mercoledì 27 aprile 2011

Verdi Edission: Aida

Opera prediletta dai teatri per inaugurazioni e riaperture, anche in ragione delle circostanze storiche che portarono alla sua commissione, cara alle bacchette non meno che ai cantanti, grandi, piccoli e di media stazza, e come se non bastasse irrinunciabile pilastro del cosiddetto grande repertorio, a qualunque latitudine. È arduo, se non impossibile, dire qualcosa di sensato e non banale su Aida. Ci proviamo, sperando di non risultare ovvi e scontati, o peggio ancora noiosi.

Il primo confronto che viene spontaneo effettuare è quello con il titolo immediatamente precedente nel catalogo verdiano. Il finale terzo (secondo nella versione in quattro atti) del Don Carlo presenta parecchie affinità con la scena del trionfo di Aida: collocati al centro dell’opera, si presentano entrambi come grandi scene di massa, prevedono la presenza del coro e un elaborato concertato che coinvolge tutti i principali solisti. Eppure il quadro di Nostra Signora di Atocha risulta incredibilmente più libero nella concezione drammatica come nello sviluppo musicale, mentre Aida rispetta maggiormente le forme canoniche, che prevedono una grandiosa introduzione corale, arricchita dal balletto, una lunga scena in recitativo, seguita da un assolo del primo baritono (una sorta di cavatina nel finale d’atto), un concertato che corrisponde al momento di espansione lirica, cantabile, tipica del melodramma del primo Ottocento (pensiamo al sestetto della Lucia o al finale primo di Sonnambula, tanto per spaziare dall’ambito serio a quello di mezzo carattere), infine un nuovo recitativo che prepara l’ensemble finale, sorta di gigantesca cabaletta dell’intera scena. Basterebbe il confronto con la chiusa d'atto del Don Carlo per evidenziare la modernità di quest’ultimo titolo e, per contro, il carattere più “tradizionale” di Aida.
Analoghe considerazioni valgano per l’impianto drammaturgico dell’opera nel suo complesso: come nel Don Carlo un amore impossibile (qui per ragioni etniche, là per complesse vicende familiari e politiche) si scontra con l’ineluttabilità della ragione di Stato e con il potere della Chiesa, ma in Aida la base dello scontro è il classico triangolo che contrappone due donne innamorate dello stesso uomo, mentre in Don Carlo l’assetto sentimentale è molto più complesso e anche il ruolo dell’autorità religiosa viene disegnato in maniera meno rituale, trovando nella figura dell’Inquisitore il perno di un contropotere di fronte al quale il peso di Ramfis e degli altri sacerdoti viene alquanto sminuito. Per dirla in altro modo i ministri del culto di Iside non minacciano in alcun momento l’autorità del Faraone, ma ne costituiscono il più fedele sostegno. Allo stesso modo, molto meno complicato di quello tra Filippo II e l’Infante è il rapporto fra Amonasro e la figlia, anche se a dire il vero poco verdiana appare non tanto l’arrendevolezza di Aida, quanto il pragmatismo e l’assenza di scrupoli del padre, che smentisce neanche tanto velatamente l’affetto profondo e l’assoluta dedizione che caratterizza tutti o quasi i genitori verdiani, persino quelli che, come Francesco Foscari, sono costretti ad agire in maniera tutt’altro che favorevole alla prole.
La maggiore schematicità dei rapporti e la relativa semplificazione dei contrasti politici e religiosi potrebbe essere ricondotta all’intenzione di rispettare il modello del grand-opéra, modello che appare naturale vista la scelta dell’argomento esotico e la presenza di un nutrito corpus di danze (al balletto del trionfo, che fu peraltro rinforzato in occasione della presentazione del titolo a Parigi, si aggiungono i più contenuti divertissement della scena della consacrazione e la squisita danza dei piccoli schiavi mori che separa esposizione e ripresa dei couplet di Amneris al secondo atto). La spiegazione vacilla, e non poco, quando si consideri, da un lato, la maggiore pregnanza storica e il più forte impatto spettacolare dell’argomento di Don Carlo (eccettuata la scena del trionfo Aida appare opera “da camera” o quasi, specie negli ultimi due atti), dall’altro, la più libera e dinamica gestione delle strutture musicali, anche le più esornative (penso alla grandiosa architettura de La Pérégrina contrapposta alle dimensioni decisamente più contenute dei ballabili di Aida).
Forse la sensazione di “retroguardia” che si può provare relativamente ad Aida è dovuta al fatto che l’opera è essenzialmente, e per l’ultima volta nel teatro verdiano, il racconto in musica di un amore infelice, vale a dire il fulcro stesso dell’opera ottocentesca, ma depurato di ogni interferenza di natura politica o comunque estranea alle dinamiche di Eros. Quello fra Aida, Radamès e Amneris è un triangolo immobile e immutabile: i personaggi non agiscono per modificarne in qualche modo gli equilibri. Il furore della principessa respinta si sfoga in minacce ed anatemi (quanto più dinamica ed efficiente, nel male come nel bene, la Eboli!), il generale e la schiava pensano alla fuga ma alla fine ricorrono entrambi, per vie diverse, alla più classica delle soluzioni, il suicidio per amore. Anche la limitata complessità psicologica degli amorosi (si pensi, per contrasto, ad Otello e Falstaff, ma anche a Filippo II o alla stessa Eboli) ribadisce che il fulcro dell’opera non sono i personaggi, ma le relazioni che si creano fra loro. Non a caso, viene da pensare, Verdi aveva inizialmente concepito il terzo atto come una successione di duetti (Aida alle prese prima con il padre, poi con l’amante) e solo in un secondo tempo, complice verosimilmente la decisione di affidare la prima esecuzione milanese a Teresa Stolz, ritenne opportuno dotare la primadonna di un assolo, che peraltro prende, come esplicitato dall’autore in una lettera, la forma dell’idillio, quanto mai adatta a restituire la sognante nostalgia per la patria perduta. È curioso, ma in fondo comprensibile, che la seduzione di Aida nei confronti di Radamès, fino all’ultimo riluttante a disertare per amore, si ricolleghi ante litteram a quella che Carmen dedicherà a Don José. Verdi anticipa e prepara in tal modo, attraverso la più rigorosa applicazione del modello romantico, gli sviluppi del teatro verista.
Il taglio insieme classico e moderno di Aida si riflette nella scrittura vocale riservata ai protagonisti: le espansioni liriche in zona medio-acuta di soprano e tenore non devono fare dimenticare, da un lato, la presenza di molte frasi di scrittura centrale, se non decisamente bassa, collocate in punti salienti della partitura (per Aida si consideri ad esempio il recitativo che precede la romanza al terzo atto, per il tenore l’attacco del duetto con il mezzosoprano), dall’altro, la presenza di un’orchestrazione corposa e nutrita, che dovrebbe scoraggiare l’approdo a questi ruoli da parte di voci incapaci di contrapporsi vittoriosamente al peso dello strumentale. Purtroppo è esattamente quanto ormai regolarmente avviene e dell’infelicità della scelta abbiamo avuto anche di recente numerosi esempi.
C’è anche da dire che la cosiddetta liricizzazione di Verdi non è certo un’invenzione di questi ultimi anni, essendo stata ufficialmente sdoganata già nella seconda metà degli anni Settanta, con esiti più o meno fortunati a seconda dei cantanti non meno che delle bacchette coinvolte nel processo. Dagli ascolti proposti si potrà, almeno questo è l’auspicio, dedurre come peso specifico, corpo e volume vocale non escludano automaticamente rispetto delle indicazioni dinamiche, agogiche ed espressive, ma anzi ne costituiscano il fondamento e la precondizione. Ricordiamo en passant che per la parte di Radamès Verdi aveva inizialmente pensato a Gaetano Fraschini, principe dei tenori di forza, che alla fine degli anni Sessanta aveva oltrepassato la cinquantina e i trent'anni di carriera.
Liricizzazione delle voci, quindi, ma anche delle bacchette, cui spetta, fra gli altri, l’arduo compito di conciliare l’anima “grande boutique”, per dirla con Verdi, delle scene di massa con il dramma privato dei singoli personaggi. Anche qui l’espressività non è certo un'alternativa plausibile a una ragionata scelta dei tempi, alla capacità di coordinare buca e palco, insomma all’abc della direzione d’orchestra.
È strano, e qui la chiudiamo, che un parallelo processo di liricizzazione (per non dire miniaturizzazione) non abbia interessato, contestualmente a quelli degli amorosi, i personaggi di Amneris e Amonasro. Ma non dubitiamo che sia già in atto, come testimonia una recente ripresa scaligera, un’inversione di tendenza in questo senso.
Sugli ascolti non vorremmo soffermarci, anche perché tutti o quasi gli artisti coinvolti rientrano fra i beniamini del Corriere e quindi il rischio di ripetizioni e osanna reiterati è dietro l’angolo. Però alcuni dei brani selezionati meritano una chiosa.
La meritano ad esempio i brani tratti da un’esecuzione realizzata dalla radio sovietica, che testimonia come i dettami del buon canto (applicati in questo caso alle voci maschili) possano essere rispettati ad ogni latitudine e alle prese con qualunque repertorio e persino in traduzione, il tutto con buona pace dei fautori del rigorismo filologico, spesso più di facciata che effettivo.
Di grande fascino anche la prova della wagneriana per antonomasia Nilsson, alle prese con la romanza del terzo atto. Manca il calore e l’espansione tutta mediterranea di altre e più sensuali cantanti, ma la pregnanza strumentale suscita ammirazione e rispetto e altrettanto dicasi della capacità di alleggerire il torrenziale impatto della voce, senza che la stessa perda l’appoggio sul fiato e risulti di conseguenza meno solida e sicura.
La presenza poi di due cantanti, molto opportunamente collocati da mamma Scala nel 2006 su recite non riprese da radio o televisioni e quindi di fatto irraggiungibili per quel pubblico, che a certi teatri può accedere solo tramite i media, testimonia e dice, da un lato, della nostra supposta, e smentita dai fatti, avversione aprioristica e preconcetta verso chiunque calchi i palcoscenici odierni, dall’altro, della difficoltà, che oggi le sovrintendenze dei teatri si trovano a fronteggiare, di conciliare le esigenze del canto con quelle dello star system. Per essere chiari: la signora Makarova e il signor Vitelli, limitatamente agli audio proposti, dimostrano come sia possibile, oggi, cantare Verdi nel rispetto del dettato dell’autore, senza cadute di gusto o altre forzature “espressive”. Questo non significa essere tout court grandi cantanti verdiani e neppure esecutori perfetti. Significa, più modestamente, praticare il mestiere del canto possedendone i requisiti tecnici e i presupposti teorici. Poi si può obiettare, ad esempio, che questa Amneris potrebbe essere più varia e rifinita nell’espressione del suo dolore, od osservare come questo Amonasro sia più vicino a certi mariti delusi di Donzietti che non al fosco sovrano etiope, ma queste esecuzioni dicono, se non altro, di un tentativo di andare nella giusta direzione, che è poi, tanto per non essere passatisti, quella dettata dalla grande tradizione esecutiva.
Una nota infine su quella che è forse la cantante prediletta da questo piccolo e insignificante foglietto. Ebe Stignani tenne in repertorio la parte di Amneris per oltre un trentennio. La proponiamo nella più tarda delle registrazioni disponibili e invitiamo a ogni opportuno confronto con il medesimo brano, affidato a un mezzosoprano illustre, di gran voce e all’epoca al massimo del suo splendore. Basterà questo, ci auguriamo, a spiegare a chi ancora non l’avesse compreso, il fondamento della nostra ammirazione per una delle più grandi virtuose testimoniate dal disco e dal live.
Buon ascolto.


Gli ascolti

Verdi - Aida

Preludio - Georg Solti (1963)

Atto I

Sì: corre voce che l'Etiope ardisca - Giulio Neri & Kurt Baum (1953)

Se quel guerriero io fossi...Celeste Aida - Carlo Bergonzi (1963)

Quale insolita gioia nel tuo sguardo!...Dessa! - Ebe Stignani, Benianimo Gigli & Maria Caniglia, dir. Thomas Beecham (1939)

Alta cagion v'aduna...Su! del Nilo al sacro lido - Louis Sgarro, Robert Nagy, Leontyne Price, Carlo Bergonzi, Jerome Hines & Grace Bumbry - dir. Thomas Schippers (1967)

Ritorna vincitor! - Anita Cerquetti (1954)
Bonus track:
Renata Tebaldi (1951), Martina Arroyo (1968)

Possente Fthà...Mortal diletto ai Numi...Nume, custode e vindice - Ivan Petrov & Gyorgy Nelepp (1953)
Bonus track:
Possente Fthà - Joan Sutherland (1953)

Atto II

Chi mai fra gl'inni e i plausi - Giulietta Simionato (1953)

Danza dei moretti - Victor de Sabata (1937)

Silenzio! Aida verso noi s'avanza...Fu la sorte dell'armi - Irina Arkhipova & Liliana Molnar-Talajic (1974)

Gloria all'Egitto, ad Iside...Salvator della patria...Quest'assisa ch'io vesto...O Re, pei sacri Numi - Gina Cigna, Ebe Stignani, Beniamino Gigli, Ettore Nava, Tancredi Pasero, dir. Victor de Sabata (1937)
Bonus track:
Quest'assisa ch'io vesto - Pavel Lisitsian (1953), Vittorio Vitelli (2006)
O Re, pei sacri Numi - Mario del Monaco, Maria Callas, Oralia Dominguez, Giuseppe Taddei, Roberto Silva & Ignacio Ruffino (1951)

Atto III

Qui Radamès verrà...O cieli azzurri - Antonietta Stella (1957)
Bonus track:
Birgit Nilsson (1956), Leyla Gencer (1963)

Cielo! Mio padre - Leontyne Price & Mario Sereni (1963)

Pur ti riveggo, mia dolce Aida - Mario del Monaco & Zinka Milanov (1953)

Ma dimmi, per qual via...Di Napata le gole! - Elinor Ross, Richard Tucker & Carlo Meliciani (1971)
Bonus track:
Martina Arroyo, Carlo Bergonzi & Cornell Macneil (1968), Gabriella Tucci, Flaviano Labò & Aldo Protti (1970)
Sacerdote, io resto a te - Mario Filippeschi (1956)

Atto IV

L'aborrita rivale a me sfuggia - Irina Makarova (2006)

Già i sacerdoti adunansi - Grace Bumbry & Carlo Bergonzi (1967)

Ohimè, morir mi sento...Spirto del Nume, sovra noi discendi - Fiorenza Cossotto (con Ivo Vinco - 1970)
Bonus track:
Ebe Stignani (con Carlo Cava - 1956)

La fatal pietra - Franco Corelli, Ilva Ligabue & Fiorenza Cossotto (1971)


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