domenica 5 aprile 2009

June Anderson: intervista

Conobbi ed intervistai June Anderson nel 1984 a Parma, in occasione delle recite della Fille du Regiment. Aveva già esibito le sue straordinarie credenziali vocali a Roma, in Semiramide, e poi a Firenze, in Lucia, ma non era ancora la superstar di qualche anno dopo. Fu gentile, simpatica, elegante ed informale, insomma.... "easy" per usare una espressione dei giovani d'oggi. Parlava con semplicità e sincerità. Ed allo stesso modo parla oggi, dopo più di 20 anni ed una carriera impressionante.
Ha risposto alle nostre domande, alcune volutamente provocatorie, con la stessa franchezza di allora, senza ipocrisie o perifrasi. La ringraziamo per la disponiblità mostrata nel voler illustrare, per i nostri lettori, le differenze tra un passato non così lontano e l'attualità.


GG:Quanti anni ha studiato prima di debuttare come professionista? Come si è svolto il suo lavoro di “studentessa” del canto?

JA: Beh, in realtà io ho cominciato a cantare l’opera prima ancora di essere una “professionista”. Ho cantato la mia prima Gilda a 17 anni… Poi ho studiato da ballerina e quando ho cominciato ad avvicinarmi al canto ho studiato il Vaccaj, Marchesi, le ariette italiane del seicento e settecento… Ho incontrato il mio fantastico insegnante, Robert Leonard, a 21 anni e con lui ho studiato regolarmente per due anni prima di debuttare professionalmente. Per il primo anno facevo la spola una volta alla settimana dal New Heaven, poi lui mi trovò un appartamento nel suo palazzo ed ogni volta che qualcuno cancellava una lezione mi chiamava e mi diceva: “Vuoi venire a far lezione?”. Non avevo sempre i soldi per permettermi le lezioni, spesso ricevevo delle borse di studio dal Metropolitan o dalla Rockfeller Foundation, ma lui mi diceva: “Ti servono le lezioni adesso, non quando avrai i soldi!”. Senza di lui, forse non avrei fatto nulla.

GG: Una volta entrata in carriera, che tipo di attività era ed è solita svolgere per la normale “ gestione “ della sua voce ? Lo studio della tecnica si mette da parte una volta entrati in carriera e ci si dedica solo ai ruoli oppure continua dopo?

JA: La verità è che non si finisce mai di studiare, studio ogni giorno, c’è sempre qualcosa su cui lavorare… Quando si risolve un problema, se ne presenta un altro… E poi si invecchia, e bisogna fare i conti anche con questo… Io personalmente poi ho avuto una malattia alla tiroide 12 anni fa che ha quasi distrutto la mia voce, per cui ho dovuto praticamente re imparare a cantare.

GG: Quali sacrifici implica una carriera come la sua?

JA: Bisogna pensare che non sono sacrifici. Io vivo così, è una scelta e basta. Se è un sacrificio vuol dire che mi è costato qualcosa. E a me non è costato poi molto. Certo, ho avuto sempre delle regole molto precise. Oggigiorno ad esempio non ci si deve preoccupare ad esempio di andare in posti pieni di fumo, ma prima per me era impossibile – anche a causa delle mie allergie – di andare in un ristorante nei giorni intorno alle recite, non bevevo, non fumavo. Non esco mai la sera del giorno prima di una recita, a meno che non si debba fare una prova, e quando scende il sole, allora divento “Madre Superiora June”.

GG: Ha dei rimpianti per un ruolo o un’occasione professionale perduta o che non si è, per qualche ragione, concretizzata?

JA: Quando ero malata di tiroide, avrei dovuto cantare Tatjana in Evgenij Onegin e purtroppo ho dovuto cancellare questo impegno, che non si è mai più presentato. E’ un ruolo che avrei amato cantare, forse potrei farlo ancora… se solo qualcuno me lo chiedesse! E’ una delle mie opere preferite. La gente chiede sempre “belcanto”, ma per me anche quello è belcanto. Tutto ciò che usa la voce per esprimere qualcosa per me è belcanto. Non dev’essere necessariamente italiano, può essere anche russo, francese…

GG: La sua concezione del professionismo

JA: Arrivo sempre preparata, puntuale, e faccio una cosa alla volta. Non arrivo in un posto per poi ripartire ed andare a cantare da un’altra parte. Sono una perfezionista. A molti questo non piace, ma fa parte della mia concezione del professionismo. Ho degli standard molto elevati e mi piacerebbe che anche gli altri raggiungessero questi standard. Ma l’unica persona che deve raggiungerli sono io!

GG: E il divismo?

JA: Credo che per la maggior parte i divi e le dive sono coloro che non sono dei solidi professionisti. Per me sono tutte sciocchezze. Io, personalmente, mi sono sempre considerata un’anti-diva.

GG: Come sceglie un ruolo da debuttare?

JA: Per me l’ispirazione di solito deve venire non solo dalla musica, ma soprattutto dal dramma. C’è molta bella musica che non ho mai voluto cantare perché non mi diceva nulla, non aveva il dramma di cui ho bisogno. Detto questo, c’è anche molto dramma che non ha la musica che mi serve! Ad esempio, non sono ancora riuscita del tutto ad entrare dentro Janacek, anche se il dramma delle sue opere è spesso stupendo. Forse dovrei approfondire di più questo autore, di cui conosco bene solamente Katja Kabanova. Mi avevano chiesto di affrontare l’Affare Markropoulos, ma poi il progetto sfumò.

GG: Il suo ruolo meglio riuscito? E quello peggio riuscito?

JA: Il ruolo meglio riuscito? Lucia, Norma… E quello peggio riuscito? Lucia, Norma… (ride) Forse il peggio riuscito è stato Lucrezia ne I due Foscari o Giovanna in Giovanna d’Arco. Forse però non mi sarebbe piaciuto nemmeno il modo in cui altre le canterebbero… Anche Elena in La donna del lago non credo sia tra i miei sforzi migliori, per il momento preciso in cui l’ho cantata. Credo la farei meglio adesso. Credo sia forse la più bassa delle parti Colbran e all’epoca non avevo il colore giusto in quelle note. Certo, l’ho fatta e non mi ha rovinato la voce, ma forse non ho “prodotto” il suono che io volevo per quelle note.

GG: Lei ascolta i 78 giri? Del mondo sopranile preCallas , quale voce o cantante l’ha maggiormente impressionata e perché?

JA: Rosa Ponselle, Lotte Lehmann, Kirsten Flagstad. Quello che mi colpisce è la particolarità di queste voci, davvero speciali. Sono strumenti eccezionali con tecniche impeccabili. Hanno sempre un suono giovanile e puro anche in età matura, e questo è dovuto alla loro tecnica. Il suono è sempre “pulito”. Chiaramente ho ascoltato anche la Galli Curci, la Pagliughi (avendo vinto il “suo” premio), la Muzio… ho ascoltato tantissime di queste artiste.

GG: Che differenze osserva, se ritiene che ve ne siano, tra i belcantisti ed il modo di eseguire il belcanto della sua generazione e quella delle generazioni attuali?

JA: In generale direi che oggi mi sembra si canta tutto allo stesso modo. Handel sembra come Rossini, come Verdi… Non si comprende a fondo la differenze nello stile. Questo ai “vecchi tempi” invece lo si avvertiva chiaramente.

GG: In base a cosa un grande belcantista mette a punto le variazioni da eseguire in un’aria o in altre parti di un’ opera?

JA: Nella maggior parte dei casi ho scritto da sola le mie variazioni. E, contrariamente a quanto faceva la Malibran o le sue coeve, non le cambio ogni sera! Ma non le scrivo sullo spartito, il mio spartito è sempre “pulito”, solo per le opere in tedesco o in russo mi annoto la traduzione. Chiaramente ho visto anche il Ricci. Per Lucia, ad esempio, ho fatto le cadenze di tradizione con qualche piccola modifica. Sicuramente avrò “rubato” qualcosa qui e lì, ma di solito faccio da sola. Spesso persone hanno cercato di scrivere variazioni e cadenze per me, ma io le ho sempre rielaborate per renderle più personali.

GG: Il belcanto ed i direttori d’orchestra. La sua lunga esperienza e la sua opinione

JA: Posso dire che c’è un direttore con il quale avrei voluto fare assolutamente il belcanto, e questo era Leonard Bernstein. Abbiamo fatto insieme Candide e la Nona di Beethoven. Dovevamo fare insieme il finale di Sonnambula per un Gala di beneficenza, ma lui purtroppo morì prima. L’idea di fare il belcanto con lui sarebbe stato un sogno divenuto realtà, se solo pensiamo al modo in cui lui ha diretto Sonnambula e Medea con la Callas alla Scala! Spesso coi direttori che si specializzano solo in belcanto tendono a prediligere tempi lenti o finiscono per essere poco energetici. Ogni grande direttore può fare bene il belcanto, basta guardare Karajan con Lucia! Spesso è meglio un grande direttore che non ha mai fatto il belcanto, specie quando si trova a lavorare con un cantante che sa quello che fare con lo stile e insieme possono creare qualcosa di veramente eccezionale insieme. Purtroppo oggi questo non succede molto spesso.

GG: Il concerto di canto. Cosa è per lei il concerto di canto e come si mette a punto un programma da concerto?

JA: Di solito preferisco brani scritti espressamente per voce e piano, per cui non amo molto fare le arie d’opera col pianoforte, anche se so bene che il pubblico le ama e le desidera, per cui le si fa. Mi piace che ci siano una linea di pensiero lungo tutto il programma. Spesso metto insieme i brani in base al poeta: Hugo, Heine, etc… Mi piace anche mettere insieme brani di compositori diversi ed in lingue diverse purché ci sia un tema conduttore. Mi piace scegliere fra le ariette italiane, le mélodies francesi, il repertorio russo e le canzoni moderne per un concerto di canto. Nell’ambito del repertorio tedesco: Liszt, Strauss, Weill, Korngold. Anche se sono solo due pagine, il brano deve creare un’atmosfera o un piccolo “dramma”. Canto solo ciò che mi piace, non quello che la gente pensa che io dovrei cantare.

GG: Dei grandi ruoli tragici di Rossini le manca solo Elisabetta Regina d’Inghilterra. Perché? Le piacerebbe?

JA: Certo! Se è l’unica che mi manca devo assolutamente farla!!! Isabella non mi farà entrare in Paradiso se non la canto. Non sono sicura che sia l’unica parte tragica che non ho cantato… Ma probabilmente voi lo sapete meglio di me!!!

GG: Una Semiramide la ricanterebbe ancora? E se si, la cambierebbe in qualcosa rispetto al passato?

JA: Semiramide è per me talmente diversa dalle altre parti che Rossini ha scritto per la Colbran, che mi ha fatto sviluppare una mia personale teoria. Credo che quando Rossini l’abbia composto la voce della Colbran non fosse in ottimo stato, e questo non lo si avvertiva solo quando lei cantava la coloratura. Di fatto le uniche note legate che ci sono all’interno del ruolo sono nella preghiera alla fine dell’opera. Forse lui l’ha scritta per nascondere i suoi problemi vocali. Desdemona in Otello, Anna in Maometto Secondo sono completamente diverse, hanno queste bellissime linee da eseguire oltre alla coloratura. Non riesco a trovare un’altra spiegazione. Del resto è l’ultima opera che lui ha composto per lei. Sicuramente se la ricantassi oggi ci sarebbe un vero registro grave che non avevo quando l’ho cantata all’inizio (Roma, Londra, New York) e sicuramente farei molti più colori e meno mi naturali.

GG: Un suo aggettivo per ciascuna di queste cantanti: Callas; Steber; Sutherland; Sills; Horne.

JA: E’ molto difficile riassumere una personalità artistica in un solo aggettivo! La Callas è La Divina. E’ l’unica tra queste che non è umana! Eleonor Steber è un’artista molto sottovalutata, forse anche perché ha avuto una carriera esclusivamente americana ed anche un serio problema col bere che ha abbreviato la sua carriera. Joan Sutherland per me è un po’ come mia madre: da lei ho preso i miei zigomi ed i miei mi bemolli! E’ stata una grande, grandissima cantante. La Sills è stata il mio boss per due anni alla New York City Opera. E Marilyn Horne? Una forza della natura! Ma io non dimenticherei nemmeno la Caballè che, dopo la Callas, è stata la mia cantante preferita! E anche la stupenda Freni, che ha cantato molti dei miei ruoli prima che li cantassi io!

GG: Quali sono per lei i mali dell’opera oggi come oggi?

JA: Oggi è diventato tutto un business, non è più arte. Credo che se io cominciassi oggi la mia carriera forse non andrei da nessuna parte, non ho la giusta personalità, sono forse troppo onesta. Non credo sia un gran momento per l’opera. Oggi è il momento della tecnologia e l’arte, che sia opera o no, ha bisogno di lungo tempo di studio e crescita. Viviamo nella società del “momento”. Non si studia canto da poco tempo e si debutta subito Tosca in un teatro importante! La gente va molto di fretta! Se è un buon vino, non vuoi berlo subito, vuole lasciarlo a maturare e poi gustarlo dopo per bene! Anche per questo non ci sono più le grandi voci! Ci sono sicuramente dei talenti in giro, ma a 25 anni già cantano il repertorio sbagliato e non arrivano a 40 anni. Luciano è morto, Placido è ancora il migliore tenore in circolazione a quasi 70 anni. C’è decisamente qualcosa che non va in questo scenario quando un uomo della sua età è ancora il migliore!

GG: Si parla di crisi di voci, oltre che di personalità artistiche. Lei cosa ne pensa?

JA: In parte sicuramente dipende dagli insegnanti. Ma anche i cantanti oggi non hanno una vera educazione oltre a quella musicale, per cui dipendono da altre persone per le loro scelte, e quelli che lo fanno per loro spesso non scelgono tenendo conto delle voci, che spesso sono molto fragili e possono distruggersi da un momento all’altro. I cantanti dovrebbero dire più spesso di no! Io forse ho esagerato nel dire no, e questo è uno dei miei rimpianti! Ma almeno io ho saputo dirli questi NO!

GG: Cosa è e cosa è diventato lo star system dal suo punto di vista?

JA: Lo star system prima era formato dai cantanti che il pubblico amava. Oggi sono le case discografiche che dicono al pubblico quali sono i cantanti che devono amare! I media, purtroppo, spesso non hanno niente a che fare con la vera qualità.

GG: Lei è una bella donna, ma quando ha iniziato la bellezza contribuiva ma non era imprescindibile per una grande carriera. Oggi il glamour è diventato fondamentale, anzi, in certi casi pare una premessa al canto. Lei che ne pensa?
JA: Essere bello può essere sicuramente un vantaggio o un valore aggiunto, ma se sei un cantante d’opera la cosa più importante resta comunque la voce! Quando ho cominciato io era solamente un qualcosa in più. Ricordo che quando ho cominciato a cantare in Italia mi chiamavano la “pin up della lirica”! Oggi sembra essere diventato necessario come avere un mi bemolle!


Gli ascolti

Omaggio a June Anderson


Bellini - La sonnambula

Atto II - Oh, se una volta sola...Ah, non credea mirarti...Ah, non giunge (1986)

Bellini - I puritani

Atto II - Oh, rendetemi la speme...Qui la voce sua soave...Vien diletto (1987)

Donizetti - Lucia di Lammermoor

Atto III - Il dolce suono...Ardon gl'incensi...Spargi d'amaro pianto(1982)

Haendel - Ariodante

Atto II - Il mio crudel martoro (1985)

Haendel - Samson

Atto III - Let the bright Seraphim (1985)

Rossini - Otello

Atto III - Assisa a piè d'un salice (1988)

Rossini - Semiramide

Atto I - Bel raggio lusinghier (1983)

Verdi - Il corsaro

Atto II - Nè sulla terra...Vola talor dal carcere...Ah, conforto è sol la speme (1982)

Verdi - Jérusalem

Atto III - Mes plaintes sont vaines (1983)

6 commenti:

maometto II ha detto...

splendido post! grande June! grazie grazie grazie!

Anonimo ha detto...

June ha 57 anni ed ha la voce per cantare ai posti come Trieste... Per le vecchie che sono ancora capaci di cantare, cercare sotto Gruberova. Saluti

Antonio Tamburini ha detto...

cara Dolcevita, forse non lo sai, ma Trieste è una piazza importante in Italia. Fatte le debite proporzioni, direi che è come cantare a Bilbao, non certo a Pamplona o a Sevilla. Quanto alla Gruberova, la sua Norma non mi pare certo meno criticabile - anche se per motivi differenti - di quella di Miss Anderson.

Velluti ha detto...

Gli ascolti non funzionano:(

Giulia Grisi ha detto...

CAra Dolcevita,
apprezzo la maleducazione e la villania del tuo povero e misero intervento.
Ma vai a quel paese!

saluti

Marianne_Brandt ha detto...

A Trieste cantarono anche cantanti del calibro della Callas e del Monaco, in anni in cui erano già nomi importanti, solo per fare 2 nomi a caso e non credo che si sentissero così "umiliati" di essere invitati o esibirsi in quel teatro, anzi...:-D
Con tutto il rispetto della Gruberova, cantante eccezionale sicuramente, ma che non mi ha mai procurato sconvolgimenti emotivi, ho ascoltato le recenti performance di Norma e Lucrezia Borgia e se ancora la tecnica la aiuta non si può purtroppo dire lo stesso della voce.
Almeno io l'ho percepita così.
La Anderson, in carriera dal 1978, merita quindi tutto il rispetto che si da alla Gruberova.
Si potranno anche contestare certe scelte discutibili, ma è comunque già storica sia per la perizia belcantista, sia per il contributo alla riscoperta di titoli desueti rossiniani, belliniani e francesi.