Di ritorno dai Puritani di Bologna, le nostre considerazioni su una produzione che ha come principale motivo d'interesse la presenza di Juan Diego Flórez, al debutto italiano nel titolo e alla terza prova nell'opera (dopo Las Palmas 2004 e Vienna 2005).
Nemmeno in questa lussuosa occasione ha trovato la sua esecuzione di riferimento la recente edizione critica dei Puritani di Bellini. Nella sua originaria versione parigina, l’opera continua, infatti, a rappresentare uno scoglio ingestibile, nella sua monumentale integrità, per i cantanti del giorno d’oggi, sia che si tratti di divi consumati o di aspiranti tali. Mentre il programma di sala ingannevolmente afferma agli spettatori che “ …in questa edizione potremo ascoltare tre passi “riaperti”: un terzetto (atto I scena X) per Arturo Enrichetta e Riccardo, “Se il destino a me t’invola”; una parte del duetto Elvira Arturo ( atto III scena II ) a partire dalle parole “Ah perdona ell’era misera” e l’intero Andante sostenuto cantabile “ Da quel dì che ti mirai”. Ultima aggiunta la cabaletta a due per Elvira e Arturo ( atto III scena III ) nel finale ultimo, “Ah sento o mio bell’angelo”…) (Programma di sala, pag. 11, autore G. Gavazzeni), lo scorrere della serata dimostra come la dura realtà dell’andare in scena abbia imposto al celebre tenore come alla sua giovane compagna di viaggio di mettere da parte velleità ed ambizioni e rassegnarsi ad una riduzione sensibile delle rispettive parti, soprattutto per quanto riguarda il terribile terzo atto. Sicchè l’agognata “edizione critica”, indispensabile marchio “culturale” da porre sui cofanetti dei dvd e nei curricula delle carriere dei più giovani, si è semplicemente tradotta nella ricollocazione dell’originario terzetto che precede il finale primo ( Arturo Enrichetta Riccardo) e nella riproposizione, quale “cabaletta a due” e non più per soprano solo, dell’”Ah sento o mio bell’angelo” in chiusa d’opera. Il tutto a fronte di alcuni tagli vistosi, tra cui, nota più dolente di tutte, per non dire dvvero snaturante della sua essenza musicale e drammaturgica, la vasta amputazione del duettone finale ( ove non solo non è stato riaperto alcun taglio, ma si è anche dimezzato quanto di prassi da sempre, e per questo cut si rimanda all’incisione Filippeschi Pagliughi, Previtali ); la sezione finale della seconda strofa dell’aria di Arturo al terzo atto; parte della Polacca di Elvira; parte della sezione finale del duetto Riccardo-Giorgio. Di modo che, come al solito nel nostro presente, alla novità di alcuni elementi di tutto interesse ha fatto da contraltare un’operazione di “sartoria” dello spartito di fronte alla quale paiono ben poca cosa quelle che operava l’augusto avo del curatore del programma di sala! E questo tralasciando, poi, gli aspetti di quella che dovrebbe essere anche la componente “vociologica” (permettetemi il termine) della filologia musicale, poiché in una edizione che pretenda di dirsi ”critica” occorre rispettare, e non tradire, come in questo caso, le corrette modalità del canto del tempo (a cominciare da quella cosa chiamata “emissione stilizzata”, fondamentale nel belcanto ma oramai dimenticata, assieme a tutta una serie di altre “pretese” da melomani rétro come noi, per nulla interessati ai begli occhi del soprano o alla silhouette del tenore, ma al mero canto ). Ma andiamo con ordine.
Sarebbe noioso riproporre considerazioni sullo storico quartetto della prima parigina, nonché le notizie, che già vi ha qui fornito direttamente il curatore dell’edizione critica, prof. Della Seta, circa la genesi di questa opera e la sua edizione critica. Ne abbiamo parlato ampiamente e ritroverete gli argomenti in alcuni post precedenti.
Delle quattro voci scelte dal teatro bolognese solo D’Arcangelo aveva, a mio avviso, le carte in regola per i Puritani, ma nemmeno lui poi ha saputo convincere.
Flórez è per sua propria natura voce leggera, priva del corpo come degli armonici necessari. Canta Arturo per coté di carriera, per imposta necessità a chi vuol essere stella belcantista da star system, ma è intimamente Lindoro, Idreno, don Narciso, al limite Ernesto ( e in questo non v’è niente di male….ognuno ha la natura vocale che ha). Gli mancano la voce e la “potenza” necessaria nel canto belliniano, sia nei momenti eroici che in quelli lirici, ove canta bene, con eleganza ma….in maniera evidentemente inadatta. Anzi, canta con quella “maniera” che già altre volte abbiamo criticato. Si è presentato con voce lunga, facile alla tessitura vertiginosa come allo sfogo nei sopracuti, con una linea di canto pulitissima e nitida, fatto che gli fa grande onore dopo il brutto Rigoletto. E va ammirato soprattutto per la sua capacità di reazione. E per quanto la voce sia molto ridotta di volume, resta di gran lunga il migliore della serata, data anche la capacità dimostrata nel “resistere” ad un ruolo che sfianca. Il ruolo è sempre stato inadatto a lui, e di qui i robusti tagli, eccessivi quelli del terzo atto. La cavatina è stata uno dei momenti migliori della sua serata, perché è elegante ed ancora facile in alto, ad onta di un do diesis non sicurissimo e di alcuni fiati un po’ corti. E' mancato un legato di vera qualità nei passaggi la-re tipo “A te o CA-RA, amor TALO-RA “ e le forcelle, che sono un po’ il suo handicap per forza di cose, non sono risultate ben udibili per mancanza di cavata della voce. Ingiusti gli sparsi buu dall’alto. Anche se non è da escludere che si sia trattato di una reazione all'invadenza dei plauditores.
Flórez ha poi sofferto vistosamente nei momenti di forza per assenza di peso, a cominciare dal recitativo con Enrichetta come al successivo duetto della sfida, ove frasi come ”Sprezza audace..” fanno sembrare il suo timbro infantile. Ha puntato bene in alto le frasi, assai faticose per la sua voce, “ Non temo il tuo furore..ti sprezzo…”, che molto gli costano: si è controllato bene, però, senza spingersi a forzare o gridare. Un po’ di fatica nella tessitura acuta del terzetto, cantato, però, con bel lirismo, a meno di qualche attacco scoperto a voce un po’ troppo piena ed una mezza stecca, che può capitare.
Non ha potuto barare, invece, alla grande aria del terzo atto, opportunamente scorciata, come già altri tenori in passato, da Filippeschi ad Araiza, in questo caso della sezione “ Sempre uguali ha i luoghi e l’ore “ ( battute 442-458 ) della seconda strofa, ove Bellini, stando alle numerose messe di voce e legature, richiede ulteriore ampiezza nella linea di canto. Il brano si addice ad una voce importante, per poter dare vero senso a malinconia, nostalgia, doloroso ricordo insite nella nenia belliniana. L’accento è pertinente, ma Florez arriva a questo punto evidentemente stanco e l’aria è pesante per la sua voce: il canto è risultato leggero e manierato, le forcelle scritte anche in questo caso appena abbozzate. E non ho potuto fare a meno di pensare alla convenienza che avrebbe Florez a praticare Les Pêcheurs de Perles, La dame blanche, Le Postillon de Lonjumeau, la Manon di Auber….. Anche il recitativo all'inizio del terzo atto, ad essere più precisi, è stato eseguito con slancio e proprietà di intenzioni, ma anche con la voce di Ramiro che entra in casa di Don Magnifico. E per inciso è questo recitativo uno dei pochi punti (assieme all'attacco di "Nel mirarti un solo istante" e alle primissime battute del "Credeasi misera") in cui Flórez ha cantato a voce piena in un terzo atto giocato in evidente difesa. Il successivo duetto con Elvira, abbiamo detto, è stato davvero troppo tagliato. Se ne è eseguita la metà circa. Per fortuna! Come da tradizione si è eliso l’annunciato “Da quel dì che ti mirai” ( battute 560-717 ) , ma si è pure tagliata parte della prima strofa di Elvira del “Vieni, vieni tra queste braccia”, per attaccare già sul “Ah deh vieni, vien tel ripeto t’amo” quella che è la sezione finale della ripresa a due voci del brano, ove Arturo canta, tra l’altro, una terza sopra alla sua prima scrittura ( battute 795-838). Gli acuti restano facili, compreso il re naturale prescritto, ma lo slancio di un Pavarotti o di un Kraus, oppure la varietà di accento di certi dischi a 78 giri, appartengono ad un altro pianeta. Ed ad un’altra opera! La fatica è stata tantissima, e la voce è parsa spesso al limite. Né la musica è potuta cambiare al tremendo finale, cantato con tanta fatica, acuti facili ma deficit di ampiezza e di dinamica: il brano è eseguito con logica prevalenza di lirismo, ma frasi come “ ..l’ira frenate..” non sono per nulla liriche , o lo possono essere solo se le approccia una voce corposa e piena. Ed alla fine resta solo una domanda: perché Flórez non dà una svolta opportuna al suo repertorio? Certa opera francese attende questo grande tenore: là stanno da tempo le sue opere ed è ora di cantarle!
Nino Machaidze non possiede qualità tecniche e men che meno timbriche, se queste abbiano mai importanza nel belcanto, per cantare Elvira. I problemi tecnici ve li descrivemmo chiaramente allorquando fu Amina in quel di Genova l’anno passato, e vi rimandiamo a quella recensione, dato che nulla è cambiato. L’interprete, invece, è pertinente nei suoi intenti, ad onta di un portamento scenico non da grande primadonna quale è Elvira.
A parte il fuori scena iniziale della chiesa, ha avuto da subito le sue belle gatte da pelare. Il duetto con Giorgio è caratterizzato da grande slancio, con virtuosismo di chiara ascendenza rossiniana, da eseguire di forza. La voce è arrivata subito acida e vetrosa al centro sin dalle prime battute “ Sai com’arde il petto mio..”, offuscata e a tratti proprio afona in ottava bassa, ove il passaggio di registro non gira come dovrebbe. I primi acuti sono stati anch’essi striduli: note chiave della serata i la bem e la nat tenuti ( ve ne sono svariati scritti ), una vera croce per la giovane georgiana. Sulla coloratura di forza prescritta per frasi tipo “…di dolor io morirò, di dolor…” si è arrangicchiata in qualche modo, incespicando sui lunghi trilli ( altro punto debole ) prescritti sul mi-la nat di “ dolor amor”. Un grido il la nat di “..Ah padre mio..”.
La polacca, tagliata nella sezione centrale ( 208-226 ) e nelle code, è stata eseguita a bella e giusta velocità, ma in modo impreciso, a cominciare sin dal gruppetto previsto in seconda battuta di ingresso, quindi il trillo maldestro scritto sul fa diesis di “rose”, poi quella scritta su “..monil, del bel monil…” e di lì un po’ tutta la coloratura successiva, compreso il sopracuto in chiusa. Il finale primo, eseguito a meno delle tradizionali ma non scritte puntature ai re naturali, ha messo in evidenza i problemi timbrici del registro acuto, nelle salite al do di “Ah vieni..”: la voce è sonora, ma non corposa, almeno non quanta ne serve ad una vera grande Elvira.
Quanto alla scena di pazzia all’atto secondo atto, ha cercato costantemente di cantare piano e dolce dando rilievo espressivo a frasi come “…ah mai più qui assorti insieme…”, ma le difficoltà a legare i suoni al centro han finito col penalizzarla. Mariotti l’ha assecondata al massimo, facendo quasi sparire l’orchestra in alcuni punti, ma l’assenza di cavata necessaria e prescritta da Bellini in frasi come “ ancor tu sai che un cor fido…” è venuta fuori con chiarezza. L’effetto è stato quello di un certo torpore, persistente anche nelle battute di conducimento prima della cabaletta, che meriterebbero di essere ravvivate. La cabaletta chiama in causa ancora il virtuosismo di forza che, pedonatemi!, mi rese tanto celebre all’epoca: spariscono subito i segni di corona scritti sul “ vien ti posa vien ti posa sul mio cuor “, le serie di quartine discendenti sono eseguite alla comemiviene e senza purezza, i trilli lasciamoli perdere assieme al sopracuto in chiusa. Insomma, qui di grande virtuosa non se ne parla proprio, nonostante quel che ci vogliono far credere i signori del management. Quanto al duetto del terzo atto, anche la signora Machaidze ha beneficiato, come Flórez, della forbice della provvidenza, che le ha scontato un bel tocco della sua parte del “vieni vieni fra queste braccia”. Arrivataci stanca, come il suo partner, ha cantato con un accento dolente molto commovente, ma, ahimè, il timbro, per la stanchezza e la tensione, e la qualità del legato sono parsi improbabili. Ciononostante, evidentemente in grazia e della freschezza data dalla giovane età e della scelta di spingere regolarmente i suoni, la signora è riuscita a coprire in più di un punto il tenore nei passi a due. Quanto al senso generale di questa Elvira, non possiamo non sottolineare, come per Florez, la mancanza di peso vuoi lirico-tragico vuoi virtuosistico: Elvira è ben altro che una ragazzina un po' querulina, bensì primadonna completa, con tanto di fascino ed eleganza, caratterizzata da anche da vero vigore drammatico. Il risultato complessivo è stato, per forza di cose, troppo "mignon" per essere accettabile e corretto a valle della belcanto renaissance.
Gabriele Viviani, di solida natura e con voce corposa, facile in acuto ma vistosamente limitato in basso, ha cercato di cantare con accuratezza e dolcezza, ma l’emissione non è stilizzata, spesso vistosamente nasale. Il canto resta punto elegante, e talora anche greve. Nell’aria del primo atto si sono sentite alcune grossolanità anche vistose, come la pausa, non scritta per andare a prendere il mi bem nella coloratura scritta legata di “..alla vita che s’avanza…” e nella corrispondente battuta della seconda strofa. Ma, soprattutto, l’esecuzione è stata piatta e senza colori. Semplificata la cadenza di Bellini, eseguita alla bell’e meglio.
In cabaletta ( terrificante il pertichino del secondo tenore) è stato abbastanza preciso, pur omettendo le quartine vocalizzate della sezione finale, ma, soprattutto, sempre monotono e inelegante.
Al famoso terzetto con Arturo ed Enrichetta gli è stato giustamente richiesto di cantare piano, quasi di sussurrare il pedale alla trenodia del tenore, ma la voce è parsa fuori fuoco, posto che la tessitura è altissima. Nulla di speciale al duetto con il basso, cantato in modo troppo verista e nemmeno molto preciso nella scrittura (e senza contare il taglio di una decina di battute, dalla 317 alla 327).
Ildebrando d’Arcangelo ha cantato con voce bassa, troppo bassa ed ingolata per il suo stesso standard. E’ parso correttissimo nel duetto con Elvira al primo atto, anche nell’esecuzione musicale, ma monotono e un po’ greve, a causa… dell’emissione. Senescente. Anche per lui marcata afonia all'ottava bassa.
Al secondo atto “Cinta di fiori” è stata eseguita con troppa pesantezza, complice anche Mariotti. Nessun colore, nessun accento dolente, nulla. Di nuovo tanta monotonia, pure con qualche frase a voce ballante. Il duetto con Viviani in affanno. Una prova inaspettata da lui.
Terribile il Bruno di Gianluca Floris, un po' meglio il Gualtiero di Ugo Guagliardo, corretta ma priva di slancio e microbica l'Enrichetta di Nadia Pirazzini. Ma pretendere la perfezione dei comprimari, in una compagnia che quasi al completo ignora che cosa sia una voce proiettata, sarebbe grottesco.
La prova, osannata dal pubblico, di Michele Mariotti è stata a luci ed ombre, caratterizzata proprio dalla discontinuità. Le luci sono arrivate, come spesso nei giovani direttori odierni, ove era necessario mettere in primo piano il lirismo, i toni estatici e sognanti. Le ombre, invece, laddove era necessario sostenere con l’orchestra la tensione drammaturgica, dar forza e vigore drammatico all’azione, sottolineare i toni epici e cavallereschi. Esempi: l'inizio dell'opera, in cui nulla faceva pensare alla solennità dell'alba, l’apertura dell’atto secondo, mollissima e noisa; la scena del temporale all’atto terzo, ove non è riuscito ad essere davvero corrusco e spaventoso, oppure nella terribile marcetta, che sarebbe un “Allegro maestoso sostenuto”, che inframezza l’aria di Arturo: che passassero di lì dei “furenti” è stato davvero difficile crederlo. A reggere bene e con convinzione l’azione drammaturgica, poi, gli è riuscito, ma molto bene, nel duetto del primo atto Elvira-Giorgio, con fuori scena suggestivi e begli effetti prospettici e la prima sezione del duetto Giorgio Riccardo, con epica e piglio veri. In altri momenti ha ripiegato su “effetti” molto riusciti, come il clima sospeso del ripristinato terzetto del primo atto. Ho trovato, invece, monotonia e pesantezza in altre parti, come nel coro iniziale dell’opera, oppure nel mix alterno di belle sonorità e inerzia nell’ingresso di Arturo, come pure nel finale primo, con una introduzione molto bella seguita da momenti letargici sulle frasi del coro “ Demente vivrà”, oppure una chiusa veloce molto, troppo meccanica; o nel “Suoni la tromba intrepido”, staccato con bella velocità ma un po’ bandistico.
L’orchestra, inoltre, non ha avuto sempre un bel suono, un po’ di fragore di piatti, qualche fracasso qua e là, intonazione precaria dei fiati soprattutto all'ultimo atto. Insomma una prova alterna, di certo servizievolissima verso i cantanti ( basti pensare alla pazzia di Elvira), di un giovane di belle speranze, spinto un po’ troppo in alto e un po' troppo in fretta per la sua effettiva resa.
Veniamo allo spettacolo di Pier'Alli, il solo che alla fine non benefici delle ovazioni del pubblico, beccandosi qualche fischio a nostro parere ingiustificato. Il regista-scenografo-costumista crea una scena tutta giocata sui toni del grigio e del blu, con begli effetti di luce soprattutto nel duetto atto primo Giorgio-Elvira, al terzetto nel finale primo (con i personaggi isolati da tre proiettori stile Sandro Sequi) e nell'introduzione al terzo atto, risolta con un suggestivo controluce. A scene anche troppo stilizzate e rarefatte si contrappongono costumi ligi alla tradizione, ancora una volta giocati sul grigio-blu scuro, con l'unica macchia bianca costituita dai costumi di Elvira. Già visti i simboli ricorrenti (pugnali che calano dall'alto a mo' di colonne, porte automatiche, proiezioni di cieli foschi che nel finale si rasserenano), così come i gesti rituali del coro, per il quale pare valere la regola cara a Beppe de Tomasi, "si entra da destra, si canta e si esce da sinistra e viceversa" e che per il resto non esce da figurazioni simmetriche e spesso rimane in scena nella totale immobilità. Certo si poteva fare di più per i solisti, che, salvo Viviani e in parte d'Arcangelo, abbandonati a loro stessi tendono ad abbassare un pochino troppo l'età dei loro personaggi, sortendo un curioso effetto di bambini che giocano a fare i grandi. Davvero censurabile la scena della pazzia, con Elvira circondata da prefiche velate di nero che recano in mano, al posto delle tede di classica memoria, più prosaiche lampade ad olio.
Nel complesso, e sintetizzando, uno spettacolo che onora ben poco Bellini e poco aggiunge al percorso artistico del divo per il quale è stato montato, malgrado il rilievo che Flórez viene ad assumere in un cast in cui tutti, ma proprio tutti, sono almeno due spanne sotto di lui. E uno spettacolo sul quale grava l'ombra dell'affaire Mosuc, ben noto e doviziosamente commentato in molti fori specializzati.
Giulia Grisi & Antonio Tamburini
Gli ascolti
Bellini - I puritani
Atto I
Ah! Per sempre io ti perdei...Bel sogno beato - Ernest Blanc (Bonynge - 1963)
O amato zio...Sai com'arde in petto mio - Margherita Rinaldi & Paolo Washington (Ceccato - 1969)
A te o cara - Francisco Araiza (Soltesz - 1987)
Son vergin vezzosa - Gianna D'Angelo (con Kraus, Arié, Granados - Wolf-Ferrari - 1967), Anna Maccianti (con Kraus, Gaetani, Fortunato - Zani - 1970), Adriana Maliponte (con Kraus, Raimondi, Di Stasio - Gavazzeni - 1972)
Dov'è Arturo?...Ah, vieni al tempio - Lina Pagliughi (Previtali - 1952), Anna Moffo (Rossi - 1959), Anna Maccianti (Zani - 1970), Adriana Maliponte (Gavazzeni - 1972)
Atto II
Oh rendetemi la speme...Qui la voce sua soave...Vien diletto - Anna Moffo (Rossi - 1959), Margherita Rinaldi (Ceccato - 1969), Adriana Maliponte (Gavazzeni - 1972)
Atto III
Son salvo, alfin...Corre a valle - William Matteuzzi (con Mariella Devia - Bonynge - 1989)
Finì, me lassa!...Nel mirarti un solo istante...Vieni fra queste braccia - Anna Moffo & Gianni Raimondi (Rossi - 1959), Anna Maccianti & Alfredo Kraus (Zani - 1970)
Ah! Sento, o mio bell'angelo - Lucia Aliberti (Luisi - 1988)
Nemmeno in questa lussuosa occasione ha trovato la sua esecuzione di riferimento la recente edizione critica dei Puritani di Bellini. Nella sua originaria versione parigina, l’opera continua, infatti, a rappresentare uno scoglio ingestibile, nella sua monumentale integrità, per i cantanti del giorno d’oggi, sia che si tratti di divi consumati o di aspiranti tali. Mentre il programma di sala ingannevolmente afferma agli spettatori che “ …in questa edizione potremo ascoltare tre passi “riaperti”: un terzetto (atto I scena X) per Arturo Enrichetta e Riccardo, “Se il destino a me t’invola”; una parte del duetto Elvira Arturo ( atto III scena II ) a partire dalle parole “Ah perdona ell’era misera” e l’intero Andante sostenuto cantabile “ Da quel dì che ti mirai”. Ultima aggiunta la cabaletta a due per Elvira e Arturo ( atto III scena III ) nel finale ultimo, “Ah sento o mio bell’angelo”…) (Programma di sala, pag. 11, autore G. Gavazzeni), lo scorrere della serata dimostra come la dura realtà dell’andare in scena abbia imposto al celebre tenore come alla sua giovane compagna di viaggio di mettere da parte velleità ed ambizioni e rassegnarsi ad una riduzione sensibile delle rispettive parti, soprattutto per quanto riguarda il terribile terzo atto. Sicchè l’agognata “edizione critica”, indispensabile marchio “culturale” da porre sui cofanetti dei dvd e nei curricula delle carriere dei più giovani, si è semplicemente tradotta nella ricollocazione dell’originario terzetto che precede il finale primo ( Arturo Enrichetta Riccardo) e nella riproposizione, quale “cabaletta a due” e non più per soprano solo, dell’”Ah sento o mio bell’angelo” in chiusa d’opera. Il tutto a fronte di alcuni tagli vistosi, tra cui, nota più dolente di tutte, per non dire dvvero snaturante della sua essenza musicale e drammaturgica, la vasta amputazione del duettone finale ( ove non solo non è stato riaperto alcun taglio, ma si è anche dimezzato quanto di prassi da sempre, e per questo cut si rimanda all’incisione Filippeschi Pagliughi, Previtali ); la sezione finale della seconda strofa dell’aria di Arturo al terzo atto; parte della Polacca di Elvira; parte della sezione finale del duetto Riccardo-Giorgio. Di modo che, come al solito nel nostro presente, alla novità di alcuni elementi di tutto interesse ha fatto da contraltare un’operazione di “sartoria” dello spartito di fronte alla quale paiono ben poca cosa quelle che operava l’augusto avo del curatore del programma di sala! E questo tralasciando, poi, gli aspetti di quella che dovrebbe essere anche la componente “vociologica” (permettetemi il termine) della filologia musicale, poiché in una edizione che pretenda di dirsi ”critica” occorre rispettare, e non tradire, come in questo caso, le corrette modalità del canto del tempo (a cominciare da quella cosa chiamata “emissione stilizzata”, fondamentale nel belcanto ma oramai dimenticata, assieme a tutta una serie di altre “pretese” da melomani rétro come noi, per nulla interessati ai begli occhi del soprano o alla silhouette del tenore, ma al mero canto ). Ma andiamo con ordine.
Sarebbe noioso riproporre considerazioni sullo storico quartetto della prima parigina, nonché le notizie, che già vi ha qui fornito direttamente il curatore dell’edizione critica, prof. Della Seta, circa la genesi di questa opera e la sua edizione critica. Ne abbiamo parlato ampiamente e ritroverete gli argomenti in alcuni post precedenti.
Delle quattro voci scelte dal teatro bolognese solo D’Arcangelo aveva, a mio avviso, le carte in regola per i Puritani, ma nemmeno lui poi ha saputo convincere.
Flórez è per sua propria natura voce leggera, priva del corpo come degli armonici necessari. Canta Arturo per coté di carriera, per imposta necessità a chi vuol essere stella belcantista da star system, ma è intimamente Lindoro, Idreno, don Narciso, al limite Ernesto ( e in questo non v’è niente di male….ognuno ha la natura vocale che ha). Gli mancano la voce e la “potenza” necessaria nel canto belliniano, sia nei momenti eroici che in quelli lirici, ove canta bene, con eleganza ma….in maniera evidentemente inadatta. Anzi, canta con quella “maniera” che già altre volte abbiamo criticato. Si è presentato con voce lunga, facile alla tessitura vertiginosa come allo sfogo nei sopracuti, con una linea di canto pulitissima e nitida, fatto che gli fa grande onore dopo il brutto Rigoletto. E va ammirato soprattutto per la sua capacità di reazione. E per quanto la voce sia molto ridotta di volume, resta di gran lunga il migliore della serata, data anche la capacità dimostrata nel “resistere” ad un ruolo che sfianca. Il ruolo è sempre stato inadatto a lui, e di qui i robusti tagli, eccessivi quelli del terzo atto. La cavatina è stata uno dei momenti migliori della sua serata, perché è elegante ed ancora facile in alto, ad onta di un do diesis non sicurissimo e di alcuni fiati un po’ corti. E' mancato un legato di vera qualità nei passaggi la-re tipo “A te o CA-RA, amor TALO-RA “ e le forcelle, che sono un po’ il suo handicap per forza di cose, non sono risultate ben udibili per mancanza di cavata della voce. Ingiusti gli sparsi buu dall’alto. Anche se non è da escludere che si sia trattato di una reazione all'invadenza dei plauditores.
Flórez ha poi sofferto vistosamente nei momenti di forza per assenza di peso, a cominciare dal recitativo con Enrichetta come al successivo duetto della sfida, ove frasi come ”Sprezza audace..” fanno sembrare il suo timbro infantile. Ha puntato bene in alto le frasi, assai faticose per la sua voce, “ Non temo il tuo furore..ti sprezzo…”, che molto gli costano: si è controllato bene, però, senza spingersi a forzare o gridare. Un po’ di fatica nella tessitura acuta del terzetto, cantato, però, con bel lirismo, a meno di qualche attacco scoperto a voce un po’ troppo piena ed una mezza stecca, che può capitare.
Non ha potuto barare, invece, alla grande aria del terzo atto, opportunamente scorciata, come già altri tenori in passato, da Filippeschi ad Araiza, in questo caso della sezione “ Sempre uguali ha i luoghi e l’ore “ ( battute 442-458 ) della seconda strofa, ove Bellini, stando alle numerose messe di voce e legature, richiede ulteriore ampiezza nella linea di canto. Il brano si addice ad una voce importante, per poter dare vero senso a malinconia, nostalgia, doloroso ricordo insite nella nenia belliniana. L’accento è pertinente, ma Florez arriva a questo punto evidentemente stanco e l’aria è pesante per la sua voce: il canto è risultato leggero e manierato, le forcelle scritte anche in questo caso appena abbozzate. E non ho potuto fare a meno di pensare alla convenienza che avrebbe Florez a praticare Les Pêcheurs de Perles, La dame blanche, Le Postillon de Lonjumeau, la Manon di Auber….. Anche il recitativo all'inizio del terzo atto, ad essere più precisi, è stato eseguito con slancio e proprietà di intenzioni, ma anche con la voce di Ramiro che entra in casa di Don Magnifico. E per inciso è questo recitativo uno dei pochi punti (assieme all'attacco di "Nel mirarti un solo istante" e alle primissime battute del "Credeasi misera") in cui Flórez ha cantato a voce piena in un terzo atto giocato in evidente difesa. Il successivo duetto con Elvira, abbiamo detto, è stato davvero troppo tagliato. Se ne è eseguita la metà circa. Per fortuna! Come da tradizione si è eliso l’annunciato “Da quel dì che ti mirai” ( battute 560-717 ) , ma si è pure tagliata parte della prima strofa di Elvira del “Vieni, vieni tra queste braccia”, per attaccare già sul “Ah deh vieni, vien tel ripeto t’amo” quella che è la sezione finale della ripresa a due voci del brano, ove Arturo canta, tra l’altro, una terza sopra alla sua prima scrittura ( battute 795-838). Gli acuti restano facili, compreso il re naturale prescritto, ma lo slancio di un Pavarotti o di un Kraus, oppure la varietà di accento di certi dischi a 78 giri, appartengono ad un altro pianeta. Ed ad un’altra opera! La fatica è stata tantissima, e la voce è parsa spesso al limite. Né la musica è potuta cambiare al tremendo finale, cantato con tanta fatica, acuti facili ma deficit di ampiezza e di dinamica: il brano è eseguito con logica prevalenza di lirismo, ma frasi come “ ..l’ira frenate..” non sono per nulla liriche , o lo possono essere solo se le approccia una voce corposa e piena. Ed alla fine resta solo una domanda: perché Flórez non dà una svolta opportuna al suo repertorio? Certa opera francese attende questo grande tenore: là stanno da tempo le sue opere ed è ora di cantarle!
Nino Machaidze non possiede qualità tecniche e men che meno timbriche, se queste abbiano mai importanza nel belcanto, per cantare Elvira. I problemi tecnici ve li descrivemmo chiaramente allorquando fu Amina in quel di Genova l’anno passato, e vi rimandiamo a quella recensione, dato che nulla è cambiato. L’interprete, invece, è pertinente nei suoi intenti, ad onta di un portamento scenico non da grande primadonna quale è Elvira.
A parte il fuori scena iniziale della chiesa, ha avuto da subito le sue belle gatte da pelare. Il duetto con Giorgio è caratterizzato da grande slancio, con virtuosismo di chiara ascendenza rossiniana, da eseguire di forza. La voce è arrivata subito acida e vetrosa al centro sin dalle prime battute “ Sai com’arde il petto mio..”, offuscata e a tratti proprio afona in ottava bassa, ove il passaggio di registro non gira come dovrebbe. I primi acuti sono stati anch’essi striduli: note chiave della serata i la bem e la nat tenuti ( ve ne sono svariati scritti ), una vera croce per la giovane georgiana. Sulla coloratura di forza prescritta per frasi tipo “…di dolor io morirò, di dolor…” si è arrangicchiata in qualche modo, incespicando sui lunghi trilli ( altro punto debole ) prescritti sul mi-la nat di “ dolor amor”. Un grido il la nat di “..Ah padre mio..”.
La polacca, tagliata nella sezione centrale ( 208-226 ) e nelle code, è stata eseguita a bella e giusta velocità, ma in modo impreciso, a cominciare sin dal gruppetto previsto in seconda battuta di ingresso, quindi il trillo maldestro scritto sul fa diesis di “rose”, poi quella scritta su “..monil, del bel monil…” e di lì un po’ tutta la coloratura successiva, compreso il sopracuto in chiusa. Il finale primo, eseguito a meno delle tradizionali ma non scritte puntature ai re naturali, ha messo in evidenza i problemi timbrici del registro acuto, nelle salite al do di “Ah vieni..”: la voce è sonora, ma non corposa, almeno non quanta ne serve ad una vera grande Elvira.
Quanto alla scena di pazzia all’atto secondo atto, ha cercato costantemente di cantare piano e dolce dando rilievo espressivo a frasi come “…ah mai più qui assorti insieme…”, ma le difficoltà a legare i suoni al centro han finito col penalizzarla. Mariotti l’ha assecondata al massimo, facendo quasi sparire l’orchestra in alcuni punti, ma l’assenza di cavata necessaria e prescritta da Bellini in frasi come “ ancor tu sai che un cor fido…” è venuta fuori con chiarezza. L’effetto è stato quello di un certo torpore, persistente anche nelle battute di conducimento prima della cabaletta, che meriterebbero di essere ravvivate. La cabaletta chiama in causa ancora il virtuosismo di forza che, pedonatemi!, mi rese tanto celebre all’epoca: spariscono subito i segni di corona scritti sul “ vien ti posa vien ti posa sul mio cuor “, le serie di quartine discendenti sono eseguite alla comemiviene e senza purezza, i trilli lasciamoli perdere assieme al sopracuto in chiusa. Insomma, qui di grande virtuosa non se ne parla proprio, nonostante quel che ci vogliono far credere i signori del management. Quanto al duetto del terzo atto, anche la signora Machaidze ha beneficiato, come Flórez, della forbice della provvidenza, che le ha scontato un bel tocco della sua parte del “vieni vieni fra queste braccia”. Arrivataci stanca, come il suo partner, ha cantato con un accento dolente molto commovente, ma, ahimè, il timbro, per la stanchezza e la tensione, e la qualità del legato sono parsi improbabili. Ciononostante, evidentemente in grazia e della freschezza data dalla giovane età e della scelta di spingere regolarmente i suoni, la signora è riuscita a coprire in più di un punto il tenore nei passi a due. Quanto al senso generale di questa Elvira, non possiamo non sottolineare, come per Florez, la mancanza di peso vuoi lirico-tragico vuoi virtuosistico: Elvira è ben altro che una ragazzina un po' querulina, bensì primadonna completa, con tanto di fascino ed eleganza, caratterizzata da anche da vero vigore drammatico. Il risultato complessivo è stato, per forza di cose, troppo "mignon" per essere accettabile e corretto a valle della belcanto renaissance.
Gabriele Viviani, di solida natura e con voce corposa, facile in acuto ma vistosamente limitato in basso, ha cercato di cantare con accuratezza e dolcezza, ma l’emissione non è stilizzata, spesso vistosamente nasale. Il canto resta punto elegante, e talora anche greve. Nell’aria del primo atto si sono sentite alcune grossolanità anche vistose, come la pausa, non scritta per andare a prendere il mi bem nella coloratura scritta legata di “..alla vita che s’avanza…” e nella corrispondente battuta della seconda strofa. Ma, soprattutto, l’esecuzione è stata piatta e senza colori. Semplificata la cadenza di Bellini, eseguita alla bell’e meglio.
In cabaletta ( terrificante il pertichino del secondo tenore) è stato abbastanza preciso, pur omettendo le quartine vocalizzate della sezione finale, ma, soprattutto, sempre monotono e inelegante.
Al famoso terzetto con Arturo ed Enrichetta gli è stato giustamente richiesto di cantare piano, quasi di sussurrare il pedale alla trenodia del tenore, ma la voce è parsa fuori fuoco, posto che la tessitura è altissima. Nulla di speciale al duetto con il basso, cantato in modo troppo verista e nemmeno molto preciso nella scrittura (e senza contare il taglio di una decina di battute, dalla 317 alla 327).
Ildebrando d’Arcangelo ha cantato con voce bassa, troppo bassa ed ingolata per il suo stesso standard. E’ parso correttissimo nel duetto con Elvira al primo atto, anche nell’esecuzione musicale, ma monotono e un po’ greve, a causa… dell’emissione. Senescente. Anche per lui marcata afonia all'ottava bassa.
Al secondo atto “Cinta di fiori” è stata eseguita con troppa pesantezza, complice anche Mariotti. Nessun colore, nessun accento dolente, nulla. Di nuovo tanta monotonia, pure con qualche frase a voce ballante. Il duetto con Viviani in affanno. Una prova inaspettata da lui.
Terribile il Bruno di Gianluca Floris, un po' meglio il Gualtiero di Ugo Guagliardo, corretta ma priva di slancio e microbica l'Enrichetta di Nadia Pirazzini. Ma pretendere la perfezione dei comprimari, in una compagnia che quasi al completo ignora che cosa sia una voce proiettata, sarebbe grottesco.
La prova, osannata dal pubblico, di Michele Mariotti è stata a luci ed ombre, caratterizzata proprio dalla discontinuità. Le luci sono arrivate, come spesso nei giovani direttori odierni, ove era necessario mettere in primo piano il lirismo, i toni estatici e sognanti. Le ombre, invece, laddove era necessario sostenere con l’orchestra la tensione drammaturgica, dar forza e vigore drammatico all’azione, sottolineare i toni epici e cavallereschi. Esempi: l'inizio dell'opera, in cui nulla faceva pensare alla solennità dell'alba, l’apertura dell’atto secondo, mollissima e noisa; la scena del temporale all’atto terzo, ove non è riuscito ad essere davvero corrusco e spaventoso, oppure nella terribile marcetta, che sarebbe un “Allegro maestoso sostenuto”, che inframezza l’aria di Arturo: che passassero di lì dei “furenti” è stato davvero difficile crederlo. A reggere bene e con convinzione l’azione drammaturgica, poi, gli è riuscito, ma molto bene, nel duetto del primo atto Elvira-Giorgio, con fuori scena suggestivi e begli effetti prospettici e la prima sezione del duetto Giorgio Riccardo, con epica e piglio veri. In altri momenti ha ripiegato su “effetti” molto riusciti, come il clima sospeso del ripristinato terzetto del primo atto. Ho trovato, invece, monotonia e pesantezza in altre parti, come nel coro iniziale dell’opera, oppure nel mix alterno di belle sonorità e inerzia nell’ingresso di Arturo, come pure nel finale primo, con una introduzione molto bella seguita da momenti letargici sulle frasi del coro “ Demente vivrà”, oppure una chiusa veloce molto, troppo meccanica; o nel “Suoni la tromba intrepido”, staccato con bella velocità ma un po’ bandistico.
L’orchestra, inoltre, non ha avuto sempre un bel suono, un po’ di fragore di piatti, qualche fracasso qua e là, intonazione precaria dei fiati soprattutto all'ultimo atto. Insomma una prova alterna, di certo servizievolissima verso i cantanti ( basti pensare alla pazzia di Elvira), di un giovane di belle speranze, spinto un po’ troppo in alto e un po' troppo in fretta per la sua effettiva resa.
Veniamo allo spettacolo di Pier'Alli, il solo che alla fine non benefici delle ovazioni del pubblico, beccandosi qualche fischio a nostro parere ingiustificato. Il regista-scenografo-costumista crea una scena tutta giocata sui toni del grigio e del blu, con begli effetti di luce soprattutto nel duetto atto primo Giorgio-Elvira, al terzetto nel finale primo (con i personaggi isolati da tre proiettori stile Sandro Sequi) e nell'introduzione al terzo atto, risolta con un suggestivo controluce. A scene anche troppo stilizzate e rarefatte si contrappongono costumi ligi alla tradizione, ancora una volta giocati sul grigio-blu scuro, con l'unica macchia bianca costituita dai costumi di Elvira. Già visti i simboli ricorrenti (pugnali che calano dall'alto a mo' di colonne, porte automatiche, proiezioni di cieli foschi che nel finale si rasserenano), così come i gesti rituali del coro, per il quale pare valere la regola cara a Beppe de Tomasi, "si entra da destra, si canta e si esce da sinistra e viceversa" e che per il resto non esce da figurazioni simmetriche e spesso rimane in scena nella totale immobilità. Certo si poteva fare di più per i solisti, che, salvo Viviani e in parte d'Arcangelo, abbandonati a loro stessi tendono ad abbassare un pochino troppo l'età dei loro personaggi, sortendo un curioso effetto di bambini che giocano a fare i grandi. Davvero censurabile la scena della pazzia, con Elvira circondata da prefiche velate di nero che recano in mano, al posto delle tede di classica memoria, più prosaiche lampade ad olio.
Nel complesso, e sintetizzando, uno spettacolo che onora ben poco Bellini e poco aggiunge al percorso artistico del divo per il quale è stato montato, malgrado il rilievo che Flórez viene ad assumere in un cast in cui tutti, ma proprio tutti, sono almeno due spanne sotto di lui. E uno spettacolo sul quale grava l'ombra dell'affaire Mosuc, ben noto e doviziosamente commentato in molti fori specializzati.
Giulia Grisi & Antonio Tamburini
Gli ascolti
Bellini - I puritani
Atto I
Ah! Per sempre io ti perdei...Bel sogno beato - Ernest Blanc (Bonynge - 1963)
O amato zio...Sai com'arde in petto mio - Margherita Rinaldi & Paolo Washington (Ceccato - 1969)
A te o cara - Francisco Araiza (Soltesz - 1987)
Son vergin vezzosa - Gianna D'Angelo (con Kraus, Arié, Granados - Wolf-Ferrari - 1967), Anna Maccianti (con Kraus, Gaetani, Fortunato - Zani - 1970), Adriana Maliponte (con Kraus, Raimondi, Di Stasio - Gavazzeni - 1972)
Dov'è Arturo?...Ah, vieni al tempio - Lina Pagliughi (Previtali - 1952), Anna Moffo (Rossi - 1959), Anna Maccianti (Zani - 1970), Adriana Maliponte (Gavazzeni - 1972)
Atto II
Oh rendetemi la speme...Qui la voce sua soave...Vien diletto - Anna Moffo (Rossi - 1959), Margherita Rinaldi (Ceccato - 1969), Adriana Maliponte (Gavazzeni - 1972)
Atto III
Son salvo, alfin...Corre a valle - William Matteuzzi (con Mariella Devia - Bonynge - 1989)
Finì, me lassa!...Nel mirarti un solo istante...Vieni fra queste braccia - Anna Moffo & Gianni Raimondi (Rossi - 1959), Anna Maccianti & Alfredo Kraus (Zani - 1970)
Ah! Sento, o mio bell'angelo - Lucia Aliberti (Luisi - 1988)
25 commenti:
Grazie mille per aver postato I puritani con Anna Moffo, cantante la cui prima fase di carriera è stata a mio parere straordinaria. Fin quando la voce della Moffo è rimasta leggera, e quindi timbricamente "naturale", ha regalato esecuzioni straordinarie. Come non ricordare la splendida Musetta dell'incisione Callas? Grazie mille!!!
Velluti,la Moffo era buona cantante,musicista preparata e donna molto avvenente.Quello che l´ha penalizzata é stato il suo girovagare da una parte all´altra del repertorio.Pirandellianamente parlando,si potrebbe definirla un soprano in cerca d´autore.
E di fatti parlo di "prima fase" della sua carriera... Splendide esecuzioni sono la Zerlina del 56, la Musetta del 55, i Puritani del 59 postati, la Sonnambula e la Lucia del medesimo anno. Già la Traviata di Karajan è problematica, idem la Mimì del 65 e idem la Lucia con Pretre. Assolutamente fallimentare la Carmen. Resta comunque una voce davvero bella, ben emessa e soprattutto governata da grande gusto musicale.
A cui aggiungerei una Luisa Miller ragguardevole. Meglio di lei solo la Caballé in questo ruolo. il che è tutto dire.... anche se è vero che luisa non è mai stato territorio di caccia delle grandi dive.
cari saluti a tutti.
emanuele
Andiamoci piano però colle opere francesi per quanto riguarda Florez, non sono poi così tanti i ruoli che lo aspetterebbero, vada per la Manon di Auber e Le Postillon de Lonjumeau, ma i Pescatori NO. Perchè quel repertorio esige una perfetta padronanza di una cosa che Florez non ha mai avuto : la mezzavoce. E poi è interprete monotono e previsibile, mai un guizzo, mai una sopresa, mai un fraseggio o un accento che illumini la frase di una nuova luce espressiva. Nessuna autentica personalità interpretativa, voce con pochi colori. Manca l"envergure" del fuoriclasse. La voce di Lindoro? Lindoro cioè Almaviva? Per la carità! Canterà anche bene (SOLO paragonato a quello che circola oggi), ma che si limiti oramai a cantare Fiorello!
Luisa è opera vocalmente difficilissima... Ha mietuto vittime su vittime... E non mi sembra che la Moffo possa essere esclusa dal novero delle cadute sotto il peso del ruolo. Lì la voce è a tratti vetrosa, con acuti stiracchiati e centrali e gravi afoni o infossati o gutturali o tutte e tre insieme. Credo che le uniche cantanti ucite a testa alta dal confronto sono state la Caballè e la Millo.
Semolino, a me sembra troppo categorico il tuo giudizio: d'accordo che Florez, vivaddio, ha dei limiti come tutti, ma si tratta comunque di un cantante notevole. I Puritani sono al limite per lui, ma anche i bu erano eccessivi. Posso capire che la sua sovraesposizione mediatica possa dare fastidio, ma mi pare ingiusto negargli i meriti che pure ha. Appena ascolterò la registrazione vi dirò anche le mie impressioni.
Ciao a tutti.
Caro Semolino,
credo che nella recensione ci si riferisse al Lindono dell'Italiana in Algeri.
CAri Amici,
ho conosciuto Semolino come Floreziano di ferro! Ci tengo a dirvelo...
In questo caso, dobbiamo dire che nemmeno a tutti i fans di Florez la prova dei Puritani è andata a genio.
Volevo ricordare a tutti per quanto riguarda la Moffo, che a mio avviso pure la "Magda" della "Rondine" Pucciniana merita un positivo ricordo.
In quanto a Florez, certo i Puritani li canta per la grande facilità del registro acuto, ma spiace dirlo, la mancanza di peso vocale in certe parti più drammatiche dell'opera, la monotonia del canto e dei colori in un personaggio come "Arturo" sono realmente insopportabili. Se poi vogliamo parlare del "Riccardo" (Viviani) con la prima ottava assolutamente vuota e afona, di una "Elvira" (Machaidze) che nulla di nuovo ci ha raccontato (anzi molto poco!), e di un "Giorgio" (D'Arcangelo) francamente privo di reale peso vocale, abbiamo fatto long-playng. Stendo un velo pietoso sui comprimari(che in una qualunque opera sono importanti), anche se non posso tacere di un Sir Bruno Roberton (Floris) al di la di ogni decenza (non siamo neanche alle "aste" di un primo anno di conservatorio!!!). Ma chi la scrittura sta' gente!!!
Indubbiamente il ruolo è al limite per lui e condivido in pieno le riserve su Florez in questa parte... però credo che nel suo repertorio sia comunque una personalità di rilievo... e lo dico da NON floreziano ;-)
Buona Domenica a tutti!
Grazie per il rapporto :D
Non ho visto questa nuova produzione e quindi non posso parlarne. Comunque visto che siete sempre cattivi con tutti i cantanti sotto 60, ho un dubbio - piccolino pero ci sta.
Voi non siete contenti mai ed ai giovanni non piaciono queste scene di altri tempi e i cantanti che per voi cantano e per loro abbaiano. Non e sorprendente che i teatri italiani muoiono...
In ogni caso tutto quello mi pare ben triste :-(
Caro/a Dolcevita, non siamo "cattivi" noi, sono titoli come i Puritani che sono "cattivi" con i cantanti che pretendono di affrontare parti monstre senza avere voci e soprattutto risorse tecniche adeguate.
Sappiamo bene che in Spagna (da dove tu ci scrivi, se non erro) va di moda definire Hipólito Lázaro un urlatore... magari per esaltare un cantante mignon come Flórez. E magari fra un po' sentiremo dire che la Sutherland strillava, e la Machaidze invece... Ma chi sta facendo morire il teatro d'opera? Chi non s'inchina ai presunti fenomeni del presente o chi getta fango sui monumenti del passato, magari senza averli neppure ascoltati?
E parli dei teatri italiani? Ma se la Spagna è da decenni, per tradizione, il cimitero degli elefanti!!!
http://www.goear.com/files/external.swf?file=d20c20e
Vi propongo l'ascolto del Arturo del secondo cast: Celso Albelo. Albelo vanta timbro sonoro e brillante (potrebbe essere di più, però), fraseggio di slancio (è da comparare con Flórez il suo "poi vi straziate di crudeltà") e acuti securi (magari rischiosi: c'è da migliorare). Ricorre al falsetto rinforzato (un po biancastro) per cantare il fa sovracuto e sembra un po irregulare nel intervalo fa-do, ma penso che sia una interpretazione molto valida.
Aspetto il vostro pensier!
Saluti
Ciao Gino,
un'amica ci ha fornito la registrazione quasi integrale della recita con Albelo.
Ti dirò che mi ha un poco deluso: c'è un legato maggiore rispetto a Florez e la voce cerca di suonare eroica, ma anche suoni malfermi, d'intonazione precaria, e una dinamica limitata, quasi sempre sul forte. Il fa sovracuto... teniamo presente che Rubini lo faceva in falsettone, quindi non è strano che, facendolo a piena voce (magari perché non lo si sa fare in falsettone), risulti una nota forzata e "slegata" dal resto. A ogni modo ho intenzione di assistere alla recita di venerdì prossimo e di verificare dal vivo quanto sia grande la voce e soprattutto come si espanda in sala.
Ciao,
AT
CAra Dolcevita,
per Florez si tratta di un fuori repertorio. Se lo era per Matteuzzi, se Blake era al limite, come può non esserlo per Florez?
Non mi piace sapere, come mi hanno riferito,che il commentatore RAI, che mi pare lavori anche in un ufficio stampa di un teatro italiano ( sicchè non è giornalista diciamo...di costume, ma dell'ambiente) vada affrmando che sol Florez al mondo può cantare questa opera, perchè NON E' VERO !
Li canta meglio Osborn, li canta meglio Mukeria, sino a poco fa licantava meglio anche Bros, se vogliamo parlare di una vocina esile, ma dotata di maggior penetrazione.
Il diritto di informazione impone l'obbiettvità. E la sopravvalutazione alla lunga stanca e.....si paga.
Ho ascoltato il "Credeasi misera" di Celso Abelo su http://escuchaopera.blogspot.com/.
Un po' pochino per giudicare un Arturo, ma azzarderei queste impressioni:
- timbro discreto, e anche abbastanza pieno, virile;
- dizione e pronunzia apprezzabili;
- fraseggio abbastanza composto, con un paio di lievissime sottolineature di troppo;
- facilità che si direbbe irrisoria negli estremi acuti (a volte però queste voci estesissime hanno qualche inceppo nei primi acuti);
- il mitico fa è preso con sufficiente disinvoltura; non so se sia il caso di parlare di falsettone, ma non è nemmeno un suono bianco di falsetto;
- dopo la stratosferica nota, ridiscende dalle vette del pentagramma in un modo che poteva esporre a stecche terribili, invece se la cava assai bene;
- il "perfidi" nel finale d'aria non è intonatissimo, ma ci può anche stare.
Insomma, un tenore da riascoltare in un'opera intera. Con quel che passa il convento, comunque, pare abbia qualcosina in più di tanti strobazzatissimi divi.
Spero a breve di leggere un giudizio dei sommi critici del nostro corriere su questo giovane, valutato su una intera recita.
Caro Gsbriele, venerdì ci saremo. E appena possibile scriveremo di Albelo e anche di Ivan Magrì, da noi già udito nel Faliero bergamasco, che ieri ha cantato nella prima delle due recite di Puritani della Scuola dell'Opera Italiana del Teatro Comunale di Bologna (replica domani sera).... Insomma, di questi Puritani "c'è tempo a riparlarne" :)
Scusa Antonio, ma dove si parla di Spagna qui??? Perche si pensa che solo gli italiani possano essere preoccupati per i teatri italiani? Perche questo atteggiamento di un "piccolo povero nazionalista" dal secolo scorso, o degli vecchiotti per i quali in ogni caso "prima era tutto meglio"? (o "nessun giovanne sa cantare", senza voler offendere nessuno!)
1. I vecchii vogliono solo i vecchi spettacoli, che non attirano i giovani a 99,9%.
2. I critici, gli bloggers e altri, ucidono tutti i nuovi cantanti ("prima era tutto meglio").
3. Gli intrappolati direttori dei teatri, per non incavolare la gente vecchia, continua con i spettacoli che non communicano con i giovani. Visto che i vecchii diventano naturalmente meno numerosi, e tenendo in conto la crisi attuale e futura, la morte dei teatri italiani e purtroppo un processo quasi imminente!
Perche ogni volta spaccare i cantanti, i direttori, tutti? Non si puo un poo piu concentrare su alcuni punti positivi (pure se sono pocchissimi) di questo spettacolo?
Perche non dare alla gente che vi legga piu di voglia per andare scoprire un'opera al teatro! Anzi fatte precisamente l'effetto opposto. Mah...
Cara Guilia, capisco questo perfettamente. Tuttavia se vuoi attirare la gente in Italia devi mettere un po piu di quest effetti speciali ("Solo Florez al mondo può cantare questa opera") :-)
A che cosa serve di paragonarlo con Matteuzzi o con Blake? Sopratutto perche Florez e molto piu bravo in diretta. I suoi CD sono invece abbastanza noiosi.
Io sarei piu felice se vostri articoli (di quali piu di 90% mi piacciono moltissimo!) siano un po piu positivi, che ci trasmettino un po di piu del vostro amore per il teatro e meno il sentimento che tutto era meglio prima.
Buona continuazione e cari saluti a tutti!
Vorrei solo precisare che pure se non siamo d'accordo - io ho un grande rispetto per Antonio ed i suoi articoli disponibili sul questo blog! SALUTI
Cara Dolcevita,
non scrivo che soo florez nel mondo può cantare i Puritani perchè...non è vero! E non è nemmeno vero che sia il più bravo, anzi! direi che è vero il contrario.
Io lo paragono a MAtteuzzi per il peso specifico è il medesimo, tenori iperleggeri. Nè è migliore di Matteuzzi e Blake, quest'ultimo in particolare. Forse voi in Spagna avete sentite molto il Mtteuzzi in declino, che stonava, ma qui da noi, in forma, era splendido.
Tu vorresti che noi trasmettessimo più amore per il presente. Ma noi siamo il frutto stanco di un mondo di cantanti presuntuosi, incapaci di competere con il passato, al quale si sentono superiori solo perchè il sistema è autoreferenziale e tutto passa senza vera critica. Noi vorremmo che chi fa il teatro amasse di più il suo lavoro, mentre invece si amano molto la carriera ed i soldi....che è tutt'altra altra cosa.
a presto
Dolcevita, nessun nazionalismo, ci mancherebbe altro! mi sono limitato a rispondere alle tue osservazioni sulla morte dei teatri italiani. Vedo ad esempio che il Teatro Real ha in cantiere per l'anno prossimo dei Puritani con la Netrebko e Florez... con tutto il rispetto, non credo saranno molto meglio di quelli che abbiamo sentito a Bologna. Si mandano i teatri in rovina anche programmando grandi titoli con cast grandi... solo di nome.
Sono felice che ti piaccia il blog. Se lo leggi un po' più spesso ti accorgerai che non parliamo sempre e solo male di tutti i cantanti presenti sotto i 60 anni di età.
Saluti,
AT
ieri sera ho assistito alla replica dei puritani presentata dalla scuola del comunale. in generale c'è poco da dire, queste produzioni della scuola rappresentano una delle iniziative più felici in questo campo da diverso tempo a questa parte.
la direzione è stata eccellente, caratterizzata da un sentimento che era ad esempio mancato a pidò nella norma dello scorso anno.
il baritono ha un po' maltrattato "or dove io fuggo mai", e ad un certo punto ho temuto che non sarebbe riuscito a terminarla. molto convincente il basso e ineccepibile la soprano, che ha retto il ruolo dall'inizio alla fine senza mostrare incertezze di sorta.
macrì è partito contratto, poi a poco a poco ha acquistato confidenza e per "vieni fra le mie braccia" è stato sommerso di applausi pur non avendo tentato il sovracuto. a quel punto però la sicurezza è divenuto eccessiva, ed è caduto in modo fin troppo evidente nel sovracuto di "credeasi misera" tentato, azzarderei, a piena voce.
un saluto a tutti
.... Venerdi' 16/1.
Peccato! Una indisposizione ha impedito Albelo di cantare (ha salvato la serata, comunque, anche se io avrei salvaguardato la voce.) Da quello che si è percepito, potrà portare il bastone del maresciallo, tra pochi anni!
La per me sconosciuta Yolanda Auyanet ha sourclassato la Machaidze.
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