Ancora una volta il programma delle prossime stagioni dei maggiori teatri lirici tedeschi ci si presenta come un vero specchio delle due grandi tendenze musicali e socioculturali di Germania:
1. la distribuzione piuttosto democratica e proporzionata degli elementi e prodotti del cosiddetto star system non solo nei teatri come Amburgo, Monaco o le due maggiori case berlinesi, ma un traffico di permanenza più o meno stabile anche in teatri di minor rilevanza internazionale come l’opera di Colonia, di Stoccarda o la Deutsche Oper am Rhein (Düsseldorf-Duisburg);
2. per questo medesimo sistema di parità nazionale dei prodotti internazionali che rende la Germania, contrariamente alla Francia, un paese decentralizzato e non-provincializzante per eccellenza, di colpo l’intero paese diventa una sola e grande provincia. I cartelloni tedeschi per le prossime stagioni, nonostante la loro grande varietà a prima vista, sono così stigmatizzati da un attaccamento dal carattere quasi fatale ed ineluttabile ai criteri rigidi delle agenzie operistiche che la dominanza di un concetto estetico molto maldestro e, appunto, profondamente provinciale diventa evidentemente manifesto. Iniziamo dalla capitale ed i suoi due teatri maggiori, la Deutsche Oper e la Staatsoper unter den Linden. Un’analisi delle stagioni di Amburgo e Monaco sarà proposta il prossimo venerdì.
Niente di nuovo alla Staatsoper, teatro “di” Daniel Barenboim, dove i massimi artisti “di casa” sono il berciante Roman Trekel e l’insipida Anna Samuil e le massime novità – una Traviata diretta da Omar Meir Wellber e nel ruolo principale l’alternanza di una stella poco lucente come Christine Schäfer coll’usignolo polacco Aleksandra Kurzak, della lirica la nuova star o, anzi, miracolo (miracolo davvero, perche le ragioni del suo successo non sembrano spiegabili da nessuna logica terrestra e sobria-aristotelica). Niente di nuovo soprattutto grazie all’incredibile svogliatezza del maestro argentino di cambiare qualcosa. Infatti, il cartellone della Staatsoper consiste o di allestimenti stile “copia-incolla” prodotti in “collaborazione” con il Teatro alla Scala e diretti da Barenboim, come le prime due parti del Ring wagneriano, il Simon Boccanegra coi soliti Domingo, Harteros, Sartori e Youn, o un Don Giovanni con Giuseppe Filanotti, Anna Netrebko quale Donna Anna e l’appena corretta Anna Prohaska, altra assidua presenza del teatro, quale Zerlina, ossia la metà del cast dell’apertura della prossima stagione scaligera. Si pone sinceramente la domanda: che differenza qualitativa ci sarebbe fra andare alla Staatsoper unter den Linden e andare alla Scala di Milano oltre la mera costrizione geografica per le rispettive popolazioni urbane di servirsi del teatro più vicino alla loro casa? Niente di nuovo anche nel proporre titoli del belcanto: l’Elisir con Rolando Villazon e l’irrinunciabile Anna Samuil ed una Norma concertante con Edita Gruberova, ormai grottesca come mai prima nel ruolo della tragica druidessa belliniana. Un’altra novità déjà vue sarà l’allestimento di Patrice Chereau dell’ultima opera di Janacek, Dalla casa dei morti, sotto la direzione pur non del tutto priva d'interesse di Sir Simon Rattle ed una serie di rarità barocche proposte in salsa baroccara, fra l’altro Il trionfo del tempo e del disinganno di Handel con la bacchetta di Marc Minkowski e la Rappresentazione di anima e di corpo di Emilio de’ Cavalieri con Rene Jacobs. Oltre il Don Giovanni, Mozart è abbondantemente presente sul cartellone in quanto riguarda anche le altre opere già proposte e riproposte con una frequenza tanto esasperante quanto è indifferente la qualità generale delle loro rappresentazioni. Come se Mozart non avesse mai scritto un Idomeneo, Mitridate, Lucio Silla o Tito, nella solita lista di Nozze, Flauto e Ratto che ci propone la Staatsoper il massimo del proposto saranno la Konstanze di Christine Schäfer, la Contessa della beniamina berlinese e proclamata, ma molto discutibile “specialista” mozartiana Dorothea Röschmann oppure il Tamino del tenore caratterista Stephan Rügamer.
Rispetto alla stagione promessa dalla Staatsoper, quella pubblicata dalla Deutsche Oper per 2011-2012 risulta più variata ed interessante almeno sulla carta, per quanto riguarda sia le riprese sia le prime. Nei cast delle riprese rincontriamo molti nomi familiari il cui allegamento a certi ruoli suscita certe perplessità, come la presenza di Diana Damrau nella Lucia, mentre Joseph Calleja quale Edgardo promette esiti piuttosto favorevoli sia alla musica del maestro bergamasco sia alle orecchie di un certo pubblico per cui non è senza importanza che uno dei maggiori ruoli del belcanto venga cantato con una voce omogenea ed un fraseggio dotato di una minima musicalità. Quasi identico il cast della Luisa Miller a quella vista due mesi fa alla Bastille parigina. Anche qui lati positivi e negativi: mentre Krassimira Stoyanova rappresenta sicuramente la migliore Luisa in giro sia per la sua preparazione tecnica sia per il suo ottimo gusto ed eleganza musicale, Marcello Alvarez promette un altro Rodolfo “emozionato” e cantato tutta squarciagola, come anche i due bassi, Orlin Anastassov e Arutjun Kotchinian avranno la possibilità di dimostrare ancora una volta come cantare col stomaco. Sicuramente migliore anche un veterano Leo Nucci nel ruolo del padre Miller rispetto al’inudibile Franck Ferrari nella Luisa parigina. Sarà Leo Nucci ad incarnare Francesco Foscari nell’unica rappresentazione concertante dei Due Foscari accanto a Ramon Vargas ed Angela Meade. Ed è sicuramente più verdiano Nucci di un altro veterano baritono che interpreterà il ruolo di Rene Anckarstrom nella ripresa del Ballo in maschera, ossia Thomas Hampson. Un’altra prima verdiana in versione concerto lascia maggiori dubbi, à savoir il Trovatore presentato e promosso quale Trovatore “della” Anja Harteros. Accanto a lei Dalibor Jenis, Stuart Neill e Stephanie Blythe. Un’altra peripetia baritonale ci aspetta con il Falstaff affidato ad Ambrogio Maestri. Molto discutibile anche il cast del nuovo Don Carlo in cui Adrianne Pieczonka risulta con certezza un’Elisabetta relativamente più adeguata della solita Anja Harteros, già insufficiente Amelia Grimaldi, ed in cui c’è poca speranza sia per l’Eboli di Anna Smirnova che per il Filippo di Roberto Scandiuzzi e Alistair Miles o il Carlo di Massimo Giordano e Yonghoon Lee. La direzione è affidata a Donald Runnicles, maestro wagneriano di casa.
Sono i soliti nomi a saltare all’occhio in titoli come Turandot, Carmen, Boheme, Traviata – Maria Guleghina, Marco Berti, Vittorio Grigolo, Patricia Ciofi, Anita Rachvelishvili, Ermonela Jaho, Saimir Pirgu, Alexia Voulgaridou… Due prime italiane meritano l’attenzione: quale regalo di avvento, ossia due rappresentazioni concertanti prima di Natale della Favorita donizettiana con il debutto di Elina Garanca, affiancata da Joseph Calleja. Previsto anche un Tancredi sotto la direzione di Alberto Zedda, titolo raro per un teatro poco familiare coi titoli rossiniani che vanno oltre il Barbiere. E’ invece percettibile l’imponente presenza di tutta una seria di titoli wagneriani, come le riprese del Ring, Tannhäuser, Rienzi, Tristan und Isolde ed un nuovo Lohengrin. Nel Rienzi, unica opera wagneriana non affidata in questa stagione al maestro Runnicles, troviamo Manuela Uhl nel ruolo di Irene. E’ sempre lei ad incarnare sia Elisabetta che Venere (in alternanza con Petra Maria Schnitzer) nel Tannhäuser. Accanto a Michaela Kaune, interprete della Marescialla e di Jenufa, Manuela Uhl è uno dei soprani di casa alla Deutsche Oper – presenza tanto inspiegabile in quanto si tratta di una voce di scarsa tecnica ed espressività che spinge fino ad imporsi come soprano da lirico spinto straussiano e wagneriano. Promette pochissimo anche il Lohengrin con un Marco Jentzsch quale improponibile ed improbabile protagonista, trattandosi di un tenore leggero dal timbro sgradevole, ed una penosa Riccarda Merbeth quale Elsa. Nella Valchiria interessante la presenza di Jennifer Wilson, sicuramente la più solida Brunnhilde degli ultimi anni. Sarà purtroppo sostituita dalla discontinua Janice Baird nel Siegfried e Crepuscolo. Il vecchio Matti Salminen potrà un’altra volta dimostrare il fatto (tristissimo per la nuova generazione dei bassi) di essere ancora uno dei migliori Hagen in giro. Notevole anche la partecipazione di Peter Seiffert in due recite del Tannhäuser ed il suo Tristan, nella stagione dell’anno scorso cantato pure nella Staatsoper accanto a Waltraud Meier, qui invece affiancato dalla sua consorte Petra Maria Schnitzer, un altro soprano “spingente”.
Bisogna dire che, eccetto una minoranza di allestimenti firmati dai rappresentanti della “Regieoper”, come il nuovo Tristan di Graham Vick o il discusso Don Giovanni dell’anno scorso, già oggetto di dimostrazioni ed altre forme di protesta davanti e dentro il teatro, è da notare non solo la presenza di allestimenti piuttosto moderati ed adeguati alle opere rispettive, come i classici di Götz Friedrich, ma anche una certa quantità di opere in forma di concerto che implica un’esposizione più radicale dei cantanti con – e alla – propria vocalità. Quando all’inizio di aprile nella scena di nozze della Lucia il sipario si è aperto su una scena di classica bellezza e proporzioni, il pubblico della Deutsche Oper ha coperto la musica festiva con un fermo applauso. Sarà che il pubblico è stanco dalle “originalità” dei registi pseudo-rivoluzionari? E se il pubblico vuole vedere quello che è adeguato alla musica o quello che si lascia mostrare in modo originale e meno "fedele" a partire da una congrua interpretazione visuale della musica e del testo (come nel caso di un Ponnelle o un Friedrich), implicherebbe questo anche una disposizione o una voglia nel pubblico di sentire diversamente ed un lento, ma conseguente ritorno ad un attitudine verso il lato musicale del teatro lirico che porterebbe ad un ulteriore rialzamento dei criteri nel giudizio sulla vocalità?
1. la distribuzione piuttosto democratica e proporzionata degli elementi e prodotti del cosiddetto star system non solo nei teatri come Amburgo, Monaco o le due maggiori case berlinesi, ma un traffico di permanenza più o meno stabile anche in teatri di minor rilevanza internazionale come l’opera di Colonia, di Stoccarda o la Deutsche Oper am Rhein (Düsseldorf-Duisburg);
2. per questo medesimo sistema di parità nazionale dei prodotti internazionali che rende la Germania, contrariamente alla Francia, un paese decentralizzato e non-provincializzante per eccellenza, di colpo l’intero paese diventa una sola e grande provincia. I cartelloni tedeschi per le prossime stagioni, nonostante la loro grande varietà a prima vista, sono così stigmatizzati da un attaccamento dal carattere quasi fatale ed ineluttabile ai criteri rigidi delle agenzie operistiche che la dominanza di un concetto estetico molto maldestro e, appunto, profondamente provinciale diventa evidentemente manifesto. Iniziamo dalla capitale ed i suoi due teatri maggiori, la Deutsche Oper e la Staatsoper unter den Linden. Un’analisi delle stagioni di Amburgo e Monaco sarà proposta il prossimo venerdì.
Niente di nuovo alla Staatsoper, teatro “di” Daniel Barenboim, dove i massimi artisti “di casa” sono il berciante Roman Trekel e l’insipida Anna Samuil e le massime novità – una Traviata diretta da Omar Meir Wellber e nel ruolo principale l’alternanza di una stella poco lucente come Christine Schäfer coll’usignolo polacco Aleksandra Kurzak, della lirica la nuova star o, anzi, miracolo (miracolo davvero, perche le ragioni del suo successo non sembrano spiegabili da nessuna logica terrestra e sobria-aristotelica). Niente di nuovo soprattutto grazie all’incredibile svogliatezza del maestro argentino di cambiare qualcosa. Infatti, il cartellone della Staatsoper consiste o di allestimenti stile “copia-incolla” prodotti in “collaborazione” con il Teatro alla Scala e diretti da Barenboim, come le prime due parti del Ring wagneriano, il Simon Boccanegra coi soliti Domingo, Harteros, Sartori e Youn, o un Don Giovanni con Giuseppe Filanotti, Anna Netrebko quale Donna Anna e l’appena corretta Anna Prohaska, altra assidua presenza del teatro, quale Zerlina, ossia la metà del cast dell’apertura della prossima stagione scaligera. Si pone sinceramente la domanda: che differenza qualitativa ci sarebbe fra andare alla Staatsoper unter den Linden e andare alla Scala di Milano oltre la mera costrizione geografica per le rispettive popolazioni urbane di servirsi del teatro più vicino alla loro casa? Niente di nuovo anche nel proporre titoli del belcanto: l’Elisir con Rolando Villazon e l’irrinunciabile Anna Samuil ed una Norma concertante con Edita Gruberova, ormai grottesca come mai prima nel ruolo della tragica druidessa belliniana. Un’altra novità déjà vue sarà l’allestimento di Patrice Chereau dell’ultima opera di Janacek, Dalla casa dei morti, sotto la direzione pur non del tutto priva d'interesse di Sir Simon Rattle ed una serie di rarità barocche proposte in salsa baroccara, fra l’altro Il trionfo del tempo e del disinganno di Handel con la bacchetta di Marc Minkowski e la Rappresentazione di anima e di corpo di Emilio de’ Cavalieri con Rene Jacobs. Oltre il Don Giovanni, Mozart è abbondantemente presente sul cartellone in quanto riguarda anche le altre opere già proposte e riproposte con una frequenza tanto esasperante quanto è indifferente la qualità generale delle loro rappresentazioni. Come se Mozart non avesse mai scritto un Idomeneo, Mitridate, Lucio Silla o Tito, nella solita lista di Nozze, Flauto e Ratto che ci propone la Staatsoper il massimo del proposto saranno la Konstanze di Christine Schäfer, la Contessa della beniamina berlinese e proclamata, ma molto discutibile “specialista” mozartiana Dorothea Röschmann oppure il Tamino del tenore caratterista Stephan Rügamer.
Rispetto alla stagione promessa dalla Staatsoper, quella pubblicata dalla Deutsche Oper per 2011-2012 risulta più variata ed interessante almeno sulla carta, per quanto riguarda sia le riprese sia le prime. Nei cast delle riprese rincontriamo molti nomi familiari il cui allegamento a certi ruoli suscita certe perplessità, come la presenza di Diana Damrau nella Lucia, mentre Joseph Calleja quale Edgardo promette esiti piuttosto favorevoli sia alla musica del maestro bergamasco sia alle orecchie di un certo pubblico per cui non è senza importanza che uno dei maggiori ruoli del belcanto venga cantato con una voce omogenea ed un fraseggio dotato di una minima musicalità. Quasi identico il cast della Luisa Miller a quella vista due mesi fa alla Bastille parigina. Anche qui lati positivi e negativi: mentre Krassimira Stoyanova rappresenta sicuramente la migliore Luisa in giro sia per la sua preparazione tecnica sia per il suo ottimo gusto ed eleganza musicale, Marcello Alvarez promette un altro Rodolfo “emozionato” e cantato tutta squarciagola, come anche i due bassi, Orlin Anastassov e Arutjun Kotchinian avranno la possibilità di dimostrare ancora una volta come cantare col stomaco. Sicuramente migliore anche un veterano Leo Nucci nel ruolo del padre Miller rispetto al’inudibile Franck Ferrari nella Luisa parigina. Sarà Leo Nucci ad incarnare Francesco Foscari nell’unica rappresentazione concertante dei Due Foscari accanto a Ramon Vargas ed Angela Meade. Ed è sicuramente più verdiano Nucci di un altro veterano baritono che interpreterà il ruolo di Rene Anckarstrom nella ripresa del Ballo in maschera, ossia Thomas Hampson. Un’altra prima verdiana in versione concerto lascia maggiori dubbi, à savoir il Trovatore presentato e promosso quale Trovatore “della” Anja Harteros. Accanto a lei Dalibor Jenis, Stuart Neill e Stephanie Blythe. Un’altra peripetia baritonale ci aspetta con il Falstaff affidato ad Ambrogio Maestri. Molto discutibile anche il cast del nuovo Don Carlo in cui Adrianne Pieczonka risulta con certezza un’Elisabetta relativamente più adeguata della solita Anja Harteros, già insufficiente Amelia Grimaldi, ed in cui c’è poca speranza sia per l’Eboli di Anna Smirnova che per il Filippo di Roberto Scandiuzzi e Alistair Miles o il Carlo di Massimo Giordano e Yonghoon Lee. La direzione è affidata a Donald Runnicles, maestro wagneriano di casa.
Sono i soliti nomi a saltare all’occhio in titoli come Turandot, Carmen, Boheme, Traviata – Maria Guleghina, Marco Berti, Vittorio Grigolo, Patricia Ciofi, Anita Rachvelishvili, Ermonela Jaho, Saimir Pirgu, Alexia Voulgaridou… Due prime italiane meritano l’attenzione: quale regalo di avvento, ossia due rappresentazioni concertanti prima di Natale della Favorita donizettiana con il debutto di Elina Garanca, affiancata da Joseph Calleja. Previsto anche un Tancredi sotto la direzione di Alberto Zedda, titolo raro per un teatro poco familiare coi titoli rossiniani che vanno oltre il Barbiere. E’ invece percettibile l’imponente presenza di tutta una seria di titoli wagneriani, come le riprese del Ring, Tannhäuser, Rienzi, Tristan und Isolde ed un nuovo Lohengrin. Nel Rienzi, unica opera wagneriana non affidata in questa stagione al maestro Runnicles, troviamo Manuela Uhl nel ruolo di Irene. E’ sempre lei ad incarnare sia Elisabetta che Venere (in alternanza con Petra Maria Schnitzer) nel Tannhäuser. Accanto a Michaela Kaune, interprete della Marescialla e di Jenufa, Manuela Uhl è uno dei soprani di casa alla Deutsche Oper – presenza tanto inspiegabile in quanto si tratta di una voce di scarsa tecnica ed espressività che spinge fino ad imporsi come soprano da lirico spinto straussiano e wagneriano. Promette pochissimo anche il Lohengrin con un Marco Jentzsch quale improponibile ed improbabile protagonista, trattandosi di un tenore leggero dal timbro sgradevole, ed una penosa Riccarda Merbeth quale Elsa. Nella Valchiria interessante la presenza di Jennifer Wilson, sicuramente la più solida Brunnhilde degli ultimi anni. Sarà purtroppo sostituita dalla discontinua Janice Baird nel Siegfried e Crepuscolo. Il vecchio Matti Salminen potrà un’altra volta dimostrare il fatto (tristissimo per la nuova generazione dei bassi) di essere ancora uno dei migliori Hagen in giro. Notevole anche la partecipazione di Peter Seiffert in due recite del Tannhäuser ed il suo Tristan, nella stagione dell’anno scorso cantato pure nella Staatsoper accanto a Waltraud Meier, qui invece affiancato dalla sua consorte Petra Maria Schnitzer, un altro soprano “spingente”.
Bisogna dire che, eccetto una minoranza di allestimenti firmati dai rappresentanti della “Regieoper”, come il nuovo Tristan di Graham Vick o il discusso Don Giovanni dell’anno scorso, già oggetto di dimostrazioni ed altre forme di protesta davanti e dentro il teatro, è da notare non solo la presenza di allestimenti piuttosto moderati ed adeguati alle opere rispettive, come i classici di Götz Friedrich, ma anche una certa quantità di opere in forma di concerto che implica un’esposizione più radicale dei cantanti con – e alla – propria vocalità. Quando all’inizio di aprile nella scena di nozze della Lucia il sipario si è aperto su una scena di classica bellezza e proporzioni, il pubblico della Deutsche Oper ha coperto la musica festiva con un fermo applauso. Sarà che il pubblico è stanco dalle “originalità” dei registi pseudo-rivoluzionari? E se il pubblico vuole vedere quello che è adeguato alla musica o quello che si lascia mostrare in modo originale e meno "fedele" a partire da una congrua interpretazione visuale della musica e del testo (come nel caso di un Ponnelle o un Friedrich), implicherebbe questo anche una disposizione o una voglia nel pubblico di sentire diversamente ed un lento, ma conseguente ritorno ad un attitudine verso il lato musicale del teatro lirico che porterebbe ad un ulteriore rialzamento dei criteri nel giudizio sulla vocalità?
6 commenti:
splendida riflessione. L' opposto della qualità dellè stagioni commentat
Straordianrio acume della nostra Giuditta nel sintetizzare lo stato dell'arte in terra tedesca...incipit perfetto!
Per quanto riguarda l'Unter den Linden, aggiungerei la ripresa de "L'étoile" di Chabrier, uno splendido spettacolo di due anni fa, diretta da un direttore non proprio di secondo piano, Sir Simon Rattle. Un plauso al gusto non banale e pieno di curiosità del direttore inglese, sotto la cui direzione, e con la magnifica regia, ripresa, di Ruth Berghaus, ho ascoltato, sempre nel teatro berlinese, "Pelléas et Mélisande". E poi non psserei sotto silenzio la nuova "Lulu" diretta da Barenboim, che si avvale della messa in scena della grande regista tedesca Andrea Breth, la quale ha messo in scena in maniera mirabile anche l'"Eugenio Onieghin" a Salisburgo, sempre diretto da Barenboim.
Marco Ninci
E poi, per parlare francamente, la stagione dell'Unter den Linden questo schifo non mi sembra proprio. E' piena di titoli non banali, che nessun teatro italiano potrebbe permettersi. C'è "Dionysos", di un compositore importantissimo come Wolfgang Rihm. C'è "Lehrstueck" di Paul Hindemith. C'è "Orfeo all'inferno" di Offenbach. C'è "Al gran sole carico d'amore" di Nono. E poi concerti stupendi, sia sinfonici che da camera. Che si vuole di più? Mi sembra una stagione assolutamente invidiabile.
Marco Ninci
hai ragione Marco, non fa schifo.
fanno schifo i cast, il che poi a fine serata...sempre schifo è'.
Ninci, la quantità c'è, non ci sono 10 produzioni come nei teatri italiani, e ci sarebbe anche una certa diversità. Ho preferito parlare dei produzioni di repertorio che, nolens volens, rimangono il "sostegno" di qualsiasi teatro lirico. Poi leggendo i cast pure di queste produzioni fuori repertorio, non saprei invidiare i berlinesi...
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