sabato 16 aprile 2011

Pensieri sulla nuova stagione scaligera.

E dopo le considerazioni di ieri, altri "compilatori" del Corriere hanno voluto dedicare un commento alla nuovissima stagione scaligera.



Da una parte, la nuova stagione scaligera sembra essere segnato dal tentativo d’introdurre nei cast figure importanti della star system fino adesso piuttosto assenti dalla Scala, come Anna Netrebko o Tamar Iveri. D’altronde, ritroviamo sui cartelloni gli stessi nomi fra cui la maggioranza rappresentano addirittura quegli artisti che sono stati più riprovati (e meno sostenuti) dal pubblico milanese durante la stagione attuale. Così è inspiegabile l’assidua presenza sia di Oksana Dyka sia del direttore Omar Meir Wellber che in questa stagione non ha potuto convincere neanche nel repertorio sinfonico. Nell’abbondanza di giovani star come gli altrettanto “gonfiati” nomi di Gustav Dudamel, Andris Nelsons o il solito Wellber, si fa notare l’assenza di Daniel Harding che, oltre il privilegio di essere giovane e “promosso”, è pure un grande professionista cimentandosi qualche mese fa con uguale successo sia nel repertorio operistico-italiano che in quello sinfonico-tedesco.
Giuditta Pasta


Il Teatro alla Scala NON è il tempio dell’Opera; il Teatro alla Scala NON è il primo teatro del mondo; il Teatro alla Scala RAPPRESENTA, in piccolo, l’omologazione europea ed internazionale. In realtà i tredici titoli proposti sono quanto di più banale e turistico un teatro potesse concepire; solo che non siamo nella bassa provincia padana, il che renderebbe immediatamente giustificabile l’alternanza coatta di opere come Don Giovanni, Aida, Tosca, Rigoletto, Bohéme, e nemmeno a Zurigo, o al Met, o nei teatri tedeschi, in cui una stagione formata da ventri o quaranta opere prevede giocoforza la presenza di titoli più “commerciali”, essendo teatri dal repertorio consolidato. A Milano non avviene nulla di tutto ciò, in quanto una stagione del genere rappresenta un terzo della programmazione d’oltralpe, ma con la presenza “nobilitante” (?) dei medesimi interpreti che possiamo trovare a Londra come a Parigi, a Zurigo, come a Monaco di Baviera, a New York come a Berlino o Bruxelles! Con qualche anno di ritardo la Scala è diventata “globalizzata”: c’è quindi chi esulta perché finalmente “le stelle sono tornate”, e a ragione nel caso di Peter Mattei, Kwangchul Youn, Piotr Beczala, Barbara Frittoli affiancati dai presunti “divi internazionali”, che certamente faranno battere molti cuori a prescindere dal loro rendimento; ci sono anche gli amanti degli attori che “cantano”, percorsi da un brividino lungo la schiena nel leggere la presenza di registi come Carsen, Guth, Jones, Bondy, Pelly, i quali a prescindere dal loro consolidato valore (soprattutto nel caso di Carsen) non potranno redimere presenze inspiegabili come Tamar Iveri, Genia Kühmeier, Oksana Dyka, Adrzej Dobber, Omer Meir Wellber, Aleksandra Kurzak, Marco Vratogna, Vittorio Grigolo, Zeljko Lucic, Nino Machaidze, Gustavo Dudamel a discapito dell’ingombrante assenza dei grandi della bacchetta come Rattle, Harding, Jordan, Bartoletti, Mehta, Thielemann, Salonen, etc. alcuni dei quali confinati, mal che vada a mo’ di contentino, nei concerti. Si esulta anche per la sostituzione dell’Aida-Gardaland con la splendida edizione degli anni ’60 (era ora, lo hanno capito!), per un Rigoletto FINALMENTE senza Nucci (e aggiungerei senza baritoni), per il ritorno di Abbado e per le catartiche Devia e Gruberova, autentiche manne dal cielo! Personalmente vedrei con interesse “Don Giovanni”, “Die Frau ohne Schatten (per il gustoso ed equilibrato cast schierato), “Manon” (solo per verificare lo stato vocale della Dessay, giunta in semidisarmo), “La Bohéme” (per Beczala) e “Siegfried” (Lance Ryan, attendendo le prove di Torsten Kerl, Gary Lehmann e Lars Cleveman è, malgrado alcuni difetti, il miglior Siegfried sulla piazza); tutto il resto, non conta!
Marianne Brandt


Chi vivrà, vedrà – si dice – ma chi vedrà, “sopravviverà”? Il nuovo cartellone scaligero è la certificazione dell’insipienza organizzativa, dell’assenza di una qualsivoglia strategia di politica culturale, della mancanza completa di idee, che da tempo, ormai, ammorba la dirigenza del sedicente maggior teatro italiano. Basta scorrere l’elenco dei titoli (perché i titoli contano, forse più dei cast, a definire il senso di una stagione) per accorgersi di trovarsi di fronte ad una presa in giro o ad una provocazione inutile. Un mix tra Arena di Verona e provincia, che ci “regala” i soliti Verdi e Puccini a buon mercato (coi titoli più nazional-popolari della rispettiva produzione), il Massenet più zuccheroso, il trito Offenbach e il solito Mozart (che adoro, ma che è ormai super inflazionato: almeno nei titoli prescelti). Una stagione da retroguardia (per rubare l’espressione ad un noto critico che non apprezzo per nulla) e che ha i suoi unici punti d’interesse nel Peter Grimes e in Die Frau Ohne Schatten (in particolare per l’allestimento di Guth). Sui cast le solite luci e ombre (ma sul Don Giovanni inaugurale ho buone aspettative, salvo per il pesantissimo Barenboim), mentre buio pesto sulle bacchette (incomprensibile il sottoimpiego di Noseda e Luisi in due opere che non permettono certo grandi performance direttoriali). Insomma, la solita Scala, con l’aggravante di una svolta commerciale (forse per favorire pullman e agenzie viaggi?) che non ha precedenti nella storia del teatro: tanti capolavori mancano all’appello (ormai da troppi anni), interi periodi storici restano merce sconosciuta (dal barocco al ‘900, dall’opera tedesca a quella russa). Curiosa, poi, la stagione sinfonica, con l’inflazionante presenza del “maestro scaligero” in ogni dove e nella duplice veste (fuori misura in entrambi i casi) di pianista e direttore: persino l’auspicato ritorno del Maestro Abbado ha dovuto scontare la presenza (inutile) di Barenboim, con un programma insensato che accosta uno dei vertici del sinfonismo europeo al vuoto spinto di uno Chopin per nulla ispirato! Ma, giustamente, per ascoltare musica sinfonica non si varcano certo le soglie del Piermarini (Milano offre di meglio in luoghi migliori, per qualità e varietà dell’offerta). Che dire? Solo che Milano è ben collegata con altre città. Per fortuna.
Gilbert-Louis Duprez


La nuova stagione ambrosiana, subito magnificata in alcune centrali del consenso, peraltro di limitato cabotaggio, è sulla carta una parata di stelle. Le divine e i divini del canto odierno - che fino a ieri, secondo vulgata, giravano al largo da largo Ghiringhelli per timore delle riprovazioni di un pubblico impermeabile alle loro doti - affollano nuovamente il palinsesto teatrale. Diceva Maria Callas che alla Scala si arriva fatti e non da fare. Oggi alla Scala o si debutta o ci si presenta in tale stato di decozione vocale, che le serate di gala si tramutano ipso facto in altrettante messe in suffragio. Di questo rendiamo grazie a una sovrintendenza e direzione artistica arrendevole e prona ai desiderata di case discografiche, agenzie e circuiti coproduttivi, cui va aggiunta la durata al più quinquennale di certi fenomeni dell'ugola (ma anche della bacchetta). D'altronde, abituati ormai alla politica del last minute, dei cambi repentini quando prevedibili, delle indisposizioni col timer e delle gravidanze a orologeria, siamo ben consci che quello annunciato è un programma di massima, suscettibile di consistenti modifiche. Anche a scena aperta, come insegna l'Aida di prossimo prepensionamento.
Antonio Tamburini


10 commenti:

Amfortas ha detto...

Beh, il concetto di gravidanza a orologeria, teorizzato da Tamburini, è talmente stupefacente da eclissare tutte le altre rispettabili opinioni presenti nel post.
Mi chiedo, a questo punto, se gli appassionati potranno chiedere la defenestrazione della Tosca di Bondy per procurato aborto o manifesta deformità.
Un saluto a voi.

Antonio Tamburini ha detto...

Chiederne la defenestrazione? L'han già fatto. Con quali esiti, possiamo vederlo leggendo questa bella nuova stagione. Ti metti sempre avanti col lavoro, neh? Ciao.

Giambattista Mancini ha detto...

Lissner non era quello che diceva di odiare il belcanto? Beh, questa nuova stagione lo conferma: niente Rossini, niente Bellini, un solo titolo, peraltro scontatissimo, di Donizetti...

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

In realtà Lissner ha dichiarato di non apprezzare il "belcanto" inteso come melodramma... Comunque è una stagione troppo "italiana" quanto a titoli...ci fosse stato pure Bellini e Rossini (e altro Donizetti) sarebbe stato il trionfo del peggior sciovinismo. I titoli sono 13 soltanto e non ci si può ancorare al repertorio italiano (che non è il solo né il più meritevole). Io proporrei davvero una moratoria: basta Verdi, Puccini e pure Rossini (tanto sono sempre i soliti 4 o 5 titoli) per 4 anni!

aureliano ha detto...

La siora-signora-sora Lella uscì per fare la spesa, al marito ai figli e ai nonni piaceva la cucina casalinga, ma quella sera doveva ricevere. Allora crutidè per antipasto, cicorietta-finocchietto-cavolfiore-carciofetti-gamberi-scampi e spada crudi, addio buoni vecchi affettati con pane, vellutatine-flan/flan-potages per primi, acquisti di mele-pere-prugne-limoni-lime per i rôtis alla panna, e per dessert spuma al limone con fragoloni. Vini bianchi e rossi purché barricati.
Quanti complimenti dagli ospiti, decisi a non tornare più. Scoramento tra i figli: “mamma ma perché hai cucinato queste schifezze”. “Zitti- sclamò la sventurata- vi ho preparato una cena degna della Scala, e voi non avete capito un cazzo! A letto brutti ignoranti”.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Bah...Aureliano, questa stagione è l'esatto contrario: pane, mortadella e un calcio nel sedere...

DavideC ha detto...

Eh no, JLD, attenzione a non esagerare. In un Teatro come quello di Milano qualche opera all'italiana come si deve ci vuole eccome... Dipende però QUALI... Qui sta il problema! In quelle ormai inflazionatissime (soprattutto in Italia nelle "grandi manifestazioni")... Puccini (Tosca) è ormai un tormento... Verdi invece è inflazionato solo per le opere post-trilogia... Invece opere come Ernani, I lombardi, Attila, sono rarità... Non tiratemi fuori la storia che sono acerbe e grezzotte perché sennò non vale la pena discutere! Hanno momenti bellissimi e, o bene o male, rappresentano la prima sfacettatura (che non scomparirà mai del tutto) del Sommo (Nazionale). Rossini inflazionato? Solo per la Cenerentola e il Barbiere... Si va da un estremo all'altro: a Pesaro invece raschiano in fondo al barile, impiegando risorse preziose per riproporre opere unicum (cioè difficilmente esportabili) tra le peggiori e insulse mai scritte dal Sommo (Europeo): Adelaide di Borgogna, magari Eduardo e Cristina, Sigismondo, Adina... Lasciamo perdere Bellini. Alla Scala non sanno neanche più chi sia... Lissner quando incrocia il mezzobusto del catanese lo scambia per John Elkann!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Guarda, io per qualche stagione farei volentieri a meno di Verdi e Puccini in toto (vengono eseguiti ovunque e con frequenza micidiale). Ci sono tanti repertori che potrebbero essere esplorati: a meno che si voglia trasformare la Scala in una succursale dell'Arena di Verona ad uso e consumo delle comitive di turisti... Ma davvero ti pare "snob" questa stagione da pro loco???? Quanto al ROF credo che lo scopo principale di un serio festival rossiniano sia proprio quello di rappresentare opere che difficilmente troverebbero altri palcoscenici: pensa che quel che scrivi su Adelaide di Borgogna, Adina, Sigismondo ed Eduardo e Cristina, è lo stesso che si diceva di Otello, Zelmira o Ermione. Vedi un po' tu.... Non sono esportabili? Echissenefrega: la musica non è un pezzo di prosciutto!
Ps: e comunque l'Adelaide è un'opera straordinaria.

Giambattista Mancini ha detto...

"a meno che si voglia trasformare la Scala in una succursale dell'Arena di Verona ad uso e consumo delle comitive di turisti... "

Ma la Scala ormai è già un ente di questo tipo... E questa nuova stagione lo ribadisce a suon di Aide, Rigoletti, Tosche e Boheme... oltre ai cast in cui figurano tutte le attuali stelle del disco.

Antonio Tamburini ha detto...

Il blog di Anna Netrebko annuncia che Elina Garanca cancellerà, causa gravidanza, sia la Bolena del Met sia il Don Giovanni scaligero.

... ora capite perché l'arte del canto (e più modestamente l'arte di essere spettatori consapevoli e "senzienti", in tutti i sensi) non è l'arte della cabala?