lunedì 1 giugno 2009

Grandi concerti di canto: Richard Tucker all'Hollywood Bowl, 1951

In questi giorni di calura e calma piatta, in cui il solo dibattito operistico è venuto dall’attesa per l’Aida milanese o da vecchie ciarle su Di Stefano e Bergonzi, il pensiero è andato giocoforza ad uno dei miei cantanti più amati, Richard Tucker.


Non manca quasi nulla al canto del leggendario tenore americano, superstella del Metropolitan per trent’anni dal 1945 al 1975, in compagnia di Peerce e Bjoerling. Di lui non cessano di colpire l’omogeneità e la proiezione della voce in ogni punto della gamma, la facilità assoluta in acuto ( mantenuta sino alla fase finale della carriera ), l’accento scandito ed epico, modello anche di longevità professionale.
Oggi, abituati agli epigoni di Domingo, ossia a voci non sfogate e a fraseggiatori raffazzonati e gigioni, è difficile comprendere le osservazioni che la critica contemporanea muoveva a Tucker in fatto di accento, giudicato non troppo vario o carente di peso nei ruoli pienamente drammatici. Solo chi era avvezzo al fraseggio di un Pertile o alla spinta tragica di un Martinelli, ad esempio, poteva rimarcare il Don Carlo o il Gabriele Adorno di Tucker. E Diosà che scriverebbero oggi dopo certe serate cui oggi ci tocca assistere, e non solo in Verdi…
Tucker emerge gigantesco dai vecchi audio, capace di far dimenticare con una frase, a mio gusto ed orecchie, ogni prerogativa degli italiani del suo tempo, da Di Stefano a Corelli. Per valutare esattamente il tenore a noi manca la scena, quella che sorreggeva Pippo e lo stesso avvenente Corelli, e di cui Tucker assai poco si giovava, perlomeno stando a chi lo vide in teatro. Nemmeno l’eleganza del nobile parmigiano, il solo capace di un maggior lirismo e di una linea ulteriormente più sfumata, manca a Tucker. Di certo, i grandi fraseggiatori documentati dai cilindri e dai primi 78 gg, appartenevano ad un mondo assai diverso da quello di Tucker, poichè altro era il loro modo di concepire il fraseggio e la varietà dell’accento. A loro, però, Tucker si rifaceva ancora, oltre che per la tecnica vocale, nella conservazione di quel repertorio, o nelle tracce di quel repertorio che contemplava, per voci come la sua, Meyerbeer ed Halevy, oltre a tutti i topoi del repertorio romantico da lirico e lirico spinto, e ad alcuni ruoli veristi.

Il concerto con orchestra che vi proponiamo, è una broadcast radiofonica, del 1951, ossia della prima fase della carriera del grande tenore, nella piena freschezza dei suoi mezzi vocali ed interpretativi.

Gli ascolti

Richard Tucker all'Hollywood Bowl (1951)

Los Angeles Philharmonic Orchestra
Saul Caston, direttore


Haendel - Judas Maccabeus
Atto II - Sound an alarm

Giordano - Andrea Chénier
Quadro IV - Come un bel dì di maggio

Verdi - La forza del destino
Atto III - O tu che in seno agli angeli

Leoncavallo - Mattinata

Meyerbeer - L'Africaine
Atto IV - O paradis

Bizet - Carmen
Atto II - La fleur que tu m'avais jetée

Mascagni - Cavalleria rusticana
Atto unico - Mamma, quel vino è generoso

De Curtis - Torna a Surriento

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