Compito difficilissimo consigliare un libro, un disco, un piatto...perché si entra in una dimensione che prescinde necessariamente da categorie oggettive, per spostarsi verso i più inafferrabili lidi del gusto personale! I gusti cambiano, si spostano, risentono di circostanze esterne, sono sottoposti alla legge degli anni e al mutare del tempo, dipendono – anche – da suggestioni a volte inspiegabili: soprattutto non sono assoluti. Con questo spirito – premessa necessaria – mi accingo (con umiltà) a suggerire alcune incisioni ed edizioni nel mare magnum della discografia mozartiana: semplici consigli, senza pretesa di “infallibilità”, ma che vogliono essere una piccola guida maturata da numerose esperienze d’ascolto (più o meno piacevoli). Per prima cosa i criteri di scelta: perché un metodo va dichiarato. Per onestà e chiarezza.
Innanzitutto mi sono dedicato esclusivamente alle incisioni ufficiali, lasciando perdere le tante edizioni più o meno casalinghe o “pirata” che testimoniano particolari eventi e spettacoli: questo non per mancanza di interesse di tali prodotti (tutt'altro), ma per l’esigenza di fornire un campo ristretto di scelta, facilmente reperibile e con determinate caratteristiche in merito alla completezza del titolo e alla qualità tecnica dell’incisione. Nella scelta, poi, mi sono lasciato guidare da due direttrici: il gusto personale, ovviamente (quello di oggi, che è diverso da qualche anno fa e, sicuramente è destinato a cambiare tra qualche tempo) e la convinzione che non sia sufficiente la performance del singolo cantante o l’esecuzione del singolo brano a rendere “grande” un’incisione. Un’opera non è la somma di brani solistici, né l’occasione per esibire “effetti senza causa”: è qualcosa di più complesso che ha a che fare, principalmente, con l’arte (nello specifico la musica e il teatro). Per questo – nei miei consigli – ho privilegiato la resa complessiva (consapevole di pregi e difetti) piuttosto che il singolo episodio (per quello ci sono innumerevoli dischi e recital ove soddisfarsi). Infine il criterio numerico: per ogni titolo – causa esigenze di brevità – ho indicato una o due edizioni. Questo ha comportato scelte dolorose e discutibili, tali, cioè, da scontentare i molti che non troveranno il loro cantante favorito o l’edizione che ritengono di riferimento: l’ho messo in conto, e non mi dispiace, poiché sarà occasione (magari nei commenti) di scambiare costruttive opinioni.
Detto questo, si può cominciare. Ho scelto Mozart, come esordio, per due ragioni: è il mio autore preferito in assoluto e presenta un catalogo operistico abbastanza ridotto e del tutto testimoniato discograficamente. Circostanze che, purtroppo, non ricorrono spesso con altri compositori (si pensi a Donizetti, Handel, Rossini e Verdi). Wolfgang Amadeus Mozart scrisse – nella sua breve, ma assai produttiva carriera musicale – 24 lavori riconducibili al genere drammatico: di questi, tolti gli oratori di carattere religioso (Die Schuldigkeit des ersten Gebotes, più che altro un singspiel sacro, La Betulia liberata e il Davidde Penitente, nient’altro che la rielaborazione dell’incompiuta Messa in Do Minore KV 427), i primi lavori di scuola (Apollo et Hyacinthus, Bastien un Bastienne), i progetti incompiuti (Zaide, L’oca del Cairo e Lo sposo deluso), gli atti unici e le musiche di scena (Ascanio in Alba, Il sogno di Scipione, Der Schauspieldirektor e Thamos, König in Ägypten), possono essere considerati appartenenti al genere operistico i restanti 12 titoli. Per comodità si suddividono in tre raggruppamenti: le prime opere “all’italiana” (serie e buffe), riconducibili al classico modello metastasiano (La finta semplice, Mitridate re di Ponto, Lucio Silla, La finta giardiniera, Il re pastore); le opere di rottura della tradizione musicale del tempo e di certe convenzioni (Idomeneo, re di Creta e Die Entführung aus dem Serail); i grandi capolavori della maturità artistica (Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Die Zauberflöte, La clemenza di Tito). I “consigli per gli acquisti” riguardano proprio questi 12 titoli.
1) Del primo gruppo non sono disponibili molte incisioni, e, necessariamente, le scelte sono quasi obbligate, anche se oggi la discografia è un po’ più ricca rispetto a qualche anno fa. La finta semplice: pur dovendo scontare la direzione metronomica, rigida e grigiastra di Leopold Hager (prototipo di un Mozart “prussiano” oggi fortunatamente accantonato), resta ancora valida l’incisione ORFEO risalente al 1983, che vanta un interessante parterre canoro: Thomas Moser, Helen Donath, Teresa Berganza e Anthony Rolfe-Johnson. Non mi pare ci siano alternative valide. Mitridate, re di Ponto: impossibile non indicare l’edizione DECCA del 1998. Edizione integrale e curata sotto ogni aspetto, evita ogni effetto “sfilata di arie e recitativi” e cerca – attraverso un’orchestra spumeggiante e vitale – di infondere vera vita teatrale in un lavoro ancora acerbo, ma già ricchissimo di qualità musicale. Il cast – diretto da Christophe Rousset – schiera Giuseppe Sabbatini (in una sua rarissima testimonianza mozartiana), una spettacolare Natalie Dessay, Cecilia Bartoli, Brian Ozawa e in ruoli minori Sandrine Piau e Juan Diego Florez. Un’edizione tuttora insuperata. Lucio Silla: nonostante Hager, Crambeling e Harnoncourt vantino interpreti più blasonati (Auger, Varady, Cuberli, Murray, Gruberova, Bartoli), l’edizione migliore dell’opera è indubbiamente quella pubblicata dalla danese DACAPO nel 2002. Diretta da Adam Fischer alla guida di un’orchestra dalla trasparenza e precisione cameristica, vanta una compagnia di canto molto affiatata e convincente che, se pure non presenti stelle di prima grandezza, fa guadagnare all’opera quella vitalità e freschezza del tutto assenti in altre incisioni (gli interpreti: Odinius, Nold, Hammarstrom, Bonde-Hansen). La finta giardiniera: opera della svolta, per certi versi ancorata alla tradizione buffa italiana, per altri già lanciata verso il nuovo mondo di Da Ponte. Diverse sono le edizioni disponibili (tra cui l’incisione della rielaborazione tedesca in forma di singspiel col titolo Die Gärtnerin aus Liebe che si segnala esclusivamente per la presenza di Jessye Norman), ma la scelta va, pur con le riserve per certi atteggiamenti del direttore (dal rendimento assi variabile), a quella diretta nel 1991 da Harnoncourt (TELDEC), con Thomas Moser, Edita Gruberova, Charlotte Margiono, Uwe Heilmann e Monica Bacelli. L’unica che riesca a far percepire, almeno in parte, le novità di una partitura che davvero segna il passaggio dell’autore ad una dimensione più matura e autonoma. Il re pastore: anche qui, poche le alternative disponibili. Tra tutte segnalo l'edizione TELDEC del 1995 diretta da Harnoncourt, con Eva Mei e Ann Murray.
2) Il secondo gruppo si apre con quello che è forse il capolavoro musicale di Mozart. Idomeneo, re di Creta: la scelta tra le numerose edizioni disponibili, comporta, prima, la disamina delle diverse versioni dell’opera (Monaco e Vienna), delle arbitrarie “revisioni” novecentesche (Strauss, Paumgartner, Britten, Gal), nonché dei tanti tagli a cui la partitura è stata sottoposta. Tuttavia, per gustare appieno la complessità del lavoro di Mozart, l’integralità è assolutamente necessaria (così come è necessario distaccarsi dalla vulgata della critica germanica, che ha sempre visto con diffidenza l’opera, e il teatro mozartiano in generale, imbevuta – com’era e com’è tuttora in alcune frange e propaggini, anche nostrane – di wagnerismo di risulta, concentrata solo a trovare prodromi di “dramma musicale” in tutta la musica che l’ha preceduto: Gluck in primis). Tra le varie edizioni disponibili, credo che la migliore sia quella del 2005 pubblicata dalla danese DACAPO, per vari motivi: innanzitutto orchestra e direzione (Adam Fischer), assolutamente trasparente, chiara, quasi cameristica, con un salutare ripensamento della distribuzione dell’organico (ridotto e senza il consueto eccesso di archi che annacquano le linee musicali) e dei piani sonori, e con l’uso accorto del vibrato (senza gli eccessi romantici del Mozart storico); la compagnia di canto non vanta celebrità, ma risulta più equilibrata e affiatata (in particolare l’Idomeneo finalmente scuro e corposo di Christian Elsner, dopo anni di tenorini leggeri): evita il canto bianchiccio e slavato del Mozart in salsa anglosassone (che ci ammorba fin dai tempi del sopravvalutatissimo Beecham), le fissità sgradevoli di certi estremismi barocchisti (come il recente Jacobs), la rigidità morchiosa del Mozart prussiano di certo Harnoncourt, Böhm e Schmidt-Isserstedt (con il quale suona male persino la Staatskapelle di Dresda). L’opera è integrale, comprensiva anche del ballo finale: sarebbe stata gradita un’appendice con i brani alternativi, ma trattandosi di esecuzione dal vivo, ciò non era, ovviamente, possibile. Gli interpreti: il citato Elsner, Strehl, Hammastrom, Bonde-Hansen, Milanesi. Die Entführung aus dem Serail: con quest’opera si entra nella “zona calda” della discografia mozartiana. Da qui in poi, difatti, la scelta dell’edizione diventa più complicata, essendo maggiore il numero di versioni disponibili. All’aumento della possibilità di scelta si accompagna, necessariamente, un maggior arbitrio (e un maggior rimpianto per esclusioni dolorose). Dell’opera voglio indicare due edizioni: diversissime tra loro sia per pregi che per difetti. La prima è l’incisione DGG del 1965 diretta da Eugen Jochum: direzione ricca, vitale, senza mai eccedere nel gigantismo sonoro di stampo romantico. Modernissima. Il cast: Wunderlich, Köth e Böheme. La seconda è l’incisione di Gardiner del 1991 (DGG-ARCHIV): la direzione esalta tutti i dettagli della raffinata scrittura mozartiana (grazie ad un’orchestra semplicemente perfetta), ripensata secondo gli equilibri corretti (soprattutto nel rapporto archi/fiati). La compagnia di canto vanta l’ipervirtuosistica Konstanze di Luba Orgonasova (l’unica, credo, ad affrontare “Marten aller Arten” nella sua stesura integrale) e l’impeccabile Belmonte di Stanford Olsen (dal canto morbidissimo e vellutato); purtroppo sconta un Osmin in serie difficoltà.
3) Se appariva già difficile nel secondo gruppo dei lavori teatrali mozartiani, con il terzo la scelta è ancora più ardua, stante il numero delle edizioni disponibili e il valore di molte. Le nozze di Figaro: due incisioni per “l’opera perfetta”. Per motivi anche affettivi (è la prima opera completa che ho ascoltato) l’edizione DECCA del 1955 diretta da Erich Kleiber (la prima incisione integrale) con un cast strepitoso: Siepi, Corena, Della Casa, Danco, Güden. Unica “nota stonata” il Conte di Poell. La seconda – risalente al medesimo anno (1955) – è l’incisione diretta da Gui (EMI) con i complessi di Glyndebourne e un cast perfetto: Calabrese, Jurinac, Sciutti, Bruscantini, Stevens, Sinclair, Wallace, Cuénod. Tuttora un modello di interpretazione mozartiana, priva di ogni eccesso romantico e ricca di vitalità teatrale. Unica pecca è il taglio dell’aria “Il capro e la capretta”. Don Giovanni: anche qui due edizioni, ma se è scontato indicare l’incisione VIRGIN (1999) diretta da Harding per la lettura orchestrale innovativa (e il dissoluto di Mattei), più complicato scegliere tra quelle più classiche. Tra tutte direi Giulini nel ’59 (EMI). Così fan tutte: opera inafferrabile, di cui fatico a trovare l’edizione ideale. Senza completa convinzione (più per esclusione), scelgo Karajan (EMI 1954), per la lettura orchestrale soprattutto (e il Don Alfonso di Bruscantini). Die Zauberflöte: pochi dubbi sulla scelta dell’edizione diretta da Fricsay (DGG 1954). Lettura modernissima, asciutta, vivace, teatrale, movimentata. Lontana sia dalla leziosa superficialità di Beecham, sia dall’intollerabile pesantezza/letargia dei vari Furtwangler, Böhm, Klemperer (ed epigoni vari) che trasformano l’opera in una sorta di oratorio mistico/massonico, sia dalla romanticizzazione spinta di Solti. Molto interessante la lettura di Christie (ERATO 1995), decisamente la sua migliore prova mozartiana (e con un cast ove spicca l'Astrifiammante della Dessay). La clemenza di Tito: ancora insuperata l’incisione di Kertész (DECCA 1967) con le spettacolari esibizioni della Berganza, della Casula e di Krenn. Oggi l'opera, superati i pregiudizi di una critica antiquata, non è più intesa come sorella zoppa degli altri capolavori mozartiani, ed è stata di molto rivalutata. Di conseguenze l'approccio alla partitura è cambiato: vi sono molte incisioni innovative, tra cui l'esito migliore dell'esperienza mozartiana di Jacobs (la cui incisione targata HARMONIA MUNDI del 2005 è la seconda che consiglio). Termina qui la prima puntata di questa guida agli acquisti. Ovviamente mancano tante edizioni (anche storiche), tante testimonianze di artisti eccezionali. Mancano, per motivi di metodo, molti live. Mancano le edizioni incomplete e frammentarie (dal suono precario, ma dalle interpretazioni di grandissimo valore documentaristico). Mancano le edizioni in video (che ormai si fanno numerose e su cui sarebbe molto utile riflettere, giacché l'opera è pur sempre teatro). Mancano i brani isolati. Nella certezza, dunque, di aver scontentato la maggior parte dei lettori per le troppe omissioni, auguro a tutti un buon ascolto!
Gli ascolti:
Sinfonia in Re maggiore KV 385 "Haffner": Ferenc Fricsay (1952)
http://www.youtube.com/watch?v=ZKGsnvLAkG0
Le nozze di Figaro: Sesto Bruscantini, Vittorio Gui (1955)
http://www.youtube.com/watch?v=e3_doQpRjj4&feature=fvst
Die Zauberflöte: Josef Greindl, Ferenc Fricsay (1954)
http://www.youtube.com/watch?v=vQererv5oNQ&feature=related
12 commenti:
Caro Duprez, complimenti per il pezzo e per le scelte che, pur discutibili come ogni cosa umana, non sono mai banali. Però su una cosa sola non posso essere d'accordo. Tu respingi le interpretazioni del Don Giovanni da parte di Furtwaengler e Klemperer. E' cosa assolutamente lecita; ma, così facendo, le inserisci in una categoria unica. Ora questo secondo me non è lecito, perché esse derivano da concezioni interpretative opposte, come ho avuto modo di argomentare in diverse occasioni.
Ciao
Marco Ninci
Che poi l'Idomeneo sia il capolavoro musicale di Mozart mi sembra molto discutibile. Posso accettare il fatto che in quest'opera Mozart sia in possesso di un'inventiva torrenziale, quasi indisciplinata, che in seguito non si manifesterà più con una tale dovizia. Ma, tutto considerato, le cinque grandi opere, le due tedesche e le tre italiane, mi sembrano più importanti, più gravide di futuro.
Marco Ninci
Caro Marco, ovviamente la volontà di ridurre la scelta a uno o due titoli, impone sacrifici dolorosi. Come ho premesso i miei suggerimenti non vogliono aver alcun crisma di infallibilità, né di assolutezza: ovviamente le mie scelte sono tutte discutibili. Alcune precisazioni, però, per rispondere alle tue osservazioni (giuste):
1) Nessun rifiuto del Don Giovanni di Furtwaengler e Klemperer (o Mitropoulos): a dire il vero non li ho neppure citati. Ho preferito - tra quelli storici - l'edizione di Giulini perché la trovo più "italiana" nel gusto del porgere la parola e nell'equilibrio sonoro. Trovo, poi, che Giulini non carichi il testo di sovrastrutture ideologiche o filosofiche, lasciandogli quell'ambiguità inafferrabile che, secondo me, è il suo più grande fascino (il non detto è più stimolante dell'esplicitazione del medesimo).
2) L'approccio di Klemperer e quello di Furtwaengler non sono certamente riconducibili alla stessa categoria, ma li indico come espressioni del Mozart storico. Peraltro mi riferivo più che altro allo Zauberflote: entrambi i direttori ne fanno un oratorio mistico/filosofico, con ragioni differenti certo, ma con passo abbastanza simile (diciamo che rientrano anche qui in un'interpretazione seriosa del testo, appesantita da sovrastrutture etiche).
3) Purtroppo la brevità della trattazione non ha permesso (per ovvie ragioni) disamine più ampie o scelte più numerose.
4) Su Idomeneo: per "capolavoro musicale" non intendo "capolavoro assoluto" o "opera più importante". Personalmente credo che a livello di finezza strumentale, invenzione musicale e grandiosità di impianto, l'Idomeneo sia al primo posto nel catalogo mozartiano: questo nulla toglie al fatto che la trilogia Da Ponte e l'ultimo singspiel (sul Ratto ho più dubbi) sia un vertice assoluto. Naturalmente è mia personale opinione.
Mi fa piacere che il pezzo stimoli il confronto (e ti ringrazio per l'apprezzamento): ognuno di noi ha le sue edizioni preferite. E' interessante scambiarsi valutazioni.
Ps: ho dovuto sacrificare anche incisioni per me irrinunciabili, ma le esigenze del metodo che ho premesso, l'hanno imposto.
Scusami, Duprez, è vero; per Klemperer e Furtwaengler ti riferivi al Flauto Magico e non al Don Giovanni. Ma il discorso si può sempre fare, anche se non proprio identico. Mi fa piacere poi che tu citi Gui. La sua esecuzione è bellissima, anche per il cast, davvero eccellente. Io ho avuto occasione di ascoltare Gui molto anziano, nel Turco in Italia e nella Vestale. Mi ricordo l'impressione di grande pulizia e raffinatezza, anche se probabilmente la vivacità dei tempi migliori era un po' un ricordo. Indimenticabile poi la Quarta Sinfonia di Brahms, in cui si respiravano l'intensità, la drammaticità, il piglio dei grandi maestri della Mittleuropa. Questo a dispetto del giudizio di Berg, che a Firenze aveva ascoltato un concerto dell'orchestra del Maggio, allora molto giovane, diretta da Gui e aveva lodato l'orchestra e molto meno il suo direttore.
Marco Ninci
Gui, in certe sue direzioni (in particolare Mozart e Rossini), è estremamente moderno: lettura chiara, pulita, con un impasto orchestrale molto equilibrato senza il solito oceano di archi dove pareva affogare ogni linea melodica. Le Nozze di Figaro sono emblematiche, teatralissime, vitali, con un gusto per la parola davvero inconsueto (basta sentire i recitativi), senza quelle voci tanto possenti quanto imbalsamate dei tanti monoliti che affrontavano Mozart con Wagner nella gola. Nessuna romanticizzazione, nessun turgore drammatico fuori luogo.
Gent.mo Sig. Duprez,
concordo in pieno col suo scritto :
soprattutto per l'Idomeneo,vero gioiello che Mozart stesso considerava il suo capolavoro !Adam Fischer, che ho ascoltato molte volte dal vivo in opera e concerto ,ritengo sia il miglior Kappellmeister vivente.Pero'.....
lo Zauberflote diretto da Beecham con i "sublimi" Roswaenge e Lemnitz,una delle piu' belle incisioni della storia,?
Sono d'accordo con imparato. Il Flauto di Beecham rimane una capolavoro assoluto sul versante vocale. Personalmente trovo impareggiabile, oltre ai citati Roswaenge e Lemnitz, il Sarastro di Strienz, di una levigatezza e soavità assolute.
Io, invece, proprio quel Flauto lo trovo inascoltabile (vedi che scherzo fanno i gusti?): Beecham è, al solito, superficiale e lezioso (solo effetti o effettacci, mitigati unicamente dall'uso dei Berliner e non di un'orchestraccia inglese dell'epoca). Rosvaenge canterà anche bene la sua aria, ma l'opera - come dicevo - non è la somma dei singoli brani. Non è un recital. E francamente poco mi importa della singola esibizione. Soprattutto in Mozart. Strienz lo trovo in serissime difficoltà soprattutto in basso (e in effetti è fuori parte: Sarastro è basso vero...Strienz è più acuto e può cantare il ruolo solo in virtù del fatto che il diapason si è alzato in modo sconsiderato rispetto all'epoca di composizione, permettendo a finti bassi - come anche Ramey - di fare, pur con molti patteggiamenti, Sarastro). La Lemnitz è lamentosa e sembra una specie di pia donna lacrimevole e affettata (il canto è tecnicamente a posto, ovvio, ma è l'interpretazione che è tutta sbagliata). Il difetto però sta nel manico, la pessima lettura di Beecham. Per me è uno dei peggiori Flauti in circolazione. All'epoca si poteva fare molto meglio...
D´accordo su Rosvaenge e Lemnitz, un po meno su Beecham - c´è di peggio. Ma Hüsch non vi piace?
Carissima Selma, Hüsch è splendido...decisamente la cosa più valida di quell'edizione. Però, come ho premesso, non volevo indicare la singola performance, e ho privilegiato il senso complessivo della lettura e dell'interpretazione dell'intera opera, all'esibizione (a volte ottima) del singolo.
Su Beecham...a me personalmente non piace per nulla (lo trovo sempre affettato, superficiale, genericamente galante, innocuo insomma), trovo che sia una delle più gigantesche sopravvalutazioni della storia dell'interpretazione musicale: la critica inglese l'ha portato sugli altari (aldilà del ragionevole) e l'ha imposto come nume intoccabile.
the "sacred cows" - stesso con Böhm (ed anche Krips) qui, chi insieme con Schwarzkopf e Seefried ci ha procurato il Mozart "stile Viennese" di miniatura e da bambola.
Sono completamente d'accordo con te, anche se, tutto sommato, continuo a preferire Böhm a Beecham. Il mio Mozart ideale, comunque, è altro. :)
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