mercoledì 20 aprile 2011

Hipólito Lázaro: Mi método de canto. Seconda lezione

LEZIONE 2

LE VOCALI

Dopo esserti esercitato per diversi giorni seguendo gli esercizi della precedente lezione, potrai iniziarne uno nuovo: fai un profondo respiro attraverso il naso ed emetti una nota a tuo piacimenti, ad esempio un LA del secondo spazio del pentagramma. Fai delle note belle lunghe, con una vocale intermedia fra una “O” ed una “U”, una “O” scura per capirci.

Il suono cosiddetto intervocalico è unanimemente ritenuto quello giusto. Lazaro è piuttosto sbrigativo nell’indicare quello che ritiene il suono esatto. Spesso si usa un’espressione più pregnante ossia fare una “o” come se fosse una “u”.



Ti accorgerai che la “O” che ora ti chiedo di cantare, posta sul labbro superiore, per sua natura risulta scura , certo, se il fiato è ben condotto verso il labbro superiore.

Il termine scuro, più spesso oscurato deve essere sempre utilizzato cum grano salis in quanto suoni troppo scuri ossia troppo oscurati portano all’emissione di note acute piuttosto tubate. Posso citare certi acuti di Bergonzi nella fase terminale della carriera.
Questo poi è il vero punto SE IL FIATO E’ BEN CONDOTTO perché automaticamente se la respirazione è corretta il cantante è portato ad oscurare il suono soprattutto nella zona di passaggio quale conseguenza del mantenere il fiato ed il sostegno, per conseguenza, nella posizione corretta.


Non vocalizzare mai con altre vocali.
La “A” è aperta per sua natura e non lascia montare la voce nel ponte, ossia nell’arco armonico. E’ questo il motivo per cui la voce dopo quattro o cinque anni di attività inizia a ballare e si rompe. Qualora dovesse succedere questo, la carriera di un cantante può dirsi conclusa.

Qui Lazaro non condivide chiaramente l’opinione di uno dei didatti più celebrati di ogni tempo e con alunni famosi come il Lamperti, che, invece, parlava della “a” come della regina delle vocali. Si possono ascoltare due cantanti quali la Stignani, che praticava anche all’eccesso il dettato del Lamperti e di Stefano o qualunque dei suoi imitatori per capire che se il sostegno della respirazione è corretto si può emettere una “a” da professionistio da dilettanti, ad onta della dote di natura.

La “E” chiude la laringe provocando nella voce un suono simile al belato delle pecore. Non a caso in Italia la chiamano “voce pecorina”. Non è quindi adatta per vocalizzare.

Invito ad ascoltare la vocalizzazione di Juan Diego Florez.

La “U” è come se non esistesse nell’alfabeto. Produce suoni da sirena di locomotiva .
Non vocalizzare mai neanche con le consonanti, e fuggi da coloro che ti consigliano di fare ciò: credimi, sono persone di grande ignoranza. Se li ascolti, ti rovini per sempre la voce.

Va però detto che qualche volta una “u” più simile al dittongo greco “ou” che non alla “u” cosiddetta francese può propiziare l’immascheramento del suono e facilitare l’emissione degli acuti.

Ti racconterò un episodio avvenuto durante gli anni di studio a Milano.
Dunque: il mio agente rappresentante di quegli anni (uno dei migliori in Italia) mi mandò a studiare la “Boheme” di Puccini con un celeberrimo maestro di canto, il cui nome vorrei tanto dimenticare. Costui mi faceva vocalizzare con consonanti e aprire i suoni, spiegandomi come la voce dovesse aprirsi man mano che uno saliva verso registro acuto, proprio come un ombrello. Un giorno non riuscii a cantare il “Do” del racconto della “Boheme”. Io, che riuscivo a cantare un Fa sopracuto prima di recarmi da quel…uomo! Mi arrabbiai tanto che gli diedi una spinta, presi il mio partito urlandogli un faccia la frase del’opera in questione “Ci rivedrem a la stagion dei fior!”, e me ne uscì di corsa. Il maestro stupito mi rispose “Pazzo che non sei altro! Sali, su!”. Ovviamente non salii di nuovo.
Credo di aver sempre avuto la capacità di capire cosa mi potesse danneggiare la voce.
Dunque, come vedi, devi sempre insistere assai nel LA che ti ho indicato, fino a che non ti renderai conto di collocare come di dovere il fiato nella forma che ti ho indicato: devi collocarlo bene sul labbro superiore, ma bada o non appoggiarlo sul naso ! Ricordati anche che questo suono deve essere il più lungo possibile, e fai ben attenzione senti il suono e la posizione del medesimo.

Il naso ossia i suoni nasaleggianti servono soprattutto nei tenori contraltini a raggiungere gli acuti estremi. Di scuola l’esempio di Kraus negli ultimi anni di carriera.

Quando avrai eseguito per un certo periodo tale esercizio, chiedi a un tuo familiare di ascoltarti perché ti dica come suona la voce .

E qui tocchiamo un altro punto essenziale dell’insegnamento del canto e del controllo tecnico del cantante, disporre di qualcuno che sappia ascoltare. Il problema poi… è sapere dire e non urtare suscettibilità e preconcetti in cui i cantanti d’opera sono indiscussi maestri, famosi, storici e incapaci in questo non c’è differenza.

Anche se non capisce nulla di canto, si accorgerà facilmente della differenza rispetto a quando avevi iniziato. E, considerando quello che ti dirà, potrai valutare e correggere individualmente i tuoi difetti.
Sarebbe molto utile studiare questo Metodo con un altro studente: vi potreste correggere a vicenda. Sarebbe ideale.

AVVERTIMENTO IMPORTANTE:
studia sempre in una stanza ben sorda: metti dunque tappeti, giacche...quello che hai a portata di mano, per far si che la voce non abbia risonanza e i difetti risultino più evidenti.
Se hai la voce ben impostata, la sentirai poco; se è gutturale la sentirai invece molto bene. Anche quando risulta nasale, dovrai chiedere a chi ti sta vicino di fartelo notare, perché tu non te ne accorgerai mai.


Traduzione di Manuel García
Glosse di Domenico Donzelli



Gli ascolti

Donizetti - La Favorita

Atto I


Ah! Mio bene - Ebe Stignani & Giuseppe Di Stefano (1951)


Meyerbeer - L'Africaine

Atto III


O paradiso - Hipolito Lazaro (1929)







12 commenti:

Anonimo ha detto...

Dalla "GUIDA TEORICO-PRATICA-ELEMENTARE PER LO STUDIO DEL CANTO" di Francesco Lamperti (abbiamo anche Lamperti jr!):

ARTICOLO V
[...]
D. Perché indicate la vocale A [nota mia: per vocalizzare], piuttosto che un'altra qualunque?

R. Perché la vocale A anzidetta è l'unica che faccia aprir bene il fondo della gola, e perché quando l'allievo vocalizza con chiarezza sull'A gli riesce assai facile di vocalizzare sopra tutte le altre vocali

Nota del Lamperti: Il celebre Bernacchi di Bologna, nel Metodo di canto pubblicato dal suo allievo Bernardo Mengozzi, opina che si possa servirsi anche della vocale E

Dal Metodo sopracitato: "Respingiamo assolutamente l'uso di vocalizzare sulle altre vocali [nota mia: che non siano A ed E "alternativamente"] e specialmente sull'I e sull'U, perché l'articolazione di esse è affatto contraria alla posizione della bocca."

Come si dice in Sardegna: "Centu concas, centu berritas", la cui traduzione letterale è "cento teste, cento berritte [copricapo sardo a forma di cuffia allungata nera] ossia ognuno ha da dire la sua.
Qual è però la verità? Bel mistero :P

Davide ha detto...

Non ci sono come il canto e il diritto dove assistere una fiera di opinioni contrarie!
Mi ritrovo abbastanza e per lo più in quello che dice Lazaro piuttosto che il Lamperti.
Per quel che riguarda la mia esperienza non è però la vocale che apre la gola, bensì una vocale piuttosto che un'altra aiutano o meno a portare avanti il suono.
Per esempio: la "i" tanto vituperata dal Lamperti utilizzata per le prime note di un vocalizzo aiuta a mettere a fuoco il suono e a trovare la posizione in cui piazzare la "o". Al contrario la "a" tende ad aprire i suono, ma non la gola.
Vero è però che l'una piuttosto che l'altra vocale possono però chiudere la gola. La stessa "i", sebbene porti avanti il suono. Perciò secondo me la gola la si deve impara a tenere aperta indipendentemente dalla vocale su cui si vocalizzi.
Poi però va detto che l'esperienza insegna che il canto è come una coperta un po' troppo corta: non puoi tirarla sulla testa senza scoprirti i piedi. Bisogna trovare l'equilibrio tra una serie di variabili che messe a sistema fanno la tecnica. Non sono nemmeno tante e non sono le astruse cose che si sentono in giro (ad es. stringere le natiche per fare gli acuti).

Anonimo ha detto...

Non ci trovo niente di astruso nello stringere le natiche per fare gli acuti, caro Tamberlick, per il semplice fatto che farlo rientra nella didattica del canto e non nel canto.
Ci sono tanti altri modi per "aiutare" o "facilitare" gli acuti, il che non significa che bisogna sempre farli perché sarebbe una generalizzazione fuorviante e rigida: lanciare le braccia, roteare il bacino, fare il pendolo con la gamba che si vuole... Sono tutti modi per spostare l'attenzione e le tensioni che si avrebbero nella gola e nel collo per l'acuto in altre parti del corpo, rilassando quindi gola/collo.

Concordo su quello che dici: la tecnica si adatta alla persona ed è un equilibrio! :)

Giambattista Mancini ha detto...

Sì certo, infatti stringendo il c**o è risaputo che la gola si scioglie...

Si tratta di fantasie che non trovano alcun fondamento nella storia del canto e che non servono a niente se non a procurare ulteriori tensioni e preoccupazioni.

Anonimo ha detto...

Pensate quel che volete, belcanto e Tamberlick: non condivido il vostro scetticismo e tantomeno cambio la mia idea che ai fini didattici certi sposatamenti percettivi possano essere utili.
Secondo la vostra concezione esclusionista, non hanno nemmeno utilità allora il mettere una matita/un pezzo di legno tra la bocca o il legarsi un nastro dietro il collo che passi sul mento: due cose astruse che guarda un po' vengono persino citate nel Metodo del Garcia per "aprire la gola".

@belcanto: informati sul metodo funzionale della Rohmert, che fa della percezione del corpo mentre si canta uno dei suoi capisaldi fondamentali.

Anonimo ha detto...

Volevo condividere un'altra testimonianza sulle vocali che viene dalle "Riflessioni pratiche sul canto figurato" del Mancini - che tu, belcanto, conosci benissimo :P

"Se la professione abolì la sillaba ut, inventata da Guido d'Arezzo, e stabilì in luogo di essa il do, non dirò mai che il cambiamento non sia buono, quantunque la vocale o sia tra le 5 cinque vocali non buone né per il canto né per la voce, com'è riconosciuto colla esperienza e confessato unanimemente dai professori"

Davide ha detto...

Caro papageno, sinceramente mi urta un po' il tono un lievemente sostenuto della tua risposta. E non ne vedo la ragione. Tu la pensi in un modo e io in un altro; tu continua a fare come credi che io continuo a fare quello che ritengo più corretto.
Un semplice "non sono d'accordo" con tutto quel che ne segue per intavolare una discussione civile non andava bene?
Comunque, se vuoi che ti risponda sul punto, a mio modo di vedere, non sono le natiche a sollevare la gola dalle tensioni. Almeno: non più di una corretta emissione del fiato.
Per il resto sono convinto che il canto non lo si impari dai libri. Nemmeno se a scriverli è Manuel Garcia.
Tante buone cose.

Giambattista Mancini ha detto...

Tamberlick ha ragione... non si impara a cantare sui trattati! Sono utili tutt'al più per trovare qualche conferma, ma per imparare bisogna solo sperimentare il canto in prima persona, scoprire su di sé quali sono le soluzioni migliori, esercitandosi pazientemente e costantemente.

Non bisogna neppure fissarsi troppo rigidamente su quale sia la vocale giusta per cavar fuori la voce nei principianti. La vocale a, su cui insistevano prevalentemente i trattatisti del Settecento (ma anche Lablache e Lamperti), serve a trovare chiarezza e brillantezza, ma per realizzare il passaggio di registro può essere necessario "coprire" il suono pensando ad una o od anche ad una u... Ogni voce poi ha le proprie peculiarità ed esigenze. La cosa più importante, come giustamente sottolinea Tamberlick, è imparare a sostenere sul fiato.

Lascerei da parte, invece, natiche strizzate, matite in bocca, o stravaganti contorsionismi di gambe e braccia...

Anonimo ha detto...

Carissimo Tamberlick, mi spiace per l'infervoramento mio iniziale (che è evidente) e quindi stavolta ripeto il mio disaccordo con quello che tu e belcanto asserite.

Vi racconto due fatti della mia formazione di corista e allievo di canto. Il primo fatto riguarda le mie prime lezioni di canto private. Avendo la tendenza a stringere troppo la bocca e quindi a tenere tesa la mandibola, il maestro mi fece mettere una matita in mezzo ai denti per mantenere larga l'apertura e quindi "aprire la gola". Per "sganciare" la mandibola, mi legò (in maniera del tutto leggera!) il nastro citato intorno al mento per garantire appunto un ottimale andamento dell'apertura della mandibola.
Leggere poi il Garcia e ritrovare gli stessi esercizi e gli stessi accorgimenti non mi fece che provare stupore e da una parte contentezza, perché significa che era una prassi che ancora si usa!
Il secondo fatto riguarda l'esperienza da corista. In procinto di concerti, capita spesso che le prove precedenti ai concerti risultino segnate da tensioni varie ed eventuali. In questo clima la sezione dei soprani non vocalizzava oltre il sol4. Per sciogliere la tensione, il gruppo è stato fatto vocalizzare tenendo una mano su una sedia, corpo a lato dello schienale e gamba opposta al lato della sedia a pendolo, e la vocalizzazione è riuscita fino al re5.

Quindi, l'unica conclusione che posso tirar fuori è che ognuno conosce ciò di cui fa esperienza :)

Anonimo ha detto...

Spero di non urtare la vostra sensibilità se dico che la vostra affermazione "Il canto non si impara dai libri" è di una ovvietà disarmante, direi anche quasi tautologica e anche pensare solo il contrario sarebbe da semplicioni! :)

In particolar modo lo dico a belcanto, visto che sa benissimo che ho un riscontro diretto e dal vivo!

Giambattista Mancini ha detto...

Caro Papageno, lo so bene che tu canti, non volevo certo riferirmi a te (e a nessuno in particolare) nel ribadire che a cantare non s'impara sui libri!

La cosa sbagliata infatti è leggere i trattati del Tosi, del Mancini, del Garcia, di Lazaro e via dicendo, considerandoli come la fonte di ogni verità canora, testi sacri perfetti ed inviolabili. Si tratta invece di opinioni (spessissimo discordanti tra un trattatista e l'altro!) o indicazioni di carattere generale, certamente autorevoli in quanto appartenenti a grandi cantanti e grandi didatti, ma non "vere" in senso assoluto. La "verità" nel canto si realizza solo nella pratica, ed in questo mi ritrovo perfettamente con il felice paragone di Tamberlick tra arte del canto e diritto.

Quanto agli espedienti che tu ci racconti, Papageno, se funzionano, tanto meglio... ma io continuo a non ritenerli necessari. La mia cantante preferita, Sigrid Onégin, ha sviluppato il suo estesissimo registro di testa esercitandosi costantemente nei vocalizzi muti. Ciò che serve è il lavoro e la pazienza quotidiane. Quello che poi probabilmente manca ai cantanti odierni...

Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo sul fatto che i trattati non sono delle verità assolute ma punti di vista :) che per certi possono funzionare e per altri meno!