domenica 26 aprile 2009

Maria Stuarda a Venezia


Proporre Maria Stuarda oggi più di quarant’anni fa, quando il titolo riprese a circolare nei teatri, richiede due soprani ed un tenore (oltre tutto privo di aria, carenza cui nell’Ottocento mi risulta molti Leicester provvedevano in proprio) di grandi doti vocali e tecniche. Caratteristica che in pratica è una tautologia a dirsi ed un a chimera a realizzarsi. E la ripresa veneziana conferma i due assunti.

E né la debuttante Maria Stuarda né la rodata Elisabetta sono state all’altezza delle difficoltà che parte prescrive e tradizione impone. Tradizione rappresentante da autentiche fuori classiche, ma anche da solide professioniste.
Quanto alla signora Ganassi il problema costante e perenne di questa cantante è il timbro volgare e plebeo, risultato di una emissione non di scuola. Quindi le conseguenze sono quelle scontate per questo vizi di partenza ovvero volume ridotto, acuti ghermiti (il si nat della chiusa dell’aria ad esempio) agilità approssimative ed un accento che, con ben altro volume, potrebbe forse convenire a Santuzza e Rosa Mamai. Gli esempi si sprecano, ma il punto dove la regalità difetta perché difetta l’emissione è lo scontro del finale primo. Per provocare la reazione della Stuarda, Elisabetta deve essere gelida e sprezzante. Per informazione di cantante e pubblico moderatamente plaudente non siamo in riva al Naviglio o, considerata l’origine della signora Ganassi del Crostolo.
Il caso di Fiorenza Cedolins, deficitaria protagonista, è assai più complicato. Quando dieci anni fa Fiorenza Cedolins dotata di complessione fisica e quel che più conta di voce sontuosa cominciò la carriera non raccattava che critiche di ciechi e sordi incapaci di sentire la dote vocale interessante e sontuosa, capaci di limitarsi ad appunti circa il fisico e la attrice non propriamente disinvolta. Poi la Cedolins conquistò il pubblico e per un certo periodo fu un’intoccabile. Siccome critica e pubblico erano sempre gli stessi pubblico e critica, quindi, sempre ciechi e sordi non si avvedevano che l’attrice era leziosa, e quel che è peggio la cantante aveva dimenticato l’ortodossia del canto, apriva i suoni al centro ed in basso forzava, quindi, ed urlava gli acuti, tanto da sembrare non già l’imitazione della peggior Favero, ma di Assia Noris o Carla del Poggio. Che per chi non lo sapesse furono le dive dei telefoni bianchi dalla dizione artefatta ed aperta.
Così la nostra cantante venne portata sugli scudi dopo prestazioni imbarazzanti quali la Norma di Barcellona o la Butterfly scaligera e guai per chi, non ancora ablato dell’apparato uditivo, osasse cantare fuori dal coro degli osanna.
Poi Fiorenza Cedolins di ritrovò con la voce a mal partito e priva del coro degli adulatori, anzi censurata proprio laddove era stata santificata.
Oggi la cantante è l’immagine di chi, per parafrasare i vecchi cantanti, ha cantato sul patrimonio e non sugli interessi e quindi la prima ottava è sorda, al centro, ossia sino a fa4, compaiono sul piano e sul mezzo forte suoni ancora memori dello splendore più in alto sono suoni acidi e duri anche se l’estensione non è compromessa. Maria Callas, quale Paolina del Poliuto, che è da sempre il modello della cantate a fine carriera alle prese con un ruolo donizettiano, è al confronto del soprano friulano fresca ed integra.
Per di più Fiorenza Cedolins non ha mai avuto dimestichezza con il canto di agilità e quindi la cabaletta della sortita pure eseguita con il da capo (belle le semplicazioni!) non funziona, ne le cose vanno negli andanti in stile fiorettato vuoi il “oh nube che lieve della sortita”, il “quando di luce rosea” della confessione che insistono su una tessitura scomoda per chi non esegue correttamente il primo passaggio ed impone manomissioni della linea musicale, trasporti che se in teoria giusti, filologicamente leciti non servono a rendere regalità e nobilità del personaggio e per i quali la Cedolins avrebbe ancora le intenzioni, perché l’accento è sempre giusto ( a differenza della coprotagonista) e avrebbe anche avuto la voce quando comparve sulle scene.
Quanto agli altri e di sesso maschile. Il direttore d’orchestra che doveva accompagnare e sostenere la protagonista nei molti ed irrinunciabili compromessi per arrivare vocalmente intera al patibolo è stato ora fragoroso ora inascoltabile a capo di un’orchestra che senza metafore ha esibito un suono davvero brutto.
Il meglio è, quindi venuto da José Bros, cantante solido tecnicamente e professionalmente, ma ormai lontano dalla freschezza ed integrità vocale di un tempo, i suoni in zona medio alta, infatti suonano spesso bianchi e la sicurezza degli acuti fa parte del passato, anche se la tessitura di Leicester, come accaduto al recente scaligero, è tale da mettere in evidenza la differenza fra chi sia un professionista solido e capace, come José Bros e chi non lo sia. Il suono alto ed immascherato di José Bros, però dovrebbe essere un esempio per Mirco Palazzi, che talvolta suona un po’ scurito artificiosamente e poco proiettato.


Gli ascolti

Donizetti - Maria Stuarda


Atto I

Ah! quando all'ara scorgemi - Viorica Córtez (1976)

Atto II

E' sempre la stessa...Deh, l'accogli - Viorica Córtez & Angeles Gulín (con Cervo, Casarini, Grilli, Sarti - 1976)

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