mercoledì 7 settembre 2011

SORPRESA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!


Sorpresa!
Ci siamo trasferiti nel nostro nuovo sito.
Da oggi ci trovate all'indirizzo http://www.ilcorrieredellagrisi.eu/

...Ci vediamo lì!


GG & friends

Read More...

martedì 6 settembre 2011

Julia Lezhneva: Rossini Arias. Recensione in sette punti

Punto primo: la cantante. Tre anni fa il Rossini Opera Festival apriva con un concerto di canto di Juan Diego Flórez, intitolato “Il presagio romantico” e dedicato a pagine tratte da La donna del lago e Guillaume Tell. Partner femminile della stella peruviana fu Julia Lezhneva, sconosciuta giovinetta balzata si può dire dal nulla a uno dei più prestigiosi (almeno sulla carta) palcoscenici internazionali, e anzi il massimo (sempre sulla carta) per quanto concerne il cigno di Pesaro. Le accoglienze furono piuttosto tiepide e tali da indurre alla direzione del Festival, da una parte, a reclutare la signorina per l’edizione di quell’anno dell’Accademia rossiniana diretta da Alberto Zedda (come se un corso di perfezionamento “ex post” potesse riscattare quella diciamo stentata serata inaugurale), dall’altro, ad astenersi dal riproporla nelle edizioni successive, come di consueto avviene per i "pulcini" del corso di perfezionamento. Nel frattempo però la Lezhneva era entrata nel giro, come usa dirsi, dedicandosi al repertorio barocco (sarà prossimamente Sesto in un Giulio Cesare diretto da Alan Curtis) e arrivando a collaborare con Marc Minkowski, che l’ha voluta quale paggio negli “Ugonotti” recentemente allestiti a Bruxelles e l’accompagna in questo suo primo recital discografico. Dedicato, manco a dirlo, a Rossini.

Punto secondo: il programma. Come si sa, al giorno d’oggi, il disco non ha ragione d’essere senza il divo e il divo non può esistere senza il disco. Forte di una frequentazione esclusivamente concertistica (ma aspetto di essere smentito dai biografi della signorina) dei rondò di Cenerentola, Elena d'Angus e Zelmira, Julia Lezhneva affronta un programma che unisce, appunto, “Nacqui all’affanno e al pianto”, “Tanti affetti”, la canzone del salice, la cavatina di Semiramide, la preghiera di Pamira e l’aria di Mathilde dal secondo atto del Guillaume Tell. Una scaletta all’insegna dell’eclettismo, che ai tempi di Rossini avrebbero affrontato, con le dovute cautele, una Cinti Damoreau e ancora di più un’Alboni, cantante cui la Lezhneva può in certo modo apparentarsi, o così almeno dovrebbero coerentemente sostenere coloro che l'hanno voluta e magari applaudita quale Urbano. In tempi a noi più vicini una Onégin o una Matzenauer, ovvero una Callas prima maniera, avrebbero senza fatica retto un programma che impone alla voce di passare dal registro di mezzosoprano a quello di soprano centrale, e soprattutto alla cantante di passare dal genere di mezzo carattere a quello tragico, senza perdere smalto, fluidità di vocalizzazione, credibilità e proprietà di accento e di fraseggio. Purtroppo l’ascolto del disco suggerisce ben altri modelli canori, e soprattutto ben diversi termini di comparazione vocale.

Punto terzo: la voce. La prima ottava suona larvale, al punto che i microfoni stentano a captarla, anche perché, nel tentativo di esibire una voce morbida e levigata, la Lezhneva non ricorre a un appoggio costante e sistematico, e quando tenta di coprire il suono (ad esempio nel recitativo di Pamira e nell’aria di Mathilde), riesce solo a produrre suoni tubati, che non hanno neppure la consistenza necessaria a farli definire gutturali. Solo dal do centrale in su la voce acquista un poco di volume, pur senza possedere particolare bellezza timbrica, mentre a partire dal mi/fa (note immediatamente successive al secondo passaggio di registro) compaiono suoni stridenti e asprigni, spia di un’organizzazione vocale, a essere buoni, da principiante. Sentire ad esempio la scala ascendente su “ogni mio duol sparì” nella cavatina di Semiramide o le scale cromatiche del rondò di Elena, eccellente realizzazione, applicata al registro sopranile, del famoso “scalino” vocale teorizzato (e giammai praticato) da Ebe Stignani. Tacciamo poi degli acuti (e parliamo dei la bemolle del Tell come dei si bemolle della Donna e dei si naturali della Cenerentola), ghermiti, quando non gridacchiati, con udibile sforzo. Una vocalità di soprano leggero, insomma, cui l’imperizia tecnica preclude il repertorio che le sarebbe proprio (Philine, Oscar del Ballo, o se proprio vogliamo rimanere a Rossini, le farse veneziane e Jemmy del Tell) a favore di ruoli di cabotaggio centrale, malgrado la cantante non possieda la pienezza timbrica e tanto meno l’accento, sontuoso ed aulico, richiesto da personaggi come questi, trattati dall’autore nel segno dell’astrazione pura.

Punto quarto: il virtuosismo. Di ortodossa matrice baroccara. Sentire le agilità ora accennate, ora sgallinacciate, specie quando cadano nella zona medio-grave della voce (quartine vocalizzate nella seconda parte del rondò di Elena), ora sgranate al rallentatore, con ulteriore impoverimento della linea musicale (preghiera di Pamira), i trilli meccanici e molli (inseriti spesso a sproposito, come nella canzone del salice, in ossequio al principio per cui le note tenute vanno “abbellite” indipendentemente dal carattere della melodia e dalla circostanza drammatica), i sospiri aggiunti e le note in chiusura di frase pigolate (rondò di Elena - "tanTA felicità"), nel discutibile tentativo di “colorare” le frasi alla maniera dei cosiddetti specialisti di musica antica. E tralasciamo le variazioni, scolastiche per numero, qualità e soprattutto esecuzione.

Punto quinto: l’interprete. Tutte le pagine del disco, che siano improntate a gioia o disperazione, vengono proposte con il medesimo accento querulo e piagnucolante, con le stesse inflessioni di infantile dolore, che non mancheranno di suscitare l’entusiasmo dei cultori di certi fenomeni discografici, persuasi che Rossini e l’opera in generale non siano che il pretesto per l’esibizione della presunta “personalità” dei divi, che si contrapporrebbe alla “mera esecuzione” offerta da quei cantanti che, non essendo divi, non possono e non debbono esprimere altro che mancanza di fantasia e originalità speculativa. Alla poetica degli accenti nascosti si sostituirebbe insomma quella degli accenti inudibili. Inudibili ovviamente per orecchie poco o nulla esercitate. Come le nostre, insomma.

Punto sesto: l’accompagnamento. Marc Minkowski, già specialista di musica barocca e ora più in generale faro della musica francese, rende un ben povero servizio a Rossini, raddoppiando in orchestra la mollezza, l’assenza di inflessioni, la secchezza di suono offerte dalla solista. Forse parte del “merito” spetta alla modestia delle forze coinvolte (Sinfonia Varsovia e Warsaw Chamber Opera Choir, a dir poco dilettantesco specie nella Donna del lago), ma la Sinfonia della Cenerentola, unica pagina puramente sinfonica del disco, suona piatta e meccanica, animata solo nei crescendo, che risultano tuttavia più caotici e rumorosi che travolgenti e brillanti.

Punto settimo: il fantasma. In questo disco, come in recenti cimenti teatrali, aleggia, o per meglio dire incombe, il fantasma di una cantante, mitica e poderosa in ogni senso, che periodicamente agenzie di canto, case discografiche, teatri e primedonne si piccano di richiamare in vita, in tutto o in parte. A questa cantante il Corriere dedicherà prossimamente una serie di riflessioni. Non già, come maligneranno alcuni, per manifesta incapacità di cogliere nell’ubertoso panorama odierno la presenza di numerose eredi potenziali (benedette o meno dal disco), ma per chiarire in primo luogo a noi stessi in che cosa consista la parabola storica e musicale di quell’incognita chiamata Isabella Colbran.



Gli ascolti

Rossini


La Cenerentola


Atto II

Della Fortuna instabile...Nacqui all'affanno e al pianto - Frederica von Stade (1974)


La Donna del lago

Atto I

O mattutini albori - Angeles Gulín (1974), Frederica von Stade (1981), Lucia Aliberti (1990), Julia Lezhneva (2008)

Atto II

Fra il padre e fra l'amante - Frederica von Stade (1981)










Read More...

domenica 4 settembre 2011

Cara Aspasia

Cara Aspasia, cari lettori tutti,
non ignoro affatto come sussisterebbero validi motivi per ricusare il provocatorio invito ad immaginare la stagione dell’ipotetico “teatro Grisi”. Il primo: che per noi l’opera è solo un hobby e deve rimanerlo pena l’abbandono del ludus in caso di occupazione professionale nel mondo dell’opera. Il secondo perché il ludus Corriere della Grisi non contempla istituzionalmente l’applicarsi alle opere di misericordia spirituali, dettagliatamente “insegnare agli ignoranti” e “soccorrere i dubbiosi” pure numerosi e professionalmente impiegati nel mondo del melodramma. E non già quali ascoltatori. Terzo perché il Corriere della Grisi, pur nell’incontrollato amore per il melodramma in ogni declinazione non è luogo di realizzazione della massima evangelica “porgere l’altra guancia”, che nel caso di specie si concreterà in pagine internet, threads di ironie, derisioni, auspici di pronta quanto dolorosa morte, lasciati in bella vista in altri luoghi virtuali, che, operisticamente parlando, privi di argomenti hanno eletto questo blog quale prediletto. Pazienza, da tempo, benché agnostici, atei ed anticlericali, applichiamo l’insegnamento” sopportare pazientemente le persone moleste, perdonare le ingiurie e sopportare le offese”.
Or bene, come usano fare i direttori artistici stipendiati (da noi !!), quest’ultimo, in ogni senso, gioco del blog merita la presentazione.


La faccio richiamando un mirabile racconto di Giuseppe Marotta “pane, con sale e olio” contenuto ne “L’oro di Napoli” dove il giornalista e scrittore, parlando del poverissimo desinare dice: “ da noi, laggiù, il pane con sale e olio è il penultimo dei cibi, viene subito dopo il brodo di trippa e precede soltanto i lupini o il puro niente. Questo pane con sale e olio si determina, in una casa meridionale, quando tutto è perduto: finito il denaro, finito il credito, finite le avemarie, c’è sempre qualche goccia di olio nella bottiglia, c’è sempre qualche pezzo di pane raffermi nei cassetti di cucina, ci sono sempre un pizzico di sale nel barattoli e l’affettuosa acqua del Serino nella fontana.”
Ecco pane con olio e sale è quando diffusamente il mercato delle voci e delle bacchette offra oggi con rare eccezioni e cui si deve ricorrere per combinare il desinare con la cena. Crediamo di avere avuto nel proporre questo intrattenimento cultura e fantasia. Non la suprema fantasia partenopea, che ha fatto dell’arragiarsi arte mirabile, ma quel tanto che basta, congiunto al realismo del Nord per prendere atto che Mozart è inflazionato e Verdi, oggi, è meglio lasciarlo perdere o quanto meno riposare per un biennio. Sembrerà un paradosso, ma nelle nostre elucubrazioni (perché Donzelli è qui mediatore e nuncius del pensiero comune) abbiamo identificato i due protagonisti maschili di Huguenots e di Muette de Portici, mentre ammettiamo di essere privi di quelli di Trovatore, Ballo e Forza. Certo il genere grand-opéra è caro a quelli della Grisi per la sua, oggi misconosciuta rilevanza storica e la capacità di evocare epoche, vocalmente parlando, di opulenza pari ai decolleté dei soprani ed alle epe dei tenori, protagonisti di quell’aetas aurea. Come è realismo la scelta della protagonista della Muette, che adempie in primo luogo ai desiderata dalla prescelta, ovvero agitarsi per il palcoscenico.
I nostri incalliti detrattori avranno motivi per imprecare le prescelte protagoniste femminili dell’altro grand-opéra, che mai vedremo insieme. Sbagliano, però, perché si tratta del più genuino omaggio alle primedonne, tenendo conto e delle attuali condizioni vocali delle prescelte e della tradizione storica che spesso (Patti, Albani, Arnoldson) vedeva le Margherite chiudere la carriera vestendo i panni di Valentina.
Come credo qualcuno storcerà il naso su una Elettra contrapposta, si fa per dire ad una Elektra. Anche qui siamo in vena di omaggio, precisamente al centenario della rappresentazione italiana del titolo ed alla protagonista Emma Carelli, affidato ad altra primadonna dedita al Verismo, la sempreverde Giovanna Casolla.
Sia ben chiaro nessuna pretesa di offrire freschezze e giovinezze vocali (e lo stesso valga per la protagonista di Zelmira, che confesso avrei visto bene quale Tancredi nella versione di Giuditta Pasta), ma la certezza che ancor oggi di certe “vecchie signore”, della loro tecnica scaltrita, del loro professionismo solido, che riesce a gestire i pregi e più ancora il tempo che passa, non possiamo ancora farne a meno. E per molti versi lo vorremmo perché significherebbe la presenza di ben altre e vigorose forze sulle nostre scene.
Qualcuna, lo ripetiamo c’è e quindi è giusto nel nostro immaginario cartellone utilizzarle al meglio, magari animati anche qui da qualche insegnamento che viene dal passato.
“Utilizzarle al meglio” può assumere differenti significati. Ad esempio offrire la possibilità di misurarsi in grandi ruoli ad artisti, privi di accreditati manager ed agenzie e che fanno fatica ad avere quello che, crediamo, corrisponda ai loro meriti e possibilità. Ancora può concretarsi il principio nell’affidare i ruoli giusti e congrui alle capacità vocali senza costringere a forzare la voce, come accade a Krassimira Stoyanova e Piotr Beczala in Verdi, cantanti già in grande carriera, ma con doti e qualità idonee, secondo noi ad altri titoli. Lo stesso vale per Anita Rachvelishvili, cui la scrittura centrale, cantabile di Mignon potrebbe essere il mezzo per “alzare” il baricentro della voce, abbandonare ruoli drammatici e gravi e pensare di diventare quella che è ovvero un soprano da tardo Verdi.
Ancora abbiamo fatto qualche concessione allo star system, sul quale la pensiamo come ha riferito June Anderson, diva e diva da star system, quando ha rilasciato un’intervista al nostro blog. Il nostro pensiero in punto non è cambiato anzi il tempo e gli ultimi immessi nell’ingranaggio ci convincono sempre più del fondamento della nostra opinione. Però se devo utilizzare una star devo utilizzarla per quello che può realmente fare secondo le proprie inclinazioni naturali e cognizioni tecniche. Giorni fa è stato pubblicato il cast all stars di un Matrimonio segreto del 1846 e la notizia ha suggerito il titolo adatto per quelle oggi all’apice della fama. Nel capolavoro di Cimarosa hanno giusta collocazione e dantescamente in compagnia di Ewa Podles, la negletta dello star system, cui Bertati e don Dummenico Cimarosa affidano il monito “vergogna vergogna, finitela già”.
Monito che può essere variamente interpretato anche come diretto al sottoscritto e sodali.




Auber - LA MUETTE DE PORTICI

Masaniello - Shalva Mukeria
Elvire - Jessica Pratt
Fenella - Natalie Dessay
Alphonse - Michael Spyres
Primo ballerino - Roberto Bolle

dir. Marc Minkowski


Cimarosa - IL MATRIMONIO SEGRETO

Carolina - Anna Netrebko/Diana Damrau
Paolino - Juan Diego Flórez
Fidalma - Ewa Podles
Elisetta - Nino Machaidze
Conte Robinson - Alex Esposito
Geronimo - Samuel Ramey

dir. Bruno Campanella


Wagner - LOHENGRIN

Heinrich - Kwangchul Youn
Telramund - Plácido Domingo
Lohengrin - Klaus Florian Vogt
Ortrud - Dolora Zajick
Elsa - Krassimira Stoyanova/Hui He/Maria Agresta

dir. Bertrand de Billy


Thomas - MIGNON

Mignon - Anita Rachvelishvili
Wilhelm Meister - Ismael Jordi
Philine - Diana Damrau
Frédéric - Irina Lungu

dir. Antonio Pirolli


Chaikovsky - EVGENIJ ONEGIN

Larina - Dolora Zajick
Tatiana - Krassimira Stoyanova
Onegin - Vladimir Stoyanov
Lenskj - Piotr Beczala
Filipevna - Olga Borodina

dir. Gianandrea Noseda


Massenet - MANON

Manon - Krassimira Stoyanova/Nathalie Manfrino
Cavaliere des Grieux - Piotr Beczala

dir. James Conlon


Puccini - MADAMA BUTTERFLY

Cio-cio-san - Hui He/Maria Agresta
F. B. Pinkerton - Francesco Meli
Sharpless - Luca Salsi/Damiano Salerno
Suzuki - Marianna Pizzolato
Kate Pinkerton - Serena Gamberoni

dir. Riccardo Chailly


Massenet - HERODIADE

Hérodiade - Irina Makarova
Salomé - Nathalie Manfrino
Jean - Roberto Alagna
Hérode - Ludovic Tézier

dir. Antonio Pappano


R. Strauss - ELEKTRA (versione originale/versione tradotta in italiano)

Elettra - Jennifer Wilson/Giovanna Casolla
Crisotemide - Eva-Maria Westbroek/Maria Billeri
Clitennestra - Evelyn Herlitzius/Raina Kabaivanska

dir. Daniel Harding


Meyerbeer - LES HUGUENOTS

Marguerite de Navarre - Mariella Devia
Valentine de St. Bris - Edita Gruberova
Urbain - Elina Garanca
Raoul de Nangis - John Osborn
Marcel - Kwangchul Youn
Nevers - Vladimir Stoyanov
St. Bris - Michele Pertusi

dir. Marc Minkowski


Weill - DIE DREIGROSCHENOPER

Mackie Messer - Jonas Kaufmann
Polly - Natalie Dessay
Jenny - Daniela Dessì
Peachum - Ferruccio Furlanetto
Mrs. Peachum - Waltraud Meier
Brown - Dmitri Hvorostovsky

dir. Zubin Mehta


Rossini - ZELMIRA (versione Giuditta Pasta)

Zelmira - June Anderson
Emma - Marianna Pizzolato
Antenore - Michael Spyres
Ilo - Juan Diego Flórez
Polidoro - Roberto de Simone

dir. Richard Bonynge



Read More...

venerdì 2 settembre 2011

Stagioni 2011-12, la Quaresima perpetua. Stazione tredicesima: Chicago e San Francisco

Ah! Se c’è una cosa che gli americani sanno fare è la confezione!
Prendiamo i siti di due teatri ad esempio: la Lyric Opera of Chicago e la San Francisco Opera.
Tutto è attraversato da un gusto moderno e accattivante e un bel lavoro di design: colori appropriati, effetti ottici non invadenti, foto curatissime, patinate, photoshoppate, ammiccanti, drammatiche, eppure essenziali, facilità nell’accedere alle pagine… tutto estremamente seducente, tutto deve trasmettere al lettore l’altissima qualità celata nel contenuto della stagione proposta e tutto deve lasciar pensare che “meglio di così non potreste desiderare!”.
Poi, ahimè, superato lo stupore per lo splendore tecnico “del pacchetto” esso va scartato e occorre guardarci dentro per soddisfare la vista, il palato e soprattutto le orecchie… soprattutto se il contenuto si rivela la solita burletta!

A Chicago, ad esempio, si parte con “Les contes d'Hoffmann”, opera accompagnata dalla bacchetta dell’esperto nel repertorio francese Emmanuel Villaume già ascoltato a Torino nel medesimo titolo e dalla regia rodatissima di Nicolas Joël; dunque non un nuovo allestimento, ma una produzione già vista in giro per il mondo e partita dal Teatro Real di Madrid! Ottimo, a mio giudizio, presentarsi con un allestimento che fa risparmiare un bel po’ le casse del teatro!
Ma cosa ci stia a fare nel ruolo del visionario protagonista la vocalità leggera e fragile di Matthew Polenzani, in cerca evidentemente del salto di qualità verso ruoli più maturi dopo i molti Mozart, Faust di Berlioz, Edgardo, Nemorino, Alfredo, Chevalier des Grieux etc, resta un mistero!
Cosa ci stia (ANCORA!) a fare ciò che resta della vocalità che definire stremata è già un complimento molto perplesso, dell’attempato e indomabile James Morris nel ruolo dei quattro demoni, fa comprendere la poca fantasia, e la poca accortezza di chi assembla i cast!
“Lucia di Lammermoor” secondo titolo in cartellone, presenta un cast in cui brilla Giuseppe Filianoti che recenti ascolti lasciano con l’amaro in bocca e molte, moltissime perplessità, affiancato da Susanna Phillips, non proprio adattissima a questo repertorio, che difatti frequenta poco alternando ruoli pucciniani a quelli mozartiani, ma soprano di casa sui palcoscenici americani ed evidentemente ritenuta, attraverso non si sa quale criterio, affidabile. Nel ruolo di Enrico il cartellone propone Gabriele Viviani: leggero, per non dire trasparente, già nel ruolo di Belcore in Scala figurarsi nel ben più temperamentoso Enrico Ashton. Se la direzione di Massimo Zanetti potrebbe sorprendere (parlo sia in positivo che in negativo, ovvio), fa piacere ritrovare un’artista come Catherine Malfitano nelle vesti di regista: in carriera l’attrice prevaleva nettamente sulla cantante, quindi c’è da sperare in una visione di sicura presa e caratterizzazione.
Ferruccio Furlanetto, dismessi gli abiti del basso verdiano di cui sicuramente non è l’incarnazione, indossa quelli più maestosi di “Boris Godunov” ruolo forse più vicino alla sua voce così personale, accompagnato dal caratterista Stefan Margita (Shuisky) e dai cavernosi e non ortodossi bassi Andrea Silvestrelli e Raymond Aceto (Varlaam e Pimen), diretti dal veterano Andrew Davis, direttore che ritroviamo anche nell’opera successiva: “Ariadne auf Naxos” funestata dalla ostinata presenza di Deborah Voigt già disastrosa Brunnhilde al Met figuriamoci cosa riuscirà a inventarsi per sopravvivere a Ariadne, in questo coadiuvata dalla Zerbinetta di Anna Christy simpatico sopranino lieve e aguzzo già impegnata nell’Olympia nei “Contes” inaugurali, dal mezzosoprano Alice Coote, militante nel barocco, ma che non disdegna ruoli come Charlotte, Maffio Orsini, Octavian, Marguerite, Hänsel e del bel tenore Brandon Jovanovich scuro di colore e gutturale di emissione regia tradizionale di John Cox.
La “Tripletta” di Andrew Davis, direttore già del “Boris” e dell’ “Ariadne” si conclude con Die Zauberflöte, il cui cast è stato scelto sotto l’egida della “leggerezza” (Cabell, Castronovo, Groissbock, Degout), forse per non disturbare troppo.
Immagino già le anime candide fibrillare per l’attesissima (?) apparizione di Sondra Radvanovsky nel ruolo di “Aida”, che certamente cambierà la storia dell’interpretazione della schiava etiope scardinando ogni nostra più piccola certezza; sorte che purtroppo non potrà condividere Hui He solo perché… canta e interpreta meglio della blasonata collega! Compagni di questa “rivoluzione” saranno Marcello Giordani e Salvatore Licitra, a cui auguriamo di riprendersi dal brutto incidente di cui è rimasto vittima, mentre la principessa egizia vedrà l’alternanza del contralto Jill Grove, momentaneamente orfana di Erda, e quel crogiuolo di urla strazianti rappresentato dall’inspiegabile Anna Smirnova, il tutto per le cure del Maestro Renato Palumbo.
Le stesse anime di cui sopra potranno deliziarsi con i pettorali del bel Nathan Gunn nel successivo titolo “Show Boat” di Jerome Kern e se saranno anche fortunate da essere intrinsecamente “baroccare” raggiungeranno vette di puro godimento con il conclusivo “Rinaldo” di Handel diretto da Harry Bicket, che schiera alcune tra le massime superstar di questo martoriato repertorio: David Daniels, Sonia Prina, Luca Pisaroni, Julia Kleiter, Iestyn Davies e l’emergente Elza van der Heever, soprano che vaga di ruolo in ruolo, di epoca in epoca alla ricerca di una sua possibile collocazione.
Che meraviglia!

Il “pacchetto” di San Francisco ci prepara ben altre delizie!
Che dire della “Turandot” inaugurale, diretta da Nicola Luisotti e che vede nei ruoli principali una decomposta Irene Theorin ed il Calaf dei nostri giorni (?), il “sicuro e intonato” Marco Berti? Sicuramente “grandi emozioni”: le stesse se non maggiori di quelle che scatenerà non solo la Premiere mondiale di Christopher Theofanidis “Heart of a Soldier”, recitata più che cantata da due campioni come Thomas Hampson e William Burden, ma soprattutto la “Lucrezia Borgia” successiva, la quale scatenerà i più inauditi deliqui grazie all’inspiegabile ostinazione belcantista di Renée Fleming, ad un Francesco Meli il cui timbro sedurrà più della tecnica, ad un ormai immancabile Vitalij Kowaljow che trapassa da Wagner, Verdi a Donizetti con virtuosismo pari ai disastri ottenuti sia in uno che nell’altro. Complice di tale vortice di commozioni il Maestro Riccardo Frizza, direttore feticcio della diva americana! Contenti loro!
Torna Luisotti con ben tre titoli: “Don Giovanni” con la regia del nostro Gabriele Lavia, sempre in formato “light-recitativo” che schiera la leggerezza di Serena Farnocchia, Marco Vinco e soprattutto l’evanescente Topi Lehtipuu che aprirà nuovi orizzonti “interpretativi-acrobatici” più che canori; una “Carmen” formato “grandi emozioni”… e nulla più, con Kate Aldrich, nella speranza che la salute vocale l’assista, e il corretto Thiago Arancam; finalmente la ripresa del trionfale e caciarone “Attila” scaligero il quale merita un discorso a parte: davanti a certe locandine ci si chiede se certi cantanti prima di firmare un contratto aprano o no lo spartito per sincerarsi se le proprie caratteristiche vocali si adattino o no alla parte in questione, oppure se tali scelte siano dettate solo in base alla presunzione o all’ambizione in forza delle quali si venga spinti ad accettare di tutto; bene, con questa premessa e dopo i recenti flop scaligeri, la nuova stella canora Oksana Dyka, che avrebbe dovuto sfondare in America grazie a questa Odabella, e Dio solo sa come avrebbe potuto cavarsi dall’impaccio di una parte micidiale come la vergine guerriera viste le enormi difficoltà già manifestate come Nedda, Tosca, Aida etc. ha visto preferirsi l’emergente e poco esaltante Lucrezia Garcia, fortemente voluta dal direttore e già diretta nel medesimo ruolo; stesso trattamento nei riguardi di Ramon Vargas in favore del più docile e monolitico Fabio Sartori e di Diego Torre. Nessun problema invece per la presenza di Ferruccio Furlanetto, il quale ha evidentemente preferito il palcoscenico di S.Francisco a quello milanese.
Se il “Xerses” diretto da Patrick Summers, tra le decadenze di Daniels ed una Prina intubata, può almeno risollevarsi con la presenza salvifica di Susan Graham, il successivo “Nixon in China” di John Adams schiera Simon O’Neill, tremendo Siegmund scaligero e altrettanto Parsifal a Bayreuth, nel ruolo di Mao Tse-tung nella speranza che la voce non crolli nella solita consolidata afonia dopo l’emissione di due note.
Conclude la stagione “Die Zauberflöte” che si farà notare per la fisicità di Nathan Gunn, lo stridore di Albina Shagimuratova e i frammenti di Kristinn Sigmundsson.

Molti ci rimproverano di fare con questi pezzi delle recensioni preventive, di distruggere le stagioni senza averle prima ascoltate, che fosse per noi i teatri dovrebbero chiudere, di provare noi a prendere un teatro e mettere insieme titoli, cantanti direttori e registi, e via farneticando, senza rendersi conto che i cantanti di cui scriviamo almeno, noi, ci siamo presi il disturbo di ascoltarli e non solo in mp3 o tramite Youtube; io chiedo, non tanto ai fan facebookari viziati da indigestioni di cuoricini e salamelecchi, cosa ci sia da salvare in queste stagioni e soprattutto se si domandano con quali criteri vengano assemblati i cast … soprattutto se, scartato un pacchetto tanto bello e curato, ci troviamo davanti ad un prodotto riciclato.












Read More...