Una lettura depurata da ogni forma di sensualità decadente quella offerta dal duo Noseda -Poda nella Thais torinese. Orchestra e scena spingono l’opera di Massenet nel terreno di un misticismo simbolico astratto, trasformando la redenzione, un po’ artificiosa, dell’etera alessandrina inventata da Anatole France, in un viaggio interiore alla ricerca di una dimensione spirituale, metafisica, slegata pure da qualunque influenza religiosa, cattolica o affine.
Una lettura coerente, almeno all’apparenza, magari non sempre condivisibile ( Noseda ) o comprensibile ( Poda ), ma comunque efficace dal punto di vista della resa teatrale e ricca di suggestioni, dove il cast vocale, in particolare il duo Manfrino - Alberghini, ha saputo andare oltre la mediocre prestazione della prima compagnia.
Vi dirò subito con non amo l’arte accompagnata da “libretti d’istruzioni”, e perciò non ho volutamente letto il saggio del signor Poda nel volumetto di sala. Vorrei, infatti, che il teatro, soprattutto quello non contemporaneo, avesse la capacità di reggersi ancora sulle proprie gambe, e di comunicare da solo, con i suoi mezzi. Alcuni aspetti sono rimasti criptici per me ( come le spade appese…di Damocle forse ?? ), mentre altri hanno avuto la capacità di suggerire o di evocare pensieri e immagini suggestivi, in uno spettacolo che non lascia certamente indifferenti.
Poda ha adottato un vasto apparato di simboli noti, e, a mio avviso, chiari nel loro significato, perché da sempre appartenenti alla cultura occidentale: la sfera ( che è anche occhio) quale metafora della perfezione universale ( basta pensare agli architetti visionari della Rivoluzione…); la divisione in due livelli della scena, al primo atto, a separare il mondo positivo (e superiore) dei Cenobiti da quello perduto e peccaminoso di Thais (a livello inferiore); le rappresentazione dell’ascesi come faticosa salita di corpi nudi e dipinti di bianco lungo corde calate, appunto, dall’alto; i colori rosso e nero degli abiti dei peccatori conviviali di Thais, contrapposto al bianco dei costumi dei Cenobiti e del corpi nudi delle anime che mimano un percorso faticoso di evoluzione spirituale; la grande e poetica clessidra, che cala durante la Meditazione, e piove la sua sabbia sul corpo nudo di una donna incinta, simboli chiarissimi nel loro significato.
Altri aspetti sono parsi, invece, delle vere e proprie citazioni: a parte la dichiarata e suggestiva assunzione di gestualità e lentezze del tai – chi ( elemento del tutto estraneo alla cultura occidentale, ma volutamente messo alla base della gestualità delle tante comparse come dei protagonisti ), ho ravvisato il Kubrick di Eyes wide shut nei costumi dei Cenobiti e Nicias come, pure, nell’incedere lento di questo o dei partecipanti alla festa di Thais; la citazione dell’abito della Medea di Salvatore Fiume o l’abito della Charmeuse ( bellissimo ) a metà tra Cappucci e Pisanello….Insomma, una sorta di moderno eclettismo, mirato a commentare il viaggio spirituale della protagonista e le indecisioni del suo profeta ispiratore. La chincaglieria esotica del soggetto come le suggestioni Fin de Siecle di Massenet, Poda le ha rilette in chiave attuale, rappresentando una moderna ed “eclettica” ricerca di spiritualità, che passa per filosofie e religioni orientali, letture in chiave “energetica” dell’universo e delle sue componenti, desiderio meramente astratto di ascesi.
Almeno, così la sottoscritta ha percepito questo lavoro, che, forse pecca in alcuni punti, ma complessivamente funziona, e con sensibile efficacia, mostrando…….di avere qualcosa da dire! Finalmente!!!
Con lui anche il signor Noseda, bacchetta sicurissima ed autorevole sul podio, che ha scelto, credo non per caso, una lettura modernista, poco incline a perdersi nelle seduzioni sonore in cui è solita indugiare l’orchestra Massenet. Ha cercato il ritmo più dell’esotismo, il novecento o certo Rimsky Korsakov piuttosto che il retaggio delle citazioni, talora evidentissime ( si pensi alla Barcarole dei Contes di Offenbach, oppure certe sonorità d ascendenza mascagnana…. ). E questo ha avuto esiti alterni: struggente al primo atto, tutto il commento al monologo di Athanael; bellissima la sezione centrale delle danze, al secondo atto o il duetto finale, davvero travolgente ( i protagonisti, però, sono un po’ troppo in fondo al palco e l’orchestra spesso li prevarica…). Altre volte ha un po’ mancato di poesia o lirismo: il grande valzer dell’entrata di Thais meriterebbe un tempo più largo, molle e seducente, di certo un accompagnamento meno meccanico ; come pure il duetto del II atto, carente di atmosfera e di poesia. Pur coprendo talvolta le voci, ha diretto con forza, coerenza, mantenendo un clima vibrante alla serata, facendo “girare” lo spettacolo.
La protagonista, Nathalie Manfrino, mi era nota solo di nome. E di gossip! Sicchè ero assai curiosa. Voce lirica, di timbro non specialmente bello, ma di bella e salda emissione, la Manfrino è dotata di graziosa e gentile presenza. E’ stata una Thais solidissima e mi è piaciuta oltre le aspettative. Non mi ha convinto nella grande scena di ingresso, che richiederebbe voce dal timbro più seducente e più ampia linea di canto e che richiederebbe per supportare la protagonista altro languore in orchestra. Il tempo veloce, poi, non l’ha aiutata a creare la grande aura di magico fascino che dovrebbe accompagnare la protagonista in questa scena soprattutto se non dotata di un timbro diciamo alla Caballé: e questo è stato il solo rimpianto della mio pomeriggio torinese, perché tutto il resto è stato davvero ben cantato ed interpretato, con puntualità di accento, sfumature, numerosi piani e pianissimi, come alla scena nel chiostro di Albine al terzo atto ed una toccante scena al secondo atto nel duetto con Athanael, dove, complice il pesante ordito orchestrale e la situazione è facile farsi prendere la mano e per soprani lirici soccombere al peso della parte.
Simone Alberghini, nominalmente basso affronta il ruolo assolutamente baritonale di Atanaele. Che Atanaele appartenga ai baritoni e neppure in condomino con i bassi (come accade con Escamillo o Boris) lo sanno tutti e lo sanno coloro che da cento e più anni allestiscono Thais. I nomi dei grandi Atanaele partono da Battistini e Renaud per arrivare a Milnes, Bruscantini e Bruson, tutti baritoni. La voce di Simone Alberghini non ha i problemi dei bassi imprestati alla corda di baritono ovvero non stenta in alto, ove per in alto si intenda nella zona tipica della tessitura da baritono non bercia gli acuti, è abbastanza soffice e morbida. Manca dell’ampiezza che ad un sacerdote e propugnatore della Verità si pretende, anche se la mancanza non è gravissima perché Atanaele è soprattutto un personaggio agitato, tormentato ed indeciso. Mi domando se, tenuto anche conto dei miserrimi tempi per la corda baritonale non debba pensare a molti ruoli baritonali sia dell’opera francese che dell’italiana prima di Verdi, fosse mai Chevreause, piuttosto che Malatesta o le due parti gravi dell’Elisir.
Bene, o comunque efficaci, tutti gli altri interpreti dei ruoli minori.
Due ultime osservazioni a questa performance.
Pur comparando un ascolto radiofonico con una dal vivo, questo secondo cast è parso chiaramente superiore al primo ( a quanto pare, anche nella risposta del pubblico, ieri davvero entusiasta, a dispetto della particolarità dell’allestimento ). Non è la prima volta che ci capita di sentire i “secondi” sopravanzare i “primi”, e questa è un’altra distonia del nostro presente, cui si dovrebbe porre qualche rimedio nella penuria generale...
Secondo, mentre laddove si dovrebbero trovare le migliori espressioni del “fare opera” italiano si floppa in mondovisione, mostrando, soprattutto, un doloroso vuoto di idee, una serena sede “provinciale” allestisce uno spettacolo di qualità artistica nettamente superiore, di quelli che, come una volta, ti lasciano qualcosa una volta usciti da teatro. Come dovrebbe essere sempre!
Una lettura coerente, almeno all’apparenza, magari non sempre condivisibile ( Noseda ) o comprensibile ( Poda ), ma comunque efficace dal punto di vista della resa teatrale e ricca di suggestioni, dove il cast vocale, in particolare il duo Manfrino - Alberghini, ha saputo andare oltre la mediocre prestazione della prima compagnia.
Vi dirò subito con non amo l’arte accompagnata da “libretti d’istruzioni”, e perciò non ho volutamente letto il saggio del signor Poda nel volumetto di sala. Vorrei, infatti, che il teatro, soprattutto quello non contemporaneo, avesse la capacità di reggersi ancora sulle proprie gambe, e di comunicare da solo, con i suoi mezzi. Alcuni aspetti sono rimasti criptici per me ( come le spade appese…di Damocle forse ?? ), mentre altri hanno avuto la capacità di suggerire o di evocare pensieri e immagini suggestivi, in uno spettacolo che non lascia certamente indifferenti.
Poda ha adottato un vasto apparato di simboli noti, e, a mio avviso, chiari nel loro significato, perché da sempre appartenenti alla cultura occidentale: la sfera ( che è anche occhio) quale metafora della perfezione universale ( basta pensare agli architetti visionari della Rivoluzione…); la divisione in due livelli della scena, al primo atto, a separare il mondo positivo (e superiore) dei Cenobiti da quello perduto e peccaminoso di Thais (a livello inferiore); le rappresentazione dell’ascesi come faticosa salita di corpi nudi e dipinti di bianco lungo corde calate, appunto, dall’alto; i colori rosso e nero degli abiti dei peccatori conviviali di Thais, contrapposto al bianco dei costumi dei Cenobiti e del corpi nudi delle anime che mimano un percorso faticoso di evoluzione spirituale; la grande e poetica clessidra, che cala durante la Meditazione, e piove la sua sabbia sul corpo nudo di una donna incinta, simboli chiarissimi nel loro significato.
Altri aspetti sono parsi, invece, delle vere e proprie citazioni: a parte la dichiarata e suggestiva assunzione di gestualità e lentezze del tai – chi ( elemento del tutto estraneo alla cultura occidentale, ma volutamente messo alla base della gestualità delle tante comparse come dei protagonisti ), ho ravvisato il Kubrick di Eyes wide shut nei costumi dei Cenobiti e Nicias come, pure, nell’incedere lento di questo o dei partecipanti alla festa di Thais; la citazione dell’abito della Medea di Salvatore Fiume o l’abito della Charmeuse ( bellissimo ) a metà tra Cappucci e Pisanello….Insomma, una sorta di moderno eclettismo, mirato a commentare il viaggio spirituale della protagonista e le indecisioni del suo profeta ispiratore. La chincaglieria esotica del soggetto come le suggestioni Fin de Siecle di Massenet, Poda le ha rilette in chiave attuale, rappresentando una moderna ed “eclettica” ricerca di spiritualità, che passa per filosofie e religioni orientali, letture in chiave “energetica” dell’universo e delle sue componenti, desiderio meramente astratto di ascesi.
Almeno, così la sottoscritta ha percepito questo lavoro, che, forse pecca in alcuni punti, ma complessivamente funziona, e con sensibile efficacia, mostrando…….di avere qualcosa da dire! Finalmente!!!
Con lui anche il signor Noseda, bacchetta sicurissima ed autorevole sul podio, che ha scelto, credo non per caso, una lettura modernista, poco incline a perdersi nelle seduzioni sonore in cui è solita indugiare l’orchestra Massenet. Ha cercato il ritmo più dell’esotismo, il novecento o certo Rimsky Korsakov piuttosto che il retaggio delle citazioni, talora evidentissime ( si pensi alla Barcarole dei Contes di Offenbach, oppure certe sonorità d ascendenza mascagnana…. ). E questo ha avuto esiti alterni: struggente al primo atto, tutto il commento al monologo di Athanael; bellissima la sezione centrale delle danze, al secondo atto o il duetto finale, davvero travolgente ( i protagonisti, però, sono un po’ troppo in fondo al palco e l’orchestra spesso li prevarica…). Altre volte ha un po’ mancato di poesia o lirismo: il grande valzer dell’entrata di Thais meriterebbe un tempo più largo, molle e seducente, di certo un accompagnamento meno meccanico ; come pure il duetto del II atto, carente di atmosfera e di poesia. Pur coprendo talvolta le voci, ha diretto con forza, coerenza, mantenendo un clima vibrante alla serata, facendo “girare” lo spettacolo.
La protagonista, Nathalie Manfrino, mi era nota solo di nome. E di gossip! Sicchè ero assai curiosa. Voce lirica, di timbro non specialmente bello, ma di bella e salda emissione, la Manfrino è dotata di graziosa e gentile presenza. E’ stata una Thais solidissima e mi è piaciuta oltre le aspettative. Non mi ha convinto nella grande scena di ingresso, che richiederebbe voce dal timbro più seducente e più ampia linea di canto e che richiederebbe per supportare la protagonista altro languore in orchestra. Il tempo veloce, poi, non l’ha aiutata a creare la grande aura di magico fascino che dovrebbe accompagnare la protagonista in questa scena soprattutto se non dotata di un timbro diciamo alla Caballé: e questo è stato il solo rimpianto della mio pomeriggio torinese, perché tutto il resto è stato davvero ben cantato ed interpretato, con puntualità di accento, sfumature, numerosi piani e pianissimi, come alla scena nel chiostro di Albine al terzo atto ed una toccante scena al secondo atto nel duetto con Athanael, dove, complice il pesante ordito orchestrale e la situazione è facile farsi prendere la mano e per soprani lirici soccombere al peso della parte.
Simone Alberghini, nominalmente basso affronta il ruolo assolutamente baritonale di Atanaele. Che Atanaele appartenga ai baritoni e neppure in condomino con i bassi (come accade con Escamillo o Boris) lo sanno tutti e lo sanno coloro che da cento e più anni allestiscono Thais. I nomi dei grandi Atanaele partono da Battistini e Renaud per arrivare a Milnes, Bruscantini e Bruson, tutti baritoni. La voce di Simone Alberghini non ha i problemi dei bassi imprestati alla corda di baritono ovvero non stenta in alto, ove per in alto si intenda nella zona tipica della tessitura da baritono non bercia gli acuti, è abbastanza soffice e morbida. Manca dell’ampiezza che ad un sacerdote e propugnatore della Verità si pretende, anche se la mancanza non è gravissima perché Atanaele è soprattutto un personaggio agitato, tormentato ed indeciso. Mi domando se, tenuto anche conto dei miserrimi tempi per la corda baritonale non debba pensare a molti ruoli baritonali sia dell’opera francese che dell’italiana prima di Verdi, fosse mai Chevreause, piuttosto che Malatesta o le due parti gravi dell’Elisir.
Bene, o comunque efficaci, tutti gli altri interpreti dei ruoli minori.
Due ultime osservazioni a questa performance.
Pur comparando un ascolto radiofonico con una dal vivo, questo secondo cast è parso chiaramente superiore al primo ( a quanto pare, anche nella risposta del pubblico, ieri davvero entusiasta, a dispetto della particolarità dell’allestimento ). Non è la prima volta che ci capita di sentire i “secondi” sopravanzare i “primi”, e questa è un’altra distonia del nostro presente, cui si dovrebbe porre qualche rimedio nella penuria generale...
Secondo, mentre laddove si dovrebbero trovare le migliori espressioni del “fare opera” italiano si floppa in mondovisione, mostrando, soprattutto, un doloroso vuoto di idee, una serena sede “provinciale” allestisce uno spettacolo di qualità artistica nettamente superiore, di quelli che, come una volta, ti lasciano qualcosa una volta usciti da teatro. Come dovrebbe essere sempre!
13 commenti:
seppur fra virgolette il "provinciale" per la realtà torinese del Teatro Regio è offensivo per la città in primis che è una delle più grandi e floride città italiane ed è quella con la più grande e offerta musicale in Italia, per qualità e numero di orchestre e livello delle produzioni. E il Teatro Regio è, oltre che storicamente uno dei teatri più antichi d'Italia, è anche uno dei più famosi e rinomati dai grandi intenditori italiani e europei. non è una serena sede provinciale, è una serenissima sede di primo livello. provinciale potrà essere al massimo il milanesotto che pensa che la Scala sia ancora un teatro importante solo perché c'ha cantato la Callas per anni e riceve il doppio delle sovvenzioni degli altri teatri italiani per chissà quali maneggi politici.
p.s.
la Frittoli ieri sera è stata strepitosa. mi spiace che la vostra impressione sia legata solo ad un ascolto radiofonico.
Caro Fthà, non hai proprio capito.
Provinciale tra virgolette, era proprio per dire.... che non lo è per nulla. E che no crediamo in queste definizioni, che però...corrono.
Assolutamente ironico, ed anche autoriferito, dato che noi, in gioventù e non solo, ci sentivamo dire che amavamo spettacoli provinciali e cantanti provinciali, solo perchè in talune teatri non cantavano...
tutto qui
saluti
PS
Le condizioni vocali della signora Frittoli, nonchè il mezzo di cui attualmente dispone sono tali che Thais proprio...non la dovrebbe praticare.
sorry
Terribile ormai la Frittoli non solo in Thais, ma anche in un ruolo che sarebbe più adatto alla sua vocalità come Suor Angelica. La voce della signora è oramai completamente dissipata, prosciugata, ridotta a un filino oscillante e monotono.
Non ho ascoltato purtroppo l'aria dello specchio, dato che in quel momento ero occupato su altro. Come l'ha resa?
In quest'aria trovo la Price superba, in un'esecuzione inclusa in un famoso recital degli anni 70 (non ostante la voce della Price in quel periodo non fosse più al top!!!... Per inciso, su quella esecuzione, mi piace ricordare il folgorante re sovracuto finale con cui la Price la conclude e corona, al posto dello scritto sib, con effetto davvero strepitoso...). Potreste proporre qualche esempio di aria dello specchio, e indicare qual è, a vostro giudizio, l'esecuzione che renderebbe meglio lo spartito e la vocalità di Thais? Ho sentito anche la Zeani, ma non mi ha entusiasmato più di tanto... A sè sta la Sills, ma la voce, in quel periodo, era diventata un tantino troppo acidula!!!
ribadisco. non l'avete sentita dal vivo . la voce era morbida vellutata piena di armonici per nulla traballante appoggiatissima e intonatissima. in teatro corre benissimo e ha reso un personaggio davvero credibile. ma la cosa migliore era senz'altro la presenza scenica. un personaggio favoloso. ce ne fossero di cantanti attrici come lei.
Caro Ftha, la Frittoli sarebbe dotata di presenza scenica? Ma se è una vera e propria patata!!! Con quel suo vezzo di cantare obliqua... Ma per favore!!!!
Caro Immenso Fthà ma...stiamo parlando di Barbara Frittoli? La ricordo in Suor Angelica, deludentissima e anche un pò imbarazzante....specie quando frotte di suoi fans vanno blaterando che certe parti "in fondo" le cantava Maria Chiara, alla quale la signora non può neanche portare le scarpe francamente. Fattostà che come Suor Angelica aveva una voce piccola, stonacchiata, priva d'appoggio e di proiezione, vuota al centro, afona in basso e gridacchiata in alto (veda la recensione). E di timbro neanche a parlarne. Dubito che in Thais la signora Frittoli si sia trasformata in una sorta di Mirella Freni rediviva. Anche la Antonacci è afonoide alla Scala e sonorissima a Torino....sarà un caso? Proprio in uno dei teatri più sordi del mondo? Io a tal proposito mi farei qualche domanda.
Questi fans "in fondo", forse, non hanno mai ascoltato dal vivo la Signora Maria Chiara. Altrimenti, non l'avrebbero nominata neanche.
.... i fans della signora Frittoli avranno presto un buon metro di confronto con la Chiara al debutto in Aida...
Con riferimento all'ultimo post di Nourrit, anch'io ho sempre dubitato che ci fosse un'amplificazione a Torino.
Ricordo episodi imbarazzanti in tante produzioni: Don Giovanni con Devia, Frittoli e Shrott e una Forza del destino sono i casi che mi sono rimasti più impressi, in cui si sentiva un cantante di spalle come se fosse rivolto verso di noi!
Poi col tempo gli incidenti si sono diradati: avranno smesso o solo si saranno finalmente impratichiti i tecnici? Perlatro un cantante abbastanza importante mi disse di aver cantato, anche recentemente, a Torino senza amplificazione o come la vogliamo chiamare.
Perciò...a voi dirimere il dilemma! Affronterete l'argomento in futuro??
Anche quello della ripresa audio per le dirette radiofoniche - i cosiddetti microfonini - sarebbe un buon tema da investigare....non fosse per l'effetto che fanno: sembra che ricostruiscano gli armonici più che captarli e basta!
Vi ringrazio in anticipo se vorrete dedicare una qualche attenzione a questi temi!
Avete veramente avuto una buona impressione della Manfrino? L'ho appena ascoltata in un récital di arie francesi che ha registrato per la Decca nel 2007 e devo dire che gli estremi acuti non sono una squisitezza, mi sembrano un po' spinti di gola.
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