martedì 30 marzo 2010

Mese verdiano XX: Son giunta! Nona puntata: Grace Bumbry, Susan Dunn e Maria Chiara

Grace Melzia Bumbry da St. Louis mezzosoprano, sin dal debutto tentata di essere soprano e poi ancora mezzosoprano nella propria straordinaria carriera di artista ha fatto di tutto per farsi a pezzi la voce. E siccome canta tuttora nonostante gli sforzi ha fallito tale recondito scopo. In compenso pencolando fra il soprano ed il mezzo ha sortito risultati artistici che ne fanno una grande cantante e prima ancora una artista irripetibile.

Anche quando in alto arrivavano le urla e gli strilli dovuti non già al possesso della singola nota (la storia del canto è piena di mezzosoprani che disponevano di si nat e do ben più facili di quelli dei soprani) ma alla difficoltà di reggere la schietta tessitura sopranile la Bumbry sapeva perfettamente trovare l’accento ed il colore giusto della voce. Voce che non era tanta (ricordo un’Amneris scaligera più risolta con l’accento che con il volume) e neppure bellissima, ma particolare per timbro e femminilissima. Di una femminilità opposta alla Tebaldi ovvero aggressiva e di dichiarato sapore erotico.
Quindi abbiamo una donna Leonora che arriva al convento sostenuta da un animoso accompagnamento orchestrale, animosa a sua volta nonostante in basso la voce sia poco ampia ed in alto diciamo sopra il sol acuto (ma talvolta anche sul fa) compaiano suoni duri e spinti. Siccome la scrittura occhieggia al soprano Falcon i problemi sono minori rispetto agli approcci con Aida. E’ una Leonora di Calatrava animosa e aggressiva. Basta sentire le frasi del recitativo. Lo stesso accade nell’aria dove la Bumbry segue gli schemi interpretativi dei cosiddetti soprani di forza per cui se da un lato tralascia certe forcelle riesce, pur con i limiti del timbro, ad essere varia nell’accento. Le frasi “dell’organo i concenti etc” suonano ben differenti della travolgente chiusa “non mi lasciar soccorrimi” sino al “deh non m’abbandonar” dove il la diesis è un po’ tirato ma ripaga la tensione drammatica. E poi senza indulgere ad effetti da Mimì al convento nelle implorazioni finali riesce ad essere dolce e castigata.
Stranamente nelle battute di conversazione con fra’ Melitone la Bumbry emette suoni un po’ aperti al centro per simulare spavento e ansia. Poi sulle frasette “ma s'ei mi respingesse”, “fama pietoso il dice” è dolcissima e dolente. Ovvero fraseggia e rispetta perfino il “ppp” sul fa diesis acuto di “vergin m’assisti”.
All’incipit del duetto con il Guardiano prevale lo slancio e la tensione nella linea tradizionale ed inoppugnabile della donna disperata; ogni tanto (“all’inferno vi chiede”) compaiono anche suoni un po’ aperti e nasali. Quando arriva il racconto allucinato di donna Leonora, che rammenta la apparizione del padre la Bumbry monta in cattedra. In ogni frase impercettibilmente aumenta il volume, ma arrivata al “ di mio padre l’ombra innante” amplifica il pp previsto da Verdi solo su “padre” con un piano sull’intera frase. Tenuto conto dell’età e della carriera il si nat della “sua figlia a maledir” è, dopo un attacco non perfetto, sfolgorante. Pure sfolgorante la frase “Darmi a Dio”, che introduce la ripetizione della sezione. Inoltre la Bumbry è rispettosissima dei segni di accento rendendo il senso dell’ansia (di redenzione, di pentimento) che anima il personaggio.
Nell’invettiva "Se voi scacciate” qualche suono in basso suona aperto e l’accento può essere enfatico, ma nella zona centrale della voce la Bumbry ha uno slancio ed un mordente veramente trascinanti e al tempo stesso smorza a meraviglia il “mi toglierà”. Come pure sul “bontà divina” la Bumbry esegue una smorzatura. Effetto che se non mi sbaglio sfoggiava anche Anita Cerquetti.
In compenso nella sezione conclusiva la Bumbry esibisce uno dei suoi incidenti di percorso ossia si blocca prima di emettere il la acuto di “grazie” e neppure la coda del duetto è sotto il profilo vocale indenne da acuti un po’ sbiancati e spinti. Ovvio che le cose vadano meglio nella scrittura centrale della preghiera, salvo, per essere precisi un sol acuto non emesso bene, ma l’accento è quello della dolente e la voce riesce anche a sembrare bella e dolce. Caratteristiche che proprio non erano le salienti della grande Bumbry.

Alla metà degli anni ‘80 comparve a Bologna una ragazzona americana, Susan Dunn, classificata voce di soprano lirico spinto o addirittura drammatico. Dopo la parte di soprano della Messa da requiem affrontò quella ardua della duchessa Elena dei Vespri siciliani, in entrambi i casi sotto la guida di Riccardo Chailly e con grande successo. Successo che non si ripetè identico nell’aprile 1986 allorché la giovane ragazzona vestì i panni di Aida nell’omonima opera di Verdi. Dopo una Giovanna d’Arco sempre a Bologna non si ebbe in Italia e nel mondo più notizia. Rimangono poche documentazioni di quella che era una voce bellissima, di discreto volume e discreta capacità nell’esecuzione del canto di agilità senza essere un vero soprano spinto o quanto meno un soprano da Verdi.
Alla fine dell’ascolto qui proposto l’ascoltatore si renderà ben conto che il colore e l’accento sono quelli di Mimì o Butterfly, ruoli che la complessione del soprano e l’imperante impero della regia vietavano. Sarebbe stata più soprano drammatico in Donizetti e Bellini. Non per nulla Rodolfo Celletti l’aveva pensata protagonista di Maria di Rohan, che, sia detto, è scritta per la Tadolini e rimaneggiata per la Grisi, una delle meno drammatiche del compositore bergamasco.
Sempre alla fine dell’ascolto sarà evidente come, nonostante bel timbro e musicalità, la Stella, la Ligabue, senza disporre dei mezzi sontuosi e straordinari della Tebaldi e della Cerquetti, rispondano meglio al concetto di canto ed accento verdiano.
Sin dalle prime battute “Son giunta” è chiaro che la cantante deve spingere per trovare il volume e l’ampiezza del soprano da Verdi. Canta bene e senza scomporsi tutte le frasi contro basse che precedono l’Allegro assai moderato, ma arrivata al “ff” sul fa diesis di “ciel" non realizza quanto richiesto da Verdi. Per forza, stava già cantando forte! Come il fatto di cantare forte o quasi rende un poco fibroso e spinto il si nat della chiusa del recitativo. L’aria è staccata a tempo sostenuto, non sentiamo un suono brutto in tutta l’esecuzione, ma tutte le forcelle previste sono dimenticate per una dinamica che sta sul mezzo forte. Quel che è strano per un soprano lirico è che la stessa non rispetti, ad esempio, il piano sul sol di “in queste solitudini”. Insomma una esecuzione molto piatta. La piattezza in Verdi è un lusso che possono permettersi voci assolutamente privilegiate per volume e colore tipo Ponselle o Tebaldi. Quando, poi, la Dunn tenta l’esecuzione di due forcelle, esattamente quella sul “pietà, pietà di me” e quella successiva “come incenso ascendono a Dio sui firmamenti”, inserisce un’antiestetica ripresa di fiato, che rovina l’effetto previsto dall’autore. A bilanciare la piattezza di fondo compaiono qualche colore su “pietà di me Signor”, che precede il coro dei conventuali, e il dolcissimo “pietà Signor” che chiude la sezione.
Nell’incontro con il padre Guardiano la Dunn canta. Nel senso che si limita a cantare con voce bella, eccellente dizione, i si naturali sistematicamente fissi e calanti. Si potrebbe facilmente dire che quelli della Cerquetti o della Tebaldi fossero peggio. Può anche darsi, ma anche il timbro, l’accento erano ben altro. Inoltre la Dunn non si inventa nulla come accento ossia non è né spaventata né attonita come voci reputate non verdiane quali la Ligabue o la Kabaiwanska sapevano essere. Ripeto canta ed evidenzia come la parte sia ben al di sopra delle sue possibilità. Per altro fu questa la stessa opinione dell’Aida scaligera dove la Dunn prese con un fiato ed acciaccatura il do dei cieli azzurri. Nemmeno fosse stato un mi bemolle!
Il primo momento di accento è la frasetta ”salvati all’ombra”, accento compromesso dalla fatica di cantare l’omofonia piano e con un bel fiato abusivo. Inoltre pur non emettendo suoni brutti gli attacchi in zona grave sui re o sui do bassi non sono certo facili e raggianti. Ovvio che un soprano da Boheme esegua bene il morendo della chiusa sul passaggio sol-fa acuto.
E siamo alla chiusa del duetto. La Dunn attacca come un buon soprano che maneggiasse le “Arpe angeliche”. Poi arriva il forte di “plaudite o cori angelici" che prevede un “f” ovvero che il soprano in attesa di monacarsi abbia uno slancio, un impeto che renda al pubblico pentimento e conversione. Invece non accade nulla. La Dunn continua a cantare bene, salvo gli acuti che sono fissi e con problemi di intonazione.
Ovvio che l’esecuzione della Vergine degli Angeli sia facile, dolce e lirica. Ma volete mettere il timbro sontuoso e di autentica peccatrice redenta che sfoggia, tenuta a freno dalla scrittura vocale e dalla situazione drammatica la signora Maria Caniglia.
Siamo nella più completa declinazione del Verdi liricizzato.
Non preannuncio niente, ma come chiusura di “ciclo” ci saranno stralci di Donne Leonore, di cui non disponiamo e che non hanno affrontato l’opera. Almeno un paio, le solite, poi qualcuno commenterà, declinano un Verdi cantato a regola d’arte, ma con l’accento che compete al soprano da Verdi. Non ad una bella Mimì desiderosa di un “miniritiro” nell’approssimarsi della prima Comunione.

Nel 1989 fu Maria Chiara a rivestire i menzogneri panni virili della reietta dama di Vargas. All’epoca Maria Chiara era sulla cinquantina e calcava le scene da poco meno di venticinque anni. Non era il soprano drammatico richiesto dal ruolo e una parte cospicua della critica le rimproverava (non infondatamente) di non essere un’interprete ispirata e neppure una grande fraseggiatrice. A ciò si aggiunga lo scenario dell’Arena di Verona, luogo notoriamente favorevole propizio alle voci, specie in un’era che ignorava la microfonazione silente, della quale abbiamo oggi tanti “begli” esempi.
Nel recitativo d’entrata si percepisce soprattutto la fatica nel sostenere una tessitura bassa con improvvise impennate in fascia acuta. La cantante sceglie di enfatizzare il registro di petto, con il risultato di rendere un poco grottesche le frasi più tese (“del sangue di mio padre intrisa”) e di produrre, nel registro medio-alto, suoni malfermi (il si naturale che precede “non reggo a tant’ambascia”). All’attacco dell’arioso “Madre pietosa vergine”, complice la scrittura centrale e il tono maggiormente raccolto, la cantante riesce a reggere (quasi) senza fatica le lunghe frasi della scrittura verdiana, rispettando le indicazioni dinamiche e aggiungendone di proprie (il morendo su “perdona al mio PECCATO”, una frasetta che è tutta una poetica di contrizione e ipocrisia cattolica). All’attacco del grandioso passaggio “Deh non m’abbandonare” latita la “passione” prescritta dall’autore e i fiati non sono di congrua lunghezza, ma il tono dimesso e la bellezza della voce rendono comunque giustizia al personaggio, più che mai debole e in balia degli eventi. Discreto il la diesis acuto, specie per una voce che non ha mai brillato in questa fascia; qualche difficoltà emerge semmai sul fa diesis 4 di “non ricuserà, no”. Quando Leonora ode il canto interno dei frati si ripresentano difficoltà sui fa diesis 3 ribattuti (la Chiara scenderà meglio nelle ultime battute del brano), mentre la frase successiva è esemplare per morbidezza di emissione e per la smorzatura su “come incenso ascendono a DIO sui firmamenti”, spettacolare almeno quanto la filatura sul si centrale che chiude la pagina e che la cantante sostiene lungo il postludio orchestrale, guadagnandosi il meritato applauso del pubblico. Altra frase esemplare per puntualità d’accento “e l’oserò a quest’ora?”, in cui a esprimersi, più che la disperata pellegrina, è la nobildonna iberica preoccupata del proprio, ahilei fatalmente compromesso, buon nome.
Nobildonna ancora ben presente nel dialogo con frate Melitone, un caricato Domenico Trimarchi, efficace soprattutto in contrapposizione con una così sorvegliata e un poco arcigna protagonista.
Al duetto con il Padre Guardiano di Roberto Scandiuzzi (vera e robusta voce di basso, forse una delle ultime udite in questo ruolo, ma dall’emissione piuttosto sgraziata e interprete tutt’altro che vario e fantasioso) Leonora attacca con fatica le prime battute, di scrittura assai grave, “Infelice, delusa, reietta”, per ritrovare contegno e rotondità di suono a “che nel pianto prostratavi al piede”. La voce suona vuota all’attacco “Più tranquilla l’alma sento”, ma si rianima presto e si fa quasi vibrante alle parole “dei fantasmi lo spavento”. Nelle frasi seguenti il registro basso è più controllato rispetto all’incipit e nella salita all’acuto, sempre impietosa nello svelare eventuali “scalini” nella voce, la cantante riesce a mantenere l’emissione omogenea, almeno fino al la nat, perché il si acuto è maldestramente gridacchiato. Le frasi “a due” sono rette dalla Chiara con grande facilità, la voce è luminosa e dolcissima, il legato di alta qualità, anche se l’eloquenza è in debito di solennità e più pucciniana che autenticamente verdiana. Sempre problematici i si nat, decisamente fissi.
L’Andante mosso “Se voi scacciate questa pentita” ripropone le difficoltà nella gestione del registro grave, anche se stavolta la cantante riesce a controllarsi un poco di più e a chiudere con bello sfumato la non certo agevole frase “e fin le belve ne avran pietà”. La frase “Salvati all’ombra di questa croce” è resa, come indicato dal compositore, “sottovoce” ma risulta carente di quel mistero davvero soprannaturale che sapeva infonderle una cantante, di solito ritenuta poco espressiva, quale Maria Caniglia. Il cantabile “E’ questo il porto” vede la Chiara sfoggiare ancora una volta le proprie risorse migliori, a onta di la acuti un poco tirati (il migliore è quello che chiude la pagina), e ancora più favorevole al soprano è la chiusa del duetto “Tua grazia, o Dio, sorride alla rejetta”, in cui, se latita l’accento scolpito, la voce sfoggia una tale rotondità e lucentezza da risultare perfetta per la trasognata e “pentita” Leonora. Parte del merito spetta al direttore, Anton Guadagno, che agevola la cantante controllando scrupolosamente il volume orchestrale e omettendo una parte delle battute conclusive. Per inciso in tutto il quadro il maestro Guadagno, senza essere un virtuoso della bacchetta, sa bilanciare limiti e potenzialità degli interpreti (segnatamente della primadonna) rispettando il dettato dell’autore e soprattutto la cosiddetta tinta verdiana, indulgendo ad effetti un poco pacchiani solo nella Maledizione corale, comunque di grande effetto.
Per la Vergine degli Angeli non sono necessari commenti. Basta sentire come il pubblico areniano ne chieda a gran voce la ripetizione, ottenendola.

A cura di Domenico Donzelli, Gilbert-Louis Duprez, Antonio Tamburini



Gli ascolti

Verdi - La forza del destino


Atto II

Son giunta!...Madre, pietosa Vergine...Chi siete?...Più tranquilla l'alma sento...Se voi scacciate questa pentita...Sull'alba il piede all'eremo...Il santo nome di Dio Signore...La Vergine degli Angeli

1983 - Grace Bumbry (con Nicolai Ghiaurov & Enrico Fissore - dir. James Levine - Met, New York)

1988 - Susan Dunn (con Dimitri Kavrakos & Enrico Fissore - dir. James Conlon - Lyric Opera, Chicago)

1989 - Maria Chiara (con Roberto Scandiuzzi & Domenico Trimarchi - dir. Anton Guadagno - Arena di Verona)


16 commenti:

stecca ha detto...

Allora sia la Dunn sia la Chiara le vidi e sentii nelle edizioni citate e debbo dire che come spesso capita quando scrive la sempre ispirata penna del Donzelli la recensione supera il ricordo diretto che ho di queste due performance, quanto alla Bumbry, straordinaria artista ne convengo ammetto di non amare molto le sue sortite sopranili e che in particolare tra queste la Leonora è una di quelle che mi piacciono meno, sulle Tucci e Ligabue e altre citate in precedenza già dissi che eravamo ben lontani dai miracoli e che di onesto e per carità apprezzabile (e ben venga coi tempi che corrono) professionismo si trattava, morale della fiaba le grandi Leonore del dopoguerra a Dio (o ad altri) piacendo restano quelle che si contano sulle dita di una mano sola e per giunta mozzata e sono le solite seppur per diversi motivi Tebaldi, Cerquetti, Price e Caballé cui aggiungerei la solita immensa Callas in disco perchè è pur sempre la Callas, meno memorabili e ancora per diversi motivi le pur grandissime artiste Gencer, Scotto e Freni, cmq lodevole la storia a puntate purchè si continui a distinguere tra grande e magari anche eccellente cantante e somma artista fatto che non necessariamnete coincide appieno con la analisi delle singole e pure importanti note...altrimenti gente come la Devia o la stessa Freni sarebbero stati i più grandi soprani del secolo il che con tutto l'amore del mondo per costoro...non è.

Antonio Tamburini ha detto...

Caro stecca,
ma guarda che manca ancora un'ultima puntata. La storia dell'interpretazione del titolo verdiano mica finisce con il 1989! Nell'ultima puntata (che credo diventerà le ultime due puntate) parleremo delle "contemporanee".......
Ci sarà tempo per fare i bilanci, che tanto ti piacciono.

stecca ha detto...

Dopo a me pare non sia arrivata nessuna Leonora degna di storia per quel che ne so, ma attendo con trepidazone...

Velluti ha detto...

Non credo che si possa annoverare la Caballè tra le grandi Leonore di Vargas della storia; vedrei in pole position primariamente, e su tutte davvero, la Tebaldi, la quale si staglia nella storia dell'intepretazione di questo personaggio in maniera oserei dire stratosferica, seguita dalla Price e anticipata, almeno in alcune cose, dalla grandissima Arangi Lombardi.

Direi che la Callas rappresenta un esperimento interessante, ma - non ostante tutto l'amore che porto per la Maria - di certo Leonora di Vargas non era il "suo" personaggio. A ciò si uniscano notevoli problemi per la Callas a gestire la tessitura della donna Leonora, con oscillazioni che non sempre l'espressività riesce a redimere. Per quanto concerne la Caballè, la sua esecuzione scaligera contiene cose molto interessanti (una Vergine degli angeli di miracolosa purezza), ma anche cadute di tono davvero disarmanti (come dimenticare l'orrore di certi suonacci di petto nella scena dell'ingresso al convento?)... Eh, si! La Montsy ha abituato i suoi fans più sfegatati a soprassedere su certe sua cadute di dubbio gusto... Ma ciò non vuol dire che queste siano ugualmente digeribili per l'universo mondo.

Per quanto concerne la Tucci e la Stella, è innegabile che le due reggano la parte, dal punto di vista vocale, senza il minimo sforzo e la minima difficoltà (al confronto Callas e Caballè, in questo ruolo, stanno inevitabilmente alle loro spalle). Che poi non siano delle maghe dell'espressività questo è certo. Ma è altrettanto certo che la loro sicurezza tecnica e vocale le rende capaci di rispettare completamente il dettato musicale verdiano così come presente sulla "carta" (senza patteggiamenti, il quasi perenne mezzo forte della Caballè, e senza lambiccamenti a volte cervellotici, la Callas e, successivamente, la Scotto).

Assodato questo si può iniziare a disquisire di gusti (ma spesso, mi duole dirlo, tale ulteriore stadio è molto d'appresso alla proverbiale aria fritta!).

stecca ha detto...

Secondo me caro Velluti è più "aria fritta" tentare di dimostrare che Tucci e Stella siano da preferire a Callas, Caballé e Scotto anzi più che aria fritta è aria inutile...facciamo così per essere contenti entrambi: io mi sacrifico e mi tengo Callas, Caballè e Scotto tutta la vita e ti lascio con grande piacere ed altruismo Tucci e Stella e come canta Don Giovanni "lieti saremo"...

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Beh, premesso che la Caballè con certa vocalità verdiana (tra cui la Leonora della Forza) non c'entra semplicemente un tubo e i risultati si sentono (totale impaccio nei brani di maggior spessore drammatico, quando il canto è chiamato a reggere la frase, a bucare l'orchestra e a spiccare nei concertati) e che non si può risolvere ogni ruolo con la corda patetica e con 4 filatini in pianissimo (salvo poi sbracare nel resto); premesso che la Leonora della Callas resta una delle sue interpretazioni peggiori e che solo certa vedovile assuefazione continua a ritenere superba; continuo a ritenere - come dice giustamente Velluti - la Leonora della Tebaldi e della Price due modelli inarrivabili (diversi ma entrambi di riferimento). Quindi, caro Stecca, ti lascio volentieri la Callas, la Caballè (mai mi permetterei di sottrartela) e pure la Scotto... Mi tengo la Stella e la Tucci, e la loro sostanza.

pasquale ha detto...

un confronto "son giunta grazie o Dio"


Montserrat Caballe
http://www.youtube.com/watch?v=X9HRbPVOxaw

Anita Cequetti
http://www.youtube.com/watch?v=hHmszTLegDQ

basta poco per sentire che la vocalità della Cerquetti è piu adatto al personaggio (per me)
perchè è un vero soprano drammatico

stecca ha detto...

e poi non avrei voluto entrare nello stesso territorio di alcuni di voi qui perchè lo ritengo un approccio sbagliato per valutare la complessità di una artista ma se dobbiamo passare le varie citate al microscopio alla Velluti allora cosiccome (e chi lo nega ?) egli trova penalizzanti i suonacci in basso della Montse (e non Montsy !!!) si potrebbe replicare che altrettanto inadeguato è il registro grave della somma Price la quale viceversa esibisce un registro acuto sfolgorante ma allora anche la grande Tebaldi ad onta di un medium straordinario emette suoni dal la bemolle in su di incredibile fissità (un pò anche la Cerquetti volendo) e che infine la divina Callas mostra qualche limite proprio in quel medium terra di elezione della Tebaldi etc. etc. ma non è questo il criterio secondo me e quindi non lo uso e infatti scrissi prima che Tebaldi, Cerquetti, Callas e Price restano insieme alla Montserrat (quella Forza scaligera viene sempre citata da chi c'era allorchè si richiede ricorda uno spettacolo memorabile cui assistito e qualcosa vorrà pur dire...) le grandi Leonore del dopoguerra e non le varie Tucci, Stelle, Chiare et similia e questo era il senso del mio post, se poi il "coro" (donizettiano) del blog coglie la ennesima occasione per ribadire che qui non si ama la caballé faccia pure e ci mancherebbe ma le grandi restano quelle arie fritte o lesse. Sulla Arangi non mi pronuncio perchè oltre alla vivisezione delle note non condivido neppure i paragoni tra voci sentite e voci...microsolcate a 78 giri se non come divertissment. Ah attendo l'ultima puntata immagino si parlerà delle varie Millo, Urmane etc. insomma nulla in grado di scalzare le 5 citate temo...

Giulia Grisi ha detto...

CAro Davide,
hai dimenticato la Ligabue.
CAntante non di serie A ufficialmente, ma di seri aAissima invece, che la tua Montse se la fa a pezzi in due frasi.
Dai, sulla Leonora la Caballè è perdente in molti casi perchè era sgangheratissima......
Non sostenere l'insostenibile.

Marianne Brandt ha detto...

Scusate, ma la Scotto ha interpretato mai dal vivo "Forza del destino"? Oppure ha cantato solo le arie? Perchè a me non risulta questo ruolo nel suo repertorio!

Per me le Leonore per eccellenza sono:
Tebaldi-Price-Cerquetti, subito dopo troviamo Arroyo, Stella, Ligabue, Kabaivanska, Caniglia, Dimitrova.
La Callas purtroppo in questo ruolo non mi ha mai convinta.
Non la trovo inarrivabile, non la trovo immedesimata, si è la Callas, ma se voglio sentirla non metto di sicuro la "Forza".
La Caballè non mi dispiace sinceramente.
Nel video scaligero (con l'allestimento che somiglia ad un presepe) in basso è effettivamente molto sfasciata, in alto non è un fulmine, però ha delle raffinatezze, degli accenti, delle intuizioni che me la fanno piacere e me la rendono credibile.

E' bello sentire le voci della Bumbry, della Dunn (un ricordo doveroso) e della sempre luminosa Chiara.
Grandi artiste, sempre!

Marianne Brandt

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Infatti il problema non è la solita classifica o il confronto delle carriere: è un discorso sbagliato e fuorviante, ma molto frequente, purtroppo, così che si raffronta l'irraffrontabile al solo scopo di confondere le acque e favorire l'approssimazione. In termini assoluti nessuno si sogna di dire che la Tucci sia stata cantante più grande della Callas (ma poi che vuol dire "grande"? E quanto c'entrano gli aspetti mediatici in tali considerazioni? La Callas sarebbe stata la "Callas" senza gossip, senza favole, senza Onassis e senza il circo che si è costruita attorno?). Ma entrando nel singolo ruolo allora le cose cambiano, i discorsi si fanno circostanziati e le classifiche non servono a nulla(le top ten lasciamole al pop per cortesia...non hanno senso qui). Può accadere che la Leonora della Ligabue (o della Stella, o della Tucci) sia incommensurabilmente meglio di quella della Caballè... Quanto agli esempi riportati da Stecca, che dire, mi sembrano i soliti ricalchi dell'ingombrante volume di Giudici: la Tebaldi fissa e matronale, il registro basso della Price "fumoso", etc... Mi spiace, ma non è aria fritta circoscrivere il giudizio di un'interprete al singolo ruolo, giacchè proprio su quello va fatto il confronto: aria fritta è la solita sbrodolata di retorica, di emozioni. di affetti, di soprani più o meno assoluti. Quando critico la Leonora della Caballè non me ne frega un tubo che sia una grande cantante (o una "somma artista"), se la sua esibizione è censurabile non vedo perchè salvarla...in virtù di cosa? Del nome? Della fiducia? O della fede?

pasquale ha detto...

mi dispiace Marianne ma sulla Caballè non so d'accordo dici ", in alto non è un fulmine, però ha delle raffinatezze, degli accenti, delle intuizioni che me la fanno piacere e me la rendono credibile".
ma dove le senti queste intuizioni,e raffinatezze,e poi gli accenti,ascolta il video che ho postato nel commento precedente.Poi nel ruolo di Leonora un soprano adatto a questo repertorio non ha bisogno di trucchi,per rendersi più credibile,la Caballè,è molto meglio in altri repertori.

Marianne Brandt ha detto...

Pasquale, il "Son giunta della Caballè" è penoso perchè per il 70% è praticamente "parlato" e non c'è Stecca che tenga ^_^ e qui siamo d'accordo, in più gli acuti sono legnosi e rigidi.
Nel I e IV atto in cui il tono deve essere patetico e sommesso, il canto più spianato (tacciamo sulle sciabolate acute) la Caballè, malgrado tutti gli artifici e tutti i difetti, ha quelle intuizioni patetiche, dolcissime, molto femminili, che non mi lasciano indifferente.
Sono d'accordo che non sia nel suo terreno d'elezione e qualunque altra la possa surclassare (la Kabaivanska ad esempio ne fa un miracolo!), però QUELLA Caballè non mi dispiace.

Marianne Brandt

Domenico Donzelli ha detto...

perdonate la ripetizione, ma stecca, che da sempre origine a queste discussioni è assolutamente ripetitivo.
Ascoltata, riascoltata ed ascoltata ancora sino alla nausea la senora Caballè scelte di cantare Verdi perchè Verdi rendeva e tirava, assai più di un Donizetti o di un Bellini.
Anche cantanti come Leyla Gencer e Marylin Horne hanno cantato Verdi. E quanto alla prima le venne assai meglio, per non dire a livelli insuperabili, la Leonora di Trovatore o la Contarini che non Amelia del Ballo.
Probabilmente si fosse fermata ai Vespri certi limiti, che erano tecnici e non vocali, perchè quanto a penetrazione e volume la Caballè era sufficiente,non avrebbe collezionato le figure, che ha collezionato.
Mi spiace Davide, ma bisogna essere obnubilati dalla fede incondizionata e dall'amore più cieco, per non sentire le urla in alto e le svaccate in basso della Caballe post 1977. Al confronto Eugenia Burzio (che dubito ti sia nota per un ascolto)è una gelida e compita virtuosa e indicutibilmente un'interprete, mentra madama, anzi madonna piazza alla......azzo quattro filatini e due pianini. E' solo miseria, la nobiltà (cui sino al 1976 ho assistito) era andata da tempo.
saluti dd


PS tanto per propiziare la polemica nel presente sono comprese anche calcatrici di scena con cui dividi gli oneri (e gli onori!!!) di face book.

Velluti ha detto...

Caro Stecca, preferisco non commentare la tua infelice battuta sul "coro", dato che non mi sento parte di nessun coro... Sarà forse la deformazione di chi è invece parte integrante di cori telematici (o pollai, per citare una recente metafora che, almeno in questo caso, torna utile) che porta a simili valutazioni... Non so... Resta che il mio giudizio vuole rimanere circoscritto al ruolo di donna Leonora, nel quale trovo la Stella e la Tucci cantanti che dominano perfettamente, oggettivamente parlando, il ruolo, più della Caballè e della Callas... Sulla Tebaldi posso concedere che qualche acuto nel 58 non sia perfetto (ma non nel 53... Lì è perfetta), mentre sulla Price non so che dirti (nell'incisione Schippers quella "fumosità" nei gravi, per parafrasare te, ma soprattutto Gudici, io la trovo di un fascino assoluto).

Non capisco questo cosa tolga alla grandezza di Maria e di Montserrat, cantanti che in altri ruoli adoro sommamente.

Per quanto concerne la Arangi Lombardi, ti consiglio (ma è solo un consiglio!) di ascoltare la sua Aida e la sua Gioconda, e troverai, forse, anzi lo spero per te, delle piacevoli sorprese (forse qualcuna che riesce a stare a fianco, se non più su, della Caballè nell'esecuzione della romanza del III atto di Aida!). Non capisco perchè questo significa togliere qualcosa alla Caballè... Non potrebbe invece essere un'occasione per una comprensione non dogmatica della "storia" del canto lirico?

A me sembra che tu, ma soprattutto Giudici, che so aver presentato il tuo bel libro sulla Caballè a Milano, siate vittime di una visione realmente evoluzionistica della storia del canto lirico (Freni, Giudici [contento lui!], Caballè, tu...). E, come si sa, l'evoluzionismo impedisce di comprendere realmente la complessità di un periodo storico.

Domenico Donzelli ha detto...

caro velluti,
splendido intervento che ho pubblicato con piacere e condivido in ogni dettaglio.
ad un vecchio frequentatore di teatro sia consentito rilevare che cantanti come la Flagstad, la Cerquetti o la povera signora Arangi-Lombardi, comesentii dire nel ridotto dei palchi della Scala da Ebe Stignani nel febbraio 1974, non hanno alle spalle le mayor del disco, come non le hanno mai avute le divine Madga e Leyla.
ciao dd