Ieri alla Scala è andato in scena Attila, con un cast completamente riformato rispetto all’originario progetto ed ulteriormente modificato dal cambio last minute della titolare del ruolo di Odabella. Sicchè nel ruolo della vergine guerriera è stata proposta la terza scelta.
Un successo pieno e convinto, tributato da parte del teatro ad una produzione che ancora una volta ci ha dimostrato quali siano le “poetiche” esecutive oramai gradite ai più: le urla sul palco ed il fracasso della buca.
Che poi i cantanti debbano urlare oltre le loro possibilità per superare il muro di suono, che si frappone tra loro e la platea, o che il direttore debba ricorrere ad un numero esagerato di decibel e ad un quarantottismo orchestrale superficiale ed inutile per occultare, coprire e/o supplire a guai e carenze del palco è speculazione oziosa e che non porta da nessuna parte. Il dato di fatto è uno: rumore e chiasso. Ma siccome paga, perché la gente applaude, bravi loro!...e povero Verdi!
Anche se riteniamo doveroso raccontare, atteso che nessun altro lo farà la formazione del pubblico ossia: claque a ranghi serrati per evitare disavventure come Tosca o Cavalleria e Pagliacci; giovani studenti di conservatorio d'ambo i sessi e di variegata nazionalità sul lato Filodrammatici della seconda galleria, che vengono portati a educare gusto ed orecchio; vecchio pubblico che applaude del pari sordo e convinto, perchè riprovare la Scala è dire che non si è veri intenditori e allora ci si nutre del prodotto scaligero. Non comprendo nè le faccie scontente di parecchi all'uscita piuttosto che nell'unico intervallo, nè chi cerca di limitare peso e portata dal recente passato, pur di non ammettere che sotto il profilo vocale e musicale siamo a Waterloo. Gli uni mancano di coraggio, gli altri necessitano di molto molto fosforo.
Non è solo opinione di questo sito che il maestro Luisotti sia sicuro amministratore e concertatore delle compagini in buca e sul palco, autorevole e chiaro nel gesto, soccorrevole con i cantanti laddove occorre lasciar loro prendere un fiato abusivo o coprirli quando serve, e, come altri spettatori del recente concerto con la Filarmonica hanno verificato di persona che al maestro piacciano i F ed i FF, che ne abusi privando completamente il proprio dirigere di ogni slancio lirico, ogni afflato, ogni attimo di poesia. Nel sorbire una bibita al bar prima della recita, una coppia di signori non più giovan,i che evidentemente aveva assistito al concerto di Tchajkovsky e Prokofiev, assicurava ai presenti al tavolo che l’Attila sarebbe stato diretto da….“un rumorista”. Una battuta simpatica e garbata che, però, rende benissimo il senso della questione. Il signor Luisotti ha diretto con velocità, altissima intensità sonora ( da fare impallidire le serate più arrabbiate e nevrotiche del maestro Muti ), nessuna poesia e atmosfera ( si veda l’alba sulla laguna, che precede la sortita di Foresto, l’introduzione al primo atto cui segue il Fuggente nuvolo, il terzetto finale..etc..), mancando talora di nerbo ( paradosso dei paradossi!) negli accompagnamenti al canto ( la sortita di Odabella in particolare ) o di quella intensità ed espansione tipicamente verdiane che, valga per tutti, il concertato all’atto I o quello che precede le mancate nozze del secondo.
Ho letto or ora un’ inopinato paragone tra la direzione di ier sera e quelle celebratissime del maestro Muti. Non posso per nulla trovarmi d’accordo. Riccardo Muti, anche quello delle serate peggiori, non si è mai abbandonato a tanta gratuità bandistica, a tanto bimbarabum ossessivo e martellante quale quello udito ieri. Poteva essere nevrotico, scatenato, esagerato, ma mai così piatto, senza idee e rumoroso. Il Verdi tutto sangue e cabalette era quello di Muti, ma era Verdi, piacesse o meno. C’erano anche gli archi, certi colori dei violoncelli e dei contrabbassi, l’accompagnamento melodico al canto ( magari senza prese di fiato per i cantanti!...), ma anche il senso ottocentesco del testo, dei grandi momenti espressivi e teatrali di Verdi. Nella direzione di Luisotti, purtroppo no, e dirige senza che alcuna somiglianza possa mai essere invocata, per giustificarlo, con un Levine, ma anche con un più nostrano Patanè. Piace il fragore? Benissimo, è un fatto di gusti. Noi pretendiamo qualcosa di più, perchè secondo noi Attila è qualcosa di più di una banda.
La compagine vocale ha di certo fatto meglio di quanto avrebbero mai potuto fare gli interpreti originariamente chiamati, ma da qui a dire che si sia ben cantato ce ne corre. E parecchio!
In primo luogo va sottolineato, poiché è il problema cogente del canto lirico odierno, che nessuno del quartetto protagonistico esibisce una tecnica di canto “sul fiato”, ossia quella che, per intenderci, consente di manovrare la voce con facilità, guidandola dal piano al forte e viceversa con morbidezza ed omogeneità, emissione composta esente da forzature, finalizzata all’esecuzione della miriade di segni di espressione di cui Verdi costella la scrittura del canto o che l'autentico interprete deve di sua iniziativa inserire. Nel canto sul fiato il suono arriva nella sala senza ricordare allo spettatore la gola o qualsiasi altro organo del cantante, la voce suona “fuori dal corpo”, perfettamente udibile e sonora anche nei piani. Non c’è mai senso di fatica in questo modo di cantare, mai sforzo, mai lotta con la voce.
Ciò premesso, possiamo dire che ieri nessuno ha cantato secondo questi che sono i modi della tradizione vocale italiana.
Abbiamo udito gole ipersollecitate, canto di fibra, note spinte, gutturalità sparse, acuti indietro, voci gonfiate oltre il limite della razionalità per voler essere ciò che naturalmente e per tecnica non sono e non possono essere. Alla poetica del rumore si affianca oggi quello dello sforzo e dell’urlo dei cantanti, che cantano con fatica evidente e non possono restituire il personaggio che interpretano, le sue emozioni, gli intenti espressivi che l’autore voleva raggiungere. Tutto è atletico, muscolare, è una lotta con i propri mezzi. E non è l'atletismo vocala praticato da cantanti di cognizioni tecniche meditate di un Corelli, di una Nilsson, di una Price o anche di una Arroyo o diuna Cossotto, si badi bene. E’, viceversa, il frutto della perdita di certi saperi tecnici, dell’alchimia del canto all’italiana, che ha subito una progressiva vicarianza, vuoi per insipienza via via sempre più diffusa, vuoi per mal gusto anch’esso sempre più diffuso, da parte di tecniche che mettono il cantante in grado soltanto di spingere a più non posso, di non governare la linea di canto sul centro, di emettere acuti sul forte o falsettati. Tecniche inadeguate agli spartiti che, poi, si pretende di eseguire, che consentono l’ispessimento della voce ma ne compromettono la duttilità, la manovrabilità spontanea. I passaggi di registro, superiori o inferiori, si eseguono senza perizia, più frequentemente non si eseguono del tutto, e così si grida sopra e ci si ingolfa nei gravi. Il canto che ne discende è quello odierno ( si badi bene, odierno, non solo quello di ieri sera, ma quello normalmente dispensato dalla maggior parte dei cantanti odierni..), piatto, monotono, sempre forte o mezzoforte, che dei segni di espressioni ( centinaia, migliaia ) che costellano gli spartiti verdiani fa piazza pulita senza troppi problemi. Da un lato abbiamo i filologi, discorsi dotti sul rispetto dell'autore, l'autenticità della lezione, i fans del rigore mutiano al testo e dall'altra abbiamo nei teatri esecuzioni che dello spartito e di quanto in esso contenuto bellamente fanno piazza pulita ( e ieri sera eravamo in linea con l'andazzo generale, Verdi festival docet ) mentre il pubblico applaude soddisfatto. L'importante è stato.....assuefare il pubblico a tale estetica antistorica, ed il gioco ormai pare riuscito.
Ma vediamo da vicno i "lottatori" in campo.
Lotta con tutta evidenza il signor Sartori, alla prese da subito con il muro di suono che gli si para davanti alla sortita: l'onda de "La tempesta perfetta"! La voce si è fatta meno facile sul centro rispetto alle ultime prove scaligere, gli acuti sono sempre là, mai sfogati e squillanti, il legato è deteriorato, e Foresto gli costa grandissima fatica, nonostante sia uno dei pochi tenori che sul passaggio riesce un po’ districarsi, più per dote naturale che per tecnica. La cabaletta della sortita gli è costata uno sforzo enorme causa il fragore dell’orchestra, si è barcamenato al duetto con Odabella ma senza esprimere alcunché, ha messo lì la seconda aria alla meno peggio, senza mai avere la necessaria ampiezza di fraseggio e volume, per affrontare il terzetto finale senza benzina, dove puntualmente ha inciampato.
Lotta anche il il signor Vratogna, che canta alla Nucci senza le qualità vocali e tecniche di Nucci. Il gusto è quello attuale, contaminato e deteriore, la voce evidentemente fibrosa, la tessitura di “Dagli immortali vertici” troppo alta per dar luogo ad un canto con un po’ di legato e morbidezza, il personaggio monotono e truce, mai nobile, il canto senza intenzioni espressive, piatto anche lui.
Lotta Orlin Anastassov, basso verdiano cui manca di fondo l’ampiezza per cantare Verdi, almeno in sale grandi come la Scala. Le cose “migliori” le ha fatte sentire lui, ossia la sua quarta centrale, cui non sta appiccicato né un registro acuto udibile, dato che, pure lui, non sapendo eseguire il passaggio superiore, in alto talmente indietro da non sentirsi per nulla ( soccorrevole nella cabaletta il F di Luisotti sui vari fa acuti scritti, di cui non ne abbiamo udito uno solo..!) , men che meno un registro grave ( per un parte che poi grave non è ). Gli manca l’ampleur ad Anastassov, e soprattutto la risonanza che, con la giusta tecnica, un Ramey sapeva metter in campo per sopperire alla propria natura vocale, spontaneamente non consona a Verdi. L’ampleur ed il legato, udito solo a tratti, come al concertato davanti a Papa Leone. Il segno dei tempi è tutto qui: Ramey approcciò Verdi sporadicamente, con cautela e furbizia, conscio di non essere vera voce verdiana; Anastassov, che non ha la tecnica di Ramey nè una voce davvero importante, canta sopratutto Verdi....
Lotta la signora Lucrezia Garcia, ritenuta giovane promessa (in carriera da dieci anni, stando al sito della sua agenzia!), che forse dovrebbe attendere di essere più solida tecnicamente prima di darsi ai ruoli pesanti. La signora Garcia ha colpito il pubblico per una certa penetrazione degli acuti, frutto, però, di un canto di spinta, dunque incontrollato e non sempre a fuoco nell’intonazione. Il centro è debole, però, secondo i modi del canto odierno. Quando arrivano le frasi centrali da emettere con lirismo e dolcezza, basti pensare al terzetto finale, la voce si riduce in volume, il legato latita, il timbro è chioccio, per una certa tendenza a schiacciare i suoni. Se poi la tessitura si alza e non basta buttarla fuori, i guai sono lì sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Il “Fuggente nuvolo”, grande scena di ripiegamento lirico e nostalgico del personaggio, di scrittura aerea, costellata da segni di piano e pianissimo e forcelle è stato eseguito sul mezzoforte per non dire sul forte, i segni di espressione bellamente spianati, e prese abusive di fiato clamorose, rabberci alla linea vocale e musicale come la salita al do, con paziente pausa della buca, per tacere della cadenza maldestramente scorciata e pasticciata. Il brano ne è uscito snaturato nella sua essenza espressiva e lirica, difficile da riconoscere. Avrà anche fatto buona impressione nell’entrata, dove la freschezza le ha consentito di lanciare gli acuti con una certa facilità e di eseguire la cabaletta con bella correttezza, ma poi tutto è finito lì. Una "promessa", a mio modo di vedere, deve provare di saper fare ciò che fa con sapienza tecnica non per dote naturale, e la signora Garcia non mi ha trasmesso alcun senso di solidità.
Lo spettacolo di Gabriele Lavia ha avuto bei momenti, il prologo in particolare ( a meno delle compagne di Odabella in mimetica ed anfibi ), con le rovine del teatro romano in primo piano, e momenti grotteschi, come la tavolata anni ’30 con le coriste in calottine di strass, lampadari e tavolata da ricevimento mondano antistante un frammento a rudere della Scala bombardata, metafora, immagino, sul declino del teatro piuttosto insignificante. Idem dicasi per l’ultimo atto, con la solita proiezione su maxischermo di film hollywoodiano sui Attila, stile fratelli Lumiere ( 3° o 4° volta quest’anno?...), poltroncine anni ’50 tra le quali si aggirano i protagonisti della tragedia. Regia pochetta e piuttosto banale, qualche cappotto in pelle immancabile, piuttosto una certa incoerenza di cifra tra le scene, ma forse era il male minore. Tanto valeva riprendere la produzione precedente assai meglio riuscita, dato l’esito alterna, di poca inventiva, che non mi ha convinto per nulla, a differenza di altri spettacoli dello stesso Lavia.
Un successo pieno e convinto, tributato da parte del teatro ad una produzione che ancora una volta ci ha dimostrato quali siano le “poetiche” esecutive oramai gradite ai più: le urla sul palco ed il fracasso della buca.
Che poi i cantanti debbano urlare oltre le loro possibilità per superare il muro di suono, che si frappone tra loro e la platea, o che il direttore debba ricorrere ad un numero esagerato di decibel e ad un quarantottismo orchestrale superficiale ed inutile per occultare, coprire e/o supplire a guai e carenze del palco è speculazione oziosa e che non porta da nessuna parte. Il dato di fatto è uno: rumore e chiasso. Ma siccome paga, perché la gente applaude, bravi loro!...e povero Verdi!
Anche se riteniamo doveroso raccontare, atteso che nessun altro lo farà la formazione del pubblico ossia: claque a ranghi serrati per evitare disavventure come Tosca o Cavalleria e Pagliacci; giovani studenti di conservatorio d'ambo i sessi e di variegata nazionalità sul lato Filodrammatici della seconda galleria, che vengono portati a educare gusto ed orecchio; vecchio pubblico che applaude del pari sordo e convinto, perchè riprovare la Scala è dire che non si è veri intenditori e allora ci si nutre del prodotto scaligero. Non comprendo nè le faccie scontente di parecchi all'uscita piuttosto che nell'unico intervallo, nè chi cerca di limitare peso e portata dal recente passato, pur di non ammettere che sotto il profilo vocale e musicale siamo a Waterloo. Gli uni mancano di coraggio, gli altri necessitano di molto molto fosforo.
Non è solo opinione di questo sito che il maestro Luisotti sia sicuro amministratore e concertatore delle compagini in buca e sul palco, autorevole e chiaro nel gesto, soccorrevole con i cantanti laddove occorre lasciar loro prendere un fiato abusivo o coprirli quando serve, e, come altri spettatori del recente concerto con la Filarmonica hanno verificato di persona che al maestro piacciano i F ed i FF, che ne abusi privando completamente il proprio dirigere di ogni slancio lirico, ogni afflato, ogni attimo di poesia. Nel sorbire una bibita al bar prima della recita, una coppia di signori non più giovan,i che evidentemente aveva assistito al concerto di Tchajkovsky e Prokofiev, assicurava ai presenti al tavolo che l’Attila sarebbe stato diretto da….“un rumorista”. Una battuta simpatica e garbata che, però, rende benissimo il senso della questione. Il signor Luisotti ha diretto con velocità, altissima intensità sonora ( da fare impallidire le serate più arrabbiate e nevrotiche del maestro Muti ), nessuna poesia e atmosfera ( si veda l’alba sulla laguna, che precede la sortita di Foresto, l’introduzione al primo atto cui segue il Fuggente nuvolo, il terzetto finale..etc..), mancando talora di nerbo ( paradosso dei paradossi!) negli accompagnamenti al canto ( la sortita di Odabella in particolare ) o di quella intensità ed espansione tipicamente verdiane che, valga per tutti, il concertato all’atto I o quello che precede le mancate nozze del secondo.
Ho letto or ora un’ inopinato paragone tra la direzione di ier sera e quelle celebratissime del maestro Muti. Non posso per nulla trovarmi d’accordo. Riccardo Muti, anche quello delle serate peggiori, non si è mai abbandonato a tanta gratuità bandistica, a tanto bimbarabum ossessivo e martellante quale quello udito ieri. Poteva essere nevrotico, scatenato, esagerato, ma mai così piatto, senza idee e rumoroso. Il Verdi tutto sangue e cabalette era quello di Muti, ma era Verdi, piacesse o meno. C’erano anche gli archi, certi colori dei violoncelli e dei contrabbassi, l’accompagnamento melodico al canto ( magari senza prese di fiato per i cantanti!...), ma anche il senso ottocentesco del testo, dei grandi momenti espressivi e teatrali di Verdi. Nella direzione di Luisotti, purtroppo no, e dirige senza che alcuna somiglianza possa mai essere invocata, per giustificarlo, con un Levine, ma anche con un più nostrano Patanè. Piace il fragore? Benissimo, è un fatto di gusti. Noi pretendiamo qualcosa di più, perchè secondo noi Attila è qualcosa di più di una banda.
La compagine vocale ha di certo fatto meglio di quanto avrebbero mai potuto fare gli interpreti originariamente chiamati, ma da qui a dire che si sia ben cantato ce ne corre. E parecchio!
In primo luogo va sottolineato, poiché è il problema cogente del canto lirico odierno, che nessuno del quartetto protagonistico esibisce una tecnica di canto “sul fiato”, ossia quella che, per intenderci, consente di manovrare la voce con facilità, guidandola dal piano al forte e viceversa con morbidezza ed omogeneità, emissione composta esente da forzature, finalizzata all’esecuzione della miriade di segni di espressione di cui Verdi costella la scrittura del canto o che l'autentico interprete deve di sua iniziativa inserire. Nel canto sul fiato il suono arriva nella sala senza ricordare allo spettatore la gola o qualsiasi altro organo del cantante, la voce suona “fuori dal corpo”, perfettamente udibile e sonora anche nei piani. Non c’è mai senso di fatica in questo modo di cantare, mai sforzo, mai lotta con la voce.
Ciò premesso, possiamo dire che ieri nessuno ha cantato secondo questi che sono i modi della tradizione vocale italiana.
Abbiamo udito gole ipersollecitate, canto di fibra, note spinte, gutturalità sparse, acuti indietro, voci gonfiate oltre il limite della razionalità per voler essere ciò che naturalmente e per tecnica non sono e non possono essere. Alla poetica del rumore si affianca oggi quello dello sforzo e dell’urlo dei cantanti, che cantano con fatica evidente e non possono restituire il personaggio che interpretano, le sue emozioni, gli intenti espressivi che l’autore voleva raggiungere. Tutto è atletico, muscolare, è una lotta con i propri mezzi. E non è l'atletismo vocala praticato da cantanti di cognizioni tecniche meditate di un Corelli, di una Nilsson, di una Price o anche di una Arroyo o diuna Cossotto, si badi bene. E’, viceversa, il frutto della perdita di certi saperi tecnici, dell’alchimia del canto all’italiana, che ha subito una progressiva vicarianza, vuoi per insipienza via via sempre più diffusa, vuoi per mal gusto anch’esso sempre più diffuso, da parte di tecniche che mettono il cantante in grado soltanto di spingere a più non posso, di non governare la linea di canto sul centro, di emettere acuti sul forte o falsettati. Tecniche inadeguate agli spartiti che, poi, si pretende di eseguire, che consentono l’ispessimento della voce ma ne compromettono la duttilità, la manovrabilità spontanea. I passaggi di registro, superiori o inferiori, si eseguono senza perizia, più frequentemente non si eseguono del tutto, e così si grida sopra e ci si ingolfa nei gravi. Il canto che ne discende è quello odierno ( si badi bene, odierno, non solo quello di ieri sera, ma quello normalmente dispensato dalla maggior parte dei cantanti odierni..), piatto, monotono, sempre forte o mezzoforte, che dei segni di espressioni ( centinaia, migliaia ) che costellano gli spartiti verdiani fa piazza pulita senza troppi problemi. Da un lato abbiamo i filologi, discorsi dotti sul rispetto dell'autore, l'autenticità della lezione, i fans del rigore mutiano al testo e dall'altra abbiamo nei teatri esecuzioni che dello spartito e di quanto in esso contenuto bellamente fanno piazza pulita ( e ieri sera eravamo in linea con l'andazzo generale, Verdi festival docet ) mentre il pubblico applaude soddisfatto. L'importante è stato.....assuefare il pubblico a tale estetica antistorica, ed il gioco ormai pare riuscito.
Ma vediamo da vicno i "lottatori" in campo.
Lotta con tutta evidenza il signor Sartori, alla prese da subito con il muro di suono che gli si para davanti alla sortita: l'onda de "La tempesta perfetta"! La voce si è fatta meno facile sul centro rispetto alle ultime prove scaligere, gli acuti sono sempre là, mai sfogati e squillanti, il legato è deteriorato, e Foresto gli costa grandissima fatica, nonostante sia uno dei pochi tenori che sul passaggio riesce un po’ districarsi, più per dote naturale che per tecnica. La cabaletta della sortita gli è costata uno sforzo enorme causa il fragore dell’orchestra, si è barcamenato al duetto con Odabella ma senza esprimere alcunché, ha messo lì la seconda aria alla meno peggio, senza mai avere la necessaria ampiezza di fraseggio e volume, per affrontare il terzetto finale senza benzina, dove puntualmente ha inciampato.
Lotta anche il il signor Vratogna, che canta alla Nucci senza le qualità vocali e tecniche di Nucci. Il gusto è quello attuale, contaminato e deteriore, la voce evidentemente fibrosa, la tessitura di “Dagli immortali vertici” troppo alta per dar luogo ad un canto con un po’ di legato e morbidezza, il personaggio monotono e truce, mai nobile, il canto senza intenzioni espressive, piatto anche lui.
Lotta Orlin Anastassov, basso verdiano cui manca di fondo l’ampiezza per cantare Verdi, almeno in sale grandi come la Scala. Le cose “migliori” le ha fatte sentire lui, ossia la sua quarta centrale, cui non sta appiccicato né un registro acuto udibile, dato che, pure lui, non sapendo eseguire il passaggio superiore, in alto talmente indietro da non sentirsi per nulla ( soccorrevole nella cabaletta il F di Luisotti sui vari fa acuti scritti, di cui non ne abbiamo udito uno solo..!) , men che meno un registro grave ( per un parte che poi grave non è ). Gli manca l’ampleur ad Anastassov, e soprattutto la risonanza che, con la giusta tecnica, un Ramey sapeva metter in campo per sopperire alla propria natura vocale, spontaneamente non consona a Verdi. L’ampleur ed il legato, udito solo a tratti, come al concertato davanti a Papa Leone. Il segno dei tempi è tutto qui: Ramey approcciò Verdi sporadicamente, con cautela e furbizia, conscio di non essere vera voce verdiana; Anastassov, che non ha la tecnica di Ramey nè una voce davvero importante, canta sopratutto Verdi....
Lotta la signora Lucrezia Garcia, ritenuta giovane promessa (in carriera da dieci anni, stando al sito della sua agenzia!), che forse dovrebbe attendere di essere più solida tecnicamente prima di darsi ai ruoli pesanti. La signora Garcia ha colpito il pubblico per una certa penetrazione degli acuti, frutto, però, di un canto di spinta, dunque incontrollato e non sempre a fuoco nell’intonazione. Il centro è debole, però, secondo i modi del canto odierno. Quando arrivano le frasi centrali da emettere con lirismo e dolcezza, basti pensare al terzetto finale, la voce si riduce in volume, il legato latita, il timbro è chioccio, per una certa tendenza a schiacciare i suoni. Se poi la tessitura si alza e non basta buttarla fuori, i guai sono lì sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Il “Fuggente nuvolo”, grande scena di ripiegamento lirico e nostalgico del personaggio, di scrittura aerea, costellata da segni di piano e pianissimo e forcelle è stato eseguito sul mezzoforte per non dire sul forte, i segni di espressione bellamente spianati, e prese abusive di fiato clamorose, rabberci alla linea vocale e musicale come la salita al do, con paziente pausa della buca, per tacere della cadenza maldestramente scorciata e pasticciata. Il brano ne è uscito snaturato nella sua essenza espressiva e lirica, difficile da riconoscere. Avrà anche fatto buona impressione nell’entrata, dove la freschezza le ha consentito di lanciare gli acuti con una certa facilità e di eseguire la cabaletta con bella correttezza, ma poi tutto è finito lì. Una "promessa", a mio modo di vedere, deve provare di saper fare ciò che fa con sapienza tecnica non per dote naturale, e la signora Garcia non mi ha trasmesso alcun senso di solidità.
Lo spettacolo di Gabriele Lavia ha avuto bei momenti, il prologo in particolare ( a meno delle compagne di Odabella in mimetica ed anfibi ), con le rovine del teatro romano in primo piano, e momenti grotteschi, come la tavolata anni ’30 con le coriste in calottine di strass, lampadari e tavolata da ricevimento mondano antistante un frammento a rudere della Scala bombardata, metafora, immagino, sul declino del teatro piuttosto insignificante. Idem dicasi per l’ultimo atto, con la solita proiezione su maxischermo di film hollywoodiano sui Attila, stile fratelli Lumiere ( 3° o 4° volta quest’anno?...), poltroncine anni ’50 tra le quali si aggirano i protagonisti della tragedia. Regia pochetta e piuttosto banale, qualche cappotto in pelle immancabile, piuttosto una certa incoerenza di cifra tra le scene, ma forse era il male minore. Tanto valeva riprendere la produzione precedente assai meglio riuscita, dato l’esito alterna, di poca inventiva, che non mi ha convinto per nulla, a differenza di altri spettacoli dello stesso Lavia.
22 commenti:
Non mi voglio dilungare in un lungo commento , condividendo quanto da voi scritto in toto. Posso solo dire: direttore battisolfa, orchestra di olte 100 elementi e fracassona,cantanti di serie b, spettacolo visivamente assurdo .
Dove va la Scala? Buare può, anzi è scorretto , ma a volte serve a far capire a certi dirigenti scaligeri che : o si sa fare il mestiere o lo si cambia.
Ma, caro, Domenico, il pubblico che ama Mamma Scala, non vuole che si contesti, perché si disturba lo spettacolo, si disturbano le orecchie ed il gusto altrui, e si calpesta la dignità dei cantanti.
Contestare é segno di inciviltà, di maleducazione, una barbarie!
(però a nessuno viene in mente di dire questo quando si contestano i politici vero nonostante "lavorino e soffrano poverini", ma questo é un altro discorso ).
Di conseguenza, uno spettacolo del genere, così "applaudito", é esattamente ciò che il pubblico vuole, che il pubblico brama, che il pubblico desidera, che il pubblico applaude, che il pubblico ingoia e di conseguenza, che il pubblico MERITA!
Ora che il pubblico ha ciò che desidera, ovvero la mediocrità da applaudire con tutta la foga che si ha in corpo, si invoca, come ho letto, la "grisizzazione del pubblico", che il pubblico si ridesti, riconosca tale bassezza di livello e contesti di conseguenza!
Ma come?
Tutto ciò che si fa alla Scala é da 10 e lode, é bene ricordarlo, hanno giurato e spergiurato su questo concetto... decidiamoci una buona volta e non aspettate la "Grisi" ;-)
Marianne
P.S. ovviamente il mio é un discorso in generale, non era mirato a te Domenico, ma lo spunto era gustoso...
Io sono un vecchi scaligero. Ho contribuito a trionfi ma anche a necessarie buate fin dagli anni 60. Si diceva allora: a Roma passa tutto e gli spettacoli di allora a Roma non erano certamnte da capitale.Ora anche la Scala si sta allineando verso standard da basso impero. Capisco che mancano le voci.Capisco che mancano le scuole di canto ma anche capisco che in questo paese ela Scala non è certo fuori dalle critiche morali ,spesso interessi particolari quali agenzie ecc ecc passano sopra all'interesse primario: LA QUALITA'.
Dal momento poi che la lirica comporta un costo in soldoni veramente importante, appunto la qualità è indispensabile.
Se non si sa fare la torta, meglio lasciare la farina nel sacchetto o meglio ancora, affidare la torta nelle mani del pasticcere capace.
Vergogna!Vergogna Assoluta!
L'Attila scaligero è sicuramente il peggior spettacolo da me visto alla Scala(Ve.24-06).
Cara Sig.na Marchisio,come ha potuto affermare che Attila già prima che lo vedessi,per me sarebbe stato bello:le ero parso così deficiente?Le risposi: vedo-sento-giudico serenamente, ma qui siamo caduti così in basso che l'Indignazione prevale sul Giudizio.
Lissner,nel presentare la Stagione in corso,tuonò:quest'anno abbiamo i cantanti! Ma per cortesia, pensai io, leggendo le locandine,quali cantanti, ma qui veramente si è toccato il fondo più profondo.
Lissner è francese come altri sovrintendenti o direttori artistici, che impazzano in Europa e che riempiono i cast di direttori e/o registi d'oltralpe che a mio parere non sono un granchè.Vedere per credere la WienerStaatsoper!Il nostro ci provò l'anno scorso fino alla ricusazione clamorosa del francese per il Barbiere da parte degli orchestrali.Ora per i cantanti, il Francese come li sceglie, li ascolta, si fa consigliare da autorevoli referenze?Non credo proprio perchè non si giustifica la scelta di una,a me sconosciuta, sig.na dell'est un pò tozza e bassa nella parte di una guerriera, che invece di cantare faceva gargarismi(tale a me sembrava il suo timbro), ma forse aveva la faringite!Poi il protagonista inadeguato perchè tutto era fuorchè un basso.Il tenore, indisposto ingolava(pure lui la faringite?),alla fine l'unico a salvarsi è stato il sostituto del vocalmente truce Vratogna, ossia il Leo nazionale,che con tutti i suoi difetti attuali, in mezzo a simili pseudocantanti, ha fatto la sua figura.
Il Direttore, dopo la fracassona Salome di Bologna,tale che il Bibiena spesso tremava(disse di aver scelto la versione di Strauss per piccoli teatri), si conferma direttore dai toni ultraesasperati, come piace agli Americani(il fatto poi di aver successo in America, non significa che sia talentuoso, come si usa dire adesso,anzi,conoscendo gli americani...), ma la cosa che più mi ha indignato è che ha rinverdito il Verdi zumpapà, ai massimi livelli, come raramente ora si ascolta, ostacolando,altresì,i pur negligenti cantanti.
Infine il regista, dopo le apprezzabili prove di Giovanna d'arco e Salome, ha optato per una piatta NON regia, con svarioni temporali, e non, inconcepibili.
Mi stupisce la carenza, in questo blog,di interventi su questo disastro, anche perchè per chi ha speso le esagerate cifre che chiedono nella maggior parte dei posti, è stata una vera e propria presa in giro.E dire che voi mai siete teneri con la Scala, anche per opere che io invece ho, a volte, apprezzato. Pubblico molto turistico, pieno di belle ragazze dell'est, in cerca, verosimilmente, di qualche commenda da fregare, applausi dal ritmo areniano,ma poco fragorosi,almeno quello!
Insomma, un vero e proprio affronto nei confronti di tutti, che ancora( ma sono sempre di meno)cercano di pensare, ragionare e giudicare con la propria testa!
Tre giorni dopo un memorabile Peter Grimes alla ROH, con cast e direttore convincenti , ma, soprattutto, grandissimo teatro musicale allestito e diretto da un superlativo Willy Decker, che ti porta direttamente nell'anima quell'atmosfera ambigua, ipocrita e soffocante di questa bellissima composizione.
Voi siete gente che stimola il governo a tagliare i fondi. I soliti che criticano malamente l'arte fino a farla scomparire. E' certamente perchè esiste gente come voi che l'Italia va sempre piu in dietro, ma la cosa piu grave è che non ve ne accorgete nemmeno. Vergogniatevi a parare cosi' male di tutto ciò che la cultura offre credendo di essere dei super maestri di canto o ad intendervene piu dei direttori d'orchestra, soprattutto nel paragonare uno a Muti e l'altro a Ramey, (sono certissimo che sareste in grado di sottovalutare e offendendo chiunque affronta il palcoscenico). Studiate un po di ippica e andate a praticarla... non sareste capaci nemmeno di tenere in mano il frustino!
Caro Flavio, allora è vero!
Siamo addirittura letti e presi a esempio o monito da Ministri della Cultura e da organi governativi!
Caspita che potenza che abbiamo!
Possiamo addirittura influire sui tagli ai bilanci e sulle Finanziarie!!!
Apperò!!!
Quante corbellerie in ben quattro righe di intervento!
E tu, caro Flavio, cosa fai di bello per contrastare tale "potere"?
Vai in Scala ad applaudire la "cultura"? Vieni qui a fare il kamikaze?
Hai ascoltato per caso o per sbaglio l' "Attila" diretto da Muti e interpretato da Ramey?
Hai presente la direzione di Muti e la voce di Ramey paragonati a quello che hanno combinato direttore e Anastassov?
Hai letto anche gli interventi qui e in altri siti di chi è andato a questo "Attila" constatando il riscontro invero misero che ha avuto?
Beata ignoranza!
Il tuo intervento così privo di contenuti, come del resto quelli di coloro che passano di qui frignando "brutti, cattivi, mamma Scala è buona", in cui non spieghi nemmeno cosa TU abbia trovato di eccezionale, ritrae molto bene la pochezza di discernimento e comprensione degli individui come te.
Vai pure ad addestrare cavalli e a ingoiare l'attuale "cultura" scaligera che difendi(?).
Ve la meritate!
Marianne
"va sempre più in dietro"
"vergogniatevi"
comincia tu con lo studiare l´italiano, caro.
Signor Flavio, noi impariamo un po' di ippica. sarebbe bello che qualcuno del loggione ce la potesse insegnare.
io però la invito cortesemente a prendere un appuntamento con l'otorino (e perchè no, come dice il buon Mozart2006, un corso di italiano non sarebbe male).
scherzi (neanche tanto) a parte: aggiungere alla già esaustiva e completa risposta della nostra cara Marianne Brandt sarebbe inutile. vorrei, se mi è concesso, chiederle di fare un compito a casa da mostrare pubblicamente tra questi commenti (anche per coerenza: chi espone le sue idee deve saperle "probare" come diceva il buon Cicerone): 5 punti in comune fra l'attila del duo Ramey/Muti e quello di Anastassov/Luisotti. sono curioso, io che non sono riuscito a trovare neanche un punto in comune, di sapere cosa ci elencherà.
cordiali saluti.
FB.
Ma certo, teniamo aperti i teatri perché siano la mangiatoia e il parco di caccia (con eventuale elisione vocalica) dei Flavio et consimilia. Complimenti vivissimi.
Tamburini
Caro Flavio,
Pensi che un paese possa avanzare o reggersi sulla....coprofagia???
Pensi che siano quelli che vanno a fare clacque ad un villanzon ridotto peggio del peggior corista ad onorare l'arte?
Il punto non siamo noi interessati al canto ma quanto il pubblico odierno abbia bisogno di miti e feticci anche d'accatto per riempire altri vuoti.
E' bello cio' che vale o cio' di cui si ha bisogno per altre ragioni, per soddisfare altri bisogni?
Se ami e conosci il canto non ti puoi sbagliare. Se ami un teatro, quattro mura, un contesto...e' altro affare.
e comunque si, io sono uno che vorerebbe 10 100 1000 volte SI al taglio dei fondi x l'opera lirica. una bella sforbiciata e tutti a casa!
a MOZART2000 Ecco, un'altro "Professore"! in questo caso "grammatica". Scommetto che prima di diventare "professore", nella sua vita non ha mai fatto un errore grammaticale... Stavo solo scrivendo velocemente, m'è scappata una "i" in piu. Mi perdoni, Professore.
Caro Flavio, si lasci correggere. "Un altro" si scrive senza l'apostrofo.
Gentile Sig. Mancini,
grazie anche a Lei per la correzione. Infatti è vero cio' che dice perchè se la parola che segue l'articolo inizia per vocale ed è maschile non c'è bisogno dell'apostrofo, perché per il maschile esiste la forma autonoma "un" non apostrofata.
Se invece la parola che segue l'articolo inizia per vocale ed è "femminile", bisogna usare l'apostrofo, perché, in questo caso, la forma "un" deriva da "una", dove la vocale "a" cade per elisione davanti ad altra vocale.
Dunque si dovrà scrivere "un altro" e "un'altra".
Ma ormai, data l'età sono abituato a scriverlo cosi.
Un grazie anche a questo corriere della Grisi che ci da' l'occasione di imparare a scrivere evitando errori grammaticali e ortografici e chissà quante altre belle cose importanti per la sopravvivenza,
perchè in questo mondo pieno di pregiudizi e chiacchere a discapito delgi altri, è VIETATO SBAGLIARE!
Attenti signori, che un bel giorno vi ritornerà in dietro tutto!
Terrei a specificare che nel mio primo post non intendevo parlare particolarmente dell'Attila ma del 90% di critiche negative, a sfondo cinico, irrispettoso e cattivo che i recensori (e commentatori)di questo sito esprimono. Per esempio l'Eranani di Bologna: titolo "Il lutto si addice ad Ernani". senza citare quel che segue io invece dico che è stata una festa, sebbene abbia diretto Polastri (Magistralmente)al posto di Bartoletti. Furlanetto e il resto della compagnia sono stati grandiosi(qualche defaliance per il soprano).
Un altro esempio: Cavalleria e Pagliacci alla Scala. Ok, sappiamo come canta Cura, ma come recita è di un coinvolgimento eccezionale. Qiundi,se a una persona non piace un cantante e sa che quella sera è in cartellone, non dovrebbe andare in teatro a vederlo perchè si procurerebbe solo un'amara delusione, allora che fa? Ci va apposta per tirarsi la zappa sui piedi e per la rabbia inizia a sfogarsi buandolo e far casino mancando di rispetto a coloro che invece lo apprezzano, portando il teatro sempre piu simile ad uno stadio.
Certo, ammetto anch'io che in teatro vengono prodotte anche porcherie a livelli vergognosi(e non poche) ma questo corrisponde alla "moda pericolosa" di far spettacolo in generale. Il primo che riesce a fare uno scandalo o a giocare su un dramma e metterlo in mostra è quello piu seguito anzichè essere il piu' punito!!!
Quello che noto in questo sito è che il cantante è sempre disprezzato: se ha una grande voce "urla, sbraita," se ha una voce leggera "è troppo piccola non si sente! l'orchestra lo copre!" se è di seconda compagnia, e sostituisce il titolare per una malattia, è già morto per scontato. Non parliamo poi quando si tocca il discorso della tecnica di emissione della voce... Appare tutto cosi facile per voi, tutti professori della tecnica del canto!!! "E' ingolato!" quando invece è perfetta posizione per un passaggio, "brava negli acuti" quando invece non faceva altro che schiacciare i suoni dall'inizio alla fine. Quanti altri esempi di definizioni errate date ai cantanti, direttori, registi ma, purtroppo, sono a inizio carriera, quindi piu facili da colpire.
Con Rispetto, Flavio.
Sull'Ernani di Bologna rispondo volentieri avendo visto lo spettacolo dal vivo due volte (primo, sebbene mutilo del protagonista e della bacchetta, e secondo cast) e avendo assistito alla diretta radiofonica della prima. La magistrale direzione di Polastri ho quindi potuto gustarla per ben tre volte nel giro di una settimana e ringrazio il destino che l'ha consegnata agli archivi di Radio Rai, perché è giusto e doveroso che si serbi memoria del punto cui è arrivata l'orchestra che fu già guidata da Chailly e Thielemann, quindi da Gatti e Carlo Rizzi e ora, reggente Mariotti, propone nell'anno del Signore 2011, in piena epoca di proclamata rinascita verdiana, questo titolo conformandosi in tutto e per tutto all'estetica del "zum-pa-pà", non solo, ma all'approssimazione e alla sciatteria che dominavano il palco. Sentire non solo il preludio, ma soprattutto le introduzioni al secondo e al quarto atto, con gli attacchi a dir poco peregrini della banda fuori scena e del coro in scena. E non si adduca la scusa delle poche prove, perché questo spettacolo, come tutti gli altri della stagione, è stato provato per almeno un mese prima del debutto, e Polastri è per giunta direttore musicale di palcoscenico della sala del Bibiena, non certo l'ultimo arrivato in teatro. Per definire Furlanetto grandioso occorre non avere mai sentito non dico Pinza o Pasero, ma Bonaldo Giaiotti o persino il decrepito Ghiaurov scaligero. Altro non dico se non per rinnovare l'invito all'ascolto comparato, che solo può fornire un valido metro di giudizio e valutazione di quanto offerto in scena da certe caricature - e ribadisco: caricature - di cantanti. So bene che informarsi, studiare, ascoltare, magari leggere lo spartito costa tempo e fatica (non soldi, per fortuna, visto che la Rete mette tutto o quasi a disposizione di chi sappia cercare), ma almeno si evitano magre figure.
Beh, quando, per sostenere le proprie generiche e generali affermazioni, indimostrabili e non solo indimostrate nel post, si scelgono come esempio alcuni dei più grandi flop dell'anno, ci si dimostra apertamente competenti, avveduti nelle parole e negli argomenti, arguti e preparati. Mica come quelli che parlano per sentito dire, imbeccati da chissachi!
abbiamo capito tutto.
Aggiungo solo una cosa.
L´accusa di essere prevenuti nei confronti dei cover dimostra che Lei, caro Flavio, segue il blog con poca attenzione. Diversamente, avrebbe notato come sia stata qui apprezzata da tutti la Elena torinese di Maria Agresta, che nei Vespri al Regio era appunto scritturata nel secondo cast e alla prima ha sostituito l´indisposta Sondra Rodvanovsky.
Ah, mi scusi di nuovo. Si scrive "indietro" e non "in dietro". Sa, io di mestiere sono insegnante e queste cose purtroppo le noto...soprattutto se vengono ripetute.
Caro Flavio, se uno come te si riempie la bocca di "cultura" è normale che venga corretto nel momento in cui scrive in maniera errata.
Per il resto non preoccuparti, siamo soggetti giornalmente alle correzioni ed al giudizio dei nostri attenti lettori e non ci costa nulla ammmettere i nostri errori: in passato è capitato ed abbiamo anche corretto se è stato il caso.
Quanto al resto, i tuoi consigli minacciosi, le banalità, le frasi fatte, le superficialità che scrivi e che ci tocca leggere su serate festose, "state a casa se conoscete il cantante" ed altri vaneggiamenti sono cose che abbiamo letto e straletto fino alla noia e che ormai non ci fanno né caldo, né freddo: se vuoi le risposte ti invito a cercarle qui e altrove dove siamo abbondantemente intervenuti, ma francamente non dobbiamo giustificarci né con te, né con NESSUNO, perchè quando nel tuo caso ed in quello degli individui come te non si ha voglia di capire, non vale nessuna pena.
Invece di trincerarti dietro "feste", "coinvolgimenti", "eccezionalità" ed altri discorsi da portico o camerino dicci a livello tecnico dove sbagliamo; illuminaci col tuo sapere e con la tua grande esperienza in fatto di voci quali cantanti da te uditi non meritano le nostre perplessità.
Noi le abbiamo scritte in maniera approfondita, ora tocca a te ed hai la possibilità di parlarne.
I "Buuu" non li ha inventati la Grisi ci sono da sempre in tutti i teatri mondiali e si bua, pensa tu, anche quando non siamo in serata! Se non vuoi sentire contestazioni potresti startene a casa no, così nessuno disturba te e i tuoi amichetti!
Con rispetto
Marianne
Per Mozart2000,
caro Sig. Prof. che di mestiere fa il Prof. legga nel Suo primo post come ha scritto "indietro"... Ogni commento è vano... io almeno sono un umile contadino...
Caro Flavio, Mozart2000 quando ha scritto "in dietro" nel suo primo intervento stava citando proprio te, proprio un tuo errore!
Scusa se te lo faccio notare, ma ti attacchi a queste cose e poi non rispondi né a me, né alla Grisi, né a Tamburini dopo aver fatto il kamikaze!?
Bei contenuti davvero...
Marianne
Caro Flavio, anch'io sono stato un kamikaze, accerchiato da tutti i majors del blog, secondo me anche perchè non sono forse riusciti a capire il senso dei miei interventi e ho cercato di difendermi. Credo che i majors abbiano un approccio con la musica un pò troppo algido e razionale, sempre con lo spartito in mano, magari con la lente.Sono però altresì assai preparati e c'è sicuramente da imparare molto; poi per me le loro critiche sui singoli così spietate le rapporto al mio giudizio,finale per me, con molta serenità. Io, a differenza di loro, ho un approccio con la musica più emozionale e meno distaccato, ma ritengo di saper apprezzare cio che è veramente buono da quel che non è buono!Nella mia testa( e anima) ci sono dei parametri di giudizio ben radicati, che immediatamente scattono, all'ascolto di un opera o concerto, sia nel bene che nel male.Anche se non sembra, sono molto severo.
Obiettivamente era difficile assolvere questo Attila e proprio la mia emozionalità mi ha portato ha buare alcune volte: in primis alla Soprano russa(?), ma soprattutto al Direttore.
Adesso si arrabbierà,di nuovo, la mia preferita Marianne, così severa nei tuoi confronti, e così legata ai suoi contenuti...e allora viva i contenuti!!
Arrabbiarmi, caro Fabrizio?
Ma no, si discute come sempre con la solita passione e mi piacerebbe che gli argomenti (tutti: dalle critiche alle impressioni personali e musicali) avessero dei contenuti.
Mi pare il minimo per dare forza alla propria voce o ai propri scritti, altrimenti si finisce per fare il kamikaze appunto: si pretende di fare il botto distruttivo, e si risolve tutto in una semplice anemica fiammella di facile estinzione.
Marianne
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