sabato 28 agosto 2010

Mese di agosto XV - Le recensioni di Semolino: "Adriana Lecouvreur", dvd Arthaus

L'etichetta Arthaus ha immortalato la rappresentazione di Adriana Lecouvreur che ebbe luogo al Teatro Regio di Torino nel 2009.

Trattandosi di una delle mie opere preferite, mi sono subito precipitato a procurarmela per poterla guardare ed ascoltare tranquillamente. In quanto vociomane mi è sempre interessato l'aspetto esclusivamente vocale nell'ambito di una rappresentazione operistica. Ho sempre avuto poca attenzione alle capacità attoriali dei vari cantanti. Motivo per il quale non mi sono mai lasciato ingannare dalla cosiddetta "presenza scenica" sulla quale si vuole spesso spostare l'attenzione del pubblico al fine di distrarlo dalle mende vocali. Nemmeno il cosiddetto "teatro di regia" mi ha mai molto interessato.

Eppure in questa Adriana quello che mi ha colpito maggiormente, anzi direi scioccato nel vero senso della parola, è stata proprio l'inadeguatezza scenica dei protagonisti e l'assenza totale di una direttiva registica precisa e valida per tutti, lasciando così i cantanti liberi di agire secondo la propria indole. A mio parere l'unico ad avere una idea chiara di cosa volesse fare del suo personaggio, e che possedesse qualche dote attoriale per realizzarlo, è stato Alfonso Antoniozzi, il quale è riuscito a delineare un Michonnet dolcissimo, sofferto e a tratti commovente e per nulla privo di eleganza. Lo è stato però solo scenicamente, in quanto attore di teatro, poichè vocalmente il signor Antoniozzi col canto c'entra ben poco: la voce è ingolatissima, che più indietro non si può, dall'emissione dura e forzata. La voce così risulta terribilmente opaca e priva di armonici già in zona centrale, ogni tentativo di modulare dà luogo a suoni rochi e strozzatissimi, gli acuti sono afonoidi e gessosi, e la mancanza di legato, e di fatto di linea di canto, è totale. Ogni tanto sembra cercare l'appoggio ma la voce gli va tutta nel naso e così alla gutturalità si aggiungono le nasalità. Alcuni esempi precisi : "ah se non fosse per il posto sospirato" è tutta di naso e gola; "Signori si va in scena" è da scuola del muggito di seconda mano; "c'è da perdere la testa" completamente inchiodata nel naso; "per starle sempre a lato" è letteralmente belante e stonato. Gli esempi fattibili sarebbero fin troppi, dato che procede in tal modo per tutta l'opera, e come potrebbe altrimenti!

Entra Adriana e già l'incedere è sciatto e volgare, pare una massaia in ciabatte e grembiule che vuole darsi le arie da grande diva: tutto è da ridere, tanto il suo gestire è artefatto. La signora Carosi vuole giocare la carta della cantante-attrice, ma non possiede né la sana tecnica della prima né le doti e il carisma scenico della seconda ed il risultato è solo una parodia. Dal punto di vista vocale ecco alcuni esempi : "no così non va bene" è una lagna tutta rimasticata in bocca con un suono miagoloso; "tutti uscite" è sforzato, aspro e nasale; "l'augusta sua pace" è completamente ingolato; "troppo signori troppo" è realizzato con voce sfocata, vuota e chioccia. L'aria "Io son l'umile ancella" è tutta espulsa dalla gola troppo insistendo sul forte, nel resto i tentativi di una dinamica sfumata sono numerosi, ma non padroneggia l'arte del canto sul fiato, tanto che i suoi sforzi sfociano in suoni miagolanti, perché fa variare l'intensità del suono colle contrazioni della gola e soprattutto della bocca. Le riprese di fiato, poi, sono laboriose e l'assenza di legato palese. Sulla parola "vassallo" si percepisce nettamente il cosiddetto "scalino", ossia la spaccatura fra i due registri, quello di petto e quello centrale. La prima ottava della signora Carosi è tutta gutturale e spoggiata, come pure quelli centrale ed acuto, pure alquanto bradi nell'emissione. Le doti naturali le permettono di illudere il grosso pubblico sprovvveduto, ma il melomane attento e assuefatto al canto di scuola, percepirà immediatamente che dietro la parvenza di sonorità c'è molta fibra e molto naso, asprezza di gola e che le fa difetto anche l'intonazione in acuto. Nello scontro con la rivale è tanto inutilmente enfatica da risultare inefficace e inespressiva. Nella scena della festa le cose non procedono meglio, anzi peggiorano, poichè coloro che spingono di gola, contrariamente ai cantanti che cantano sul fiato, invece di scaldarsi e migliorare, man mano che avanzano nella serata, tendono a stancarsi, peggiorando nella prestazione. "Commossa io sono" è durissimo e stonacchiato; "il gelo di quello sguardo" è gutturalissimo.

La scena del richiamo di Fedra è quella che mette maggiormente alla frusta la Carosi: è un brano di teatro recitato e la nostra lo declama enfaticamente con una concitazione che è solo esteriore e sfiora così la caricatura. Nella parte finale della scena "quelle audacissime impure cui gioia...." quando si passa dal declamato al canto per poter rendere la frase espressiva dal punto di vista musicale e canoro ci vorrebbe una emissione perfettamente immascherata e sul fiato per potere conferire tutto il giusto mordente, lo slancio e la proiezione con un suono vibrantissimo e squillante, ma in bocca della Carosi questo passaggio chiave perde musicalmente, vocalmente e teatralmente senso perchè diventa una successione di suoni convulsi fra gola e bocca, non c'è né imperiosità nell'accento, perchè troppo sguaiata, e non c'è squillo e lucentezza nel suono, perchè tutto è sbraitato. Anche a lei si vede in volto tutto lo sforzo che le costa l'emissione.

Nell'ultimo atto il "Poveri fiori" è letteralmente buttato via, strombazzato tutto sul forte e senza il legato necessario a dare alla linea melodica un senso musicale. Tanto becera è stata la sua entrata in scena e tanto lo è la sua scena della morte.

Il peggio arriva in scena col tenore, Marcelo Alvarez. Non mi attardo sulla presenza scenica che è tanto volgare quanto dilettantesca, mentre mi soffermo piuttosto sul fatto che vocalmente è l'incarnazione del malcanto. Pensavo si fosse toccato il fondo con Rolando Villazón, ma quì a tratti siamo anche un gradino sotto. A "salvarlo" dal naufragio totale è solo la dote naturale, che è maggiore di quella del collega citato. Il signor Alvarez attacca "La dolcissima effigie" con un'emissione che definire aperta sarebbe un eufemismo; nella zona grave è di una sguaiataggine raccapricciante, il suono è sempre malfermo e traballante alla fine delle frasi e gli attacchi sporchi. C'è una gran voglia di modulare e di sfumare, ma tutto si riduce a suoni tarpati in gola o in bocca mentre lo sforzo e le contrazioni si vedono chiaramente nel volto scomposto sotto lo sforzo dell'emissione. Nella scena in cui narra la battaglia è di una concitazione tutta esteriore e nelle frasi volute a mezza voce il suono gli si spappola tra gola e bocca, così che anche il fraseggio si fa piagnucoloso. Nell'aria "L'anima ho stanca" emette i suoni più opachi e slabbrati che mi sia stato dato occasione di udire, ed il pubblico applaude : è proprio vero che oggi hanno i cantanti che si meritano.

Il secondo atto si apre con l'ingresso della Principessa di Bouillon, la signora Marianne Cornetti, che, agitandosi nervosamente e sgraziatamente, si mette a strombazzare "Acerba voluttà" con un mezzo vocale che sarà anche dovizioso, ma dall'emissione a dir poco strampalata. La voce è spaccata in due, con un registro grave aspro e volgarissimo; la salita agli acuti tagliente e alquanto fibrosa. L'incedere sulla scena, poi, è goffo e il fraseggio grossolano. Nello scontro colla rivale è sbracatissima. La scena della festa la vede alle prese con un Abate dalla voce petulante e gessosa. Guardare ed ascoltare per credere quanto è impacciata nella recitazione e aspra nel suono quando dice "mi sale troppo la gonna", "ricercate di Maurizio piuttosto stasera l'amante nova": ha una ruvidità di suono che fa rabbrividire.

Il principe di Bouillon sa recitare un po' più decorosamente degli altri, ma è anche lui, come purtroppo tutti oggi, completamente opaco perchè ingolato di emssione. Come lo sono anche tutti gli altri comprimari.

La musica di Adriana è a tratti di vago sapore neo-settecentesco, ma rimane un'opera verista e questo Palumbo sembra non lo abbia capito. La dirige quasi tutta come se fosse la parodia smammolata di un minuetto di Boccherini. Però a tratti pare svegliarsi, ma solo per diventare inutilmente fracassone come nel finale del terzo atto. Nella scena della festa e in particolar modo nel balletto si sente una orchestra più vivace e spigliata ma anche molto meccanica nel fraseggio e nell'articolazione e soprattutto pasticciatissima nel suono. Il preludio all'ultimo atto ha una certa suggestione nelle prime battute, ma Palumbo diventa subito soporifero e inespressivo perchè non sa infondere alla melodia principale tutta la tensione interiore che richiederebbe, come sapeva farlo ad esempio un Gavazzeni.

Le sole due note positive di questo spettacolo sono le scene ed i costumi che essendo di impronta tradizionle non travisano la vicenda, ma nemmeno sono sufficienti per salvare questa Adriana dal naufragio.

Semolino










19 commenti:

Marco ha detto...

Il tono insultante, pieno di disprezzo, di questa recensione non mi piace per niente, per quanto può valere il mio parere. E questo a prescindere dall'effettivo valore dell'esecuzione; può essere pessima, ma un'attitudine così rabbiosa non è giustificabile in nessun caso. Questo tipo di recensioni è esattamente speculare ad un incensamento più simile ad una messa che ad una recensione; a ben guardare, entrambi sono la stessa ed identica cosa.
Marco Ninci

Antonio Tamburini ha detto...

Caro Ninci, avresti preferito una recensione densa di sciroppose litoti (ad esempio "non è la più tragédienne delle Adriane" oppure "i gravi accusano lievi debolezze" o ancora "qualche imprecisione nell'intonazione") condite da improbabili elogi ("grande dignità scenica" ovvero "lodevoli intenzioni interpretative, ancora da maturare pienamente") e dalla fervida speranza di future smentite...? E' grazie a recensioni così "molli" che stiamo dove stiamo.
Ti segnalo poi che fra quelle recensioni grondanti incenso e le nostre c'è una piccola, ma fondamentale differenza: gli annunci del banner a fianco li seleziona Google.

Marco ha detto...

Scusami, Tamburini, ma io non ho parlato delle vostre recensioni, ma soltanto di quella di Semolino. Il problema non è quello delle litoti, ma soltanto del fatto che Semolino non sa esprimersi: è pesante, non troppo raffinato (qui davvero c'è una litote), non riesce a dare un'idea di quello che ascolta. Tutto qui. Un recensore ha il dovere di esprimersi in un altro modo. Quello di Semolino è proprio l'altra faccia dell'incensamento. E poi. Mi piacciono molto le recensioni di Marianne Brandt, che non leggo così spesso come vorrei. Sono ispirate ad idee analoghe a quelle di Semolino, ma la differenza è abissale. Tanto grande che le idee non sembrano nemmeno più le stesse. Come vedi, la litote non c'entra niente.
Marco Ninci

scattare ha detto...

Adriana Lecouvreur, essendo anche per me, e per motivi puramente nostalgici, una delle mie opere preferite, attrae sempre la mia attenzione.
Non avrei mai e poi mai comprato questo dvd anche perchè ebbi la sfortuna di vedere due recite di questo allestimento torinese con la prima e la seconda compagnia. Di queste due recite mi rimane solamente il ricordo di aver sentito nella seconda compagnia un giovane promettente tenore che, secondo me, se non sbaglia strada, riuscirà darci qualche soddifzione nel futuro.
C'era anche il baritono della seconda compagnia che certo davanti alla prestazione di quella specie di imitazione di un cantante lirico della prima compagnia doveva certo avere un senso di prospettiva psicologicamente avanzato per mantenersi una buona salute mentale.
Ma non scrivo né per difendere né per criticare.
Scrivo per sostenere le parole del Tamburini.
Forse è vero che Semolino é venuto giù un pò dura su tutto, ma oggi non se ne può più di leggere le lodi di recite che sono al livello di esercitazioni liriche nei nostri conservatori.
Non so se la frase "...grazie a recensioni così "molli" che stiamo dove stiamo." può cogliere il VERO motivo che "stiamo cove stiamo" ma, certo, è uno dei motivi.
Il marcio è molto più sottile e nello stesso momento è molto più grave. La critica "leggera" ne è solo una parte, certo non una conseguenza.
Ne vedremo delle belle nel prossimo Rigoletto "raiano". Dentro questo spreco di soldi e queste falsificazioni ambientali ce ne sono diversi che hanno aiutato la causa del crollo artistico dell'arte della lirica e del teatro lirico.
Buona visione!
W Tamburini!

Antonio Tamburini ha detto...

Scattare: grazie ma "non tanti onori!". :) Mi sono limitato a dire come la penso.

Ninci: le recensioni di Semolino le trovo dure, anche feroci, se vuoi, ma chiarissime (vedi, in questa su Adriana, gli esempi portati su singole scene e frasi dell'opera) e soprattutto oneste. Semolino parte dall'idea che senza ortodossia di canto non sia possibile non dico fare arte, ma banalmente cantare: una posizione magari estrema e per alcuni non condivisibile, ma che non viene mai meno, non è soggetta a sconti o simpatie (ne hanno di recente "fatto le spese" anche Florez e la Garanca, che in ascolti più remoti avevano incontrato il suo favore) e soprattutto è argomentata e solidamente fondata sui trattati e prima ancora sulla consuetudine d'ascolto dei 78 giri, la Bibbia per ogni vero amante dell'opera.

Non sono d'accordo neppure sul fatto che le idee di Semolino sarebbero analoghe a quelle di M. Brandt. Ma leggi o fai finta di leggere? Non potrei pensare a due persone più diverse, nei presupposti critici e nel modo di esprimerli. Ma è questa pacifica convivenza di punti di vista diversi e a volte opposti, che costituisce la ricchezza di questo blog. Alla faccia di chi ci vorrebbe compatti e tetragoni nella declinazione del presunto verbo cellettiano. Illusi.

Semolino ha detto...

Salve a tutti!
Ringrazio Tamburini e scattare per aver preso la difesa del mio modo di esprimermi e ripeto : ma come si permette certa gente di farsi pagare fior di quattrini per sbraitare tanto su di un palco? se io facessi il mio mestiere così male come questi presunti cantanti fanno il loro, non solo non mi pagherebbero, ma sarei licenziato in tronco. E' ora che la smettano di inquinare i teatri! mi hanno rovinato tutta l'opera! non si può più andare ad ascoltare niente! mi aggrediscono le orecchie, e dovrei tacere? Non piace il mio modo di esprimermi, basta non leggermi, visto che c'è segnalato nel titolo che la critica è di Semolino.

pasquale ha detto...

io sono andato a vedere la recita del secondo cast è stata una prestazione da parte dei cantanti abbastanza mediocre a parte il mezzo Anna Maria Chiuri dotata di una buona voce e grande volume abbastanza convincente la sua interpretazione della principessa di Bouillon,anche il tenore Thiago Arancam,e stato abbastanza bravo.sono d'accordo con Scattare su questo tenore,e una buona promessa

http://www.youtube.com/watch?v=6C7kHdElgng

riguardo ai giudizi,e recensioni di Semolino che parte sempre dalla base del canto cioè dalla tecnica,beh sono le sue opinioni,e come tutte le opinioni non fanno parte del vangelo..Semolino tende troppo a esasperare i difetti,i cantanti non sono robot sono persone,e la perfezione come la vorrebbe Semolino non esiste.
Naturalmente parlo in generale.
Comunque come ho scritto altre volte il canto,è anche recita interpretazione dare emozioni,molto spesso certi cantanti riescono a supplire a certe magagne(naturalmente che siano magagne veniali)con questi fattori facendo una grande carriera e raccogliendo i favori del pubblico.

Semolino ha detto...

la prefezione come la vorrei io non esiste? Certo non esiste più OGGI! ma la ritrovo in tutti i cantanti che hanno registrato sino alla seconda guerra mondiale. Erano tutti robots? Non penso : sapevano solo cantare.

Metto in evidenza solo i difetti? ma come potrei cercare pregi dove non ce ne sono e in questa Adriana non ci si può nemmeno ripiegare sulla presenza scenica poiché, a parte Antoniozzi, nessuno sa recitare, sono sciatti, volgari e beceri anche scenicamente.

pasquale ha detto...

Semolino io capisco il tuo sistema di giudizio basato sulla tecnica pura,quindi lasci poco spazio ai compromessi,però mi sembra eccessivo che tu ti fermi alle registrazioni fino alle seconda guerra mondiale,allora tutte i grandi degli anni 50 e 60 la Callas la Tebaldi,Del Monaco,Corelli,la Sutherland.la Horne tanto per citarni alcuni,anche questi sono come la Scotto,cioè non sono capaci di cantare per te,io penso che sei un po esagerato nei tuoi giudizi,o per lo meno li esprimi con troppa severità,anche ai nostri giorni esistono delle belle voci solo che non vengono valorizzate dal sistema delle agenzie o raccomandazioni,certo che se non riesci a vedere o a sentire quello che tu vorresti ai giorni nostri,non c'è ragionamento che tiene,a me pur con tante mediocrita che c'è, è sempre un piacere per me andare al "mio" Regio qui a Torino a vedermi le recite,l'opera caro Semolino deve andare avanti,e l'opera (che poi è la nostra passione)per continuare a vivere ha bisogno di teatri aperti e possibilmente pieni,quindi questi sono i cantanti attuali,possono piacere o non piacere con questi bisogna andare avanti,magari con la speranza di un miglioramento.

Semolino ha detto...

La Callas non mi piace molto, ha un suono spesso aspro e nasale ed è troppo gutturale in basso, la Tebaldi a parte gli estremi acuti mi piace alquanto, Del Monaco non mi spiace, ma tubava troppo e affondava, non quanto Kauffmann certo, ma tubava comunque e non sapeva modulare e legare come si deve, tu citi gli ultimi sprazzi di luce. Corelli e la Sutherland sono eccezioni. La Sutherland era la Stupenda in rapporto all'epoca in cui ha fatto carriera, nel 1905 sarebbe stata una come tante, semplicemente una che sapeva cantare bene con pronuncia ostrogota quindi censurabile poichè la pronuncia e l'articolazione chiara non sono accessori!!!

Velluti ha detto...

Mi spiace, ma questa volta devo dare ragione a Marco Ninci almeno in un punto: le recensioni di Semolino sono talmente prevedibili, talmente strutturate che basta davvero cambiare il nome degli interpreti per renderle adatte a qualsiasi altro spettacolo post-bellico (o quasi!). Sembra quasi che abbia uno schema fisso che riutilizza di volta in volta. Non entro nel merito dell'Adriana della Carosi (davvero orrida, non c'è che dire!), ma di certo critica di questo tipo la trovo solo stucchevole, tanto parte da presupposti così unidimensionali e privi di dialetticità interna, ergo semplicistici!
Ma stiamo scherzando? Dire che la Sutherland sarebbe stata una delle tante negli anni '50 è un'eresia da incompetente (chi cantava Stuarda o Borgia all'epoca, a parte qualche cimelio ante-guerra? E - vocalmente - non si pone alcun confronto con la Gencer, mi duole dirlo!). E poi mi stupisce non poco che un "purista" come Semolino salvi delle cose di Del Monaco che - a livello tecnico-vocale - era un vero disastro, a parte qualche buona nota in zona centrale. Stesso discorso vale per Corelli, certo grande voce (ma nel suo caso dipendente più dalla natura che da un bagaglio tecnico consolidato), ma talmente glottideo da sconfinare a volte nel guaito. La Callas certo non era il massimo, almeno se la prendiamo negli anni 56-59, ma la tecnica era ortodossa, quella del Garcia per intenderci (che ammette l'uso del registro di petto e dell'iscurimento nel grave). Certo è facile confrontare cantanti di cui possediamo una o due registrazioni con altre di cui possediamo centinaia di documenti sonori: se della Callas ci fossero pervenute solo Armida, Nabucco e Gioconda del 52 cosa si dovrebbe pensare della sua vocalità?

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Devo dire che concordo, nel merito, con Velluti: la Sutherland non sarebbe stata una delle tante, se non altro per lo stile (oltre che per le ineguagliabili doti tecniche) perfettamente coerente al genere, in confronto a quello (per lo più scorretto) di certe grandi cantanti dell'ante guerra che, seppur con tutte le giustificazioni del caso (e mantenendo intatta la loro grandezza ed il loro esempio), spesso riservavano a Bellini e Rossini trattamenti INACCETTABILI (dalle Norme veriste alle Rosine coccodé: inascoltabili entrambe).
Però la durezza, certo talvolta eccessiva, di Semolino (con cui vi sono stati, in alcune occasione, confronti civilissimi, nonostante le posizioni differenti), tocca un nervo scoperto: oggi si spaccia per oro quello che sarebbe oggettivamente ferraccio. In un mondo musicale ove la critica ha rinunciato alla propria onestà; ove i professionisti del canto lo sono unicamente in virtù dei compensi che percepiscono; ove il mercato discografico è viziato da mode, falsificazioni, imposizioni che nulla hanno a che fare con l'arte e con l'opera; ove si taccia chi contesta di essere un sobillatore, un delinquente, un assassino dell'opera (leggi quel che scrive Mattioli sulla Stampa, o Giudici su ClassicVoice ogni volta che taluno mette in discussione certi dogmi)...beh, benvenga Semolino e il suo rigore (e, lo dico simpaticamente, il suo estremismo)!
E poi, se qualcuno non concorda (come ho fatto anche io) liberissimo di esprimere le proprie osservazioni: alla faccia di chi ci accusa di avere una gestione "bulgara" del blog...

Semolino ha detto...

stiamo scherzando? Dire che la Sutherland sarebbe stata una delle tante negli anni '50 è un'eresia da incompetente
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Non travisare quello che ho scritto! Ho scritto del 1905 e non degli anni 50 e non ho parlato dello stile né del repertorio MA solo della tecnica di emissione : quella della Sutherland non differisce da quella di una qualunque cantante del periodo 1900-1930. Ma resta una eccezione nel periodo in cui ha fatto carriera poichè la decadenza del canto incomincia proprio negli anni 1950.

Per quanto riguarda le note centrali di Del Monaco bisogna dire che sono proprio quelle ad essere emesse in modo per niente ortodosso, perchè spesso troppo tubate, la forza di Del Monaco stava solo nel suo registro acuto quando emesso forte e a piena voce.

Corelli non aveva solo doti naturali, ma possedeva anche una tecnica eccellente, altrimenti non sarebbe stato in grado di eseguire le smorzature che eseguiva e nemmeno di un vero legato.

Semolino ha detto...

Dimenticavo : ho molti dubbi sull'ortodossia della tecnica della Callas e questo fin dall'inizio della carriera. Ho ascoltato poco tempo fa' la sua Abigaille del 1949 ed ho avuto proprio l'impressione che stessero strozzando un anatra! Orrenda!!!
Però devo riconoscere che di Abigaille ben cantate non ne ho mai sentita una sola, in questo ruolo crollano tutte, persino le più grandi.

Velluti ha detto...

Beh... Diciamo che gli smorzati di Corelli non sono indice di tecnica ortodossa, come non lo sono quelli della Caballè. Altrimenti che dire dei filati della Callas? Corelli era perennemente glottideo; certo il mezzo era davvero impressionante, ma questo è altro dalla tecnica. Per Del Monaco stesso discorso: Del Monaco aveva un grosso problema tecnico, il passaggio, ergo gli acuti sono ben emessi in inizio carriera perchè il mezzo è sano, ma già dal 54 si sente una spinta di schiena che - di fatto - lo ha portato al declino più completo nel giro di pochi anni. Resta una certa impressione per "alcune" note del registro centrale, davvero granitiche.

L'Abigaille della Callas un'anatra strozzata? Ma per favore, a parole si può dire tutto; ma sarebbe il caso di confrontarsi su dati concreti e non sul cellettismo di maniera che lascia il tempo che trova. La sua Abigaille è una pietra miliare del CANTO lirico (non ho altro termine per identificarla!): la voce è compatta, ampia, capace di smorzare, filare, legare, con notte di petto davvero impressionanti, forse un po' smagrita nel centro, ma con sovracuti enormi come una casa (basti il mib alla fine del duetto; lì anche Bechi sparisce!); si ascolti il concertato finale del I atto: la voce della Callas sovrasta tutto e tutti, con un piglio, una centratura di emissione che purtroppo in seguito ha perduto. Tralascio l'accento perchè quello, davvero, non ha eguali, e non capisco perchè non si possa ammettere che alcuni geni (molto pochi, davvero!) riescono ad andare oltre la mera emissione di note.

Sulla Sutherland davvero non so che dire (ovviamente la mia è stata una svista quel 1950): certo non credo che la Norma della Sembrich (quei pochi rimasugli che abbiamo) sia DAVVERO superiore a quello che abbiamo della Sutherland (e cito due cantanti che - giustamente - vengono spesso accostate), a meno che non si voglia speculare OLTRE il documentabile.

Caro Semolino, c'è un principio metodologico storico-filologico che andrebbe sempre seguito e rispettato: non si può comparare il tutto con il mezzo, ovvero comparare ciò che ci è giunto in maniera completa (o quasi) con ciò che è frammentario o solo davvero in piccola parte rappresentativo...
E non è un caso che, da un lato, ci sono le testimonianze complete, dall'altro le disiecta membra... E si badi bene, ho detto "comparare", non "studiare": lo studio dei frammenti è affascinante, stimolante, assolutamente decisivo in molti casi. Il punto è la comparazione, lì sta il problema (gigantesco come una casa!): comparare per dimostrare la superiorità di uno degli elementi comparati è già un'operazione che parte perdente, se non altro perchè non mette sullo stesso piano gli elementi messi a confronto.

Semolino ha detto...

x Velluti : mi spiace la Callas in quella Abigaille è, per le mie orecchie, un campionario di suoni aspri, gutturali e nasali soprattutto in prima ottava e in zona di passaggio, qualche acutazzo c'è, saranno anche lecche ma le trovo aspre e taglienti. Penso che "stessero strozzando un anatra" in realtà non esprime bene quel che è stata la mia impressione, sarebbe più indicato dire "stessero SPENNANDO un anatra" perchè di suoni strozzati non ce ne sono, ma tanti suonacci sì.


Dal 1973 circa in poi le smorzature della Caballé sono diventati falsettini e la sua vocalità sempre meno ortodossa, ma le smorzature di Corelli erano ortodosse altrimenti sarebbero stati o falsettini, il che non lo erano, oppure la voce gli sarebbe andata indietro stimbrando e non era il caso, le smorzature di Corelli da me sentite, ed anche documentate dal disco, sono suoni avanti, a fuoco e timbrati.

Ribadisco, di acuti sforzati e aperti da Del Monaco non ne ho mai sentiti, la voce gli andava indietro solo quando cercava di modulare e non sapeva legare, infatti tutte le arie cantate da lui diventano recitativi declamati.

Non possediamo un ruolo completo della Sembrich, però i documenti sonori che ci restano della Sembrich ci rivelano una vocalità più completa di quella della Sutherland, la Sembrich in più della Sutherland possiede : un registro grave appoggiatissimo, nutrito, sonoro e corposo, allorchè il registro grave della Sutherland era cartapesta sorda e opaca. In più la Sembrich aveva una dizione ed una articolazione scolpita e una varietà di accento strordinaria allorchè la Sutherland era tutta un wowowowowowowowowow. La forza della Sutherland è stata nel registro acuto e nelle agilità ma anche su questo la Sembrich era impeccabile. Per quanto riguarda lo stile esecutivo, la filologia e le riscoperte trattasi di altro argomento. Tutti i cantanti prima della seconda guerra mondiale cantavano colla tecnica della Sutherland, uomini e donne. La tecnica della Sutherland è la tecnica ortodossa di tutti quelli che hanno cantato prima di lei. Ma all'epoca in cui la Sutherland ha fatto carriera c'era solo lei a possederla, perchè il canto aveva già subito la prima fase del declino.

Velluti ha detto...

Caro Semolino, inutile andare oltre in questo post: al di là dei facili entusiasmi su definizioni "geniali" e "innovative" (davvero hai mai sentito un'anatra mentre viene spennata? E quale sarebbe la differenza rispetto alla strozzatura della stessa povera anatra?) posso dire che Corelli dopo una quindicina d'anni di carriera era già corto e appesantito oltre modo (Don Carlo arena di Verona con Caballè), con enormi difficoltà a gestire il legato e i suoni nel passaggio (altro che ortodossia tecnica!). Fare le bizze alla Callas e salvare Del Monaco è un ENORME controsenso comparativo (voce corta quella del tenore, con un gorgo nel passaggio, impossibilità a gestire mezzevoci, piani, legato, in una perenne sguaiataggine di emissione). Sulla Sembrich non so che dire: da quel poco che si riesce a percepire si nota una voce straordinaria, ma anche qualche apertura di troppo nel grave e nel centro, con qualche aspirazione nelle agilità. La Sutherland è vero ha dizione ostrogota: ma lo stile nel cantare i ruoli che ha cantato non è altra cosa dalla tecnica, ma uno splendido esempio di come la tecnica riesca e modellare uno stile che NON ESISTEVA PIU'.

E qui mi taccio. Sul problema metodologico non hai ovviamente risposto, e la cosa mi spiace non poco dato che è lì che si vede la differenza tra un semplice ascoltatore, quant'anche ferrato nella conoscenza dei cimeli del passato, ed un vero critico che ascolta ponendosi questioni epistemologiche di COME e PERCHE' ascolta determinate cose e non altre.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Questa volta sono d'accordo con Velluti. Non tanto per la questione Callas o Del Monaco o Sutherland...ognuno la pensa come vuole (a patto di non ergersi a censore e dispensatore di verità assolute), quanto per la questione metodologica. E i pregiudizi di fondo. Ritenere quella "roba" che è la Norma della Sembrich (con tutto il rispetto) migliore di quella della Sutherland, è pura boutade...sfizio, gusto per la provocazione a tutti i costi. Ritenere, poi, che un cantante del passato remoto (dell'epoca dei cilindri acustici) sia migliore a prescindere perchè più vicino cronologicamente o continuatore dell'epoca precedente è errore grossolano: tra fine '800 e primi '900 il gusto e lo stile erano completamente differenti da quelli in cui operarono la Pasta o la Malibran. Il grande repertorio belcantista nei primi anni del XIX secolo è maltrattato e trasformato in modo inaccettabile, in paccottiglia verista. Solo dopo la Callas si è riscoperto un gusto ed uno stile corretto...tanto che la Rossini renaissance si è potuta avere solo dopo un ripensamento critico e filologico di un belcanto rovinato da decenni di fraintendimenti stilistici. Le Rosine ante guerra - con quelle agilità svolazzanti e sopracute da sopranucci sgallettati - c'entrano come "i cavoli a merenda" con la scrittura rossiniana. Con questo non tolgo nulla alla grandezza passata, ma si riconosca come, fino alla Callas e alla Sutherland, una fetta di repertorio (Rossini, Donizetti e Bellini) veniva mortificato stilisticamente. E su questo, mi spiace, non ci piove.

Semolino ha detto...

Non ho mai paragonato la Norma della Sutherland a quella della Sembrich (di cui conosco solo il casta diva) ne ho paragonato SOLO l'emissione,la tecnica di canto. L'emissione della Sembrich, pur essendo la stessa di quella della Sutherland, è più completa di quella della Sutherland.