E’ la solita storia della Pasta. Vorrei raccontarvi di una serata ordinaria alla Deutsche Oper di Berlino, una di quelle, senza troppo lusso e troppa gente, per cui fino all’ultimo momento al botteghino rimangono parecchi biglietti, svenduti last minute a giovani, studenti ed altri gruppi sociali destinatari di vari sconti. Mettiamoci per un attimo nei panni di un berlinese (cioè, di chiunque chi sia residente o di passaggio a Berlino, perché a Berlino tutti fino all’ultimo backpacker sono berlinesi e nessuno è berlinese) e proviamo a ricostruire la scena primordiale in cui accade la sua scelta per l’uscita in una sera normale, berlinamente metà piovosa metà serena, alla fine del mese di giugno.
Quando il nostro berlinese sfoglia il programma musicale che gli propone la capitale tedesca per la sera del 24 giugno, lui, senza biglietto, moderatamente appassionato di musica e con voglia di vedere/sentire qualcosa di interessante. Scopre che può scegliere fra la prima di Candide alla Staatsoper e la Sposa venduta alla Komische Oper, fra un concerto sinfonico di Mahler e Ravel al Konzerthaus e due concerti paralleli alla Philharmonie: Mozart e Bruckner con Herbert Blomstedt nella grande sala e nella Kammermusiksaal la Semele di Handel con uno dei numerosi gruppi vocali-orchestrali berlinesi. E, last but not least, l’attenzione del nostro berlinese è attirata da un Macbeth alla Deutsche Oper, in un vecchio allestimento di Carsen. Lui cerca velocemente in internet le recensioni della produzione e apprende che l’allestimento di Carsen (perché è maggiormente dell’allestimento e della sua concezione, cioè, di quello che “conta” ormai in una produzione operistica, che parlano quasi tutti gli articoli) è una lettura della tragedia shakespeariana quale storia di dittatori. Che originalità nel presentare Macbeth come dittatore! Mai fatto, mai visto. Il lettore passa da una dettagliata analisi registica all’altra ed arriva alla corta valutazione dei cantati (perché pare che ci sono anche dei cantanti in questo dramma dittatoriale). I due baritoni che alternano nel ruolo principale (Thomas J. Mayer e Anton Keremidtchiev) sono giudicati troppo lirici e fiacchi per la violenza della lettura carseniana. La Lady invece, unica (in tutti i sensi) di questa stagione, il mezzo-soprano russo Anna Smirnova, è lodata per la grande potenza ed autorevolità della sua interpretazione della moglie del dittatore. Tanto più che certe recensioni, toccando in qualche parola all’aspetto marginale dell’opera che è la vocalità, parlano pure dell’impressionante solidità del suo canto e addirittura di un approccio belcantistico. Insomma, un miracolo scenico-vocale. Avendo letto tutto questo, al nostro berlinese medio non resta altro che recarsi alla Bismarckstraße ed acquistare, senza fila e troppi problemi, un posto scontato nel vasto anfiteatro dove avrà magari la fortuna di trovarsi vicino all’astro eternamente brillante ed incantatore che sono io – la Pasta!
Raccontiamo adesso quali sono state le particolarità della recita. L’allestimento di Carsen si è rivelato moderatamente eurotrash, con qualche momento bello, come il finale secondo dove durante il “Sangue a me” i convitati, politici di rango dell’epoca nazista ovviamente, danzano un walzer sotto il ritmo della musica verdiana – una buona volta la regia ispirandosi dal “ritmo” della musica! Abbastanza cattivo di gusto l’approccio marcatamente “action” e la sovrabbondanza di pistolettate e di gesti di mira hollywoodiani. Molto suggestivo la scena delle apparizioni in cui abbiamo comunque dovuto notare una brutta manipolazione con i sopratitoli che sono in genere destinati a fare comprendere e/o tradurre il libretto. Eppure, durante l’apparizione degli otto futuri re di Scozia, i sopratitoli sono sospesi per non collidere con “l’interpretazione” del regista, che preferisce sostituire il défilé dei discendenti di Banco con un graduale avvicinamento verso di noi di una grande immagine di Banco. Non è che sia stato cambiato il testo originale di Piave, ma si chiede tuttavia se è un intervento legittimo di manipolare così i sopratitoli in tedesco, quando essi si trovano lì esplicitamente per chiarire il testo cantato. Si chiede inoltre di chi è stata l’idea d’intervenire copiosamente anche nella fattura musicale dell’opera, come il taglio del balletto, del coro/danza degli spiriti aerei, della scena di Macduff, Malcolm e coro dopo l’aria di Macduff, o ancora quell’inspiegabile “cadenza” alla fine della scena del sonnambulismo in cui, invece di ascendere al Re bemolle sopracuto o di eseguire la variante del La bemolle, la nostra Lady scende al Re bemolle grave.
Non è l’unica libertà che Anna Smirnova si è permessa durante l’intera serata. Ma forse le riprese di fiato assolutamente arbitrarie ed antimusicali sono state le cose meno catastrofiche della sua prestazione. La cantante russa passa per un mezzosoprano solo perché scurisce la voce e l’emette non si sa da dove, producendo suoni o tubati o stridenti o brontolanti o abbaianti su l’intera gamma e con un’arbitrarietà quasi incredibile. Lo strumento naturale sarà anche importante per volume e materia, ma a causa del “sistema” di canto di Anna Smirnova, diventa voluminoso solo se il mezzo-cantante che è senza dubbio il nostro mezzo-mezzosoprano spinge ed urla al pari di una furia scatenata. Sono, dunque, suoni strillati, muggiti, mormorati, che fuoriescono frammentariamente dal suo corpo senza l’ombra di legato o di qualsiasi controllo che i critici tedeschi salutano come un approccio "belcantistico". Spero avere l’occasione almeno una volta nella mia vita di chiedere a uno di questi esperti che cosa intendono con la parola “belcanto” o semplicemente con la parola “canto”, che gli capita di usare una o due volte all’anno nei loro meticolosi saggi filosofoidi sugli allestimenti e concetti registici. Che sul palcoscenico la cantante dimostri gesticolazioni aggressive e che divori con suoni ruttati e berciati qualche frase in modo agitato e pseudo-drammatico non mi sembra siano attributi sufficienti per qualificare come autorevole ed intensa la Lady Macbeth di Anna Smirnova.
Contrariamente alla presenza esasperante di Smirnova, è stato assolutamente grigio e modesto il Macbeth di Anton Keremidtchiev che ha tentato qua e là di fraseggiare, ma con voce piccola, senza timbro e proiezione, voce omogeneamente costruita su di un’assenza sistematica di appoggio, che spariva nei passaggi dell’allucinazione sotto l’orchestra oppure sotto le urla della moglie bestiale.
Mi è sembrato molto peggiorato il basso Ante Jerkunica, interprete di Banco, rispetto all’ultima volta quando lo sentii nel concerto di Matti Salminen novembre scorso. La voce è da autentico basso, ma nel registro acuto risulta completamente bloccata, quasi inesistente. Pure il centro, dove il giovane cantante possiede un timbro di notevole bellezza ed è capace di fraseggiare, è ormai privo di una vera sicurezza e saldezza.
Tremolante il Macduff del tenore leggerino che è la nuova star dell’opera, Pavol Breslik che per un “Ah, la paterna mano” affannato e nasale ha ricevuto i più grandi applausi a scena aperta dell'intera recita.
Bravissima, invece, l’orchestra della Deutsche Oper sotto la direzione energica ed avvincente di Roberto Rizzi Brignoli. In ogni momento dell’opera il maestro ha saputo di dare il tempo giusto, mai troppo lento (con l’unica eccezione forse per il coro delle streghe all’inizio del terzo atto), e di creare atmosfere e portarli verso una culminazione. Memorabile soprattutto la coerenza drammatica e la qualità sonora equilibrata e quasi mistica durante la scena delle apparizioni e la scena dei profughi, entrambe le volte – un perfetto complice l’ottimo coro della Deutsche Oper, l’unico degno protagonista sul palcoscenico. Sarebbero evitati pure quei rari momenti quando il coro delle streghe, rivestite da donne a mezzo servizio, è partito fuori tempo, se la regia di Carsen non avesse esatto permanenti movimenti frenetici da loro parte. Però, quando c’è una concezione registica talmente “originale”, perché badare alla pulizia ed all’espressività musicale? Sarebbero momenti di questo genere – tanti, permanenti, sistematici, nelle recite in tutti i teatri tedeschi o tedescheggianti – a dimostrare il valore dello spettacolo operistico quale Gesamtkunstwerk? Un misto ambiguo, confuso e dilettantesco in ogni suo elemento, con una vocalità che non sa più essere lo strumento espressivo del dramma musicale e con un approccio registico che, geloso della parte musicale ed in permanente ostinatezza contro il direttore d’orchestra, provvede un fracasso ed una frenesia sul palcoscenico che copre anche quel poco che rimane nell’opera odierna di un teatro fatto col suono musicale. Così non è neanche da meravigliarsi che sia nelle recensioni che nella percezione del pubblico dei paesi d'oltralpe un completo disastro vocale come Anna Smirnova possa apparire quale grande artista. Il vero problema è che i difetti vocali (oltre che quelli, ridicolissimi, della recitazione) di una Smirnova saranno anche percepiti dalla maggioranza degli spettatori, ma, nell’ambito di quell’amalgama senza gusto e forma, che è oggi prevalentemente l’opera (altro che opera d'arte totale!), sembra irrimediabilmente tramontata la capacità e la possibilità di valutare i difetti e i pregi di un cantante senza fare riferimento ad un’egemonica concezione registica.
Quando il nostro berlinese sfoglia il programma musicale che gli propone la capitale tedesca per la sera del 24 giugno, lui, senza biglietto, moderatamente appassionato di musica e con voglia di vedere/sentire qualcosa di interessante. Scopre che può scegliere fra la prima di Candide alla Staatsoper e la Sposa venduta alla Komische Oper, fra un concerto sinfonico di Mahler e Ravel al Konzerthaus e due concerti paralleli alla Philharmonie: Mozart e Bruckner con Herbert Blomstedt nella grande sala e nella Kammermusiksaal la Semele di Handel con uno dei numerosi gruppi vocali-orchestrali berlinesi. E, last but not least, l’attenzione del nostro berlinese è attirata da un Macbeth alla Deutsche Oper, in un vecchio allestimento di Carsen. Lui cerca velocemente in internet le recensioni della produzione e apprende che l’allestimento di Carsen (perché è maggiormente dell’allestimento e della sua concezione, cioè, di quello che “conta” ormai in una produzione operistica, che parlano quasi tutti gli articoli) è una lettura della tragedia shakespeariana quale storia di dittatori. Che originalità nel presentare Macbeth come dittatore! Mai fatto, mai visto. Il lettore passa da una dettagliata analisi registica all’altra ed arriva alla corta valutazione dei cantati (perché pare che ci sono anche dei cantanti in questo dramma dittatoriale). I due baritoni che alternano nel ruolo principale (Thomas J. Mayer e Anton Keremidtchiev) sono giudicati troppo lirici e fiacchi per la violenza della lettura carseniana. La Lady invece, unica (in tutti i sensi) di questa stagione, il mezzo-soprano russo Anna Smirnova, è lodata per la grande potenza ed autorevolità della sua interpretazione della moglie del dittatore. Tanto più che certe recensioni, toccando in qualche parola all’aspetto marginale dell’opera che è la vocalità, parlano pure dell’impressionante solidità del suo canto e addirittura di un approccio belcantistico. Insomma, un miracolo scenico-vocale. Avendo letto tutto questo, al nostro berlinese medio non resta altro che recarsi alla Bismarckstraße ed acquistare, senza fila e troppi problemi, un posto scontato nel vasto anfiteatro dove avrà magari la fortuna di trovarsi vicino all’astro eternamente brillante ed incantatore che sono io – la Pasta!
Raccontiamo adesso quali sono state le particolarità della recita. L’allestimento di Carsen si è rivelato moderatamente eurotrash, con qualche momento bello, come il finale secondo dove durante il “Sangue a me” i convitati, politici di rango dell’epoca nazista ovviamente, danzano un walzer sotto il ritmo della musica verdiana – una buona volta la regia ispirandosi dal “ritmo” della musica! Abbastanza cattivo di gusto l’approccio marcatamente “action” e la sovrabbondanza di pistolettate e di gesti di mira hollywoodiani. Molto suggestivo la scena delle apparizioni in cui abbiamo comunque dovuto notare una brutta manipolazione con i sopratitoli che sono in genere destinati a fare comprendere e/o tradurre il libretto. Eppure, durante l’apparizione degli otto futuri re di Scozia, i sopratitoli sono sospesi per non collidere con “l’interpretazione” del regista, che preferisce sostituire il défilé dei discendenti di Banco con un graduale avvicinamento verso di noi di una grande immagine di Banco. Non è che sia stato cambiato il testo originale di Piave, ma si chiede tuttavia se è un intervento legittimo di manipolare così i sopratitoli in tedesco, quando essi si trovano lì esplicitamente per chiarire il testo cantato. Si chiede inoltre di chi è stata l’idea d’intervenire copiosamente anche nella fattura musicale dell’opera, come il taglio del balletto, del coro/danza degli spiriti aerei, della scena di Macduff, Malcolm e coro dopo l’aria di Macduff, o ancora quell’inspiegabile “cadenza” alla fine della scena del sonnambulismo in cui, invece di ascendere al Re bemolle sopracuto o di eseguire la variante del La bemolle, la nostra Lady scende al Re bemolle grave.
Non è l’unica libertà che Anna Smirnova si è permessa durante l’intera serata. Ma forse le riprese di fiato assolutamente arbitrarie ed antimusicali sono state le cose meno catastrofiche della sua prestazione. La cantante russa passa per un mezzosoprano solo perché scurisce la voce e l’emette non si sa da dove, producendo suoni o tubati o stridenti o brontolanti o abbaianti su l’intera gamma e con un’arbitrarietà quasi incredibile. Lo strumento naturale sarà anche importante per volume e materia, ma a causa del “sistema” di canto di Anna Smirnova, diventa voluminoso solo se il mezzo-cantante che è senza dubbio il nostro mezzo-mezzosoprano spinge ed urla al pari di una furia scatenata. Sono, dunque, suoni strillati, muggiti, mormorati, che fuoriescono frammentariamente dal suo corpo senza l’ombra di legato o di qualsiasi controllo che i critici tedeschi salutano come un approccio "belcantistico". Spero avere l’occasione almeno una volta nella mia vita di chiedere a uno di questi esperti che cosa intendono con la parola “belcanto” o semplicemente con la parola “canto”, che gli capita di usare una o due volte all’anno nei loro meticolosi saggi filosofoidi sugli allestimenti e concetti registici. Che sul palcoscenico la cantante dimostri gesticolazioni aggressive e che divori con suoni ruttati e berciati qualche frase in modo agitato e pseudo-drammatico non mi sembra siano attributi sufficienti per qualificare come autorevole ed intensa la Lady Macbeth di Anna Smirnova.
Contrariamente alla presenza esasperante di Smirnova, è stato assolutamente grigio e modesto il Macbeth di Anton Keremidtchiev che ha tentato qua e là di fraseggiare, ma con voce piccola, senza timbro e proiezione, voce omogeneamente costruita su di un’assenza sistematica di appoggio, che spariva nei passaggi dell’allucinazione sotto l’orchestra oppure sotto le urla della moglie bestiale.
Mi è sembrato molto peggiorato il basso Ante Jerkunica, interprete di Banco, rispetto all’ultima volta quando lo sentii nel concerto di Matti Salminen novembre scorso. La voce è da autentico basso, ma nel registro acuto risulta completamente bloccata, quasi inesistente. Pure il centro, dove il giovane cantante possiede un timbro di notevole bellezza ed è capace di fraseggiare, è ormai privo di una vera sicurezza e saldezza.
Tremolante il Macduff del tenore leggerino che è la nuova star dell’opera, Pavol Breslik che per un “Ah, la paterna mano” affannato e nasale ha ricevuto i più grandi applausi a scena aperta dell'intera recita.
Bravissima, invece, l’orchestra della Deutsche Oper sotto la direzione energica ed avvincente di Roberto Rizzi Brignoli. In ogni momento dell’opera il maestro ha saputo di dare il tempo giusto, mai troppo lento (con l’unica eccezione forse per il coro delle streghe all’inizio del terzo atto), e di creare atmosfere e portarli verso una culminazione. Memorabile soprattutto la coerenza drammatica e la qualità sonora equilibrata e quasi mistica durante la scena delle apparizioni e la scena dei profughi, entrambe le volte – un perfetto complice l’ottimo coro della Deutsche Oper, l’unico degno protagonista sul palcoscenico. Sarebbero evitati pure quei rari momenti quando il coro delle streghe, rivestite da donne a mezzo servizio, è partito fuori tempo, se la regia di Carsen non avesse esatto permanenti movimenti frenetici da loro parte. Però, quando c’è una concezione registica talmente “originale”, perché badare alla pulizia ed all’espressività musicale? Sarebbero momenti di questo genere – tanti, permanenti, sistematici, nelle recite in tutti i teatri tedeschi o tedescheggianti – a dimostrare il valore dello spettacolo operistico quale Gesamtkunstwerk? Un misto ambiguo, confuso e dilettantesco in ogni suo elemento, con una vocalità che non sa più essere lo strumento espressivo del dramma musicale e con un approccio registico che, geloso della parte musicale ed in permanente ostinatezza contro il direttore d’orchestra, provvede un fracasso ed una frenesia sul palcoscenico che copre anche quel poco che rimane nell’opera odierna di un teatro fatto col suono musicale. Così non è neanche da meravigliarsi che sia nelle recensioni che nella percezione del pubblico dei paesi d'oltralpe un completo disastro vocale come Anna Smirnova possa apparire quale grande artista. Il vero problema è che i difetti vocali (oltre che quelli, ridicolissimi, della recitazione) di una Smirnova saranno anche percepiti dalla maggioranza degli spettatori, ma, nell’ambito di quell’amalgama senza gusto e forma, che è oggi prevalentemente l’opera (altro che opera d'arte totale!), sembra irrimediabilmente tramontata la capacità e la possibilità di valutare i difetti e i pregi di un cantante senza fare riferimento ad un’egemonica concezione registica.
9 commenti:
Judy, certo che anche tu...con tutto il bendidio che offre Berlino, proprio una cosa simile vai a scegliere?
Comunque nel prossimo marzo questa produzione sarà ripresa dalla Monastyrska, e sarà sicuramente un miglior sentire.
Eh, Mozy, avevo sentito che questa Smirnova fosse una cosa molto "impressionante", ma non avevo sentito quasi niente di lei e volevo provare a sentirla in teatro, perché sono comunque sempre i più grandi teatri che la scritturano. Si convince che una ragione bisogna esserci. E' molto difficile immaginare che il Met, la Deutsche Oper o la Scala invitino per un certo numero di ruoli una cantante del genere. Sono andata, l'ho vista e sono uscita dal teatro più saggia. So che l'eviterò in qualsiasi occasione.
Anch'io ho pensato alla Monastyrska con cui la Smirnova non ha in commune nemmeno la professione, per non parlare di preparazione e musicalità. Se la Smirnova è belcantistica per i tedeschi, la Monastyrska sembrerà il canto degli angeli. E sappiamo quanti diffetti ha la Monastyrska.
Cara Giuditta, il nostro berlinese è assolutamente colpevole e merita tutto quello che gli tocca. Avendo a disposizione un grande direttore come Blomstedt, oltretutto in Mozart e soprattutto in Bruckner, di cui è uno dei più grandi interpreti, va ad ascoltare il Macbeth con la Smirnova?
Marco Ninci
Ninci, sono cosi colpevole per avere avuto voglia di andare a vedere un'opera che adoro come poche? :(
si, sei colpevole!
non sai che è colpa tua se quelli cantano male????
e' sempre colpa del pubblico!
E' colpa del nostro berlinese che si lascia lavare il cervello dalle recensioni intelletualoidi.
Forse se la critica (la critica acritica che è la stessa sia in Germania che in Italia) tornasse ad un livello di onestà e competenza professionale e se scrivesse che A è A invece di mentire che A è Z, anche il nostro berlinese apprenderebbe di scegliere fra un concerto di Blomstedt e il Macbeth dove urla una pseudo-diva. Quando si cambierà la prospettiva sull'opera quale Gesamtkunstwerk come l'intendono oggi in modo falsissimo e dilletantissimo, e quando una pessima cantante sarà giudicata come tale invece di essere lodata come una brava ed "espressiva" attrice, si potrà anche scrivere diversamente queste recensioni che confondano tutti i registri di questo arte complesso che è l'opera. Forse il problema oggi non è cosi tanto la sparizione della priorità assoluta del canto sugli altri elementi nell'opera, quanto il vero disastro è questa amalgamazione degli elementi in cui ciascuno è giudicato per/con qualcos'altro e mai per quello che è la sua funzione. Anche nel passato c'erano produzioni in cui l'elemento privilegiato era o il direttore o il regista o il cantante ed il merito andava rispettivamente a chi era al centro della produzione. Ma se il merito andava piuttosto al direttore e se un Trovatore poteva essere chiamato "il Trovatore di Karajan" piuttosto che "il Trovatore di Domingo", questo non vuole dire che il cantante con si giudicava come tale, ma risultava semplicemente meno convicente ("spiccava" meno) e veniva giudicato quale cantante. Oggi non si sa nemmeno per che cosa si giudicano i vari artisti, questa amalgamazione di cui parlo tocca profondamente il livello primordiale della presentazione e del "sorgimento" stesso della voce, del suono, del gesto, del quadro. Questa confusione non permete nessuna distinzione fra i vari componenti artistici dell'opera. E' cosi che poi dal laboratorio esce un Frankenstein come Anna Smirnova.
Cara Giuditta, io so solo che non avrei avuto dubbi. Del resto non capisco come si possano averne fra un concerto di Blomstedt con i Berliner ed una mediocre serata (fra l'altro, mediocre a prima vista) alla Deutsche Oper, teatro che dopo la partenza di Thielemann è scaduto nel più assoluto provincialismo.
Ciao
Marco Ninci
Caro Marco,
se la Deutsche Oper è provinciale, allora la Staatsoper (teatro "di" Barenboim) eccede ogni possibilità di definizione.
Cara Giuditta, non posso essere d'accordo. Bastano due produzioni con Rattle per mettere l'Unter den Linden al di sopra della Deutsche Oper, dove non appare un direttore superiore alla mediocrità e non è che i cantanti si coprano di gloria. Lasciando perdere poi la stagione concertistica dell'Unter den Linden, una delle migliori della Germania.
Ciao
Marco Ninci
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