Otello di Rossini è uno dei lavori del maestro pesarese di più lunga sopravvivenza, almeno sino agli anni ‘70 dell’Ottocento. Credo lo superino solo Semiramide e Tell, opera, però abnorme, si sa, nel catalogo rossiniano.
Credo, anche debba, la propria sopravvivenza non solo all’eccellenza delle pagine, anche se il terzo atto è ai vertici della produzione rossiniana, se le classifiche hanno valore e significato, ma alla possibilità che offre a tenore e soprano di essere autentici, indiscussi protagonisti.
Scorrere l’elenco degli Otelli ottocenteschi significa scorrere l’elenco dei maggiori tenori dal 1816 al 1870.
Ed il title role era di tale importanza che taluni tenori, che per dote naturale avevano la voce di Rodrigo affrontarono, con una cospicua serie di trasporti, che sarebbe oltre modo interessante esaminare, il ruolo di Otello. E’ il caso di Rubini tenore contraltino, riconosciuto erede del primo Rodrigo, David junior, che a Parigi nel 1825 vestì i panni del protagonista, mentre a Napoli nel 1822-'23, protagonista Domenico Donzelli, fu appunto Rodrigo. E se i protagonisti maschili si chiamarono Andrea Nozzari, Manuel Garcia, Niccolo Tacchinardì, Domenico Donzelli, Pancani, sino a Tamberlick e Raffaele Mirate (primo duca di Mantova) ancor più ricco è l’elenco delle protagoniste femminili.
Ad Isabella Colbran, si aggiunsero in tempi brevissimi la Fodor, la Sontag, la Manfredini Guermani, la Righetti Giorgi, la Pasta, la Malibran, la Ronzi, la Belloc, la Tadolini, la Grisi, la Meric Lalande, sino a Marie Cornelie Falcon, a Teresa Titjens la Schroder-Devrient e, ultima, Adelaide Borghi-Mamo. Devo dire che dalle ricerche che ho fatto manca solo (e meraviglia la circostanza) la Marchisio. Sarebbe, anzi, giusto dire le Marchisio, perché la parte aveva attirato sia soprani assoluti (Manfredini-Guermani e Sontag), che soprani cosiddetti centrali che mezzo soprani acuti (Righetti-Giorgi, la Belloc e la Borghi-Mamo).
La parte, seconda fra le scritte da Rossini per la Colbran, è molto centrale; ai soprani assoluti costano fatica gli attacchi sui si bem bassi della canzone del salice e la scrittura centrale sia del terzetto con Otello e Rodrigo che della grande scena agitata, che segue e chiude il secondo atto.
Il ricorso ai trasporti, che soprani assoluti come Lella Cuberli e June Anderson, protagoniste delle riprese degli ultimi venti anni, hanno effettuato è eloquente mentre che la parte, nel finale secondo, tocchi un paio di volte il do è poco significativo.
Ma è il personaggio, che faceva accorrere tutte le dive del tempo e, aggiungo, le faceva correre esercitando i diritti dello status di primadonna.
E le faceva accorrere perché offriva tutte le situazioni paradigma di tragicità secondo gusto e cultura del tempo. Nessuna esclusa, e spesso esplicitate da invenzioni musicali grandiose.
Desdemona entra e canta un duettino dolcissimo, inspirato a quelli della vecchia scuola napoletana, che tanto esaltavano Stendhal, che consentiva alla Senora Colbran di scaldare la voce (salvo che in Elisabetta la Cobran non ebbe mai una cavatina di sortita nelle parti scritte da Rossini) e su cui caddero gli ovvi strali delle altre prime donne. Fra cui Giuditta Pasta, che interpolava previi cambiamenti testuali e accomodi di un tono e mezzo la cavatina di Malcolm de "La donna del lago". Negli ascolti offriamo la cabaletta eseguita, debitamente alzata, in russo ed interpolata in "Cenerentola" da Zara Doulukanova per far capire come potesse essere l’approccio. Anche la cavatina di Malcolm è la declinazione di un brano di sapore elegiaco e struggente. Quel che canta il giovane innamorato scozzese ben si presta alla fanciulla veneziana. Il momento drammaturgico è salvo.
Poi la fanciulla cambia corda e diviene tragedienne nel finale primo di grande ampiezza e dove Desdemona di fatto è chiamata a fare la protagonista. In gergo teatrale "tira" il concertato.
Al secondo atto ed al terzo atto è esemplificato quel che per gli uomini di teatro dell’800 doveva essere la primadonna tragica. Desdemona irrompe in una sfida, fra le più ardue e teatrali, che la scena musicale conosca e siccome non può competere a suon di acuti con Rodrigo ed, in parte con Otello lo fa, dapprima, a suon di accento veemente cantando "Ahime fermate", poi di accento addolorato e commosso nell’andante "Che fiero punto è questo" ed, infine, a suon di ornamentazioni complesse eseguendo "Fra tante smanie e tante". Insomma alla prima donna è dato il diritto dovere di sfoggiare il proprio bagaglio sia tecnico che interpretativo.
Non contenta Desdemona e, qui, diventa la vera protagonista dell’opera chiude l’atto con una grandissima scena tragica bipartita con coro ed altri personaggi dediti ai "pertichini".
E’ la prima di questo genere che troverà ulteriore espressione in Rossini, ma anche in Donizetti (finale di Fausta, di Borgia e scena di Elena Faliero, non per nulla parti pensate per altrettante famosissime Desdemone: Ronzi, Meric Lalande e Grisi, Giulia, naturalmente).
Al terzo atto Desdemona, complice l’atmosfera notturna, il presago di fine imminente è destinataria di una complessa canzone. Brano musicalmente irripetibile (e questo è scontato), talmente famoso da meritare e ripetute parodie (alludo all’ "assisa a piè di un sacco" di Mamma Agata nelle Inconvenienze), amatissimo dal suo autore, che lo eseguiva in concerto, pare, con una splendida voce in falsettone ed, infine, esempio di come Rossini intervenisse sul testo di una brano strofico. Devo anche aggiungere che Rossini, conscio che la scrittura fosse marcatamente centrale non giovasse a molti soprani nell’arco della sua vita provvide più volte di varianti l’aria. Sono, infatti, note quelle per Giulia Grisi, la Desdemona di riferimento fra il 1835 ed il 1855 a Parigi e Londra.
Solo che poi Desdemona chiusa l’estasi lirica della canzone del salice, ritorna ad esprimersi in stile grande agitato e quando entra nella stanza Otello, disperato e pronto all’uxoricidio Desdemona utilizza il canto di agilità "non arrestare il colpo, vibralo", quale manifestazione dell’istinto autodistruttivo e suicida. In questo precedendo il parossismo religioso-autopunitivo di Anna Erisso.
E siccome le fantasmagorie del canto di agilità a tutti gli eccessi dell’animo umano si prestano vi fu anche la versione (romana, se non erro del 1817) che inserì, dopo il necessario chiarimento fra i coniugi, il lieto fine, che del melodramma serio sino a Rossini era un’altra irrinunciabile, o quasi, caratteristica.
Gli ascolti
Rossini - Otello
Atto I
Vorrei che il tuo pensiero - Virginia Zeani & Anna Reynolds
O quante lagrime (cabaletta della scena interpolata da Giuditta Pasta) - Zara Dolukhanova
Atto II
Ah, vieni! Nel tuo sangue - Rockwell Blake, Chris Merritt & June Anderson
Che smania, ohimé, che affanno - Lella Cuberli
Atto III
Assisa à piè d'un salice - Marilyn Horne
Non arrestare il colpo - Eileen Farrell & Thomas Hayward, June Anderson & Chris Merritt
Credo, anche debba, la propria sopravvivenza non solo all’eccellenza delle pagine, anche se il terzo atto è ai vertici della produzione rossiniana, se le classifiche hanno valore e significato, ma alla possibilità che offre a tenore e soprano di essere autentici, indiscussi protagonisti.
Scorrere l’elenco degli Otelli ottocenteschi significa scorrere l’elenco dei maggiori tenori dal 1816 al 1870.
Ed il title role era di tale importanza che taluni tenori, che per dote naturale avevano la voce di Rodrigo affrontarono, con una cospicua serie di trasporti, che sarebbe oltre modo interessante esaminare, il ruolo di Otello. E’ il caso di Rubini tenore contraltino, riconosciuto erede del primo Rodrigo, David junior, che a Parigi nel 1825 vestì i panni del protagonista, mentre a Napoli nel 1822-'23, protagonista Domenico Donzelli, fu appunto Rodrigo. E se i protagonisti maschili si chiamarono Andrea Nozzari, Manuel Garcia, Niccolo Tacchinardì, Domenico Donzelli, Pancani, sino a Tamberlick e Raffaele Mirate (primo duca di Mantova) ancor più ricco è l’elenco delle protagoniste femminili.
Ad Isabella Colbran, si aggiunsero in tempi brevissimi la Fodor, la Sontag, la Manfredini Guermani, la Righetti Giorgi, la Pasta, la Malibran, la Ronzi, la Belloc, la Tadolini, la Grisi, la Meric Lalande, sino a Marie Cornelie Falcon, a Teresa Titjens la Schroder-Devrient e, ultima, Adelaide Borghi-Mamo. Devo dire che dalle ricerche che ho fatto manca solo (e meraviglia la circostanza) la Marchisio. Sarebbe, anzi, giusto dire le Marchisio, perché la parte aveva attirato sia soprani assoluti (Manfredini-Guermani e Sontag), che soprani cosiddetti centrali che mezzo soprani acuti (Righetti-Giorgi, la Belloc e la Borghi-Mamo).
La parte, seconda fra le scritte da Rossini per la Colbran, è molto centrale; ai soprani assoluti costano fatica gli attacchi sui si bem bassi della canzone del salice e la scrittura centrale sia del terzetto con Otello e Rodrigo che della grande scena agitata, che segue e chiude il secondo atto.
Il ricorso ai trasporti, che soprani assoluti come Lella Cuberli e June Anderson, protagoniste delle riprese degli ultimi venti anni, hanno effettuato è eloquente mentre che la parte, nel finale secondo, tocchi un paio di volte il do è poco significativo.
Ma è il personaggio, che faceva accorrere tutte le dive del tempo e, aggiungo, le faceva correre esercitando i diritti dello status di primadonna.
E le faceva accorrere perché offriva tutte le situazioni paradigma di tragicità secondo gusto e cultura del tempo. Nessuna esclusa, e spesso esplicitate da invenzioni musicali grandiose.
Desdemona entra e canta un duettino dolcissimo, inspirato a quelli della vecchia scuola napoletana, che tanto esaltavano Stendhal, che consentiva alla Senora Colbran di scaldare la voce (salvo che in Elisabetta la Cobran non ebbe mai una cavatina di sortita nelle parti scritte da Rossini) e su cui caddero gli ovvi strali delle altre prime donne. Fra cui Giuditta Pasta, che interpolava previi cambiamenti testuali e accomodi di un tono e mezzo la cavatina di Malcolm de "La donna del lago". Negli ascolti offriamo la cabaletta eseguita, debitamente alzata, in russo ed interpolata in "Cenerentola" da Zara Doulukanova per far capire come potesse essere l’approccio. Anche la cavatina di Malcolm è la declinazione di un brano di sapore elegiaco e struggente. Quel che canta il giovane innamorato scozzese ben si presta alla fanciulla veneziana. Il momento drammaturgico è salvo.
Poi la fanciulla cambia corda e diviene tragedienne nel finale primo di grande ampiezza e dove Desdemona di fatto è chiamata a fare la protagonista. In gergo teatrale "tira" il concertato.
Al secondo atto ed al terzo atto è esemplificato quel che per gli uomini di teatro dell’800 doveva essere la primadonna tragica. Desdemona irrompe in una sfida, fra le più ardue e teatrali, che la scena musicale conosca e siccome non può competere a suon di acuti con Rodrigo ed, in parte con Otello lo fa, dapprima, a suon di accento veemente cantando "Ahime fermate", poi di accento addolorato e commosso nell’andante "Che fiero punto è questo" ed, infine, a suon di ornamentazioni complesse eseguendo "Fra tante smanie e tante". Insomma alla prima donna è dato il diritto dovere di sfoggiare il proprio bagaglio sia tecnico che interpretativo.
Non contenta Desdemona e, qui, diventa la vera protagonista dell’opera chiude l’atto con una grandissima scena tragica bipartita con coro ed altri personaggi dediti ai "pertichini".
E’ la prima di questo genere che troverà ulteriore espressione in Rossini, ma anche in Donizetti (finale di Fausta, di Borgia e scena di Elena Faliero, non per nulla parti pensate per altrettante famosissime Desdemone: Ronzi, Meric Lalande e Grisi, Giulia, naturalmente).
Al terzo atto Desdemona, complice l’atmosfera notturna, il presago di fine imminente è destinataria di una complessa canzone. Brano musicalmente irripetibile (e questo è scontato), talmente famoso da meritare e ripetute parodie (alludo all’ "assisa a piè di un sacco" di Mamma Agata nelle Inconvenienze), amatissimo dal suo autore, che lo eseguiva in concerto, pare, con una splendida voce in falsettone ed, infine, esempio di come Rossini intervenisse sul testo di una brano strofico. Devo anche aggiungere che Rossini, conscio che la scrittura fosse marcatamente centrale non giovasse a molti soprani nell’arco della sua vita provvide più volte di varianti l’aria. Sono, infatti, note quelle per Giulia Grisi, la Desdemona di riferimento fra il 1835 ed il 1855 a Parigi e Londra.
Solo che poi Desdemona chiusa l’estasi lirica della canzone del salice, ritorna ad esprimersi in stile grande agitato e quando entra nella stanza Otello, disperato e pronto all’uxoricidio Desdemona utilizza il canto di agilità "non arrestare il colpo, vibralo", quale manifestazione dell’istinto autodistruttivo e suicida. In questo precedendo il parossismo religioso-autopunitivo di Anna Erisso.
E siccome le fantasmagorie del canto di agilità a tutti gli eccessi dell’animo umano si prestano vi fu anche la versione (romana, se non erro del 1817) che inserì, dopo il necessario chiarimento fra i coniugi, il lieto fine, che del melodramma serio sino a Rossini era un’altra irrinunciabile, o quasi, caratteristica.
Gli ascolti
Rossini - Otello
Atto I
Vorrei che il tuo pensiero - Virginia Zeani & Anna Reynolds
O quante lagrime (cabaletta della scena interpolata da Giuditta Pasta) - Zara Dolukhanova
Atto II
Ah, vieni! Nel tuo sangue - Rockwell Blake, Chris Merritt & June Anderson
Che smania, ohimé, che affanno - Lella Cuberli
Atto III
Assisa à piè d'un salice - Marilyn Horne
Non arrestare il colpo - Eileen Farrell & Thomas Hayward, June Anderson & Chris Merritt
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