lunedì 14 luglio 2008

Otello a Wildbad: Tutti pazzi per Desdemona

Crediamo che dopo questa recensione nessuno ci potrà accusare di non nutrire una passione sincera e autentica per le voci, fondamento insostituibile e sola ragion d'essere dell'opera. Ben tre membri di questo Corriere hanno attraversato l'Europa, addentrandosi nel cuore della Foresta Nera, tra gorge de loups, nebbie e fortunali onde assistere al primo cimento nel Rossini tragico di Jessica Pratt, soprano australiano che i nostri teatri cominciano fin troppo timidamente a scoprire e utilizzare.
Wildbad è una tranquilla località termale (età media dei frequentatori: sui 78 anni) e la sala che ha ospitato Otello, posta su una collinetta che nulla ha che vedere con la Collina della lirica, ricorda quella di una buona birreria di provincia tedesca. Adeguate all'ambiente e all'umanità che è solita popolarlo la direzione d'orchestra e la regia. Osservando Antonino Fogliani (alla testa di un'orchestra peraltro non certo impeccabile, dagli archi pseudobaroccari ai fiati pigolanti) alle prese con l'Ouverture abbiamo potuto apprezzarne il gesto, così confuso che non si capisce come l'orchestra abbia potuto trovarvi indicazioni e suggerimenti. Ove per indicazioni e suggerimenti si intenda non sfumature dinamiche e agogiche, ma semplicemente precisione e puntualità di attacchi. Il meglio dell'arte direttoriale del maestro Fogliani si esplicita nella coda dell'Ouverture, nel preludio alla sortita di Desdemona (con un corno da caccia alla volpe, ovviamente non reale) e nell'introduzione al terzo atto, in cui ogni strumento ha ben pensato di entrare quando ..... gli pareva. E si taccia, con riferimento a quest'ultimo passo, dell'approccio, più adatto all'Italiana in Londra che al Rossini coturnato. Lo striminzito Coro filarmonico di Transilvania, dopo poche battute d'introduzione, ci ha confermato l'impressione di essere in una birreria bavarese verso l'ora di chiusura.
Quanto alla regia, la scena si apre su una specie di autofficina in disarmo, con delle panche sui lati e dei bastoni conficcati in terra (allusione agli approdi veneziani?). Il trionfo di Otello è un pestaggio, non si sa se sognato o reale, eseguito da dei picciotti con una calzamaglia sul viso. Il Doge è un paraplegico in vestaglia arancione che accarezza un gatto di peluche: purtroppo non è il capo della Spectre. I patrizi veneti sono una banda di guappi con annesse sgualdrine munite di occhiali, calici di spumante e pochette. Punti topici della regia sono stati il finale primo, in cui camerieri da brasserie con grembiali bisunti ramazzano al suolo cercando di sbirciare le copiose forme di Desdemona, intenta a cambiarsi d'abito, e il terzo atto, con Desdemona, che potrebbe sembrare la réclame di un noto detersivo liquido, intenta a "tirare sù" il bucato mentre una improvvisa nevicata, che ricorda quelle dei gadget di vetro, accompagna la Canzone del salice. Il tutto, oltre che improbabile, anche orrendo da vedere. E non si prenda come scusa alla povertà di scene, costumi e regia la limitatezza dei mezzi, ché una sana forma di concerto sarebbe stata più economica e più gradita, e più ancora lo sarebbe stata una spoglia aula veneziana, con pochi elementi mobili e sobri costumi pseudocinquecenteschi.
Otello (un Indiana Jones da scenario postatomico, cappottone brechtiano d'ordinanza e bandoliera ad armacollo), Michael Spyres, è dotato di voce abbastanza corposa, di colore piuttosto scuro, esegue correttamente le agilità ma, nella zona del passaggio, compaiono suoni un poco tra naso e gola che compromettono l'ascesa agli acuti, non molti da spartito e uno solo interpolato, che suonano spesso un poco bianchi e striminziti. Con una messinscena inutile, di ostacolo alla resa vocale e alla comprensione dell'opera, era facile lasciarsi andare all'effettaccio: Spyres ha invece mantenuto una condotta vocale e scenica castigatissima, da vero condottiero del Leone di San Marco, fiero, nobile, disperato ma con misura. Con evidente richiamo al modello di Bruce Ford.
A un livello drasticamente inferiore gli altri signori. Jago (che la regia dipinge aduso al tiro di cocaina prima dei due duetti), Giorgio Trucco, si contorce su se stesso per ottenere, senza successo alcuno, agilità presentabili. In pigiama e bastone d'ordinanza, claudicante non solo nel fisico, Elmiro, Ugo Guagliardo, cui qualcuno ha dimenticato di spiegare, dopo avergli imposto l'andatura da emiplegico, che l'invalido non usa appoggiarsi sull'arto offeso. Del tenore Filippo Adami abbiamo soprattutto apprezzato l'esibizione del villoso toracino e la scarsa disinvoltura con il serramanico, mentre l'esecuzione dell'aria lo vede in serie difficoltà, che divengono serissime alla sfida. Stonature, suoni strozzati, agilità abborracciate non si contano.
Quando, alla scena di sortita di Otello, fra la piccola folla dei coristi appare l'innamorata Desdemona, si cava dalle scene l'ipostasi del soprano, così come memoria, tradizione e iconografia ce l'hanno consegnata. L'immagine continua, si avvalora e si conferma quando Jessica Pratt apre la bocca. In una parte non molto consona ai suoi mezzi di soprano assoluto, Miss Pratt ha sfoggiato misura, eleganza, precisione di esecuzione, proponendo un personaggio sognante e timoroso al primo atto, disperato, anzi tragico nell'accezione ottocentesca al secondo, in cui la Pratt ha mostrato fiati impressionanti, grandissima ampiezza nella zona acuta e sovracuta della voce ed estrema facilità nel canto di agilità, e al terzo atto grande tensione drammatica alla Canzone del salice, che se il maestro Fogliani avesse staccato a un tempo molto più lento le avrebbe giovato. Nel duetto conclusivo con Otello, una delle pagine più pesanti vocalmente di Rossini assieme al terzetto della Donna del lago, punto in cui è facile farsi prendere la mano e indulgere a effetti poco consoni allo stile del Belcanto, la Pratt ha cantato con suoni morbidissimi e facilissimi, come si conviene alle primedonne tecnicamente più ferrate. Che poi sono quelle più autentiche, a nostra insindacabile opinione.

DD + GLD + AT

Atto I: Non indugiar... Amor, dirada il nembo - Michael Spyres
Atto II: L'error di un'infelice - Jessica Pratt

OTELLO, OSSIA IL MORO DI VENEZIA
Dramma per musica in tre atti
di Francesco Berio di Salsa
Musica di Gioachino Rossini


Otello - Michael Spyres
Desdemona - Jessica Pratt
Elmiro - Ugo Guagliardo
Rodrigo - Filippo Adami
Jago - Giorgio Trucco
Emilia - Geraldine Chauvet
Doge - Sean Spyres
Lucio - Hugo Colín
Un gondoliere - Leonardo Cortellazzi

Philharmonischer Chor Transilvania Cluj
Maestro del coro: Cornel Groza

Virtuosi Brunensis
Direttore: Antonino Fogliani

Regia: Annette Hornbacher
Scene: Anton Lukas
Costumi: Claudia Möbius

Kurhaus Bad Wildbad
12 luglio 2008

3 commenti:

mozart2006 ha detto...

Salve!
C´ero anch´io sabato sera.Mi spiace che non ci siamo incontrati.D´accordo su tutto,anche se sarei piú indulgente su Spyres e molto meno su Fogliani,vera calamitá emergente insieme a Montanaro...
La regia era un tipico esempio di quello che ci tocca vedere qui a Stoccarda ogni volta,e neanche delle peggio.Aveste visto il Fliegende Holländer e la Fanciulla del West allestite da Calixto Bieto...cose del genere,in Italia finirebbero con l´intervento dei carabinieri.
Tanti saluti e se tornate da queste parti fatelo sapere!

Antonio Tamburini ha detto...

Ciao Mozart2006!
Peccato davvero non esserci incontrati. Di calamità direttoriali d'italica origine, a onor del vero, ce n'è ben più di un paio, anche di nobili natali. Tu che sei a breve distanza, sappi che alle repliche Jessica Pratt potrebbe "infarcire" ulteriormente la parte di sovracuti. Sei avvisato! :-)

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Beh, caro Mozart2006, mi sembra che i meriti di Spyres siano stati adeguatamente onorati: la voce corposa e il bel colore scuro (da baritenore), la sicurezza nelle agilità, l'eleganza, la misura e la nobiltà (nonostante una regia sciagurata potesse suggerire eccessi e volgarità). Certo gli acuti era un pò più difficoltosi, tendevano a sbiancarsi (e Spyres SAGGIAMENTE li dosa con cura e non ne interpola molti: e fa molto bene, anche da queste cose, cioè dalla conoscienza dei propri mezzi e dei propri limiti, si può giudicare il valore di un cantante), ma nel complesso è stato un buon Otello , soprattutto in un periodo di "vacche magre" come il nostro, dove l'autentica voce di baritenore è quasi sparita, e si attribuiscono titoli di "grande cantante rossiniano" a efebi che squittiscono con grazia eterea invece di cantare, totalmente privi di autentico accento tragico, autorità interpretativa e vocalità "di forza" necessari se si vuole affrontare il Rossini serio (e se non si hanno questi requisiti ci si orienti sul Prunier della Rondine, piuttosto di naufragare in Zelmira...). Spyres, dicevo, è stato un buon Otello, che però "spariva" quando in scena entrava la Pratt. Ma è tutto già spiegato nella recensione, inutile ribadire le lodi per questa grandissima Desdemona.
Fogliani è stato....Fogliani, e credimi, non c'è altro da aggiungere (e non è indulgenza, ma pudore). Peccato non esserci incontrati.

Ps: purtroppo la "moda" di queste regie oggettivamente brutte, stupide e antimusicali, si sta diffondendo anche in Italia, e chi le fischia viene ritenuto un facinoroso reazionario. Questo è il clima...ahimè!