
Partiamo dalla lettura musicale: il direttore Alessandro D’Agostini, alla guida della precisa Orchestra dei Pomeriggi Musicali, adotta la nuova edizione critica dell’opera e – come dichiara lui stesso nelle note introduttive sul programma di sala – ne dà una lettura caratterizzata da grande attenzione al rispetto della prassi d’epoca e alle cure filologiche. Innanzitutto la versione scelta: quella originale italiana così come approntata dalla stesso Donizetti: senza, quindi gli abituali tagli e inserti provenienti dalla prima versione francese (a parte la cabaletta di Tonio “Qual destino/Pour mon ame”...irrinunciabile per le velleità di qualsiasi tenore che ritenga essere in grado di eseguire l’infilata dei 9 successivi DO di petto...a costo di risparmiarsi per tutto l’atto o abbassandola di mezzo tono) e quindi nel dettaglio: 1) i recitativi invece dei dialoghi; 2) spariscono i couplets della Marchesa nell’Introduzione, “Pour une femme de mon nom” sostituiti da un recitativo accompagnato; 3) nell’atto II spariscono il “Salut a la France” e la seconda aria di Tonio “Pour me rapprocher de Marie”; 4) in compenso viene aggiunta un’aria per il tenore nell’atto I, “Feste, pompe, onori”, presa dal Gianni di Calais e un duetto per i due protagonisti nel finale II, “In questo sen riposati”. D’Agostini, poi, arricchisce l’orchestra di alcuni strumenti originali (certe percussioni particolari, cornette e cimbasso) e la dispone secondo uno schema atipico, predisposto, pare, da Donizetti stesso in occasione della prima scaligera – con i legni al centro, i contrabbassi molto più numerosi dei violoncelli e divisi in due, posti ai lati della compagine, i corni separati dagli altri ottoni... – accompagna i recitativi secchi con fortepiano, contrabbasso e violoncello, mentre in quelli accompagnati viene utilizzato uno strumentale ridotto (limitato al doppio quartetto d’archi) per far meglio risaltare l’articolazione del testo. Viene poi seguita la prassi d’epoca, con variazioni e abbellimenti nelle riprese e nei da capo. Operazione dunque interessante e abbastanza riuscita. La direzione è precisa, spigliata, adeguata allo spirito dell'opera: buon ritmo, ma anche attenzione ai momenti più lirici, resi con abbandono e dolcezza. L'orchestra conferma le sue qualità: attenta, molto musicale, precisa (gli attacchi sono perfetti, senza sbavature), mai pesante, ottimi i corni che si sentono fin dall'ouverture (strumenti critici e a rischio spesso, di stonature particolarmente sgradevoli). La compagnia di canto segue volonterosamente le intenzioni del direttore, e il livello complessivo – pur con alcune evidenti difficoltà, soprattutto per il personaggio di Maria – resta buono e dignitoso (si tratta pur sempre di una produzione di provincia, con mezzi, dunque, abbastanza scarsi), livello che spesso non è raggiunto da più pretenziose e blasonate esecuzioni. Quì l’impegno c’è e si sente. Nel dettaglio: la Maria di Yolanda Auyanet presenta un bel colore e una buona emissione, finchè non impiega troppo il registro acuto, laddove lo sforzo appare evidente e la voce tende a fissarsi e stimbrarsi; il Tonio di Gianluca Terranova sfrutta a suo vantaggio l’impervia tessitura della parte, il centro resta appannato e il fraseggio è un pò approssimativo, ma gli acuti sono buoni (a volte un pò ingolati), si risparmia per tutto il primo atto (prima aria e duetto) per poi eseguire una buona “Qual destino” con i suoi 9 DO di petto...e concede pure il bis (evidentemente non solo Florez è in grado di eseguire 18 DO di petto); funzionale alla parte – e finalmente non un pagliaccio – il Sulpizio di Francesco Paolo Vultaggio, dotato di una buona presenza scenica; comprimari mediocri, ma le parti non richiedono di più. Un mistero la regia di Andrea Cigni (che si occupa pure delle scene e dei costumi)! Spettacolo nettamente diviso in due: sobrio ed elegante l’atto I, farsaccia volgare il secondo. E pensare che lo stesso ha dichiarato nelle note di regia di voler ripulire “la drammaturgia da inutili trovate e gags da macchietta”: gli riesce solo per metà spettacolo! Il primo atto si apre su una gigantesca bandiera svizzera, davanti alla quale il coro canta le sue suppliche, e che lascia presto il posto ad un panorama montano con mucchietti di neve sparsi per il palco: la vicenda è trasportata durante la prima guerra mondiale, e la caratterizzazione dei personaggi è garbata e mai caricata. Alcuni momenti sono davvero suggestivi: il finale I, quando Maria saluta i suoi compagni, con uno dei più commoventi cantabili donizettiani, mentre si fa sera (le luci si abbassano) e dal cielo comincia a nevicare lentamente. Forse una trovata facile e ingenua per chi ricerca nella regia occasioni di elucubrazione intellettualistica e simbologia psicanalitica...per me, invece, soluzione raffinata e toccante. Tuttavia il regista, forse spaventato di apparire troppo “normale”, cambia completamente l’approccio nell’atto II che si apre ancora sul panorama montano (anzichè l’interno di un palazzo signorile), ingombro però di un gigantesco orsacchiotto che campeggia in mezzo alla scena, cosparsa di giocattoli e bambole... A parte la bruttezza estetica, a parte l’effetto di deja vu (se non erro una Turandot berlinese di qualche anno fa, presentava la stessa incomprensibile soluzione), non se ne capisce bene il motivo: Maria non viene trattata da bambina, ma da nobildonna, ed è questo a metterla a disagio (a confronto con la più libera e ruspante vita da reggimento). E di conseguenza va tutto il resto: al garbo si sostituisce la farsa più volgare. La lezione di canto è caricata in modo insopportabile con urla, strilli, stonature e parodie (manco fosse la Mamma Agata delle Inconvenienze teatrali); il terzetto Sulpizio/Tonio/Maria viene accompagnato con ballettini da avanspettacolo e accenni di “macarena” (come al Costanzo Show degli anni più bui...) e l’arrivo degli ospiti in occasione del matrimonio di Maria assomiglia a una sfilata da corte dei miracoli, un gerontocomio semovente di tic, zoppie, dentiere malferme, stampelle, bicchieri rovesciati, tremolii senili etc...tra le risate e gli applausi di un pubblico, evidentemente, di bocca assai buona... E il canto si adegua alla trivialità della messa in scena. Peccato: occasione, almeno in parte e per colpa del regista, mancata.
Gli ascolti
Donizetti - La figlia del reggimento
Atto I
Eccomi finalmente...Feste, pompe - Cesare Valletti (1950)