lunedì 7 dicembre 2009

El día de Carmen. Prima parte: "Chi mme piglia pe' Frangesa, chi mme piglia pe' Spagnola..."

Chi la vuole en français, chi la preferisce in italiano; chi la vuole con i dialoghi, chi la vuole senza; chi la vuole filologica, chi la vuole tagliata; e poi come districarsi nei reconditi meandri delle edizioni? Meglio l’autografo del 1874, oppure la revisione del 1875 modificata da Bizet e pubblicata da Choudens? Meglio la versione viennese con i dialoghi musicati e la partitura ridotta da Guiraud, o meglio affidarsi alla partitura approntata da Fritz Oeser con i suoi dialoghi originali, tutti i tagli riaperti, gli errori di lingua e sintassi, le riscritture inaccettabili, i tempi cambiati e le didascalie modificate?
Oggi, in tempi di riscoperte, come porsi tra le versioni di Robert Didion pubblicata nel 2000, oppure di Michael Rot che ha messo a confronto tutte le partiture dell’opera o alla nuova versione prevista per il 2014?
Insomma, stiamo parlando di Carmen, capolavoro estremo di Bizet, la cui storia editoriale sta diventando ancora più ingarbugliata della già travagliata partitura de Les contes d’Hoffmann di Offenbach.
Quale versione dunque ha scelto Barenboim per l’apertura scaligera del 7 dicembre?
Ci viene incontro sia il sito del Teatro alla Scala, sia uno spettacolo andato in scena nel 2006 alla Staatsoper di Berlino sotto la bacchetta del Maestro e con la regia di Martin Kusej.

Si tratta della partitura preparata nel 2000 da Robert Didion basata sulla revisione critica del libretto che ripristina quasi nella loro interezza, tutti i dialoghi recuperati da Fritz Oeser.
Queste le novità rispetto alle versioni precedenti:

ATTO I

-Taglio della pantomima e dei commenti di Morales come da tradizione.
-Per volere del regista, ma non di Didion, sulla musica che introduce Le choeur des gamins Don Josè fucilato, ma ancora vivo, e piuttosto in salute, e Micaela anticipano il dialogo:
JOSÉ : Un baiser de ma mère ?
MICAËLA : Un baiser pour son fils, José, je vous le rends, comme je l'ai promis.

Che si conclude con le parole di Don Josè « Rien ! rien ! » e l’introduzione musicale del coro da cui parte il Flashback su cui si basa l’allestimento.
-Le chœur des gamins è stato modificato : la prima parte è cantata integralmente, ma nella ripresa vengono solo ricantati i versi « Nous marchons, la tête haute / Comme de petits soldats, / Marquant, sans faire de faute, / Une !… deux !… marquant le pas ; / Les épaules en arrière / Et la poitrine en dehors, / Les bras de cette manière / Tombant tout le long du corps » perdendo la sua integralità.
-Il breve dialogo tra Don Josè e Moralès, che si inframmezza durante Le choeur des gamins, viene spostato e assorbito verso la fine del dialogo successsivo tra Don Josè e Zuniga il quale si appropria dei versi destinati a Morales. Al dialogo sono stati effettutati alcuni piccoli tagli (poche parole o piccole modifiche) che però non ne alterano il significato.
-Viene ripristinato il coro dei tenori « Sans faire les cruelles » che inframmezza il coro delle sigaraie, già recuperato da Oeser.
-Il Motivo del fiore e quello di Carmen appaiono a metà della baruffa come reintrodotto da Oeser
-Piccoli tagli, nel dialogo dopo la baruffa tra Zuniga, Carmen e Don Josè, che alleggeriscono gli interventi di Mezzosoprano e Tenore.
-Taglio dell’intervento-pantomima delle sigaraie che accusano Carmen come da libretto.

ATTO II

-Ripristino del coro maschile fuori scena e senza accompagnamento « Vivat ! vivat le torero ! Vivat ! vivat Escamillo !» privato però dei versi successivi come in Guiraud, che segue ai dialoghi tra Carmen, Frasquita, Mercedes, Zuniga e Morales e precede l’ingresso di Escamillo,
-In pratica tutto il secondo atto segue la partitura pubblicata da Choudens nel 1875 con i dialoghi, lievemente alleggeriti.

ATTO III

-Dopo il coro ed il quintetto, viene tagliato il dialogo tra Don Josè, le Dancaire e le Remendado.
-Piccoli tagli al dialogo successivo tra Carmen e Don Josè.
-Nel finale dell’ Aria delle carte mancano le frasi : « Bah! qu'importe, après tout, qu'importe ?…Carmen bravera tout, Carmen est la plus forte ! »
-Nel dialogo successivo le battute di Frasquita, Mercedes e Carmen (i nomi Eusebio, Perez e Bartolomè) vengono attribuiti al Dancaire ed al Remendado.
-Le frasi della Guida che accompagna Micaela sono affidate ad Escamillo che così anticipa di molto il suo arrivo.
-Taglio della frase di Micaela « Mon guide avait raison… l'endroit n'a rien de bien rassurant » che introduce l’aria « Je dis que rien ne m'épouvante ».
-La scena del duello segue la stesura completa già approntata da Bizet mentre il finale evita abilmente tutte le alterazioni di Oeser.

ATTO IV

-Ripristino dei dialoghi dopo il coro iniziale.
-Dopo il duettino tra Carmen e Escamillo l’intervento del coro è drasticamente ridotto alla sola frase “ Place, place au seigneur alcade ! “
-Tutto il duetto tra Carmen e Don Josè segue l’edizione accolta sia da Choudens che da Guiraud.

Le uniche cose che lasciano perplessi sono: il taglio della pantomima, che regalerebbe a Moralès un gustoso momento solistico; i tagli che riducono parzialmente gli interventi dei cori; lo spostamento ed i tagli di alcuni dialoghi e l’attribuzione di frasi o parole ad altri personaggi.
A parte queste modifiche la partitura approntata da Didion è a mio avviso quasi ideale, poiché cerca di recuperare il meglio delle riscoperte di Oeser, fondendole con le orchestrazioni ed i tempi di Bizet, dell’edizione di Choudens e di Guiraud.
I dialoghi sfrondati sicuramente agevolano la teatralità della partitura e stancano in misura minore i cantanti, ma per una ripresa solo audio o in caso di pubblicazione video sarebbe auspicabile l’inserimento di tutti i pezzi espunti.

Barenboim imprime al Preludio un ritmo maestoso che coniuga perfettamente ritmo e rispetto dei segni espressivi previsti in partitura, dall’ Allegro giocoso iniziale ai vari pp cresc. molto, con un ottimo gioco di sonorità tutte in crescendo e diminuendo.
L’ingresso del tema del Toreador con i suoi suoni in piano, risulta leggermente mesta, privata di quella forza crescente datagli da Bizet che viene accolta solo nella ripresa, la quale si colora di torni vagamente marziali con conseguente perdita di brio. Efficacissimo invece l’ Andante moderato, che subito identifica il tono funereo del Tema del destino in un crescendo angoscioso in cui tutta l’orchestra sembra scoppiare. E’ a questo punto che si percepisce chiaramente quale sarà la cifra interpretativa in cui Barenboim immergerà l’opera. Cristallizzata in un fraseggio sonoro in cui la tinta lugubre prende il sopravvento, questa “Carmen” diventa una ballata macabra, interessante, ma faticosa al solo ascolto e in fin dei conti monotona. Così è efficacissimo il senso di noia che i soldati respirano sulla piazza, ma è una noia ammantata di lutto in cui si sacrifica la leggerezza di interi brani come l’ingresso di Micaela in cui le note ribattute Poco più animate risultano emesse con svogliatezza, oppure il coro dei fanciulli che diventa un momento drammatico e spiritato invece di caratterizzarsi con i suoi elementi volutamente ingenui, mentre ben ritmata è sicuramente la musica che accompagna Morales e l’ Allegretto che conclude la scena. L’ingresso delle sigaraie risulta prosciugata dalla sensualità e levità che dovrebbe emanare adagiandosi, al contrario, su tempi molli e morbidi, ma irrimediabilmente slavati. Lascia basiti l’Habanera: Bizet prescrive un Allegretto, quasi andantino sottolineando con un espressivo p la maliziosa essenza dell’aria, qui purtroppo annegata in un tempo rallentato che sembra quasi singhiozzare. La Domashenko si cala perfettamente nel tempo scelto da Barenboim, il coro invece viene penalizzato fortemente trasformandosi in una entità ectoplasmatica. Se l’aria di Micaela diventa un’oasi di tenerezza e chiaroscuri, il successivo duetto con Don Josè è talmente macignoso da diventare eterno e espressivamente cinico. Altro che Allegro moderato! Almeno molte delle prescrizioni espressive della partitura relative al canto vengono rispettate. A risvegliare gli animi ci pensa la successiva Baruffa, rigorosa nel saldare le voci con l’orchestra e abile nel dosare l’ironia della scena; mentre di grande suggestione è l’accompagnamento sia della Seguidille in cui la voce e l’orchestra tenuta in piano si rincorrono maliziosamente, sia il travolgente finale primo giocato su una vivacità beffarda.
Se marziale suona l’Entr’acte, sfumato soltanto dalla morbidezza dei flauti, funerea e senza mistero è l’introduzione alla Taverna di Lillas Pastia, mentre la Chanson è resa a ritmo sempre più indiavolato come se fosse un improvviso rilascio di energia. Pesantissima invece la musica dei Couplets di Escamillo, brillante nell’introduzione, ma algida nel prosieguo. Se il Quintetto è diretto con sbrigativa indifferenza, tutta la parte finale è ancora peggio; confuso l’accompagnamento e vistoso lo stacco che si crea tra il maestro ed il palcoscenico visto che i solisti prendono tempi sensibilmente diversi sia tra di loro, sia con l’orchestra che rischia sovente di coprire tutto spinta com’è verso un eccessivo fortissimo. Finalmente il tono “mortifero” trova la sua ragion d’essere con l’ambientazione montanara del III atto in cui Barenboim dona alla Scena delle carte una tenebrosità appropriata e di coinvolgente presa teatrale, a cui si contrappone l’aria di Micaela illuminata da suoni vibranti, un duello attraversato dal grottesco, in cui l’intuizione di Barenboim fa emergere sia il senso di morte sia l’ironia della musica, ed un finale pieno di presagi nerissimi. Forse l’atto più bello e riuscito. Il IV Atto cancella ogni traccia di trionfalismo, così sia l’Entr’acte, sia la scena sulla piazza sono pervase dal pessimismo, così più che a una vivace piazza di Siviglia sembra di assistere ad una processione funebre, accompagnata da percussioni che sono vere e proprie mazzate; gli stessi presagi di morte che chiudevano l’Atto precedente, accompagneranno il duettino tra Carmen ed Escamillo e tutto il duetto finale in cui l’orchestra che si colora di suoni aspri e ovattati sancirà con crudezza la morte della protagonista.

Naturalmente carismatica e fascinosa la protagonista, Marina Domashenko; scenicamente strepitosa nel suo tratteggiare una Carmen hitchcockiana, bionda fasciata in un aderente abito nero, algida e sensualissima, fiera e autodistruttiva, la Domashenko domina la scena con le sue occhiate e le sue movenze calcolatissime.
La voce emerge per il timbro da vero mezzosoprano calda e timbrata soprattutto nel registro centrale e nelle note gravi che solo a volte risultano tendenzialmente gutturali, mentre salendo note come Mi, Fa e Sol3 suonano schiacciate, poco timbrate e indietro; ma è un’artista sensibile e intelligente e oltre ad essere attentissima alle esigenze che la partitura richiede nell’espressività (forcelle, piani, pianissimi, portamenti, acciaccature) e nonostante un legato non proprio irreprensibile, riesce a colorare le sue frasi usando un erotismo freddo da femme fatale senza mai rincorrere il facile effetto “verista” poco coerente con una partitura come “Carmen”.
Se mettesse a posto i problemi suddetti avremmo a disposizione una protagonista interessantissima.

Rolando Villazón fa rabbia. Rabbia per aver sperperato in meno di 10 anni una voce dal bellissimo timbro schietto e mediterraneo, naturalmente espressiva, sull’altare poco fruttuoso della schizofrenia sonora e dell’imitazione di Placido Domingo. Il problema di Villazón è che la voce risuona sempre o in gola o nel naso, ma mai in maschera, così gli acuti sono sotto perenne sforzo ed emessi in fortissimo, ed i registri di passaggio suonano putroppo sbiaditi e fuori dall’intonazione.
Il primo duetto con Micaela ed il duetto con Carmen dopo la Seguidille risuonano nel naso nella vaga ricerca di un suono “alla Domingo”, ma senza la sua robustezza, con il risultato di apparire inespressivo o manierato e con problemi nella tenuta della linea di canto.
Fa rabbia, perché al II Atto, dopo una canzonetta fuori scena generica, esegue un’Aria del fiore sorprendente per la pienezza del coinvolgimento, per lo slancio interpretativo, per l’attenzione ai segni espressivi e ai dettagli del fraseggio;
uniche pecche, i La e Si naturali in fortissimo al confine col grido.
Fa rabbia perché nel IV Atto fino a quando la voce si trova a gravitare nel registro centrale Villazón non ha problemi, ma appena la tessitura sale, e l’ultima parte è pericolosa da questo punto di vista, le inflessioni “veriste” si impossessano del suo fraseggio trasformandolo in un molesto urlatore e impoverendo il suo canto.
Fa rabbia perché il suo Don Josè è identico al suo Alfredo, che è identico al suo Elvino, che è identico al suo Duca, che è identico al suo Werther, che è identico al suo Don Carlo etc. cioè un bamboccio insicuro e romantico, ma dagli scatti violenti e devastanti.
Peccato, perché l’attore è notevole, il carisma non gli manca e vederlo alla fine del III Atto con la bocca spalancata in un grido muto mentre a terra giace Micaela svenuta, mi ha fatto tornate alla mente Al Pacino alla fine de “Il Padrino parte III”.

Lunga la frequentazione di Norah Amsellem con il ruolo di Micaela; fraseggio sempre interessante, sempre pudico ed energico, diligente nello sforzarsi di rispettare la partitura, sostenuto però da voce il cui timbro solare non ne maschera la fragilità.
Il Re3 è sempre fisso, il registro centrale luminoso, ma lievemente afflitto da vibrato che non risulta troppo molesto, gli acuti sempre un po’ vetrosi ed i gravi senza smalto cercano di essere redenti da una interpretazione in punta di piedi, ma senza leziosità.

Di monotonia esasperante, tutto concentrato a risolvere Escamillo in maniera grossolana, Alexander Vinogradov si distingue per un timbro gradevole funestato da un vibrato persistenze, intonazione di dubbia solidità, Mi e Fa acuti grigiastri e stimbrati, tutti problemi che affossano inesorabilmente i suoi interventi.

Voci legnose e poco inclini alle sfumature quelle di Kay Stiefermann, Morales, Jan Zinkler, Dancairo, e Gustavo Pena, Remendado, mentre si distinguono per giuto mix di brio e spigliatezza Julia Rempe e Susanne Kreusch rispettivamente Mercedes e Frasquita ed il sonoro Christof Fischesser, Zuniga.

Lo spettacolo di Martin Kusej farà la gioia di chi cerca di trovare simboli e oroscopi nella psiche del regista che in fin dei conti ci dona una “Carmen” innocua che si dibatte tra “Teatro di regia” e “Tradizione”. Scena completamente bianca al cui centro sorge un cubo girevole semi sommerso dalla sabbia al I Atto; una cisterna al II per la Taverna; un “diruto abituro” al III; scena vuota al IV. Provocazioni? Poche e banali. Carmen non è una sigaraia e non lo sono nemmeno le sue compagne; forse prostitute, forse modelle di lingerie in pausa sigaretta, forse semplicemente ideali di donna la cui femminilità è rappresentata da una sciarpa rossa che perseguiterà il povero Don Josè fino a diventare la benda del suo supplizio.
Si, perché il tutto è rivissuto dall’uomo mentre spirante narra la sua storia a Micaela, escamotage sfruttatissimo fin dai tempi di Prosper Mérimée che ovviamente non fa danni. Il coro dei bambini accompagna dei soldati-zombi che tornano dalla guardia; il coro è raffigurato spesso come un insieme di fantasmi e assisterà. come in una Corrida, allo scontro tra Don Josè e Carmen che cercherà la morte volutamente in maniera sbrigativa, mentre alle sue spalle verrà portato il cadavere di Escamillo ucciso dal toro. Una Habanera con figuranti smutandati e stesi al sole; la fuga di Carmen che si lancia nel vuoto (“O Zuniga, avanti a Dio!”) senza che i sei uomini in scena facciano nulla per fermarla; una foto pronta per Facebook a concludere il Quintetto al II Atto e il ferimento involontario di Micaela da parte di Don Josè che spara alla cieca al III, non traumatizzano più di tanto, ma almeno il regista ha il pregio di far recitare tutti gli artisti in maniera credibile.

Caloroso successo per tutti gli artisti con punte di trionfo per Villazón e la Domashenko. Applausi ritmati per Barenboim salutato dall’entusiasmo del pubblico al suo apparire in scena con tutta l’orchestra schierata.




6 commenti:

scattare ha detto...

@Frau Brandt: Il titolo di oggi mi ha fatto letteralmente fare una sghignazzata a voce alta da svegliare i vicini di casa! Brillantissima l'idea!
Riservo altre parole per il "dopo Scala"...
A dopo.

justsmile ha detto...

Ieri Manin sul Corriere (della Sera) ha scritto "Kaufmann, voce di velluto...". Ma, stanno cercando guai?
Finché ne parlano di "fisico prestante" posso capire ma almeno dire "con voce interessante" (anche se non sarei d'accordo nemmeno su questo, però una giornalista deve pur parlare bene, visto che è pagata per ciò!).
Forse la Sig.a Manin si riferisce alla definizione "wikipedica" della parola: "presenta sulla faccia del dritto un fitto pelo".
D'accordo sul titolo della Frau Brandt - ECCEZIONALE!

mozart2006 ha detto...

Ero presente a Berlino e concordo in linea di massima con i vostro giudizi. Posso solo aggiungere che la voce di Villazon dal vivo suonava anche piú sforzata che in tv.

justsmile ha detto...

@ mozart2006: Crede davvero che tutto quello che è registrato "dal vivo" sia davvero tutto rigorosamente "dal vivo"???
Ci sono poi correzioni, fatte a dovere, per ingannare la memoria di chi poteva avere qualche dubbio.
Il "dal vivo" che poteva essere una Gencer, Callas, Tebaldi, ecc... quello sì che è un vero "dal vivo"!

Marianne Brandt ha detto...

:-D vi ringrazio per gli apprezzamenti riguardo al titolo e grazie per aver letto l'articolo preparatorio a ciò che potremmo sentire questo tardo pomeriggio.
Io assisterò dal cinema sperando che la direzione sia un pò più vivace che a Berlino.
Buona giornata e buon ascolto della prima.

Marianne Brandt

mozart2006 ha detto...

@justsmile.
Certo che lo so. Le posso citare anche quello che per me è il caso più eclatante:il Don Carlo scaligero diretto da Muti. Chi ha visto le recite puó facilmente accorgersi che almeno due terzi di quello che si ascolta e vede nel DVD è stato rifatto.
Per il resto, posso solo dire che per me la Carmen di Berlino era interessante, come del resto l´autrice dell´articolo lascia intendere. Vedremo stasera...