Molti auguri dal vostro Corriere!
Gli altri componenti del blog hanno riflettuto sul passato anno e fatto voti per il nuovo, lamentando ignoranza, scarsa fantasia, monotonia delle programmazioni, male diffuso per tutto il mondo, aggravato dall’esterofilia in Italia, condito, supportato e propiziato da una critica, che ogni giorno di più abdica il proprio compito, per farsi sempre più simile ai commensali del conte zio manzoniano. E come faccio a non concordare con gli altri, tenuto anche conto che la maggior militanza operistica implica quella nella lamentela e nella doglianza.
Di nuovo per l’anno, che si appropinqua aggiungo il rimprovero e la rampogna per il pubblico, particolarmente quelli a me coetanei o maggior in passione e militanza. I soprintendenti ed i direttori artistici, sempre più simili all’ispettor Clouseau – la mitica Pantera Rosa - i critici che sprecano lodi ed incensi sono quelli che ci meritiamo perché dinnanzi a scempi direttoriale, vocali e di allestimento siamo sono capaci di tacere, applicare panacee perdonistiche e buoniste. Male. Insegna Isabella “va in bocca al lupo chi pecora si fa”.
E allora mi inspiro per il mio ed altrui 2010 operistico ai brani scelti a commento che parlano da soli!!!! BUON 2010!
Domenico Donzelli
Il mio pensiero per l’anno nuovo va alle Accademie e Scuole di canto di ogni ordine e grado.
La tradizione del canto lirico, quello all’italiana che dai castrati è proseguita in Garcia, Lamperti etc..è di fatto ridotta al lumicino, documentata nei dischi e sconosciuta alla stragrande maggioranza dei professionisti oggi in attività, eppure le scuole di canto nascono per ogni dove, sorgono come funghi dopo gli acquazzoni, da un po’ di tempo in qua anche presso i teatri d’opera. Fenomeno esattamente contrario ed in conflitto con lo stato dell’arte, che prova la necessità estrema di reperire voci ma senza sapere come costruire un cantante. Il business è alla base del sorgere di queste scuole, perchè esse sono funzionali…….ai maestri più che agli allievi. Chissà, forse un giorno qualcuno, tanto per fare un esempio, si prenderà la briga di stimare il flusso di denaro che la sola migrazione di allievi orientali, giapponesi e coreani, convoglia verso le nostre scuole e rapportarlo all’effettiva produzione di cantanti lirici degni di essere chiamati tali. Perché quello degli allievi e del loro itinerare da una scuola ad un'altra, da un maestro ad un altro, è fenomeno alla luce del sole, noto e stranoto anche ai melomani, invitati nelle piccole ribalte cittadine, alle esibizioni di fine anno e ai saggi scolastici di corsi e scuole che paiono più “corsi e ricorsi”, dato che cambiano sigle ed etichette me gli allievi-apprendisti cantanti sono spesso i medesimi.
E così mentre il 7 di dicembre scaligero si trasforma, da punto di arrivo di una carriera, in piattaforma di lancio per allievi, magari promettenti ma che potranno solo trovar teatri di rango minore, perché chi comincia da Papa potrà solo retrocedere a cardinale quando non a parroco di paese a meno di chiamarsi Rosa Ponselle ( ma come lei ce ne fu una sola! ), il mio pensiero va ai maestri di canto.
A quelli di grido, celebrità del canto che fu, perché si rammentino che i protagonisti non sono più loro ma gli allievi, cui non occorre il ripasso delle eccezionali qualità e performance dell’arte del maestro, ma gli umili fondamenti tecnici del canto e che è più onesto verso l’allievo licenziarlo garbatamente se è chiaro che questo non canterà mai, piuttosto che conservarlo presso di sé quale dama di compagnia o cavalier servente alimentandone le velleità. Accanto a loro, per onestà, collochiamo anche le odierne divette, quelle del “belcanto” e del canto baroccaro, che oltre a mal cantare rilasciano anche indecenti interviste ove si permettono di criticare l’eccellenza tecnica delle Callas, delle Sutherland & C., contribuendo ulteriormente allo sfascio, dopo quello delle loro ugole, di quel poco che è rimasto all’opera lirica, ossia la certezza della lezione tecnica e professionale dei grandi cantanti della tradizione.
A quelli non di grido, insegnanti comuni, perché nutrano pietà per i portafogli degli allievi come di quelli dei loro genitori, ricordandosi che forse l’allievo non avrà mai una carriera e soprattutto, superati certi limiti d’età, nemmeno altra e diversa vita professionale. Alimentare sogni ed ambizioni mal riposte è disonesto tanto quanto farsi pagare per insegnare cose che non stanno né in cielo nè in terra, e questo non perché lo dice questo Corriere, ma perché se noi continuiamo ad uscire da teatro con le orecchie a pezzi, pur udendo delle voci naturali di qualità, qualcuno che ha male insegnato il canto e convinto questi cantanti di saper davvero cantare ci deve pur essere stato: in fondo basta accendere la tv per misurare lo stato dell’arte presente, non vi pare?
Auguri a tutti voi di buon 2010!
Giulia Grisi
2009 anno dei giovani?
I grandi teatri dispongono ormai di stabili accademie, serbatoi cui attingere per rappresentazioni, proposte ora come ripieghi rispetto a quanto annunciato e venduto in sede di campagna abbonamenti (è il caso felsineo), ora come spettacoli di levatura storica (vedi la Carmen scaligera, con tutto il suo robusto contorno mediatico). I maligni e malfidati potrebbero obiettare che i giovani cantanti vengono utilizzati come "carne da cannone" onde indurre il pubblico ad un'opera di compassione e misericordia, che si potrebbe condensare nel motto "non si spara sulla Croce Rossa".
Ed ecco quindi alunni, pupilli, scolaretti di varia estrazione dedicarsi, fin dai primi passi della carriera, a titoli che fanno tremare le vene e i polsi ai più esperti e smaliziati dei professionisti.
Non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo. Anche nei secoli scorsi la carriera iniziava in età pubere e alcuni cantanti, di norma superdotati, ossia di grande dote naturale, si esibivano fin da subito nei massimi teatri del mondo. In fondo Grace Bumbry aveva solo ventiquattro anni quando ascese, prima cantante di colore della Storia, la collina operistica per antonomasia. Certo nel caso in questione la dote di natura era suprema e gli studi erano stati compiuti sotto una guida rigorosissima!
Altri tempi, si dirà, e altre voci. Eppure le voci ci sono, o meglio ci sarebbero anche oggi. Anzi oggi dovrebbero essercene assai più che un tempo, considerato il progredire costante delle condizioni di igiene e alimentazione.
A latitare, e ci perdonino i laudatores temporis praesentis, è ben altro.
Come ha dichiarato non molti mesi fa un soprano di lunga carriera e gavetta di lunghezza direttamente proporzionale alla carriera, nel corso di una trasmissione televisiva, peraltro istituzionalizzata dispensatrice d'incensi e fumi di varia natura, oggi prima si canta e poi, eventualmente, si studia. E credo che questo fenomeno sia da imputarsi non solo e non tanto ai giovani cantanti, ma a coloro i quali, per età ed esperienza, dovrebbero consigliare l'incauta gioventù con la cautela, la pazienza e, ove necessario, la severità del caso. Fermo restando che la suddetta gioventù ha comunque la sua parte di responsabilità o irresponsabilità, se persino una Sutherland ha dichiarato di non essere più convinta dell'opportunità di insegnare ad aspiranti allievi privi dei requisiti minimi per iniziare, non già la carriera, ma lo studio del canto lirico.
Non solo registi e coreografi pretendono cantanti di piacevole aspetto, ma in primo luogo prestigiose agenzie e solventi case discografiche esigono artisti nel fiore degli anni, o per meglio dire in boccio, da "spremere" al più presto e con il massimo profitto. Chi a trent'anni non è ancora entrato nel circuito dei grandi teatri, difficilmente potrà interessare questi soggetti. Peccato che l'arte del canto richieda non solo costante studio e ferrea disciplina di vita, ma tempo e pazienza in dosi industriali. Unitamente alla possibilità di rifiutare proposte, magari economicamente allettanti, che contrastino però violentemente con le caratteristiche di una voce o con la maturità espressiva di un artista. Per un giovane cantante è essenziale che il talento, se talento c'è, possa maturare, altrimenti le stelline sono destinate a trasformarsi in meteore o fuochi fatui. Come è accaduto in passato a cantanti, prescelte da prestigiosi direttori per prestigiose produzioni, e rivelatesi poi autentiche 'turiste per caso' del palcoscenico.
Il fenomeno, per inciso, si verifica in modo anche più evidente con le bacchette. Le giovani promesse del podio approdano al repertorio lirico, che seppur meno prestigioso di quello sinfonico garantisce comunque discreta visibilità, totalmente digiune di canto e di prassi esecutive, eccezion fatta per gli ultimi ritrovati baroccari. Sanno magari discettare - con poca fantasia - sulla poetica belliniana, ma ignorano che cosa comporti scrivere una cadenza o in quali casi sia opportuno trasportare, tagliare, confezionare insomma un raggiusto su misura per un interprete. I risultati sono palesi.
Per tutte queste ragioni, essendo stufi e stanchi di sentirci indicare come disfattisti ad oltranza, cerchiamo di essere pratici e ci auguriamo, per il nuovo anno, quanto segue:
- che i teatri cessino di spacciare spettacoli di accademia, magari anche con un loro senso e una loro diginità, per quello che non sono e non possono essere, vale a dire spettacoli "di cartello";
- che i maestri di canto recuperino la loro funzione di guida delle voci e sappiano, alle suddette voci, offrire i consigli del caso, anche se sgraditi. Il Tosi scriveva che la regola del cattivo maestro di canto è "purché paghino", ovvero il precetto di Don Basilio. Da allora ben poco è cambiato.
- che il direttore d'orchestra, se vuole dirigere l'opera, capisca che quanto avviene sul palcoscenico è il centro dello spettacolo, e che, anche se non sta dirigendo Wagner o Strauss, la sua funzione non è meno importante per la buona riuscita della rappresentazione;
- che gli agenti di canto si occupino un poco meno di biasimare le reazioni del pubblico e un poco di più dei loro amministrati. Anche le reazioni del pubblico potranno, in conseguenza, mutare.
- che i signori sovrintendenti e discografici imparino o ricomincino a giudicare un cantante in base a parametri non del tutto avulsi da quelli che regolano da secoli l'esercizio dell'arte vocale;
- che la critica, seguendo l'esempio degli agenti di canto, pensi un poco meno a tutelare il buon nome di quegli interpreti, da loro giudicati vittime di un pubblico incolto, rozzo e incivile, e trascorra magari qualche mezz'ora in più a interrogarsi sulle ragioni e la fondatezza di quel buon nome;
- che altrettanto facciano quei gestori del consenso e dissenso, ambo strumentali a fini ben distinti da quelli dell'arte, che navigano, o forse dovrei dire navigavano, così copiosamente nel web. Aggiungo che, in luogo di passare le ore a disquisire sulla poca educazione e finezza di questo o quell'avversario dialettico, meglio farebbero, questi signori, a elucubrare risposte sensate agli argomenti proposti dalla controparte. Se solo ne fossero capaci.
- che il pubblico, del quale ci ONORIAMO di far parte, faccia sentire la propria voce un poco più spesso di quanto non abbia fatto ultimamente, soprattutto quando si tratta di fare valere i propri diritti di spettatori senzienti. E paganti. Scusate se è poco!!!
Buon 2010 dal vostro
Antonio Tamburini
Caro 2010 che stai per nascere,
come ti sarai ben reso conto il 2009 è stato parco di cose belle, quindi onde evitare di commettere gli stessi errori del tuo ormai malandato e morente predecessore, vorrei darti umilmente dei piccoli consigli per renderti più piacevole, appetibile e ascoltabile:
al posto delle nuove “divine-ine-ine”, sopranine e mezzosopranine, in realtà queste ultime tutte soprani corti che a confronto la pur modesta Baltsa poteva vantare 3 ottave d’estensione, che tengono banco sui palcoscenici, sulle riviste e sui cd-dvd di tutto il mondo, belle, bellissime, per carità, ma dalla voce friabile come i ricci delle sfoglie napoletane (buonissime), dicevo, mi piacerebbe ascoltare dei soprani veri, dalle voci opulente, timbrate, duttili, dal suono alto e pulito, che riescano ad espandersi tanto da superare addirittura l’orchestra (!), che sappiano interpretare e commuovere, che facciano ridere e che emozionino.
Poco importa se hanno fisici possenti da “sopranoni” anni ’40 e baffi che nemmeno Vittorio Emanuele, perché, sai 2010, mi sono un po’ stufata di vedere e ascoltare gente che in scena ha la bravura attoriale di Meryl Streep, ma che vocalmente sono più vicine a gatte in fregola con l’asma, buone forse per “Cats” o per la prosa, o per il cinema, o sulle copertine di riviste di moda.
Ecco li ce li vedrei bene, ma per l’opera… Se poi son belle e possiedono tutte le caratteristiche sopra elencate sarebbero salutate da me con il medesimo entusiasmo.
Vorrei ascoltare tenori che non abbiano fraseggio inerte e piagnucoloso se non nevrastenico e 3 voci spaccate e cioè: registro centrale sicuro e timbrato, acuti tutti indietro, se non intubati e bassi sordi.
No 2010, vorrei ascoltare tenori veri, squillanti e intonati, dalla voce duttile e riconoscibile e dall’eloquio spavaldo!
Mi piacerebbe anche, che finalmente i Bassi ed i Baritoni si differenziassero un po’.
Mi piacerebbe che i direttori artisticii nella scelta dei registi, non scegliessero in base alla dose di scandalo o di omaggio al genio che fu o di astrattismo, ma in base all’intelligenza, alla cura, al rispetto per musica, cantanti e spartito.
Si eviteranno così “baracconate” inutilmente costose, palcoscenici inutilmente svuotati, idee inutilmente volgari, inutili paranoie oniriche, inutile e asettico modernariato, inutili cianfrusaglie di tradizione.
Si guarderebbe davvero avanti, si creerebbe davvero un repertorio affidabile, si darebbe spazio ad idee moderne e si risparmierebbe anche tanto!
Mi piacerebbe che le grandi ribalte non fossero punti di partenza, ma punti di arrivo, dove mostrare il meglio effettivo, non le “star” create nei laboratori alchemici delle case discografiche e nelle mostruose “Accademie” alla Dario Argento buttate allo sbaraglio sui palcoscenici che contano in ruoli kamikaze.
Mi piacerebbe che i direttori, d’accordo con cantanti e dirigenze, facessero più sperimentazione!
Anche mettere in scena il verismo può fare “Cultural-Chic”: basta scegliere oltre ai soliti 4 titoli risaputi e risicati anche opere come Francesca da Rimini, Isabeau, Iris, Gioconda, I Medici, Guglielmo Ratcliff, Il piccolo Marat, Loreley, Parisina, ma anche Menotti con i suoi splendidi atti unici o Busoni, Wolf-Ferrari, Maderna, Refice, Franchetti.
Se invece ci vogliamo volgere all’antico io non avrei dubbi su Paer di cui almeno sette opere sarebbero degne di rientrare in repertorio, oppure il sublime, sensualissimo barocco di Lully suonato da orchestre moderne e da cantanti non “specialisti” nel senso più “baroccaro” e deleterio del canto, come hanno dimostrato di saper fare in passato cantanti e direttori senza pretese filologiche.
Ma sarebbe auspicabile anche la riscoperta delle variazioni nelle partiture effettuate sia dal compositore, sia dagli stessi cantanti, consentire al cantante, quando lo spartito lo consente, di interpolare anche altre arie, affidando il tutto a bacchette e voci idonee.
Sai che ti dico? Mi piacerebbe ascoltare Janacek e Wagner in italiano, cantati da artisti italiani e nelle traduzioni di Boito e Manacorda!!!
Finalmente!!!
Sai che spasso!
Mi piacerebbe che i decani della regia insegnassero le regole del mestiere ai nuovi e giovani registi e dessero consigli anche a coloro che sbattono in palcoscenico i loro capricciosi onanismi intellettuali con cinismo pari alla loro impreparazione, e non riciclassero loro stessi all’infinito usando il tempo che rimane a criticare “primedonne” e “primiuomini” a destra e a manca!
E consiglierei a tali “primedonne” e “primi uomini” prima di affrontare un ruolo che può rivelarsi al di la delle proprie possibilità di controllare prima le partiture, poi lo stato vocale e dopo le proprie capacità autocritiche.
Si eviterebbero così patetici teatrini e scene di follie donizettiane in sale stampa o durante le prove e soprattutto si eviterebbe di prendere in giro il pubblico pagante.
Insomma, che il cantante faccia il cantante ed il regista faccia il regista, senza che l’egocentrismo dell’uno e dell’altro sacrifichi la realtà musicale e teatrale.
Grazie per aver letto queste mie considerazioni e cerca di fare il bravo.
Ti auguro un buon lavoro e cerca di rendere felici e fruttuosi i tuoi 12 mesi.
Se hai bisogno siamo qui a darti una mano.
Marianne Brandt
P.S.
Ah, un ultima cosa caro infante 2010: quando vedrai i tuoi futuri fratelli e sorelle puoi dire loro di regalarci un decennio senza Traviata e Bohème? E’ per disintossicazione!
Due riflessioni voglio dedicare all'anno che verrà: entrambe di sconforto (per l'attualità) e di speranza (per il futuro...anche se - come insegna Esiodo - proprio la Speranza è il male peggiore, poichè non percepito come tale dall'umanità: ma spesso la maggior aspettativa provoca la più grande delusione). La prima è riservata al giornalismo musicale, alla critica, alle fabbriche del consenso televisive, alle riviste patinate che somigliano a cataloghi pubblicitari (mancando solamente i tariffari a recensioni, interviste e quant'altro), all'universo virtuale che si tende sempre più a sterilizzare, a onore e gloria del marketing più subdolo: esempio recente ed evidente la Carmen scaligera. Mi scuso anticipatamente per il tasso di passatismo e disfattismo che alcuni potrebbero ravvisarvi. Al solito "disgustosa" l'abbondante melassa di retorica che la stampa nazionale si è sentita in dovere di spalmare sul preteso "evento"... Al pari "disgustosi" certi commenti di critici che vorrebbero essere considerati professionali e che, invece, sono solo professionisti del nulla nazional-popolare: attività particolarmente redditizia e priva di rischi, che oltretutto ha l'indubbio vantaggio di rilasciare una patente per poter dire qualsiasi idiozia senza reprimenda alcuna. Inspiegabile altrimenti l'accenno al "Barenboim rockstar" rimbalzata tra le penne più quotate della acritica e criticabilissima "critica" italiana. Abbiamo letto, in queste ultime settimane, non solo del trionfo di S'Ambrogio, che analogamente ai trionfi del deprecato ventennio mutiano era tale ben prima del 7 dicembre e ovviamente a prescindere dalla qualità dell'esecuzione e perfino dalle reazioni del pubblico (come dimostrano i fischi a Emma Dònte "tagliati" nelle repliche su ARTE), ma della primina dei ggggggiovani, di Fazio, dell'epifania del Divo Claudio e compagni, e magari di Cuba (visto che il "maestro scaligero" ad essa si è riferito introducendo il capolavoro di Bizet, giocando sul termine habanera). Insomma, di tutto e di più, ma nulla o quasi su musica, tecnica e canto. Si sa, motivare implica un ragionamento e il ragionamento è visto in maniera sospetta dagli ideologi, critici militanti, direttori di riviste, manager etc...e dalla loro ansia normalizzatrice. La querelle naturalmente è proseguita su certe riviste, ad amplificarne le falsificazioni: si è parlato di evento storico, di Carmen ripulita da pretese incrostazioni (come se il sol fatto di eseguire i recitativi cantati trasformasse il capolavoro di Bizet in Cavalleria Rusticana: verrebbe da consigliare alla penna illuminata che ha scritto tale boutade di riascoltarsi Karajan). Nessun cenno, ovviamente, alla problematica editoriale dell'opera, nessun cenno di vera filologia (non quella da salotto e à la page), ma solo un'infilzata di isterie dai molteplici bersagli: tradizioni esecutive (chissà perchè, invece, se si parla di prassi baroccara tutti si inchinano), primedonne vere e presunte, acuti e sovracuti etc... E poi aspettiamoci l'uscita discografica, il DVD e così via... Una menzogna ripetuta un milione di volte diventa verità, pare abbia detto Goebbels: ebbene il caso del finto evento scaligero ne è la controprova! Auguro a tutti questi sedicenti critici e giornalisti, di ricordare un pò il loro mestiere, di accantonare gli ozi del marketing e di tornare a far critica vera (che critichi qualcosa, insomma, e non si dedichi esclusivamente al gossip, al costume e al portafoglio). La seconda riflessione la dedico al barocco, o meglio al barocò, al circo baroccaro e alla filologia barocchista che arriva a sostenere la barocchizzazione di Brahms (non scherzo: leggasi l'ultima dichiarazione in tal senso di Gardiner). Bach, Handel, Haydn, Gluck, Mozart, Beethoven (in parte), Rossini (imminente), Bellini e Donizetti (prossimi obbiettivi) sono ormai colonizzati: come ripeto da tempo, il problema non è la ricerca di nuovi moduli espressivi o di diverse soluzioni interpretative (già i grandissimi hanno eseguito quella musica, e la Storia, la loro Storia non potrà essere certamente turbata dalle zanzarine petulanti degli ultras baroccari), il problema sta nel voler appiccicare a tali soluzioni, una patente incongrua di autenticità, negando la legittima esistenza ad ogni altra e diversa modalità interpretativa (tentando, così, di delegittimare la precedente e assai più gloriosa scuola esecutiva barocca). Ad ogni, rara purtroppo, uscita di un Handel o un Mozart su strumenti moderni, si leggono gli strali di chi ritiene tali scelte, degne di un sottosviluppo culturale, un'offesa di lesa filologia da punire con recensioni negative e feroci (e spesso - come al solito - i più intransigenti e giacobini, sono i neofiti, i convertiti di recente). Mi auguro, per il 2010, un pò di moderazione, una ventata di sano scetticismo, di rossiniana laicità, in questi talebani del barocchismo: in fondo la Verità Assoluta, è antifilologica.....
Buon 2010!
Gilbert-Louis Duprez
Fin qui i nostri voti augurali.
E voi, cari amici? Quali sono le vostre speranze, i vostri desideri, i vostri.... timori per l'anno che sta per nascere?
Si aprano le danze, anzi....... i commenti!
Gli ascolti
Rossini
Guillaume Tell
Atto IV
Tout change et grandit en ces lieux - Gian Giacomo Guelfi, Gianni Raimondi, Leyla Gencer, Paolo Washington, Leyla Bersiani & Anna Maria Rota (1965)
Halévy
La Juive
Atto I
Si la rigueur et la vengeance - José Mardones (1910)
Meyerbeer
Les Huguenots
Atto IV
Benedizione dei pugnali - Marcel Journet (1902 - Mapleson)
Donizetti
Les Martyrs
Atto IV
Il nous faut des jeux et des fêtes - Leyla Gencer, Ottavio Garaventa & Renato Bruson (1978)
Verdi
Ernani
Atto III
Si ridesti il Leon di Castiglia - Dimitri Mitropoulos (1956)