domenica 11 luglio 2010

Il Barbiere di Siviglia alla Scala: che noia!

Poco più di un anno fa ve lo scrivemmo, nel post di commento alla stagione scaligera in corso, che il maestro Spinosi non sarebbe arrivato alla prova generale. Ci astenemmo dallo scrivere il nome del suo sostituto perché ci avrebbero accusato di andare troppo oltre, ma il melomane anziano sa abbastanza bene come gira il mondo dell’opera. E le cose sono puntualmente girate come previsto ed immaginato.Lungi da noi dal pensare alla tesi del complotto preordinato contro il maestro Spinosi, tesi che trova spazio in questi giorni su certi fori francesi, dove la new wave baroccara ha il suo più grande pubblico, ci limitiamo invece a registrare il consueto “ tempismo “ che caratterizza alcune carriere, che ormai paiono essere la sola cosa a viaggiare a tempo perfetto nel mondo dell’opera.


Il fatto che la bacchetta sostituta last minute appartenga alla medesima agenzia del signor Florez e sia figlia del Sovrintendente del ROF non è osservazione maligna del nostro sito, ma di uno dei quotidiani più grandi d’Italia. (http: //www.ilgiornale.it/milano/sciopero_baritono_chiede_danni/09-07-2010/articolo-id=459665-page=0-comments=1).
E così abbiamo finalmente registrato il debutto di Michele Mariotti a Milano, bacchetta prodigio per definizione più che per motivi oggettivi, che però non è stato in grado, su un opera di cui si dice sia grande esperto, di far “girare” la serata, ossia non farci sembrare il capolavoro di Rossini un monumento di noia e fiacchezza.
Il cast, dal canto suo, non era affatto travolgente, anzi, pochissime prove da parte dei divi, mende vocali di vario genere, e la Stella a casa, in attesa della prevista recita di lunedì, al cospetto del suo pubblico, negata a Lissner la sua doverosa presenza per la serata inaugurale. E questa è stata gran mancanza di stile e professionalità, perché due recite di Barbiere in tre giorni non sono affatto un’impresa impossibile, ma la norma dei cartelloni odierni e dei ritmi dei grandi cantanti. In situazioni di emergenza come questa soprattutto.

I dettagli

L’affaire Spinosi – Mariotti ha condizionato gli esiti della buca. Avrà anche avuto poche prove e molto da riassestare, ma l’orchestra è pur sempre quella della Scala di Milano, non un gruppo di strumentisti raccogliticci ed improvvisati, e Rossini non è Strauss o Wagner o Mahler. I signori sanno suonare, perciò certo fragore delle percussioni nell’ouverture, o certo suono secco ed acido degli archi poteva essere corretto. Si sono sentiti alcuni fuori tempo, come all’inizio dell’aria della Calunnia, o certi sfasamenti nel secondo atto, al terzetto Figaro, Rosina, Almaviva, ma poca roba a fronte della noia in cui la serata è piombata dall’entrata di Figaro in poi. Dopo un mezz’ora circa lo spettacolo ha iniziato ad avanzare con fatica, gli accompagnamenti a suonare meccanici ad onta di tutti i tentativi del giovane maestro di sfumare, smorzando e crescendo, accelerando e rallentando l’orchestra, effetti peraltro tutti uguali e ripetuti tanto spesso da risultare prevedibile. Precisione o meno, bellezza di suono o meno, il tutto aveva il sapore del compito, dell’esercizio scolastico, e mancavano vitalità, brio e soprattutto tensione dell’orchestra. Una bella pagina di A, una bella pagina di B, una bella pagina di C… costituiscono un esercizio calligrafico, ma non saranno mai un vero componimento. E noi abbiamo assistito a belle pagine di lettere ben scritte, con pulizia, che però non andavano da nessuna parte.
L’esperto maestro di Rossini, conoscitore dei dettagli del grande compositore, ha fatto sembrare il suo autore preferito prolisso, spento, poco vitale, talora anche manierato. Ma Rossini è geniale, travolgente, nevrotico, fantasioso, ironico, di un’inventiva melodica incontenibile e continua, e non produce mai, dico mai, nemmeno nelle opere minori, la sensazione che il gas esca da sotto le seggiole come ieri sera.
Sopraggiungere all’improvviso, all’ultimo minuto giustifica, certo. Ma sono cose da mestieranti e praticoni di lungo corso, che è ben altro dall’essere dei rampanti della carriera, protetti dalle mille relazioni paterne. Alla Scala si arriva fatti, e non da fare, e la si rispetta perché è il più grande teatro d’opera del mondo. Il giochino d’agenzia è lì, sotto gli occhi di tutti, e non è piaciuto per il modo in cui si è svolto ma anche e soprattutto per l’esito, e non solo a questo Corrierino, che sarà certamente incolpato della debàcle (ossia dei robusti buuu ricevuti da Mariotti) di ieri sera, ma anche a molti, numerosi abituè che hanno trovato la serata insopportabile, sebbene l’abbiano tollerata in silenzio, more solito. Il punto è che non si può spingere oltre certi limiti cantanti o direttori che non siano all’altezza della fama e della carriera che fanno: ieri sera mancava il braccio, la sicurezza, l’esperienza di raffazzonare lo spettacolo in quattro e quattr’otto, come i mestieranti di una volta facevano ogni sera. La sfumaturina non conta nulla di fronte ad uno spettacolo che non si regge in piedi!
L’entourage batterà da oggi la gran cassa dei soliti contestatori, come il maestro Spinosi batterà quella del complotto, ognuno con i propri mezzi mediatici, la stampa amica, i nicks amici etccc., ci assicureranno che la seconda è stata trionfale, anche perché arriva don Diego con il suo pubblico, ma questo Barbiere che non gira è lì da sentire…provar per credere.

Circa il cast, mi importa molto parlare della sola cantante che di questo Barbiere possegga i numeri per essere davvero una grande cantante ed un’artista, ossia la signora Di Donato.
Irriconoscibile la signora Joyce, e non solo per gli incontentabili criticoni come noi ma per i suoi stessi fans ed ammiratori! La voce si è sensibilmente ridotta in volume, il centro chioccio ed in bocca, con continui suoni nasali e tra i denti sulla lettera E, frequenti suoni ghermiti sguaiatamente in zona centrale, il registro acuto o flautato o fisso, da soprano leggero, la vocalizzazione talora addirittura imprecisa, mai di forza, talora anche aspirata. Ha retto bene la cavatina, ma non bene come alla prova generale, ma poi al duetto con Figaro, momento chiave di grande difficoltà virtuosistica, è pure comparsa l’aria nella voce; una scena della lezione tagliata ( perché?), risolta nelle gags più che col canto ( non siamo a NY ma a Milano ); poco udibile e soprattutto anche poco intonata al terzetto “Ah, qual colpo inaspettato..”.
La signora Di Donato ha abbracciato il dogma baroccaro, che è il tarlo delle voci oltre che del belcanto, ed il risultato vocale è stato questo: una Rosina artefatta, costruita, dove ogni varietà di fraseggio o intenzione interpretativa è stata “esposta”, ma non si è concretizzata in qualcosa di veramente fluido, convincente, spontaneo. Il belcanto, si sa, è razionale artefazione, costruzione intellettuale restituita al pubblico con massima spontaneità e facilità. Per queste ragioni i grandi belcantisti sanno rendere la “poetica degli affetti” con naturalezza, commuovendo o elettrizzando con la massima semplicità……apparente. La voce deve tornare ad essere manovrata con ortodossia tecnica e non imbastardita con i modi dei baroccari. Rossini, come il belcanto italiano, non sopporta l’emissione baroccara, la voce disomogenea ( una voce sotto ed una sopra, diseguali ), le agilità imprecise ( come le variazioni che facilitano la prima scrittura, con il continuo ricorso a puntature verso l’alto, l’abuso di staccati e picchettati, a discapito di quartine, terzine, trilli, volate etc.., insomma delle figurazioni più complesse ). La signora Di Donato ha variato in buona parte seguendo Marilyn Horne in “Fortunati affetti miei”, cimentandosi dunque con i grandi dell’acrobazia, ma l’esito non è stato quello che avrebbe dovuto e potuto essere perché la voce è tutta fuori posto. Urge da parte della Di Donato il ritorno al canto italiano e l’abbandono delle favole baroccare sia per la carriera, dato che la voce non è più la stessa, che per poter capitalizzare tutti i “numeri” veri che possiede, voce, personalità artistica, presenza scenica. E’ due spanne su tutte le colleghe in attività, ma di fatto non riesce a competere con le grandi maestre del belcanto pur avendone le possibilità, né a convincere.

Il Conte d’Almaviva di Lawrence Brownlee è stato viziato dal difetto capitale della voce, la mancanza di proiezione e punta. E’ garbatissimo il signor Brownlee, musicale, elegante, ma anche parecchio manierato, un po’ per gusto ( in questo è uno dei tanti epigoni di Florez ) un po’ per la natura della voce, che non ha smalto e squillo. Non so cosa si senta al Met di questa voce, sta di fatto che ieri sera era la voce più piccola in campo, per giunta al limite dell’udibile come nella scena in casa di Bartolo al primo atto. Ha cantato con grazia la serenata di ingresso, è stato in debito di volume e di accento nella scena successiva con il coro; si è cantato praticamente in solitudine il duetto con Figaro, le agilità non bellissime; ha gestito bene e correttamente il resto sino al Rondò, assai buono, eseguito però con accento sempre larmoyant. Proprio al “Cessa di più resistere” ha saputo esibire le migliori agilità della sua performance, cui purtroppo è mancato un volume di voce adeguato. Insomma, una prova corretta, che, però non può né coinvolgere né catturare, anche perché il personaggio risulta monocorde, talora esangue ed effeminato. Il limite tecnico diventa i limite del personaggio, come sempre nel belcanto.

Il Figaro del signor Vassallo non mi è piaciuto per nulla. E’ entrato cantando a squarciagola, pieno di energie, e con la tipica verve dei Figari provinciali, “vociando”, come si suol dire, in forza di un registro acuto davvero ragguardevole e squillante. La cavatina è famosa, se si canta forte si fa impressione sul pubblico meno avveduto, e la formula non cambia mai ad ogni Barbiere. Mai. Mai. Mai una volta! E Vassallo è andato in scia alla più banale ed ordinaria della prassi esecutiva rossiniana. Dalla cavatina in poi, però tutto è scemato, voce, volume, baldanza, perché il signor Vassallo non possiede il canto di agilità né la capacità di eseguire i sillabati ( disastrosi ), né l’eleganza, ossia il canto in punta di forchetta, necessari al baritono per dar vita all’intelligente, arguto e furbo Barbiere, deus ex machina della vicenda. Il signor Vassallo è parso affetto da grevità interpretativa oltre che vocale, e spiace, perché ha una dote assai considerevole. Al duetto con Almaviva al primo atto di fatto non si è sentito tanto ha dovuto alleggerire il suono per tentare di eseguire la scrittura rossiniana; al duetto con Rosina le agilità erano terribilmente imprecise ed arrabattate, e così fino alla fine. Persino al terzetto del secondo atto, la voce gli scivolava tutta indietro, nelle frasi in piano “ Dolce nodo avventurato…”.Insomma, un Figaro che non si rifugiava negli acuti, nella forzatura del suono per fare impressione, non aveva argomenti da spendere. Del resto Figaro è uno di quei ruoli perduti nella tradizione del passato e che non avremo mai il bene di sentire eseguito secondo modi che abbiano qualche attinenza con Rossini.

Il Bartolo di Bruno De Simone è stato buono, anche se smaccatamente tenorile, la voce parecchio legnosa e di gola. E’ stata di certo la voce più sonora del cast (!), e forse il personaggio che nel complesso ha maggiormente funzionato, anche perché si è astenuto da certi eccessi che affliggono solitamente il personaggio, mentre meno bene il don Basilio del signor Bretz, voce ingolatissima, acuti indietro, non all’altezza della serata e del teatro. Inoltre quando si dispone di cantanti della levatura di Giovanna Donadini la vituperata forbice di Serafin, per utilizzare la terminologia di Gossett, sarebbe veramente al servizio di Rossini e delle orecchie del pubblico.
Ancora godibile ed efficace lo spettacolo di Ponnelle, anche se modificato in tanti suoi aspetti.

Gli ascolti

Rossini - Il barbiere di Siviglia

Atto I

Ecco ridente in cielo - Tito Schipa (1926), Cesare Valletti (1957), Alfredo Kraus (1958)

Largo al factotum - Aldo Protti (1958), Sesto Bruscantini (1964), Mario Sereni (1969)

All'idea di quel metallo - Frank Guarrera & Cesare Valletti (1957), Aldo Protti & Alfredo Kraus (1958)

Una voce poco fa - Victoria de los Angeles (1962), Fiorenza Cossotto (1964), Marilyn Horne (1968)

Dunque io son - Fiorenza Cossotto & Sesto Bruscantini (1964), Teresa Berganza & Rolando Panerai (1965)

Atto II

Contro un cor - Conchita Supervía (1928), Teresa Berganza (1965)

Ah! Qual colpo inaspettato - Renata Scotto, Alfredo Kraus & Aldo Protti (1958), Marilyn Horne, Alfredo Kraus & Sesto Bruscantini (1968)

19 commenti:

Manuel Garcia ha detto...

Premesso che per quanto riguarda Mariotti concordo sull'esito complessivamente infelice della serata e che pertanto è lecito insinuare qualcosa sulle sue parentele (peraltro stranote),

1. certo è inopportuno citare come presunta fonte di attendibilità un quotidiano come il Giornale che per bassezza, volgarità, demagogia e populismo nei titoli di apertura può oggi competere - con cinquant'anni di ritardo - soltanto con l'Unità degli anni Sessanta;

2. trovo fuori posto massacrare un direttore chiamato a pochi giorni dalla prima e poi salvare - forse per spirito campanilistico -un'orchestra come quella della Scala che ha suonato ancora una volta con vergognosa sonnolenza impiegatizia una partitura che - nonostante le evidenti improvvisazioni - Mariotti ha pur tentato in qualche modo di valorizzare;

3. aggiungo che, con tutto il tempo che si ritrova davanti, è stato a dir poco imprudente per Mariotti accettare di debuttare alla Scala in simili condizioni.

Sulla DiDonato sarei andato più cauto visto l'eccezionale recente debutto nella Donna del lago e che il loggione scaligero avrà modo di apprezzare a breve.

Francesco Benucci ha detto...

c'è da chiedersi se con Spinosi sarebbe stato meglio o peggio!
la direzione è stata abbastanza pietosa: già dall'ouverture è emersa una tale confusione, un tale frastuono e disordine generale! percussioni ossessive, archi fruscianti e fastidosi, e fiati fissi! ma il peggio del peggio il tempo: non c'era un momento (neanche in quelli puramente sturmentali come l'ouverture o il temporale) in cui l'orchestra avvese un suono compatto e unito. so che è arrivato all'improvviso, ma il tempo è il tempo!!!
per il resto uno spettacolo nei limiti del godibile: non c'erano voci, tra i ruoli principali, particolarmente fastidiose all'orecchio come nel Faust, ma neppure cantanti che siano riusciti a stupire! che noia veramente!
devo dire che la regia di Ponnelle è piacevolissima e ancora godibile bnechè particolarmente datata: è stata una vera ventata di aria fresca e genuina dopo mesi e mesi di regie pietose ed incoerenti! datemi del tradizionalista, ma ben vengano regie così!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Beh, caro Garcia, il Giornale - che è e resto, aldilà delle posizioni politiche, uno dei più importanti quotidiani nazionali - racconta una storia e parla di qualcosa che probabilmente altrove manco è trattata. Io personalmente sono stufo di leggere cronache di trionfi annunciati (da parte di critici che manco erano in sala e fingono di esserci stati), o racconti di costume che fanno dubitare seriamente dell'opportunità della libertà di stampa (come tutto ciò che esce dalla penna di Lina Sotis in occasione di prime scaligere et similia). Se il Guiornale (o l'Unità o Repubblica) scrive di musica, si giudichi quel che scrive e non chi lo scrive. E' così che si dimostra di avere il libero arbitrio e di non essere condizionati dagli ordini di partito o di ideologia o di fede... Ma parliamo di opera. Francamente non leggo alcuna difesa campanilistica dell'orchestra scaligera, anzi...leggo critiche severe e giuste (ripetute non solo in occasione di questo Barbiere, ma anche in Tannhauser, Simone etc..). Il giudizio su Mariotti, infatti, è sospeso...non siamo cretini: sappiamo bene che in 3 giorni di prove, arrivando all'ultimo momento (e dopo i presumibili disastri combinati dal baroccaro - che i francesi se lo tengano, visto che gli piace tanto!), non si possono fare miracoli. Certo qualcosa si può fare...forse qualcosa di più. Arrivando all'ultimo le sbavature non si riescono ovviamente a riparare, né si riesce ad imprimere all'interpretazione quell'originalità che la rende propria del direttore chiamato a concertare. La noia, però, è cosa ben diversa. E forse da un direttore che sale sul podio scaligero - pur non chiedendogli impossibili miracoli - si pretende che almeno eviti di annoiare col Barbiere (non con il Pelleas et Melisande).
Non comprendo il tuo discorso sulla Di Donato! Solo perchè un mese fa ha trionfato (?) a Parigi allora va applaudita in eterno? Un successo è garanzia matematica di successi futuri? Una buona esibizione obbliga il pubblico ad apprezzare anche quelle cattive? No caro Garcia...questo ragionamento (comune ai plauditores e ai critici che costruiscono il consenso) è stato, è e sarà sempre per noi INACCETTABILE! La libertà di giudizio non può e non deve subire i condizionamenti di fedi, dogmi e ideologie! Così come per il Giornale: non mi importa chi canta, ma come canta....

Antonio Tamburini ha detto...

Concordo con Garcia circa la brutta figura (per usare un termine neutro) dell'orchestra scaligera (nulla di fronte a quella della sovrintendenza, che ormai per sistema "disvuol ciò che volle" e protesta e/o allontana all'ultimo gli artisti da lei stessa reclutati).

Stupisce però che una bacchetta, che ha proprio nel Barbiere il titolo di punta (se non altro per frequenza di esecuzione) del proprio repertorio e che ripete di spesso, nelle interviste, di avere in Rossini un vero "auteur de chevet", abbia con tante difficoltà condotto in porto lo spettacolo.

Antonio Tamburini ha detto...

Sull'Elena della Di Donato ci sarebbe poi la recensione del nostro Semolino e, certo ancora più "pesanti" per l'americana, gli audio che copiosi circolano, tanto da Garnier quanto da Ginevra...

Manuel Garcia ha detto...

Non stavo discutendo il merito dell'articolo del Giornale, quanto l'effettivo bisogno di portarlo a garanzia dell'autenticità della parentela di Mariotti figlio con Mariotti padre. Come se il quotidiano fosse una fonte particolarmente autorevole da un lato; come se la notizia fosse un scoop bisognoso di conferme dall'altro.

Al di là di questo, parlando di musica, sulla DiDonato penso soltanto che la vostra critica sia esageratamente negativa. C'era sicuramente nervosismo e buona parte dei difetti che riscontrate sono veri, ma la sua Rosina non è affatto stata così disastrosa. La voce è semplicemente più chiara e meno adatta a Rosina rispetto ad esempio alle recite pesaresi del 2005.
A Ginevra posso garantire che abbiamo sentito una Elena con i fiocchi. Finalmente. Con buona pace della Von Stade e della Anderson.
In più questa vocalità che talvolta indugia in fissità e non affonda i suoni, che voi chiamate baroccara, non mi pare così inadeguata alle scritture rossiniane che affronta la DiDonato. Se ne serve (serviva) anche la Kasarova con effetti a mio gusto interessanti.
La regia di Ponnelle secondo me potrebbe ancora essere decorosa, ci fosse a rivitalizzarla un regista che ne sapesse ripristinare lo spirito autentico. La Cantini ha solo meccanicamente rimontato i movimenti di quarant'anni fa, e nemmeno troppo bene visto che il più delle volte risultavano scoordinati rispetto alla musica oltreché non spontanei. Le uniche trovate riuscite erano non a caso quelle di De Simone, che però di De Simone sono e non di Ponnelle.
Concordo per Brownlee. Ha cantato in sordina tutta l'opera per poi regalare un bel "Ah il più lieto il più felice".
La direzione di Mariotti aveva qualche dettaglio interessante sparso qua e là, ma per lo più scopiazzato da Gatti e nemmeno ben riuscito viste come detto l'inerzia dell'orchestra e le poche prove.
Peccato poi per i tagli, se non sbaglio oltre a quello nella scena della lezione mancava anche la ripetizione nel duetto Figaro-Almaviva.
Spero soltanto che il camion televisivo che c'era oggi davanti al teatro non significhi che ne faranno un video.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Le fissità che pure hai riscontrato nella voce della Di Donato non solo nulla hanno a che fare con Rossini, ma non hanno a che fare con l'opera lirica punto. Da Monteverdi a Henze. Sono porcherie baroccare. E il fatto che anche la Kasarova indulga nei medesimi vizi non può certo giustificarne l'estrema scorrettezza. E poi, scusa, ma prendere ad esempio la Kasarova mi sembra un insulto.... La regia di Ponnelle non è meramente "decorosa" come affermi, ma ancora godibilissima...concordo sul fatto che dovrebee essere ripresa da registi validi e non meri fotocopiatori. Meglio però un Ponnelle mal ripreso che un Daniele Abbado o un Giancarlo Del Monaco nuovi di pacca (per citare due frequentatori di ciò che resta del ROF)

Manuel Garcia ha detto...

Meglio ancora del vecchio Ponnelle però una regia nuova ovviamente fatta senza prese in giro, magari da affidarsi ad un regista che abbia delle idee come a volta ha dimostrato Michieletto.
Per quanto riguarda le fissità non siamo proprio d'accordo né tu giustifichi in alcun modo le tue certezze.
Le note fisse non sta scritto da nessuna parte che siano un tabù. Sono strumenti della vocalità esattamente come altri. Sono il gusto del tempo e l'intelligenza dei singoli artisti a suggerire quando e come devono essere utilizzati.
Senza avere la patente di baroccari ne hanno fatto uso anche nomi come Gencer Scotto o Blake (giusto per dirne tre) che pure dovrebbero incontrare il tuo gusto.

Antonio Tamburini ha detto...

Caro Garcia, ma se il cantar fisso fosse una risorsa espressiva, e per giunta adatta allo stile rossiniano, Cecilia Gasdia sarebbe la più grande cantante rossiniana di sempre, tallonata da Lucia Aliberti...

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ma poi cosa si intende per "fissità"? Dove sarebbe il "cantar fisso" nella voce di Blake? Il "cantare fisso" dei sedicenti specialisti del barocco è l'antitesi del canto lirico (ed è contrario alle prescrizioni di tutto, dico tutti, i manuali di canto dell'epoca). L'assenza di vibrazione e di appoggio è creazione teorica dei baroccari d'accatto. I motivi delle mie certezze li ho esposti in tantissimi luoghi - qui sul blog e altrove - eviterei di ripetermi, invitandoti a leggere, ad esempio quanto scrive Semolino nell'articolo dedicato alla Norma della Bartoli (ma anche altrove). La Di Donato, peraltro, ha solo di recente virato verso questo modo di "cantare": ma dove hai mai sentito suoni fissi nel canto della Horne o della Sutherland? Io li ascolto sola dall'infausto avvento dei baroccari più sfrenati (riascoltavo l'abominevole Don Giovanni di Jacobs...). A proposito degli esempi citati da Tamburini, nel caso della Aliberti, oltre al suono fisso, va considerata la patata in bocca con cui pare cantare...
Sulla regia: il nuovo per il nuovo non ha senso! Soprattutto in tempi di "vacche magre" mi sembra doveroso valorizzare un allestimento semplicemente perfetto senza avventurarsi in costose incognite. E poi quello di Ponnelle è un Barbiere storico: dovrebbe essere tutelato dall'UNESCO! Altro che cambiato! E' un simbolo della Scala...come l'Arlecchino servitore di due padroni di Strehler è un simbolo del Piccolo Teatro: nessuno si sognerebbe di cambiarlo (e infatti lo propongono da 50 anni senza che nessuno se ne lamenti...). Il Barbiere lo fanno in tanti altri teatri: si vada altrove a vedere gli esperimenti di altri registi. Michieletto??? Ecco, un regista per il quale rinuncerei a qualsiasi spettacolo. Lo trovo quasi sempre inaccettabile: una ribollitura in salsa nostrana dell'ormai strabollito teatro di regia alla tedesca... Certo è meglio di quel "nulla condito di niente" che è un qualsiasi spettacolo di Daniele Abbado, ma non me lo auspico di certo! Quest'anno deturperà il Sigismondo del ROF (dopo la Gazza coi tubi, il Romeo et Juliette ambientato "sopra" un giradischi e l'"originalissimo" Ratto del serraglio su di un motoscafo carico di zoccole). Povero Rossini.

Francesco Benucci ha detto...

mi piacerebbe che Garcia facesse qualche esempio (magari proponendo audio o linkando video) di suoni fissi e spoggiati dei cantanti citati poco sopra. Garcia, sarei davvero curioso di sentire!!!
(mi sembra poi strano che lei abbia scelto un nome così importante se poi dice tutto il contrario di quanto il grande cantante spagnolo ci ha tramandato!)

DavideC ha detto...

Scusasate se mi intrometto, ma colgo l'ccasione per fare un'ooservazione personalissima sulle regie d'opera. Anche se dal vivo ne ho viste ben poche, molte però sono riuscito a visionarle tramite divx, sia datate che recenti... Sarà dovuto al fatto che sono cresciuto a pane e cinema, ma ne ho trovate ben poche di decenti, anche tra quelle di maggior successo. Troppa fissità degli attori (capisco che diventerebbero matti a recitare e cantare in moviemento, ma i cori e i fiuguranti si potrebbero sfruttare meglio), scarsa pertinenza tra la musica e ciò che si vede... Un esmpio stupidissimo: i duelli. Ci sono nel repertorio bellissime scene di duello o preparazione alla battaglia (le mie preferite "Ah sole più ratto" nella Lucia, "Suoni la tromba intrepido", "Oh tremenda gelosia" nella Maria di Rudenz", "Vendetta", "Di geloso amor sprezzato", e un'infinità...), dovrebbe essere una scena da alto climax, un furore crescente, spade sguainate, occhi di "bragia" dei contendenti,... invece mai nienete di tutto questo. Sembrano sempre dei pesci lessi che invece che alla guerra sembrano andare al campeggio (e.g. Merritt e Blake ne La donna del lago). L'unico belllisimo nel Trovatore Domingo vs Cappuccilli. Avete presente? Mentre la musica sale e impazzano le ultime battute, i due si allontanano e attraverso un velo di piante e arboscelli i due se sfidano a singolar tenzone, Karajan solleva la bacchetta con foga e il sipario si chiude col rullo di timpani... Questo sì che è teatro! O sbaglio? E poi certe idee puerili tipo un paio di elefantiache forbici che scendono durante la cavatina di figaro... Puah...

Manuel Garcia ha detto...

Io mi ricordo bene (e il mio registratore pure) i suoni fissi della DiDonato anche nell'Adina del 2003...e fu splendida.
Comunque al di là di questo per rispondere a Tamburini devo dire che la Gasdia dei ruoli Colbran è stata un'interprete interessante... La Aliberti invece non c'entra proprio niente con Rossini con quel modo di cantare artefatto e caricaturale.
La Horne e la Sutherland sinceramente non so perché le tirate fuori a proposito di suoni fissi visto che non ne hanno mai emesso mezzo (specie l'australiana).
Blake nel repertorio francese di suoni fissi o di emissioni particolari ne usava spesso, basta sentire il recital francese, il disco della Dame Blanche o i suoi Comte Ory, ma non solo. E' un modo di schiarire e sbiancare i suoni che può servire per certi effetti.
O pensate alla Anderson, per rimanere sempre nel belcanto...

Per quanto riguarda la tecnica di canto di Garcia, caro Tamburini, vedrai che se leggi il mitico manuale non troverai nemmeno scritto che i suoni fissi non si devono fare. Troverai che invece ogni suono può essere eseguito in mille modi diversi e il cantante deve averne perfetta padronanza.
L'ossessione del suono vibrato è una conquista ben successiva alla carriera di Garcia senior, ma anche jr. e con Rossini non c'entra nulla.
Con questo naturalmente io non mi sogno assolutamente di dire che la Horne, vibrando, non dovesse cantare Rossini...anzi...grazie a dio non ragionava secondo simili ristrette categorie (altrimenti manco le sarebbe venuto in mente di inventarsi una rivoluzionaria carriera da contralto rossiniano dopo aver cantato Marie nel Wozzeck).
Questo modo di conferire le patenti di giustezza sulla base di sentenze grezze e pregiudiziali è secondo me lo stesso che fa dire ai vostri nemici cosiddetti baroccari che Haendel debba soltanto essere eseguito con strumenti originali e cantanti barocchi (inter nos, spesso svociati).

Marianne Brandt ha detto...

Caro Garcia, tutti, ma proprio tutti i cantanti (quelli veri) sono incappati in suoni fissi a volte magari nel passaggio a volte negli estremi acuti. Capita, senza scandalo.
Qui, invece, si parla di cantanti, i "baroccari" che tu giustamente indichi come "svociati" che hanno fatto della fissità una ragione di canto!
La Gencer, la Scotto, Blake, Kraus, Sutheland, Horne etc. che tu citi, cantavano come la Kermes, la Kirkby, la De Niese, la Invernizzi, la Di Donato, la Bartoli, Agnew, Randle per caso?
Alla luce degli ascolti non mi pare proprio! Se poi si vuole giustificare la fissità di suono (sbagliato perchè indica una costrizione della muscolatura ed un appoggio fallimentare), perchè per gusto personale suona gradevole e piace, lo si dica chiaramente e senza problemi!

Qualche citazioni dai manuali pre-Garcia:
Il Zacconi:
Il tremolo nella musica non è necessario; ma facendolo oltra che dimostra sincerità, e ardire; abbellisce le cantilene [...] dico ancora, che il tremolo, cioè la voce tremante è la vera porta d'intrar dentro a passaggi, e d'impatronirsi delle gorge ... Questo tremolo deve essere succinto, e vago; perché l'ingordo e forzato tedia, e fastidisce: Ed è di natura tale che usandolo, sempre usar si deve [sic]; accioché l'uso si converti in habito; perché quel continuo muover di voce aiuta, e volentieri spinge la mossa delle gorge, e facilita mirabilmente i principij de passaggi [...]

Antonella Nigro, dal Maffei:
Una ragionevole supposizione è che anche i cantanti del passato praticassero un controllo della respirazione: "L'ottava [regola è n.d.r.] che spinga appoco appoco con la voce il fiato [...]". Le parole di Camillo Maffei sembrano descrivere una tecnica di emissione simile a quella usata per il canto odierno, nel quale il dosaggio del fiato provoca la vibrazione involontaria della voce. Anche nel periodo barocco probabilmente il vibrato faceva parte del bagaglio tecnico del cantante, senza correlazioni con finalità espressive. Si può affermare che - contrariamente all'opinione invalsa anche presso i musicisti - fissare la voce sia un effetto alquanto innaturale e meccanico, conseguente all'irrigidimento dei muscoli laringei e all'espulsione incontrollata del fiato. Cantando è possibile sospendere la vibrazione del suono volontariamente o meno, ma va detto che la voce della maggior parte di coloro che cantano senza cognizione è invece sempre fissa in quanto generata da un'emissione errata.

Il Tosi:
"Un diligente Istruttore sapendo, che un soprano senza falsetto bisogna che canti fra l'angustia di poche corde non solamente procura di acquistarglielo, ma non lascia modo intentato acciò lo unisca alla voce di petto in forma che non si distingua l'uno dall'altra, che se l'unione non è perfetta, la voce sarà di più registri e conseguentemente perderà la sua bellezza [...] Se tutti quegli che insegnano i princìpi sapessero prevalersi di questa regola, e far unire il falsetto alla voce di petto de' loro Allievi, non vi sarebbe in oggi tanta scarsezza di soprani.[...] quanto più le note son'alte, tanto più bisogna toccarle con dolcezza, per evitare gli strilli [...] Nelle femmine che cantano il soprano sentesi qualche volta una voce tutta di petto, ne' maschi sarebbe però una rarità, se la conservassero, passata che abbiano l'età puerile."

Marianne Brandt

Manuel Garcia ha detto...

Ma tu sei così sicura che il "mover di voce" di Zacconi sia più vicino a quello della Horne e non a quello della DiDonato? Zacconi non conosceva Roberta Invernizzi né Laura Pausini, quindi è molto probabile che con voce non "mossa" intendesse qualcosa di un po' diverso da quel che viene in mente a noi...
Ma davvero pensiamo di poter stabilire la bontà o meno di un artista applicando queste tre regolette, peraltro filologicamente reintepretate in modo del tutto semplicistico?

Marianne Brandt ha detto...

E tu sei così sicuro che la DiDonato sia più vicina al modo di cantare Rossini della Horne?
Laura Pausini quante opere di Rossini ha interpretato? E cosa c'entra con la Horne, la DiDonato e la Invernizzi?
Tre regolette? Dietro queste "tre regolette" come le chiami superficialmente tu, c'è la storia del canto, c'è l'evoluzione tecnica, ci sono fior fiori di manuali, ci sono maestri di canto, ci sono le testimonianze della voce dei cantanti vicini per stile e sensibilità ai compositori dell'800.
... questi sono i fatti, altro che "filologicamente reinterpretate in modo del tutto semplicistico"!
Probabilmente per voce non "mossa" si intende che non debba traballare come una sedia zoppa, perchè molti di questi manuali parlano del vibrato naturale e del vibrato causato da una errata tecnica.
Perchè se è filologica la Invernizzi io sono davvero la Brandt.

Marianne Brandt

Manuel Garcia ha detto...

Ma io sono il primo a ritenere questa storia del canto fisso "filologico" una bufala...
Non è perché cantano "originale" che alcuni di questi cantanti baroccari sono bravi, ma perché confezionano un prodotto che oggi funziona. Mi fanno ridere quelli che sostengono che Mozart o Haendel bisogna farlo con gli strumenti d'epoca perché almeno siamo più vicini all'originale...
Oggi va di moda il canto fisso, il suono secco in orchestra solo perché è più vicino alla sensibilità odierna forgiata su dischi, microfoni, sale da concerto moderne, modi di cantare diversi a partire dal pop e dalle cosiddette canzonette.

La differenza è che tu vedi un male in tutto questo...per me è una naturale evoluzione. Esattamente come quella che ci fu tra il canto di Rossini e quello di Bellini e poi quello di Wagner...fino a Laura Pausini che in qualche modo è anche un'evoluzione della tecnica, piaccia o no.

Per quanto riguarda la DiDonato e la Horne, posso dirti che per la sensibilità odierna la DiDonato è mille spanne sopra la Horne. che è stata una grandissima apripista, la adoro, la ascolto e riascolto, la amo, ma è oggi indubbiamente molto invecchiata per Rossini a mio modo di vedere.

Prova a introdurre Rossini a qualche curioso neofita...proponi la cavatina di Rosina della Horne poi quella della DiDonato. Vedrai quale farà sorridere e quale farà immediatamente colpo.

Marianne Brandt ha detto...

Scusa Garcia, ma dal tuo discorso si evince questo:
Siccome la tecnica di canto si è evoluta fino al pop, a Laura Pausini, a Lady Gaga etc. bisogna accettare i suoni secchi, fissi perchè più vicini a questa "evoluzione".
(la Pausini secca e fissa? ^_^)

Quindi, dovremmo affidare a Laura Pausini, Lady Gaga, Justin Timberlake etc. il futuro dell'opera?
^_^ Scusami, ma la cosa mi fa un pò sorridere!
Ti ripeto la domanda: se l'evoluzione della tecnica ci ha portato fino alla Pausini, perchè la Pausini non interpreta Rossini, Bellini e Wagner?

Magari le esigenze sono diverse dalla musica leggera all'opera non credi? ;-)

Io vedo il male in tutto questo, semplicemente perchè quando sento i "cantanti baroccari" (de Niese, Agnew, Lehtippu, Randle, d'Oustrac, Gens, Cencic, Dasch etc.) non vedo nulla nella "loro tecnica" (suoni spoggiati, fissi, secchi, timbri intercambiabili, espressività ridotta al lumicino, fiati corti, colorature meccaniche e all'acqua di rose, falsetti, ricorso al parlato) che possa farmi pensare ad una evoluzione positiva del canto!
Se evoluzione deve essere deve apportare un beneficio non la possibilità di far cantare tanti giovani dalle buone capacità, ma dallo scarso spessore vocale e non sto parlando di volume, ma proprio di mende tecniche.

Tornando alla Di Donato, io l'ho ascoltata alla Scala in un recital godibilissimo: la voce correva bene, aveva un timbro luminoso più da soprano che da mezzo, un bel gioco espressivo, molta eleganza, gravi non proprio opulenti, ma udibili e nessun cenno a fissità o secchezza: oggi l' "evoluzione(?)" l'ha portata a usare un diverso campionario. Scusa ma mi sembra una involuzione!

Ho già provato tale esperimento vocale sia con la Horne-Berganza contro la Garança-DiDonato che con Zeani-Carteri contro Gheorghiu-Netrebko: hanno vinto le prime ;-) sia per modernità che per piacevolezza. La Horne datata? Spero solo per te, perchè quanto a modernità ha ancora molto da insegnare alla Di Donato e colleghe.

Marianne Brandt

Manuel Garcia ha detto...

Ho tirato fuori cantanti di oggi che con l'opera non c'entrano solo per dire che tecniche assolute secondo me non ce ne sono e che talvolta tra generi e mondi diversi (che però pur sempre musica sono) avvengono delle contaminazioni...tutto qui.

Per il resto rimaniamo delle nostre idee e la Horne pur con tutta la buona volontà, come Rosina, ma anche ahimé come Tancredi, con quel fare un po' grezzo e slabbrato nella vocalità la trovo certo storica, ma al tempo stesso difettosa, come poteva esserlo il buon Merritt, in termini di gusto e pertinenza.

Comunque, al di là delle divergenze, grazie per l'appassionato dibattito!