mercoledì 9 settembre 2009

Jonas Kaufmann - Sehnsucht

La lettura del programma di Jonas Kaufmann potrebbe far pensare a quello di un recital di un grande Heldentenor di scuola tedesca del tipo Urlus, Knote, Slezak ed anche Rosvaenge. Quelli che, oggi, è diffuso costume denigrare quali interpreti manierati, superficiali, insensibili e generici.

Si tratta, invece, del programma dell'ultimo cd prodotto dal più maturo frutto della maggior major di area tedesca, che frequenta, al pari dei citati storici tenori, ed il repertorio tedesco ed il franco-italico. Quei signori godevano della stima e della considerazione delle maggiori bacchette del loro tempo, a partire da Walter e Mahler. L'attuale è accompagnato da Claudio Abbado, da tempo avvezzo a questa attività di propiziazione delle carriere.
Frequentazioni di repertorio e fama della bacchetta non garantiscono pari risultati.
In presenza di questo programmma e della realizzazione pratica due possibilità; un'accurata disamina di quelle che, pur rimanendo senza congrua replica, consentono ai detrattori del blog di affermare che ci occupiamo solo della tecnica di canto, oppure poche, sentite parole. Assolutamente distruttive.
In medio stat virtus con l'avvertenza che spesso ci fermiano alla disamina tecnica perché chi non conosce l'esatto utilizzo della parte tecnica del proprio mestiere non può provare a realizzare quella più propriamente artistica.
Quanto, però, alla maniacale attenzione alla tecnica rileviamo, riferendoci a Jonas Kaufmann, che buona parte del pubblico scaligero condivide l'opinione dei vociomani del Corriere, attesa la riprovazione che accompagnò l'Alfredo scaligero di Kaufmann per la voce ora dura e spinta (primo duetto con Violetta e scena della borsa), ora stimbrata e falsettante nei tentativi di addolcire e cantare piano (duetto "Parigi o cara"). Naturalmente il massimo teatro milanese ha offerto al signor Kaufmann, pronuba altra importante bacchetta, di consentire agli scaligeri di ricredersi ed emendarsi della commessa, errata valutazione.
Ciò nonostante siccome il cd non riporta la venustà del cantante, di positivo all'ascolto resta poco. Anzi nulla.
Anche qui una precisazione. Riteniamo che altri, reali o virtuali, siano i luoghi per proporre la fisicità di un bel ragazzo e di un soprano-velina.
I difetti del piacente giovane sono costanti, identici, distribuiti con pari, larga misura per tutti i brani del cd. Per sommi capi:

Kaufmann è un tenore corto. Nulla di grave, si potrebbe obiettare lo fu in area germanica un autentico fuori classe come Tauber o Jadlowker nella fase finale della carriera. Qui il difetto nasce da una respirazione non professionale, che impedisce nelle zone deputate l'oscuramento del suono ed il passaggio. Per sincerarsene guarda l'addome del signor Kaufmann nei copiosi video, reperibili anche su Youtube.
Conseguenza: Kaufmann suona sistematicamente stimbrato e duro in zona di passaggio e sui primi (pochi!) acuti, che i brani registrati prevedono. In particolare la prima aria di Tamino, nella sezione conclusiva, e il monologo di Lohengrin nella frase "Vom Gral ward ich zu euch daher gesandt" in cui compaiono due "terribili" la acuti, vere e proprie colonne d'Ercole del signor Kaufmann.

Il peggio vocale è rappresentato dalla grande scena di Florestano, dove il genio Beethoven, poco aduso alla scrittura vocale, mette a dura prova la voce del tenore a partire dall'attacco sul sol acuto di "Gott", realistica simulazione del risveglio dopo una notte brava, sino alla sezione conclusiva dove la scrittura tutta sul passaggio e che impedisce regolari prese di fiato offre un risultato che è la negazione del canto professionale.
Negato il canto professionale figuriamoci che cosa rimane delle possibilità espressive che la scena di Florestano offre.
Quanto all'interpretazione Kaufmann non ha alcuna cognizione dello stile mozartiano. Ben venga un tenore dal colore lirico e pieno in Tamino (bastano a confermarlo il raffronto fra un Rosvaenge o Tauber da un lato con Schreier dall'altro) a patto che il suono del principe della fiaba sia morbido e lucente perchè immascherato e le mezze voci paradisiache per rendere, appunto, il senso del principe delle fiabe. Qui invece abbiamo un colore ed un timbro assolutamente comune, ove per comune non si deve intendere un timbro non bello (Rosveange non era né Gigli né Slezak), ma un suono che riporta in tutto e per tutto a canto non professionale.
E lo cose non vanno meglio in Wagner dove l'unica fortuna di Kaufmann, ossia del principiante è l'assenza di acuti e la tessitura centrale. Non oso immaginare il nostro alle prese con don Alvaro, Radames, Jean de Leyda e Vasco de Gama, parti che sia detto tutti i tenori wagneriani (escluso il Melchior divo) tenevano regolarmente in repertorio.
Questo perchè privo del sostegno della respirazione il suono è "basso", di colore bitumato ed artificiosamente scuro, incapace di esprimere e lo slancio e l'estasi, che sia Lohengrin, sia il Siegmund del Wintersturme o il Parsifal dei brani proposti impongono.
Ripeto: lo salva la scrittura centrale, ma al di là dei vizi vocali è l'interprete ad essere monotono, pesante e noioso.
Due postille. Quando si canta un'aria in tutto e per tutto di stile italiano come quelle di Fierrabras alla fine una cadenza è d'obbligo. E sì che il maestro Abbado dirige opera italiana e che si presume presente in sala in corso di registrazione.

Certamente la centrale del consenso dirà che questa recensione è da presuntuosi custodi del cimitero degli elefanti. Chi lo dice in realtà dichiara apertamente la propria disponibilità ad applaudire tutto acriticamente e per puro compiacimento dell'essere schierato (à la page, direbbe la signorina di buona famiglia, indiscusso modello linguistico di questi critici), e facendo questo rinnega il proprio passato di ascoltatore. Spero solo ci risparmi paragoni di richiamo chimico geologico tipo lava bollente, cristallo purissimo e via discorrendo per altri più adeguati tipo scolpire nel bronzo, noce lusso intagliato etc.....
Buon ascolto !!!!! io ne sono stato incapace.


Gli ascolti

Wagner - Lohengrin


Atto III

In fernem Land - Heinrich Knote (1908)

Mein lieber Schwan! - Heinrich Knote (1908)

Mozart - Die Zauberflöte

Atto I

Dies Bildnis ist bezaubernd schön - Heinrich Knote (1909)

Beethoven - Fidelio

Atto II

In des Lebens Frühlingstagen - Heinrich Knote (1909)

Wagner - Die Walküre

Atto I

Winterstürme wichen dem Wonnemond - Heinrich Knote (1930)

Wagner - Parsifal

Atto III

Nur eine Waffe taugt - Heinrich Knote (1930)

11 commenti:

silvio ha detto...

Il nostro è davvero indecente checchè se ne voglia dire...
I suoi problemi tecnici e, oserei dire, la sua scarsa comprensione di ciò che fa, mi fanno fortemente temere cosa abbia potuto fare con l'aria meravigliosa di Tamino. E' vero ­che Rosvaenge la faceva, e con una certa maestà... ed è innegabile pure che una lettura quale quella di Walter Ludwig, con Furtwangler, pur essendo molto romantica ha ancora non poco da dire (infondo la storia del principe delle fiabe è una storia anche troppo vera e drammaticamente pressante nella vita degli uomini, soprattutto da un punto di vista massonico-illuminista che vedeva nel cammino verso la saggezza e verso l'amore perfetto il senso della vita come apprendistato...). Però, ripeto, tutto questo è lontano anni luce da ciò che costui può proporre.

Lele B. ha detto...

Inutile farla tanto lunga: quest'uomo è un gramo dilettante, che in tempi più seri degli attuali al massimo avrebbe cantato in parti di fianco in teatri minori. Basti sentire come canta Un'aura amorosa su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=QXEjZqYhgQQ
Riesce a fare persino peggio di Peter Schreier, e ce ne vuole!

silvio ha detto...

davvero... anche la zona bassa è davvero brutta, suoni ottusi... che altro dire? E' incredibile che lo facciano registrare, imprimere su un qualunque supporto....

Anonimo ha detto...

Incredibile!

Ogni mese che vengo leggere il contenuto del questo sito ci trovo sempre questa incomensurabile amarezza e la cattiveria gratuita. Moh pure Garanca e Kaufmann sono bruciati - dilettanti e cantano le cacate...

Sarebbe interessante di sapere di che cosa vivete voi e chi vi paga per fare quello che fatte cosi bene per non vergognarsi un pocchino mentre sputare senza su tutta la creazione artistica che ci sia oggi nel mondo: UNICA cosa che non avete bruciata era un spettacolo di Toulon!

Buona continuazione - pero CHE TRISTEZA

silvio ha detto...

evviva la grammatica e la cortesia!!!! Complimenti dolcevita, tu sì che ci capisci di canto... e dare dei prezzolati a loro pure.... congratulazioni davvero!

Domenico Donzelli ha detto...

caro dolcevita,
ti preciso
a) viviamo ben di altro. il melodramma è la passione che riempie solo il nostro tempo libero.
b) molti di noi non conoscono cantanti d'opera e aggiungo non ci tengono neppure.
c) ci paghiamo i biglietti degli spettacoli cui assistiamo ed i dischi che in questo mese di settembre ci siamo presi il divertimento di ascoltare e commentare.
d) francamente una tristezza quello che ascoltiamo. A metetre nella sua giusta ottica un cantante ocme Jonas Kaufmann bastano i Labò, Fernandi, Prevedi, Casellato Lamberti, Luchetti della mia gioventù.

al prossimo tuo intervento, che leggo sempre con piacere.
In linea di principio le opinioni, ben motivate altrui, rappresentano un autentico stimolo alla riflessione, le scarsamente motivate, invece, all'accrescimento della autostima.
Essenziali entrambe.

ciao dd

Tripsinogeno ha detto...

Nel post dedicato a Jaroussky Velluti ha stigmatizzato le riflessioni di Duprez, che spaziavano oltre il discorso strettamente musicale per comprendere anche, elementi di carattere extratestuale, come appunto la foto di copertina dell’album. Va detto, senza timore, che l’analisi del “paratesto” è divenuta pratica fondamentale per comprendere il “testo”. Nella critica cinematografica non solo si analizzano le particolarità dei titoli di testa, ma si è arrivati a parlare di una sorta di recensionistica del cartellone, della locandina. Il testo straborda nel suo paratesto, ne diventa una chiave di lettura tanto importante quanto il testo stesso. Perché voler rigettare, si trattasse pure della copertina di un CD, le comprovate qualità benefiche di un approccio di questo tipo? Per esempio, non ho ancora avuto modo di ascoltare la raccolta di Kauffmann e di godere dello struggimento, della sehnsucht romantica che il “tenore” sembrerebbe promettere. Ma la foto di presentazione mi sembra possa suggerire in nuce alcune peculiarità proprie del cantante in questione, avendo il sottoscritto avuto a che fare con il romanticismo più popolare, “d’amorosi sensi”, meno “normativo”, delle sue Romantic Arias. Con la copertina di Sensucht ci troviamo davanti all’ennesima ripresa di una logora, quanto inflazionata, opera di Friedrich, il “Viandante sul mare di nebbia”. In questo idilliaco scorcio naturale il protagonista è presentato di spalle e le rocce invadono il primo piano: l’osservatore è dunque invitato a entrare e portato a identificarsi con il personaggio, a vivere le sue stesse sensazioni. La Decca ci propone invece un’immagine che oltre a togliere spazio all’immensità del paesaggio (all’oggetto scopico condiviso in Friedrich), ci presenta l’osservatore-Kaufmann, di nero vestito (ça va sens dire…), in posizione frontale. Kauffman non si pone, da spettatore della natura (dell’arte, del canto), “tra i tanti”, insieme a noi, in una sorta di comunione di sentire e rispetto, come fa il viandante fridrichiano. Si gira e ci guarda. Ci interpella. Ci sfida (noi e le nostre orecchie…). Si pone lui al centro (è bello, si fa guardare…), passando da soggetto scopico a oggetto scopico, quasi volesse lui stesso ammirarsi in posa. In Romantic Arias, quando canta “Che gelida manina” sembra davvero tradire questa sorta di ipertrofia dell’ego, di deficienza della mezza misura. Quando ci prova, l’assenza della prima ottava e del passaggio di registro (in particolare dalla zona grave a quella centrale) lo espone a un suono volgare, poco dongiovannesco, che lo definisce più come rude ragazzotto da osteria che come fine seduttore di kierkegaardiana memoria, o come spiantato intellettualoide parigino, in onore del libretto. Laddove la partitura si fa più “sussurrata” (“Or che mi conoscete”) il suono che ne vien fuori è sporco, ingolato, quasi da “ultimo sospiro”. La “lacrima” su “chi son, e che faccio” è uno strangolamento hitchcockiano, che evoca lacrime di ben altra natura. In barba a una grana più baritonale che tenorile, Kaufmann sembra rifuggire quella zona “oscura” del pentagramma, appoggiata certo sulle note basse, ma allo stesso tempo fatta di bisbigli, mormorii, che dovrebbe essere la linfa di un romanticismo amoroso come quello pucciniano. Come l’egocentrico viandante, si mette in gioco con la fisicità, rifugge la parte di un Rodolfo dimesso e defilato (d’altra parte “La bohème” è opera corale…) con la tracotanza e la sicurezza di un registro centrale che è la sua unica “nota“ apprezzabile (già l’attacco di “Talor dal mio forziere” è un suono che s’impicca sul passaggio superiore). Kaufmann non si pone con l’ascoltatore davanti all’universalità della seduzione amorosa, ma se ne appropria quasi fosse lui (e il suo canto) il solo paradigma. Ma chi vorrebbe mai lasciarsi tentare da un bruto di tale risma, foss’anche uno splendore d’uomo? Il suo romanticismo amoroso, così spudoratamente pervicace, si fa Sensucht postmoderna. La “nostra” Sensucht. Il nostro struggimento all’ascolto di un canto tanto greve e grossolano.

Mattia Battistini ha detto...

Tornato al grigiore della città leggo e mi aggiorno sul mio Corriere preferito... C'è molto da leggere nei recenti post settembrini. E ancor più ci sarebbe da commentare... Ma, con molta "discrezione" dirò, se possibile, solo quattro cosette. Incuriosito dallo scritto di Donzelli mi precipito ad ascoltare -per fortuna mia usando Youtube- il tenore Kaufmann. Che dire?
Non servono molte parole: il nostro tempo vive di pubblicità. La voce non conta più. La tecnica men che mai (se ne parlava anche di recente no?). Ma direi anche l'autocoscienza dell'artista, lo scrupolo professionale, la tensione espressiva e interpretativa. Niente. E mi dispiace, non tanto per il mio udito -visto che si può sempre sentire una vecchia incisione per godere un pò- quanto per il fatto che si spera sempre che, qualcosa possa essere diverso, cioè non appiattito, spento, banale, quando non orribile. Invano. Purtroppo in genere, giovani, anche potenzialmente talentuosi, prima ancora di cominciare, hanno già perso la voglia di studio e
ricerca. Ma ancora di più, un cantante dovrebbe avere cultura. Anzi, dovrebbe costruirsela insieme alla voce. E al gusto. Se tu non sai che cosa "ri-cercare", se non hai un (buon)gusto che ti orienta, come puoi modellare la voce, darle colori, vibrazioni interne?

A proposito. I paragoni. Vizio intollerabile. Questo sì che è l'unico modo di intendersi. Direi umilmente a Kaufmann, che potrebbe ascoltare una ..."mia" vecchia incisione di "Ah non mi ridestar" (mi si permetta, ma è una una delle mie preferite). Non dico Schipa né Clément ma Mattia Battistini. Infatti, avendo Kaufmann risonanze baritonali potrebbe
apprendere come sia possibile, se dotato di tecnica e gusto, anche ai colori del baritono di adeguarsi e, anzi eccellere, nel canto di grazia. Ma quanto "lavoro"... -Certo MB è paragone ingrato per chiunque. Tant'è...-

Non faccio commenti sul suo Rodolfo. Condivido chi pensi sia meglio tacere, talvolta...

PS
Concludo con una domanda per Donzelli: mi piacerebbe, ma quando potrà e con tutto comodo, parlare delle sue riserve sulla Ponselle (lette qui "vicino" nel Blog) che è uno dei miei soprani preferiti. Io trovo unica la sua compattezza vocale, quasi granitica. E la personalità vibrante della sua splendida voce.
Certo è pure che la Muzio sia stata Divina... e non certo per la pubblicità...di uno slogan.


A presto, MB

Domenico Donzelli ha detto...

illustre commendator battistini,
non posso negare la qualità del timbro della ponselle, sarei in mala fede e altro!
pochi soprani possono vantare il rimbro aureo della ponselle. MI vengono in mente altre voci "meridionali" come maria caniglia, giannina arangi lombardi oppure anita cerquetti.
Ti invito, però ad ascoltare con cura il canto della ponselle. In particolare l'aria di leonora del trovatore "D'amor sull'ali rosee" e la scena di Vestale "Tu che invoco"
L'attacco batte in zona nmedio grave diciamo sul primo passaggio e ti accorgerai che anche la voce della Ponselle suona poco sostenuta ed aperta. Se compari lo stesso brano nell'esecuzione di Frida Leider ti accorgereai che il soprano tedesco compie la manovra del primo passaggio senza difficoltà.
Questo difetto si riverbera sull'ottava alta, il tradizionale tallone d'Achille della Ponselle (che dopo i 35 anni cantò solo opere centrali o trasformate in centrali come accadde con il primo atto di Traviata e che a 39 anni chiuse carriera) ed infatti nella sezioen conclusiva dell'aria di Giulia la Ponselle non è in grado di smorzare i suoni acuti, operazione che a Maria Callas (ammiratrice della Ponselle e voce che non poteva competere con quella dell'ammirata cantante) riusciva senza particolare difficoltà e nonostante un mezzo che nel confronto modesto.
La stessa impressione la ricaverai dall'ascolto dell'aria di Selika.

Poi quando mi dedicherò alla Ponselle nella disamina del canto sopranile pre Callas prometto di essere più preciso.
Ti aggiungo però una premessa i soprani in carriera sino al 1925, grosso modo erano tecnicamente molto più corrette e quadrate di quelle successive.
Verificare in tutt'altra categoria vocale una Farneti con una Favero.

ciao dd

giulio53 ha detto...

ho scoperto jonas kaufmann 3 anni fa al covent garden,e mi ha letteralmente entusiasmato in carmen(vedere dvd con la antonacci per credere). l'ho poi seguito in opere che non fanno più parte del suo repertorio (lo spero,almeno),quali traviata e manon,che mi hanno lasciato alquanto freddino,per poi ritrovarlo un mese fa nuovamente a londra quale splendido e convincente don carlo. i dischi e talune frequentazioni non gli rendono giustizia,e spero lo possiate presto constatare nella prossima carmen scaligera.
giulio53(un orfano di franco corelli)

Giulia Grisi ha detto...

Caro Giulio,
lo speriamo anche noi.
Quello che pensiamo, dopo alcuni ascolti recenti è questo:
quando canta ruoli centrali che consentono di emettere acuti di forza fa una certa impressione. Non è un cantoraffinato, perchè l'emissione non è elegante, ma è certamente di grande effetto.
Quando canta parti che battono il passaggio alto oppure cerca i piani, lì casca l'sino, perchè la voce va indietro, con un suono sempre udibile ma sforzato e afonoide ( se è possbile la contraddizione in termini ).
LA CArmen del ROH fa certo dverso effetto dalla Traviata milanese o da certe sue incisioni.
Può avere grande successo oppure bissare Alfredo: dipenderà molto da lui.
Certo Don Josè è forse la sua cosa migliore, sebbene i difetti si sentano anche lì. Se farà come a LOndra, credo piacerà comunque.
a presto
gg