martedì 8 febbraio 2011

Le favole di Giulia Grisi, sesta puntata: San Pietroburgo, stagione invernale 1897-1898

Un'altra puntata delle favole della Grisi, ossia un'altra rassegna di rappresentazioni che non sono mai avvenute, e che se anche fossero avvenute, non sarebbero state che fango e sterco (non del demonio) di fronte alle sceltissime proposte che popolano i cartelloni d'oggidì.

Questa volta andiamo a San Pietroburgo, per la stagione invernale allestita nella sala del Conservatorio cittadino tra la fine del 1897 e l'inizio del 1898. Anche qui potremmo limitarci a elencare titoli ed esecutori e invitare i lettori a ogni opportuno confronto non solo con le presenti stagioni del Bolshoi o del Kirov, bensì con quelle dei massimi teatri occidentali e d'oltreoceano. Sarebbe sufficiente.
Però non possiamo fare a meno di osservare come nel giro di meno di tre mesi il pubblico di San Pietroburgo abbia avuto la ventura di udire tre dei massimi tenori in attività (Bonci, Masini e Tamagno, quest'ultimo, per amore di verità, già piuttosto acciaccato, come provano le registrazioni) e quello che fu definito il re dei baritoni, ossia Mattia Battistini. A ciò si aggiunga la presenza di soprani quali Sigrid Arnoldson, che umilia, negli ascolti che proponiamo in appendice, qualsiasi concorrente attuale (massime le riconducibili alla scuola russa o a quel che ne resta), e Regina Pacini, che peraltro la stampa dell'epoca si prese il lusso di censurare, in quanto "fuori stile", nei Puritani.
Se poi osserviamo i titoli allestiti, troviamo proposte che oggi si possono rinvenire al più in festival specializzati, affidate però a cast che consiglierebbero piuttosto roghi di spartiti e repentini ripensamenti del sistema di finanziamento pubblico in sostegno delle attività cosiddette culturali.
Poi ovviamente ci sarà chi obietterà che quel Barbiere con una Rosina formato soprano di coloratura non fosse imparentato che alla lontana con l'opera ideata da Rossini. E ciò può ben essere vero, benché Angelo Masini fosse uno degli ultimi Almaviva a eseguire in teatro il rondò conclusivo. Ancora, non mancheranno gli esegeti verdiani, che ricorderanno la scarsa stima di cui godeva, presso il Maestro, lo Jago di Battistini. Noi non possiamo che invitare, molto modestamente, all'ascolto del Sogno, che motiva e giustifica l'entusiasmo con cui il pubblico locale, in una stagione precedente, aveva chiesto e ottenuto, da questo Jago, il bis del Credo e, appunto, del Sogno.
Il "piatto forte" della stagioncina invernale arriva alla fine, com'è giusto, con un Don Pasquale in cui si fronteggiavano due dei massimi baritoni documentati dal disco, ossia don Antonio Cotogni e, appunto, Mattia Battistini. Impossibile anche solo immaginare le licenze, le mille invenzioni di accento, agogica e dinamica - i "colori" del canto, che oggi sono tutt'altro, come ben sappiamo da dotte e avvertite cronache - cui i due cantanti si abbandonavano nel duettone del terzo atto. Proponiamo però, a commento e in sostituzione, la "sfida" a distanza nella medesima romanza, quella celeberrima del Re di Lahore, in cui Cotogni e Battistini dimostrano che, tramontata la freschezza vocale, restano molte armi al cantante che sappia e possa utilizzarle al meglio.


Autumn and Winter 1897–1898
St. Petersburg: Grande Salle du Conservatoire


Dec. 11
Rigoletto
Pacini s. Carotini ms. Masini t. Battistini br. Rossi bs. Podesti cond.

Dec. 12
Il barbiere di Siviglia
Pacini s. Masini t. Battistini br. Rossi bs. Podesti cond.

Dec. 14
I puritani
Pacini s. Bonci t. Battistini br. Uetam bs. Podesti cond.

Dec. 26
Faust
Arnoldson s. Carotini ms. Bonci t. Battistini br. Uetam bs. Podesti cond.

Dec. 29
Don Giovanni
Battistini br. Arnoldson s. Di Benedetto s. Pacini s. Bonci t. Rossi bs. Podesti cond.

Jan. 2
Il trovatore
Di Benedetto s. (later Bonaplata-Bau s.) Pasqua ms. Tamagno t. Battistini br. Silvestri bs. Podesti cond.

Jan. 8
Poliuto
Bonaplata-Bau s. Tamagno t. Battistini br. Podesti cond.

Jan. 9
Il demone
Battistini br. Arnoldson s. Carotini ms. Masini t. Rossi bs. Podesti cond.

Jan. 14
Otello
Di Benedetto s. Tamagno t. Battistini br. Podesti cond.

Jan. 18
Andrea Chenier
Di Benedetto s. Carotini ms. Tamagno t. Battistini br. Silvestri bs. Podesti cond.

Jan. 27
Amleto
Battistini br. Pacini s. Carotini ms. Podesti cond.

Feb. 4
La traviata
Arnoldson s. Masini t. Battistini br. Podesti cond.

Feb. 6
Eugene Onegin
Battistini br. Arnoldson s. Carotini ms. Masini t. Silvestri bs. Podesti cond.

Feb. 10
La favorita
Pasqua ms. Masini t. Battistini br. Rossi bs. Podesti cond.

Feb. 27
Don Pasquale
Cotogni b. Battistini br. Arnoldson s. Masini t. Podesti cond.



Gli ascolti


Mozart - Don Giovanni

Atto I - Dalla sua pace - Alessandro Bonci (1905)


Rossini - Il Barbiere di Siviglia

Atto I - Una voce poco fa - Regina Pacini (1906)


Bellini - I Puritani

Atto I - Ah per sempre io ti perdei - Mattia Battistini (1911)

Atto I - A te o cara - Alessandro Bonci (1905)

Atto I - Ah vieni al tempio - Regina Pacini (1906)


Gounod - Faust

Atto III - Salut, demeure chaste et pure - Alessandro Bonci (1906)

Atto III - Il était un roi de Thulé...Ah! Je ris de me voir si belle - Sigrid Arnoldson (1908)


Massenet - Le roi de Lahore

Atto IV - Promesse de mon avenir - Antonio Cotogni (1908), Mattia Battistini (1921)


Thomas - Hamlet

Atto V - Comme une pâle fleur - Mattia Battistini (1911)


Čajkovskij - Evgenij Onegin

Atto I - Kogda bï zhizn domashnim krugom - Mattia Battistini (1902)


Verdi - Il Trovatore

Atto I - Deserto sulla terra - Francesco Tamagno (1903)


Verdi - La Traviata

Atto I - Ah fors'è lui - Sigrid Arnoldson (1906)


Verdi - Otello

Atto II - Era la notte - Mattia Battistini (1912)

Atto IV - Niun mi tema - Francesco Tamagno (1903)


Giordano - Andrea Chénier

Atto I - Un dì all'azzurro spazio - Francesco Tamagno (1903)


29 commenti:

giorgiocaoduro ha detto...

Ma Battistini si è cantato 15 ruoli in due mesi e mezzo! Al di la della prodezza vocale che è notevole, mi sorprende come uno possa tenere a memoria 15 ruoli contemporaneamente!!! E' INCREDIBILE!!!!

Domenico Donzelli ha detto...

caro giorgio,
il loro ragionamento era che quando una parte era pronta era pronta ed era pronta alla Battistini ossia Battistini la cantava così
quanto cantassero secondo me è paradigmatico nel pomeriggio dell'8 gennaio 1940 quando la trentacinquenne signorina stignani in quel di trieste entrò in teatro alle 12 circa cantò la pomeridiana di favorita e la serale di trovatore!!!!
ciao dd

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ovviamente si resta ammirati di fronte all'elenco dei titoli e allo sfoggio di taluni interpreti. Un po' di pepe - pur in cotanta bellezza - ci vuole. Se è un fatto la ricchezza di opere presentate, il numero di repliche, l'impegno profuso, è pure un fatto che la Rosina soprano di coloratura (per quanto praticata di frequente nel passato remoto) è e resta una forzatura (stilisticamente poco accettabile), così come il fatto che la scarsa stima di Verdi per lo Jago di Battistini vorrà pur dire qualcosa e il fatto non può essere derubricato a pedanteria di puristi (a meno di sostenere che Verdi non capisse un tubo delle opere che lui stesso scriveva). Ribadisco l'importanza dello stile (che non è un inutile orpello) e non vorrei che certe mancanze di oggi, venissero prese a giustificazione di un'asettica accettazione di tutto ciò che risalga alla "tradizione" depositaria di "verità". Questo non toglie, ovviamente, legittimità alle sacrosante critiche di quel che capita di sentire a teatro (Scala in particolare), e, anzi, rende miglior servizio all'utilità di ogni confronto: strumento indispensabile per migliorare o prendere ispirazione o, perché no, correggere certe forzature ed evitare certi vezzi.

mozart2006 ha detto...

Duprez, a sostegno della tua tesi su Verdi basta ricordare che Puccini, dopo aver sentito Miguel Fleta in Tosca, disse: "Mi sono vergognato di aver scritto l´opera dopo aver sentito come l´ha cantata lei stasera".
Fleta rispose: "Maestro, se l´avessi cantata come voleva lei, non avrei bissato la romanza".
E Puccini: "Infatti, Caruso la bissava due volte!"

Giambattista Mancini ha detto...

Queste favole sono deliziose, e Tamburini le racconta benissimo. :)

Ho ascoltato un paio degli ascolti proposti, ci tengo a segnalare la fenomenale prova di bravura di Bonci che nel "Salve dimora" prende un perfetto do acuto sulla difficile vocale u di "fanciulla". Meraviglioso!

A Duprez vorrei chiedere quali sarebbero oggi gli interpreti che avrebbero qualcosa da insegnare in fatto di stile e vocalità a Battistini - re dei baritoni, indiscusso arbiter elegantiae - o alle Rosine sopranili d'anteguerra. Allora, CHI? I NOMI!!!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

"Allora, CHI? I NOMI!!!"

Prima di tutto urge darsi una calmata, Mancini...non siamo ad un interrogatorio e tu non sei un PM.

Secondariamente sarebbe opportuno curarsi di leggere (e possibilmente comprendere) ciò che si critica:

1) ho scritto che Battistini canta male? NO!
2) ho scritti che a Battistini manca stile ed eleganza? NO!
3) ho detto che il suo Jago non è corretto? NO: l'ha detto Verdi. E Verdi non è l'ultimo dei pirla, ma è colui che ha scritto l'opera, per cui o tu mi dimostri di capirne più di Verdi (l'autore) circa la vocalità richiesta per il SUO personaggio, oppure fai come tutti e cerchi di comprendere le motivazioni di chi ha composto l'opera.
4) sul "re dei baritoni": mi spiace...sono repubblicano e non credo in investiture divine.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Quanto alle Rosine sopranili anteguerra: è argomento che già è stato dibattuto (proprio con te), per cui rinvio alle passate discussioni, a cui mi riporto integralmente. Solo due precisazioni:
- la Rosina sopranile nulla può insegnare quanto a stile e vocalità autentica, dato che nulla ha a che fare con Rossini e il suo orizzonte estetico. E' un abuso tardo ottocentesco, infarcito di orridi svolazzi liberty.
- la presunta legittimazione rossiniana alla trascrizione in chiave di soprano è una forzatura:la Fodor-Mainvielle eseguì una prima volta l'opera, a Londra nel 1818 (con i trasporti predisposti da qualche anonimo copista), mentre nel 1819 la ricantò a Venezia e solo in quell'occasione intervenne Rossini, omaggiando la cantante con diverse variazioni e un'aria aggiuntiva (derivata dal Sigismondo); nel 1852 Rossini omaggia Matilde Juva con una serie di variazioni della cavatina di Rosina (non in occasione di una ripresa dell'opera intera, dunque, ma limitatamente al brano solistico). Il resto è abuso e nulla, proprio nulla giustifica le frenesie liberty di dive e divette dell'anteguerra. Soprattutta nulla possono insegnarci in merito alla corretta vocalità belcantista e allo stile rossiniano, giacché non praticano né quelo stile né il belcanto propriamente detto: sono altri tempi, altri orizzonti estetici.

Chiudo con un pensiero di Celletti (che non è, credo, l'ultimo arrivato) dedicato al modo di cantare Rossini, Bellini e Donizetti nell'anteguerra...dove riscontra "gli arzigogoli dei soprani d'agilità d'un tempo (Tetrazzini, Kurz, Galvany e simili) che sono soltanto IGNOMINIOSI e MONOTONI elenchi, tramandati dai dischi, di scale, picchettati e trilli".

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ah, dimenticavo i nomi: credo che Berganza, Horne, Dupuy, Podles etc...avrebbero potuto ben insegnare stile e vocalità rossiniana a tutte le pseudo rossiniane dell'anteguerra (analfabete - non per colpa - in quella materia). E pure oggi, quanto a correttezza stilistica (anche se con altri problemi vocali), molte potrebbero insegnar loro... Certamente stile e tecnica non coincidono.

Antonio Tamburini ha detto...

e si che mi pareva di essere stato chiaro. la stessa stampa russa censurò la Pacini in quanto "fuori stile" come Elvira. e il rilievo non era certo privo di fondamento. naturalmente, dato che gli anni non passano invano, sarei curioso di sentire le reazioni di quegli stessi critici davanti a qualche Elvira di oggi, e penso ad esempio a Diana Damrau, di recente approdata al ruolo. con quale e quanta consapevolezza stilistica, lascio a voi giudicare.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Verissimo, Antonio, il problema è io non parlavo di A che è meglio di B o viceversa...parlavo di stile (solo per dare un po' di pepe alla conversazione)...poi, purtroppo, è arrivata l'inquisizione al grido di "fuori i nomi!"...
Comunque, tornando a cose serie, è molto interessante il non gradimento di Verdi per lo Jago di Battistini, e dovrebbe farci riflettere circa la corretta vocalità del personaggio. Poi, ovviamente, al mero ascolto del singolo episodio si resta ammaliati...ma il discorso di Verdi andava oltre il mero dato estetico.

Antonio Tamburini ha detto...

del resto Verdi aveva da ridire anche su Maurel (vedi l'ammonimento ricordato da Lauri-Volpi: "pensi di meno e canti di più") e pure su Tamagno aveva qualche riserva... anche se poi possiamo chiederci quante di queste riserve fossero dettate da legittime preoccupazioni autoriali e quante derivassero invece da cause di altra natura... lo stesso Verdi ironicamente si stupisce che l'opera "cammini", in alcune riprese, senza i suoi "creatori", e annota con acredine "Quasi mi ero persuaso che l'opera l'avessero scritta loro"...

Giambattista Mancini ha detto...

Duprez, i nomi che mi hai fatto sono, ormai, nomi del passato. Io ti ho chiesto i nomi di OGGI. Peraltro tra le cantanti da te citate nessuna incarna perfettamente la vocalità ideale del contralto rossiniano, eccetto forse la Podles, che però è tutta intubata e con la voce spezzata in tre tronconi. Una cantante, tuo malgrado d'anteguerra, che si avvicina molto alla vocalità del contralto rossiniano è Eugenia Mantelli.

Vedi, avrebbe senso fare gli schizzinosi nei confronti del Rossini d'anteguerra se oggi avessimo un'alternativa valida. Ma, invece, cosa ci resta? Pensi che possa realizzarsi lo stile rossiniano se prima non si padroneggia la tecnica? Un pianista può suonare Liszt se non sa fare scale, scale per terze, per ottave, arpeggi ecc..??!!

Il canto è finito! E, mi spiace dirtelo, non c'è regista che possa salvare questo teatro dal definitivo naufragio...

Quanto al giudizio di Verdi su Battistini, penso che non abbia senso fossilizzarsi ad interpretare le presunte volontà del compositore. Abbiamo lo spartito, quello dev'essere il nostro riferimento. Perdersi nell'aneddotica nel tentativo di sminuire il canto di Battistini mi sembra solo un esercizio sterile ed insensato...
Comunque, lo Jago di Verdi era Victor Maurel.
Rispetto a Battistini, in questa registrazione Maurel è più preciso nel rispettare tutte le indicazioni di sussurrare pianissimo e sottovoce le parole del sogno di Cassio. Per inciso, non c'è baritono che negli ultimi sessant'anni (tanto per darmi un limite temporale) abbia mai rispettato tutti i pianissimi di Verdi. Oggi men che meno, nessuno ne sarebbe tecnicamente, prima che stilisticamente, capace. Con buona pace dei modernisti evoluzionisti.

p.s. per i detrattori di Fleta... cosa pensate che direbbe Puccini se la prossima settimana potesse sentire la Tosca che sarà allestita in Scala?? Ih ih ih!!!

IL CANTO E' FINITO

Bye bye

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

E vabbè Mancini: il canto è finito, si stava meglio quando si stava peggio, la modernità fa schifo, siamo circondati da nemici e da complotti, Fleta non si può discutere (sennò lesa maestà), Battistini idem, i registi sono come la spectre, chi discute è "insensato", chi ragiona merita di esser fatto tacere (o è venduto al nemico), e SOPRATTUTTO tu hai tutte le verità in tasca... Va bene Mancini, va bene...buon divertimento.

Ps: divertente il fatto che lo spartito salti fuori quando fa comodo...a volte pare che ogni arbitrio debba essere concesso (pure con Verdi o Wagner), a volte ci si scopre fedeli alla lettera, a volte ci si crede depositari delle volontà dell'autore, a volte si liquida come aneddotica una precisa critica (non campata per aria: ma espressa dall'autore della musica a chi, quella musica, andava ad interpretare...evidentemente non pienamente coerente con la sua volontà, che non è da ricavare, ma è ben esplicitata!)... Peraltro non mi torna il fatto che tale adesione allo spartito (in barba a quel che dice e scrive l'autore) non venga tirato in ballo con incisioni anteguerra di divi e dive che tagliavano, trasportavano, riorchestravano, infarcivano con una disinvoltura disarmante...

Misteri della fede...

Giambattista Mancini ha detto...

No no no. Vai piano Duprez. Lo spartito non salta fuori perché "fa comodo". No.
Sarai d'accordo con me, nel dire che Verdi annota sullo spartito molti più segni di quanto faccia Rossini, e che in Verdi - soprattutto il Verdi dell'Otello! - il rispetto della lettera abbia un'importanza maggiore che in Rossini. Quindi, mi permetti di essere fedele alla lettera quando parlo di Otello, e di esserlo un tantino meno se parlo del Barbiere di Siviglia?

Tornando a Battistini, io non ho letto nessuna "precisa critica" del suo Jago da parte di Verdi, ma so solo della "scarsa stima" del compositore nei confronti del baritono romano. Potresti cortesemente riportarmi questa critica? Così ci facciamo un'idea un po' più circostanziata di cos'è che non va in Battistini...
In mancanza di ciò, mi limito a giudicare secondo il mio gusto personale, in base anche alle coordinate tracciate dallo spartito (limitatamente, ovviamente, alle poche registrazioni che abbiamo di Battistini nel ruolo di Jago).

Secondo te cosa c'è che non va in Battistini? Non va bene la trasposizione dell'aria mezzo tono sopra? Cos'altro?

Ripeto, stare qui a fantasticare su ciò che a Verdi piaceva e non piaceva, mi pare inutile. Verdi scriveva ogni cosa che voleva sullo spartito: nello spartito, in Verdi, c'è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Cos'altro c'è da fantasticare?

silvio ha detto...

toni accesi a parte, mi permetto di osservare che anch'io pensavo alla Mantelli, il cui registro grave è tutt'altro che disprezzabile e che a mio modo di ascoltare si attiene pienamente al dettato rossiniano. Trovo che lo Jago di Battistini sia molto interessante, comparabile solo a quello di TIbbett e di pochissimi altri dopo di lui. Sarebbe interessante capire cosa al maestro non quadrasse nel suo modo di interpretare il personaggio, tenendo sempre presente che le opere nell'Ottocento e anche per buona parte del Novecento venivano rimaneggiate e tagliate senza troppi scrupoli, anche quelle dei più grandi maestri.
Certo, oggi si potrà discutere dell'opportunità e della decenza di simili operazioni, ma all'epoca era la norma a quel che pare.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Le cose, in realtà, sono un po' più complesse Mancini.

Innanzitutto dal punto di vista storico-musicale, vi è stata una certa evoluzione:
1) l'opera barocca è parca di indicazioni (anche dinamiche): Handel, ad esempio, stende per intero i melismi e le agilità, lasciando - come era costume all'epoca - le variazioni nei da capo e le cadenze alla fantasia e bravura dell'interprete.
2) Mozart, che subisce l'influenza gluckiana, ha una rapporto con l'interprete del tutto particolare: gli equilibri formali e la costruzione musicale mozartiana, permettono pochissimi spazi all'apporto creativo del cantante. Mozart stesso afferma, di fornte ad alcune esecuzioni dei suoi brani, particolarmente "martoriate" dalle inserzioni dei cantanti di turno, che se avesse voluto determinate variazioni e ornamentazioni, le avrebbe scritte. In effetti da Idomeneo in poi l'autore stende praticamente tutto ciò che vuole (salvo la pratica delle appoggiature, che però non c'entra con l'ornamentazione), pochi spazi rimangono all'interprete e neppure in tutte le opere (sono solo gli specialisti del barocco - che tu tanto detesti - ad inserire variazioni ovunque, forzando la linea musicale).
3) con Rossini le cose cambiano: sono più ricche le indicazioni dinamiche (rispetto all'opera barocca) ed è stesa la maggior parte delle ornamentazioni. Se si ha la voglia di leggere una partitura di Rossini si vedrà che nel corpus musicale sono comprese variazioni, cadenze, abbellimenti...probabilmente per frenare l'arbitrio dell'interprete. Poi residuano spazi autonomi certo, ma questi devono essere gestiti in modo coerente all'estetica della partitura e del tempo in cui venne composta (assurdo, ad esempio, predisporre variazioni con picchettati e glissandi, mai usati da Rossini, o acuti sparati in chiusura, assolutamente sconosciuti alla pratica teatrale di allora).
4) Verdi scrive tutto - appoggiature comprese - prevede tutto e fornisce dettagliatissime indicazioni. Verissimo. Cadenze comprese, però...e quindi perché ostinarsi a sostituirle con quelle di tradizione? Al solito più banali, più brutte e più inutili?

Il "tirar fuori lo spartito quando fa comodo" sta proprio qui: da una parte si rivendica la libertà dell'interprete (anche quando diviene arbitrio e inserisce elementi liberty in un astruttura neoclassica), dall'altro si invoca la fedeltà allo spartito anche quando è lo stesso autore a suggerire un certo modo interpretativo (che non va a modificare la lettera della pagina scritta, ma il modo d'eseguirla) a seconda della convenienza o meno ad un proprio "idolo vocale"...però questa coerenza (con lo stesso autore: Verdi) non la riscontro nel caso di arbitrari inserimenti di acuti (l'orrendo DO della "pira", inserito a costo di doverla abbassare o eliminare tutta la parte finale; il perfido MIbemolle di Violetta che è musicalmente uno scempio e su cui - assurdità bella e buona - taluno giudica un'interprete di Traviata), o di sostituzioni delle cadenze originali verdiane - contenute nello spartito - con altre di tradizione (immancabilmente mediocri).

Tutto qua!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Circa la volontà dell'autore: se visono elementi di certezza, perché non tenerne conto? Si perde il tempo, a volte, a vivisezionare la singola frase musicale, a dispensare "titoli cruscanti" per un LA traballante o una forcella non rispettata e poi ce ne freghiamo di chiare indicazioni autoriali?

Circa Bastainini: Verdi considerava "affettato e manierato" il suo modo di cantare. Condivisibile? Non so...in un certo senso sì. Sì, rispetto alle esigenze richieste (probabilmente). Verdi aveva una certa idea di Jago, che probabilmente non era pienamente realizzata da Battistini. Perché non tenerne conto? Perché non rifletterci? Invece di gridare alla lesa maestà avverso il "re dei baritoni"? Non si tratta di fantasticare o meno, ma di valorizzare le fonti e, son sicuro che Verdi sia fonte sempre autorevole (assai più di qualsiasi tradizione)

Giambattista Mancini ha detto...

Mi permetto solo un appunto alla tua analisi, Duprez, a proposito di Rossini, che a tuo dire inserirebbe variazioni, cadenze, abbellimenti per "frenare l'arbitrio dell'interprete". Io penso che non fosse esattamente questa la volontà di Rossini. Rossini era un amante del canto, direi quasi un grande promotore del belcanto. Lui metteva per iscritto le variazioni e gli abbellimenti per dare l'esempio ed anche obbligare i cantanti a cimentarsi nelle diminuzioni, in un'epoca in cui il canto, dopo l'era dei castrati, era già in grave declino sotto il profilo dell'educazione all'agilità ed al virtuosismo (affermo ciò anche in base a quel principio, in cui io credo e che io per primo penso d’aver enunciato, per cui all'avanzamento del tempo corrisponde una parallela e più o meno proporzionale involuzione canora: in due parole, più si torna indietro nel tempo, meglio si canta, o, se preferisci, più passano gli anni, peggiori sono i cantanti). So che non sarai d'accordo, ma credo comunque che l'intento di Rossini fosse solo quello di preservare il canto dall'imbarbarimento dell'epoca: e per fare ciò ha fissato sulla carta tutte le note che i cantanti devono cantare. Con la clausola, sottintesa, che se i cantanti avessero saputo fare di meglio, sarebbero stati autorizzati a "creare" da sé le proprie variazioni e ad inserire i propri abbellimenti. Insomma, Rossini voleva solo obbligare i cantanti a cantare d’agilità, pratica che già allora andava perdendosi.

A proposito delle cadenze e degli inserimenti arbitrari di acuti nelle opere di Verdi, penso che comunque si debba prendere atto dell’esistenza di una tradizione consolidata e risalente allo stesso Verdi, il quale, se non li avallava, comunque spesso tollerava questi arbitrii. Saranno pure scempi musicali, però il MIb di Violetta, se ben fatto, ha un effetto positivo sul pubblico, e così il do della pira (per inciso, a me la cabaletta di Manrico non piace neanche un po’… trovo che il do sia l’unico aspetto degno d’interesse di tutto il brano). Fermo restando che fondamentalmente hai ragione tu, io però non voglio essere così rigido come te. A teatro non mi scandalizza affatto l’inserimento del do acuto nella pira (chiaramente a patto che quel do sia emesso come si deve), piuttosto mi scandalizzano i tentativi miserrimi di trillare l’”Ah sì ben mio”, quando il trillo non si sa nemmeno da dove cominciare a farlo… Insomma, è la penuria tecnica ad infastidirmi, non certo la generosa ostentazione di un folgorante registro acuto, anche se in barba alla prescrizioni di quell’antipaticone di Verdi. E poi Duprez, io non credo che inserire arbitrariamente un acuto alla fine di una cabaletta, o variare ad libitum le cadenze dell’autore, sia grave come ignorare sistematicamente tutti i segni espressivi, le legature, gli accenti, le mezze voci… Per cui, ad esempio, non mi puoi spacciare come “autentico” il Manrico di un Licitra, solo perché omette il “do di pira”… e tutto il resto??? Al di là di quella nota, è tutto il personaggio a mancare nel (non)canto di Licitra e dei can(i)tanti come lui! Preferisco mille volte l’espressività del canto d’anteguerra, pur con le sue cadenze stravaganti ed i suoi acuti – squillantissimi! - interpolati.

Circa Battistini, credo ci sia del vero in ciò che dici. Probabilmente il suo temperamento nobile, elegante, raffinato mal si confaceva ad un villain come Jago. Insomma, non era Battistini ad essere inadeguato… inadeguato, semmai, era il personaggio di Shakespeare e di Verdi. Inadeguato al re dei baritoni Battistini, cui si addicevano invece ruoli nobili, da grand seigneur. L’incisione del sogno di Jago rimane comunque un capolavoro sotto l’aspetto sia vocale, sia interpretativo, sia stilistico e della fedeltà al testo (soprattutto relativamente a quel che sentiamo oggi): e se a Verdi non piaceva, peggio per lui.

Prima di ogni cosa, anche di Verdi, sempre e solo il Canto.

Ciao

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Mancini quel che scrivi è disarmante, assurdo...davvero mi ricordi i talebani che hanno distrutto le statue di Buddha perché contrarie al loro islam. Il tuo islam è un'idea folle e arbitraria del canto...fatto di dogmi indimostrati e indimostrabili, di prese di posizione manichee, di estremismi insensati. Nello specifico:
1) quel che scrivi di Rossini è assolutamente un arbitrio, avallato da nulla e contraddetto dalla semplice lettura di una sua partitura o di un testo di musicologia. Rossini NON scrive le sue ornamentazioni per preservare l'antico belcanto (peraltro la sua scrittura vocale è diversissima da quella dell'Opera Seria barocca), semplicemente perché vuole che esse vadano eseguite così (nei punti previsti), poi OVVIAMENTE c'è spazio per variazioni e cadenze...tuttavia, in presenza di una cadenza d'autore, la sua esecuzione sarebbe preferibile. Sul patto tacito tra Rossini e interpreti per cui essi sarebbero stati autorizzati a far di tutto (se migliore di quanto scritto), non vorrei soffermarmi se non per dire che è una pura e semplice fantasia: frutto del concepire l'ornamentazione come mera palestra senza alcun fine espressivo (per cui a maggior esibizionismo virtuosistico corrisponderebbe maggiore bellezza: falso, falsissimo...giacché se ti fossi studiato o letto talune soluzioni ornamentali rossiniani, ne avresti apprezzato l'arditezza espressiva, seppur magari inferiori in quanto a difficoltà a certi ingombranti ghirigori dei divastri di turno);
2) il fatto che più si torna indietro più si canta meglio è tua convinzione, non supportata da alcun elemento (salvo il refrain di "quando c'era Caffariello" eterno ritornello di ogni rimpianta età dell'oro: che è un semplice divertissement reazionario, privo di qualunque pregio). Tra l'altro è inverificabile a meno di dotarsi di macchina del tempo che ci possa portare a confrontare il canto della Pasta con quello della Cavalieri e più giù fino al Senesino per arrivare ai trovatori (che, secondo te, dovrebbero essere stati il nec plus ultra).
3) la questione delle cadenze di Verdi mi conferma come il tuo ricorso allo spartito sia del tutto pretestuoso e opportunista. Un discorso merita coerenza.
4) quanto alla pira: il DO non mi disturba, anche se è esibizione inutile e stilisticamente dubbia (e Verdi non avallò un bel niente, al massimo poteva tollerare, perché non poteva intervenire: ma non si possono ignorare - come fai tu - le clausole scritte che Verdi faceva firmare ai committenti con cui si sanciva l'immodificabilità dell'opera..clausole purtroppo disattese). Poi se a te della Pira piace solo il DO..accomodati, organizzeranno serate costituite da solo DO di petto o MI bemolle acuti...sai che palle! Ma come si fa a ridurre il canto alla mera palestra vocale, alla singola nota, al singolo acuto?

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

5) sai bene, poi, che per quel maledetto DO si sono combinati scempi immondi con abbassamenti e tagli e aggiusti...solo per permettere quello strillo finale. E certi idioti hanno buato solo per la mancanza di quel DO (a loro non importava nulla, probabilmente del Trovatore, ma come te, amavano solo il DO di petto). Se per quel DO, l'interprete deve risparmiarsi nel molto più bello "Ah sì ben mio" o tagliare mezza cabaletta o abbassarla di un tono e mezzo (per emettere un SI che gli stolti percepiscono come DO e applaudono come pecore), beh, che senso ha????
6) non capisco poi perché mi attribuisci cose mai dette: quando mai avrei definito autentico il Manrico di Licitra??? Tra l'altro ti annuncio che il Manrico muscolar stentoreo con voce maschia e robusta è invenzione che nulla c'entra con la vocalità originale.
7) circa la tradizione consolidata - che tu tanto apprezzi - per me non esiste, è una stortura e un feticcio che di per sé non significa nulla.
8) il fatto che Verdi "avesse sbagliato" nello scrivere il personaggio di Jago rientra nel novero delle più grandi "cazzate" da me lette negli ultimi 10 anni...
9) ti prego...astieniti da sbrodolate retoriche sul canto, prima di tutto il canto, solo il canto...sono ridicole.

Giambattista Mancini ha detto...

Uffa... Tu continui a dire che io "apprezzo" la tradizione... No, io solo ne osservo l'esistenza (che tu vuoi negare), e la rispetto in quanto tale. Tu continui ad esprimere giudizi di valore sulla storia esecutiva di un certo repertorio, io mi limito ad osservarne l'evoluzione. I giudizi io li riserbo solo al buono o al cattivo canto.

La mia convinzione che più si torna indietro nel tempo, meglio si canta, è supportata dall'ascolto delle registrazioni degli ultimi centodieci anni, e dalla constatazione che il livello tecnico dei cantanti è andato scemando sempre di più. Nello specifico, la curva si è fatta particolarmente ripida a partire dagli anni '50, fino ad assumere pendenza quasi verticale negli ultimi vent'anni. Direi che oggi abbiamo toccato il fondo, ma forse resta ancora la possibilità di sentire addirittura di peggio: mai dire mai.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ma guarda che io non nego affatto l'esistenza di modalità esecutive tradizionali, preferisco però chiamarle tradizioni (al plurale) poiché non si tratta, secondo me, di un sistema organico, una specie di dogma...vero sempre e per sempre che "valga" più dell'opera stessa. Penso, poi, che tali tradizioni (figlie del loro tempo e limitate, sempre, dal loro circoscritto orizzonte estetico), lungi dall'avere una portata universale, debbano essere, invece, considerate storicamente, apprezzate per quel che sono (non come parametri assoluti, dunque), lette e capite senza idolatrarle, anche perché - come in ogni cosa - c'è in esse del buono e del cattivo. Rimpiangerle (come una perduta età dell'oro) è esercizio sterile e inattuabile. Poi, tornando al "casus belli", è ovvio che l'ascolto di Battistini è sempre una goduria, solo un matto direbbe il contrario, però...c'è un però (come sempre, dato che la realtà non è solo bianca o solo nera): il tipo di Jago a cui pensava Verdi, il modo di porgere certe frasi, l'interpretazione cioé, aldilà dei segni scritti. Varrebbe la pena rifletterci, ecco, e non liquidare la faccenda dicendo che "Verdi sbagliava"...Verdi non può sbagliare a volere ciò che vuole...come non sbagliava quando ha prescritto il Si bemolle smorzato del "Celeste Aida" (ma vaglielo a dire ai loggionisti parmigiani che fischiavano Bergonzi perché, invece di sparare l'acutazzo, smorzava...loro ripetevano "si vede che ha sbagliato anche Verdi"). E questo aldilà di qualsiasi tradizione..che in nessun modo può dettare regole e dogmi, poiché nessuna tradizione può valere più dell'opera d'arte.

Il fatto poi che "più si torna indietro nel tempo, meglio si canta" resta una tua legittima opinione, per carità, che io però non mi sento di condividere. E' solo un tuo gusto, senza alcuna pretesa di oggettività. Ti faccio un esempio, per me Rossini lo si è cantato assai meglio negli anni '80 rispetto a qualsiasi tradizione (e comunque anche oggi lo si canta con più aderenza stilistica, certo non sempre, ma spesso accade). Oppure il Verdi della Price (Leontyne), per me irrinunciabile e vale più di tutti i '78 giri del mondo.

Giambattista Mancini ha detto...

Io credo che dopo un secolo e mezzo che si canta la pira con il do, quella nota si sia consolidata nell'opera al punto da diventarne parte necessaria. La volontà di Verdi non è un dogma, la sua opera vive attraverso la sua storia esecutiva. Sottoscrivo a questo proposito la bella analisi di Donna Grisi sul Trovatore Verdi Edission, che mi trova perfettamente d'accordo.

Penso che Battistini piacesse poco a Verdi per via del suo gusto arcaico, ottocentesco, che lo rendevano interprete ideale per Donizetti ma poco moderno per un ruolo come Jago.

A proposito del mio teorema (più vecchi sono i cantanti, meglio cantano), tu dici che Rossini lo si è cantato meglio negli anni '80. Sì, vero, anche perché prima Rossini era quasi tutto fuori repertorio... salvo pochi titoli celebri. Però i virtuosi di fine '800 e del primo '900 erano superiori tecnicamente ai virtuosi della Rossini Reinassance: un basso come Ramey fa una magra figura se confrontato con Plancon, e i tenori impallidiscono se confrontati con Jadlowker... Così i mezzosoprani, soccombono di fronte al canto di una Mantelli o di una Onégin o di una Supervia, e nessun soprano ha posseduto nel Dopoguerra un virtuosismo paragonabile a quello delle varie Tetrazzini, Galli Curci, Ivogun... salvo la Sutherland, forse.

Parlo ovviamente di mera abilità virtuosisitica, non certo di corretteza stilistica.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Però, Mancini, non abbiamo il Maometto II di Plançon...o il Pirro di Jadlowker. Il Rossini serio è rinato solo negli anni '70, prima era lettera morta...e pure l'altro Rossini (quello più di repertorio) era abitualmente stuprato. Erano i tempi, per carità, ma - già ne parlammo - la Tetrazzini c'entra in Rossini come l'aglio nella carbonara...

Circa il DO della pira...che dire, è inutile insistere: non fa parte della partitura e, anzi, fa a pugni con l'armonia del pezzo...per eseguirlo si giustificano gli scempi peggiori...è brutto, inutile e stupido, però se piace amen...lo si faccia, purché non si debba modificare tutto il resto (tra cui la ben più meritevole "Ah sì ben mio": e quanti tenori si sono "risparmiati" nell'aria per poter eseguire quella "notaccia"?). Però non può essere oggetto di critica il non eseguirlo. Ecco tutto.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Su Jago/Battistini, invece sono molto d'accordo con te: forse Verdi pensava - e dalla lettura dello spartito lo si evince - ad un intreprete più espressivo, meno impostato, più duttile nella scienza della parola (quasi un riflesso di wort-ton drama). Ovviamente Battistini non poteva incarnarlo perfettamente: Jago non è regale, è subdolo (senza però essere sbracato, come Gobbi)... L'interprete dovrebbe padroneggiare l'arte del sottinteso, dell'accenno, della sfumatura espressiva. Forse è parte che richiede fraseggio liederistico: in tal senso avrebbe potuto offrirci un'interpretazione maiuscola Fischer-Dieskau se solo non sdi fosse incaponito nel trasformarsi in baritono bieco e veristeggiante. Occasione sprecatissima...

Giambattista Mancini ha detto...

La parte di Jago sicuramente richiede un uso sofisticato della parola, ma senza comunque trascurare i sani fondamentali del canto: per cantare Jago serve un vocalista provetto, un virtuoso capace di cantare a fior di labbro e di variare con disinvoltura dinamica e colore lungo tutta l'estensione della propria voce.
Il liederista Fischer-Dieskau (peraltro manieratissimo quando cantava l'opera italiana) è agli antipodi di questo modello... a meno che non confondiamo le mezzevoci con le stimbrature e gli acuti con i berci.

Lo Jago ideale sappiamo già qual è: Victor Maurel, il primo Jago, baritono di formazione belcantista ma allo stesso tempo sottilissimo cantante attore; lo stesso Verdi nutriva per lui una stima notevole.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Premesso che Fischer-Dieskau non bercia né stimbra, premesso pure che è un cantante di levatura storica che ha consegnato prove splendide in dati repertori (Schubert, Bach, Schumann, Mozart), premesso anche che padroneggiava non solo la tecnica, ma anche l'arte della parola cantata e del fraseggio (materia sconosciuta a tanti baritoni anche storici)...dici benissimo tu: nell'affrontare il repertorio italiano era non solo manieratissimo, ma irriconoscibile. Caricato, goffo, pesante, retorico...per un malinteso concetto di melodramma (vittima del suo tempo forse). In questo senso parlavo di occasione sprecata: se nell'interpretare Jago avesse usato la cura e l'approccio con cui eseguiva il Winterreise, beh avremmo ascoltato qualcosa di notevole...purtroppo ha preferito gonfiare le gote e giocare a fare la voce grossa, le risatazze, i mezzi parlati... Ripeto: peccato.

Giambattista Mancini ha detto...

Molto più di Fischer-Dieskau, la cui emissione rozza è quanto di più distante ci sia dal cantare all'italiana, e la cui parola - italiana - è solo affettata, uno Jago interessantissimo sarebbe stato Sesto Bruscantini: finissimo dicitore e cantante tecnicamente completo (sicuramente tra i più corretti, vocalmente, nel Dopoguerra).

Personalmente Fischer non lo posso sentire: un pioniere del malcanto, progenitore degli odierni Matthias Goerne, ecco quello che fu. E cantare Schumann e Schubert non fornisce certo la patente, né di cantante corretto tecnicamente, né tantomeno di verdiano... Già, con quei suoni osceni che s'inventa, è insopportabile nei lieder, figuriamoci in Verdi! Via via, lo lascio ad ascoltatori più... acculturati... cantante culturalissimo... (bleah)

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

A me Fischer-Dieskau piace molto...certo non nel repertorio italiano, dove - purtroppo - opta per una contraffazione della sua voce e della sua tecnica. Peccato, perché vi sono degli sprazzi veramente ottimi: penso al Don Carlo (leggi la bella recensione di Celletti sul suo Rodrigo). Comunque tutto si può dire di Fischer-Dieskau - che può piacere o non piacere - men che sia rozzo (se lo è lui, Gobbi cos'è?). Lo diventa nel repertorio italiano: purtroppo! Ma resta una forzatura.