nissa... Qui mi sembra davvero notevole: la voce è brunita, ampia, a tratti sensuale, ricca di ombreggiature... anche le variazioni sono molto belle... Mi ha stupito... Grazie per l'ascolto

emanuele ha detto...

Ben poco da aggiungere a quanto già scritto.
venerdì ero in sala.
lei è scarsa in tutto. voce scarsa (per timbro, volume, estensione, qualità generale). interprete inesistente (o, meglio, irrimediabilmente penalizzata dallo strumento così povero che si trova in gola). in fin dei conti, come molti pseudo divi del momento, è solo piuttosto bella. ma davvero una misera isabella. gli altri sono meglio, anche se nessuno di loro è un fulmine di guerra. ma almeno si arrangiano, rispettando le regole del canto rossiniano in modo decoroso. il solo siragusa nella seconda parte era in difficoltà, squadrando e stonando più del dovuto. in realtà però, a rendere comunque gradevole questo spettacolo è stato bruno campanella, il miglior interprete del repertorio rossiniano o protoromantico italiano che oggi si esibisce sulle scene. semplicemente perfetto: tempi, colori, equilibrio fra le singole voci dell'orchestra, e pure perfetto nell'accompagnare, completare il canto; in grado pure di suggerire fraseggi o quantomeno il modo di accentare. una lezione di direzione e di concertazione, che ha fatto sì che gli interpreti appunto decorosi potessero emergere e dar vita ad una recita perlomeno gradevole. tranne che per isabella. regia elegante, carina, ma statica e in fin dei conti poco fantasiosa.
saluti a tutti.
emanuele