Non serve recensire la performance provenzale di Natalie Dessay in Traviata, perché è sotto gli occhi ( e le orecchie ) di tutti. Conta la “morale della favola”, per dir così, le conclusioni cui questo capolinea artistico e vocale ci costringono, perché importa di più comprendere le ragioni che hanno portato a questa miscela perfetta di mala vocalità, mala regia, mala citazione del passato ( dal duo Callas Visconti attraverso Zeffirelli sino al teatro di Pina Bausch ) per realizzare una perfetta produzione di “mala Traviata”, snaturata nella musica come nella sua poetica, sia d’epoca che dei valori metastorici in essa presenti.
Mi parve una vera stella la prima volta che la vidi in teatro: Natalie Dessay aveva tutto, una voce non straordinaria ma comunque estesa, di grande flessibilità, incline al canto acrobatico, un canto mosso da grande musicalità, istinto, eleganza, gusto e personalità. Personalità vera, di quella che, quando c’è, illumina subito il palcoscenico sin dal primo: un’ artista, non solo una cantante. Mi pareva una primadonna vera, di quelle destinate anche ad essere prigioniere del proprio strumento sottile, inadeguato a certi masterworks del canto tragico italiano con cui poi finiscono per cimentarsi egualmente, naturalmente portata, anche in forza della propria fisionomia, al canto brillante e scoppiettante della commedia o al canto strumentale del belcanto o del barocco. Quello del disco di arie mozartiane, tanto per intenderci, certo il prodotto discografico più alto dello star system odierno, disco irripetibile per la Dessay stessa. Il vizio antico dell’aria nella voce causò di lì a poco le note patologìe che la cantante seppe trasformare abilmente in una personale…poetica artistica. Con la pubblicizzazione dei propri malanni, fatto che i cantanti sono soliti occultare e negare nel timore di essere messi da parte, l’intelligentissima Dessay ha dato al pubblico la ragione stessa per non trascurarla, non dimenticarla nella pause forzate causate da noduli e polipi alle corde, fino a trasformare l’handicap in un alibi, nella giustificazione principe per prestazioni che vocalmente sono andate scemando nel tempo, il timbro corroso, l’estensione accorciata, il volume ridotto, la fibra sempre più evidente.
Prigioniera del proprio eccesso di personalità ma anche, e soprattutto, delle foie moderne intellettual avanguardiste, la vitalissima Natalie, anziché prendere la via della rimeditazione tecnica che avrebbe potuto consentirle di affrancarsi dalla distruzione delle corde vocali mettendosi a cantare sul fiato (more Devia-Gruberova-Sutherland etc), ha preso la strada opposta, quella del cantante – non cantante, o meglio del cantante “espressionista”. Fraintendimenti moderni i suoi, non so se figli delle proprie convinzioni o se abili adattamenti a quella linea di pensiero eversiva e distruttiva che sta divorando il canto lirico moderno e che confonde i modi dell’espressione e del fraseggio generati dal naturalismo con il canto parlato, sgangherato, senza tecnica, per giunta applicato a poetiche musicali che con quelle idee e con la loro medesima degenerazione nulla c’entrano. Natalie Dessay è divenuta il testimonial di riferimento dell’idea che il canto possa e debba subire fisiologica evoluzione nella sua componente tecnica, e che da questa discendano altre e diverse modalità di espressione. Panzana antistorica quella che oggi non si debbano più cantare certe opere in certi modi passati, ma che sia lecito avere un approccio moderno, nuovo, “nostro”, al canto dei nostri antenati. Panzana che dimentica come il rapporto tra produzione del nuovo e modi del canto sia stato mutuo nello scorrere del tempo e come avesse la sua giustificazione storica proprio nella continuità della produzione di nuove opere. Tramontato il genere musicale, le cose si sono poste in altro modo, poiché noi opere nuove non ne scriviamo, ma cantiamo il passato, un tempo in sé concluso e finito, cui dobbiamo ridare vita oggi rispettandone le poetiche e le prassi stilistiche in esso contenute, e dunque è con i modi del passato che, volenti o nolenti, dobbiamo rapportarci.
Natalie Dessay si è ingegnata, ed assieme a lei alcune altre, a rinnegare il canto in maschera, ad affermarne la sua natura obsoleta, dimentica che quelle pratiche antiche, empiriche, avulse da ogni cognizione medico foniatrica, il mondo barocco le aveva messe a punto faticosamente, un anno dopo l’altro, un cantante dopo l’altro, per la costruzione di una voce umana estesa, duttile, astratta come uno strumento, capace di prodigi e meraviglie che la voce umana parlata non poteva produrre. Un sapere funzionale all’arte ma anche alla costruzione ed allo sviluppo del mezzo naturale dell’uomo, alla sua durata, al poter cantare ogni sera, alla liberazione del corpo e degli organi della gola dallo sforzo, da ogni costrizione, alla restituzione completa di un senso di libertà assoluta, di facilità, insomma la perfetta naturalezza dell’artificio. E questo dal mondo barocco dei castrati è disceso nel tempo sino al canto verista, dove ancora gli artisti del tempo, quelli grandi che il mondo dei cilindri e dei primi dischi documenta, piegano la loro voce a nuovi effetti artistici, ad una nuova e diversa espressività. Espressività, non certo espressionismo, che è ben altro, ma che molti come la Dessay confondono, approcciando Verdi o il belcanto per non dire il canto barocco con i modi Alban Berg. Già, perché la Dessay di ier sera era degna della peggior degenerazione di Teresa Stratas, una delle cantanti di avanguardia verso la degenerazione del canto moderno, ancor più delle Silja & C. La Dessay della Traviata di Aix più che i panni di Violetta doveva vestire quelli di Nedda, attrice da carrozzone di pagliacci da strada, perché tale è stata ier sera la resa vocale e scenica del suo personaggio. E, paradosso dei paradossi, della varietà e della complessità che il fraseggio del ruolo presuppone, non v’era ombra! Monotonia e piattezza insopportabili, accompagnate da una gestualità del tutto inadeguata al personaggio come alla musica sono state la cifra della sua prestazione, a tratti segnata da urla lancinanti ed afonoidi, perché il cantante senza tecnica ( oltre che senza voce ) non è in grado di esprimere alcunché. Non si è mai affrancata da una dimensione a metà tra la sua Amina e la sua Marie di Fille, nel fraseggio come nella scena, ad onta di tutte le sue dichiarazioni d’intenti circa l’espressività ed originalità del fraseggiare. Non c’è riscrittura della storia del canto e della vocalità che tengano per la signora Dessay ormai: si è persino permessa di toccare il sancta sanctorum del canto della seconda metà del novecento, la Callas e la Sutherland, assicurandoci che Sonnambula non si può più cantare come la cantarono loro, afflitte dal superato canto nella maschera! Natalie Dessay, prigioniera della propria immagine di artista col dovere di stupire, di innovare, di essere qualcosa di mai visto ogni volta, di dover giustificare un canto condizionato dalla misconoscenza dell’uso del fiato, ha finito per andare tanto oltre la realtà delle cose, di tutto ciò che canta, da essere ormai lontana e sradicata da ogni cosa cui mette mano, inadeguata perché costantemente eccessiva, tanto da essere la caricatura grottesca di sé e dei propri personaggi.
Quello dell'altra sera, lo spettacolo penoso di una grande ex artista ed ex cantante completamente svociata e scenicamente assurda oltre che interpretativamente inesistente, mi è parso il prodotto triste ed imbarazzante di tutte le moderne concezioni sul canto oggi in voga, l’esito più puro dello star system intellettualoide: un fallimento, che suscita rimpianto per la meravigliosa cantante che fu.
A fianco della diva Nat, uno spento e noioso Ludovic Tezier ( fiacchissima l'esecuzione dell'aria )ed un Charles Castronovo insignificante, dalla voce sempre indietro ( del tutto inutile il do mezzo steccato in chhiusa alla cabaletta ), diretti da un pessimo L.Langreé che, ad onta della qualità dell'orchestra, ha alternato accompagnamenti noiosi a momenti bandistici.
Mi parve una vera stella la prima volta che la vidi in teatro: Natalie Dessay aveva tutto, una voce non straordinaria ma comunque estesa, di grande flessibilità, incline al canto acrobatico, un canto mosso da grande musicalità, istinto, eleganza, gusto e personalità. Personalità vera, di quella che, quando c’è, illumina subito il palcoscenico sin dal primo: un’ artista, non solo una cantante. Mi pareva una primadonna vera, di quelle destinate anche ad essere prigioniere del proprio strumento sottile, inadeguato a certi masterworks del canto tragico italiano con cui poi finiscono per cimentarsi egualmente, naturalmente portata, anche in forza della propria fisionomia, al canto brillante e scoppiettante della commedia o al canto strumentale del belcanto o del barocco. Quello del disco di arie mozartiane, tanto per intenderci, certo il prodotto discografico più alto dello star system odierno, disco irripetibile per la Dessay stessa. Il vizio antico dell’aria nella voce causò di lì a poco le note patologìe che la cantante seppe trasformare abilmente in una personale…poetica artistica. Con la pubblicizzazione dei propri malanni, fatto che i cantanti sono soliti occultare e negare nel timore di essere messi da parte, l’intelligentissima Dessay ha dato al pubblico la ragione stessa per non trascurarla, non dimenticarla nella pause forzate causate da noduli e polipi alle corde, fino a trasformare l’handicap in un alibi, nella giustificazione principe per prestazioni che vocalmente sono andate scemando nel tempo, il timbro corroso, l’estensione accorciata, il volume ridotto, la fibra sempre più evidente.
Prigioniera del proprio eccesso di personalità ma anche, e soprattutto, delle foie moderne intellettual avanguardiste, la vitalissima Natalie, anziché prendere la via della rimeditazione tecnica che avrebbe potuto consentirle di affrancarsi dalla distruzione delle corde vocali mettendosi a cantare sul fiato (more Devia-Gruberova-Sutherland etc), ha preso la strada opposta, quella del cantante – non cantante, o meglio del cantante “espressionista”. Fraintendimenti moderni i suoi, non so se figli delle proprie convinzioni o se abili adattamenti a quella linea di pensiero eversiva e distruttiva che sta divorando il canto lirico moderno e che confonde i modi dell’espressione e del fraseggio generati dal naturalismo con il canto parlato, sgangherato, senza tecnica, per giunta applicato a poetiche musicali che con quelle idee e con la loro medesima degenerazione nulla c’entrano. Natalie Dessay è divenuta il testimonial di riferimento dell’idea che il canto possa e debba subire fisiologica evoluzione nella sua componente tecnica, e che da questa discendano altre e diverse modalità di espressione. Panzana antistorica quella che oggi non si debbano più cantare certe opere in certi modi passati, ma che sia lecito avere un approccio moderno, nuovo, “nostro”, al canto dei nostri antenati. Panzana che dimentica come il rapporto tra produzione del nuovo e modi del canto sia stato mutuo nello scorrere del tempo e come avesse la sua giustificazione storica proprio nella continuità della produzione di nuove opere. Tramontato il genere musicale, le cose si sono poste in altro modo, poiché noi opere nuove non ne scriviamo, ma cantiamo il passato, un tempo in sé concluso e finito, cui dobbiamo ridare vita oggi rispettandone le poetiche e le prassi stilistiche in esso contenute, e dunque è con i modi del passato che, volenti o nolenti, dobbiamo rapportarci.
Natalie Dessay si è ingegnata, ed assieme a lei alcune altre, a rinnegare il canto in maschera, ad affermarne la sua natura obsoleta, dimentica che quelle pratiche antiche, empiriche, avulse da ogni cognizione medico foniatrica, il mondo barocco le aveva messe a punto faticosamente, un anno dopo l’altro, un cantante dopo l’altro, per la costruzione di una voce umana estesa, duttile, astratta come uno strumento, capace di prodigi e meraviglie che la voce umana parlata non poteva produrre. Un sapere funzionale all’arte ma anche alla costruzione ed allo sviluppo del mezzo naturale dell’uomo, alla sua durata, al poter cantare ogni sera, alla liberazione del corpo e degli organi della gola dallo sforzo, da ogni costrizione, alla restituzione completa di un senso di libertà assoluta, di facilità, insomma la perfetta naturalezza dell’artificio. E questo dal mondo barocco dei castrati è disceso nel tempo sino al canto verista, dove ancora gli artisti del tempo, quelli grandi che il mondo dei cilindri e dei primi dischi documenta, piegano la loro voce a nuovi effetti artistici, ad una nuova e diversa espressività. Espressività, non certo espressionismo, che è ben altro, ma che molti come la Dessay confondono, approcciando Verdi o il belcanto per non dire il canto barocco con i modi Alban Berg. Già, perché la Dessay di ier sera era degna della peggior degenerazione di Teresa Stratas, una delle cantanti di avanguardia verso la degenerazione del canto moderno, ancor più delle Silja & C. La Dessay della Traviata di Aix più che i panni di Violetta doveva vestire quelli di Nedda, attrice da carrozzone di pagliacci da strada, perché tale è stata ier sera la resa vocale e scenica del suo personaggio. E, paradosso dei paradossi, della varietà e della complessità che il fraseggio del ruolo presuppone, non v’era ombra! Monotonia e piattezza insopportabili, accompagnate da una gestualità del tutto inadeguata al personaggio come alla musica sono state la cifra della sua prestazione, a tratti segnata da urla lancinanti ed afonoidi, perché il cantante senza tecnica ( oltre che senza voce ) non è in grado di esprimere alcunché. Non si è mai affrancata da una dimensione a metà tra la sua Amina e la sua Marie di Fille, nel fraseggio come nella scena, ad onta di tutte le sue dichiarazioni d’intenti circa l’espressività ed originalità del fraseggiare. Non c’è riscrittura della storia del canto e della vocalità che tengano per la signora Dessay ormai: si è persino permessa di toccare il sancta sanctorum del canto della seconda metà del novecento, la Callas e la Sutherland, assicurandoci che Sonnambula non si può più cantare come la cantarono loro, afflitte dal superato canto nella maschera! Natalie Dessay, prigioniera della propria immagine di artista col dovere di stupire, di innovare, di essere qualcosa di mai visto ogni volta, di dover giustificare un canto condizionato dalla misconoscenza dell’uso del fiato, ha finito per andare tanto oltre la realtà delle cose, di tutto ciò che canta, da essere ormai lontana e sradicata da ogni cosa cui mette mano, inadeguata perché costantemente eccessiva, tanto da essere la caricatura grottesca di sé e dei propri personaggi.
Quello dell'altra sera, lo spettacolo penoso di una grande ex artista ed ex cantante completamente svociata e scenicamente assurda oltre che interpretativamente inesistente, mi è parso il prodotto triste ed imbarazzante di tutte le moderne concezioni sul canto oggi in voga, l’esito più puro dello star system intellettualoide: un fallimento, che suscita rimpianto per la meravigliosa cantante che fu.
A fianco della diva Nat, uno spento e noioso Ludovic Tezier ( fiacchissima l'esecuzione dell'aria )ed un Charles Castronovo insignificante, dalla voce sempre indietro ( del tutto inutile il do mezzo steccato in chhiusa alla cabaletta ), diretti da un pessimo L.Langreé che, ad onta della qualità dell'orchestra, ha alternato accompagnamenti noiosi a momenti bandistici.
19 commenti:
Non ho seguito la diretta, ma mi sono procurato la registrazione e ho appena finito di vederla.
La tua recensione è a dir poco esemplare nel criticare non tanto gli esiti artistici dello spettacolo in se stesso, quanto il fatto che questo è il frutto di un sistema marcio in tutte le sue componenti: artisti, pubblico e critica.
Saluti.
l'ho vista in diretta mentre chattavo qui nel foyer della Grisi
una sola parola una Traviata ridicola,come stato ridicolo il finale. (Violetta zombi)
E ma come siamo passatisti! Eddai su. Che importa se invece di cantare si accenna? Che importa se invece di cantare si sfiata?
Dà emozioni!
Noi poveri scemi non ci emozioniamo e non riusciamo a capire il miracolo compiuto. Infedeli! Ignoranti! Grezzi! Poveri cafoni che non siamo altro!
Fa niente se la diva ripete se stessa. Fa niente se pare di veder messo insieme tutto il repertorio di smorfie e acrobazie di Marie de La Fille, di Lucia, di Olympia, etc.
Emoziona!
Capito??? Siamo troppo rozzi per capire. PUNTO.
difatti piangevo per l'emozione..
Bravo LucaR,
siamo noi che non capiamo. Violetta è una creatura della strada, ha letto Sartre e ascoltato Lotte Lehmann, Juliette Greco ed Edith Piaf.
Come vuoi che possano esprimere tali profondi concetti i soprani che eseguono note scritte?
La Dessay è morta.
Mozart: semmai ha ascoltato Jane Birkin. Lotte Lehmann è così "out"!
Ma perché perdere tempo con questa pagliaccia?
Vedo ora che blogger ha nuovamenye perduto le correzioni al testo in bozza. Mi scuso per alcuni passaggi che vedro' di far correggere alla nostra assai imperfetta piattaforma.
Triste esibizione di cantante che fu, pietosa caricatura quella che il regista (possiamo definirlo regista?) un affastellarsi di scene, movimenti e pagliacciate che neppure un teatro di periferia potrebbe mai allestire.
Se fossi un cantante a simile regista darei un paio di calci nel sedere!
"ormai sta trasformando un handicap in un´alibi" ossia "sie macht aus der Not eine Tugend" Ecco.
Ma continueranno a farlo tutti questi pesudo cantanti (e sono numerosi) perche il pubblico scambia pseudo-arte con incapacità ed incompetenza. La Dessay viene definita belcantista esemplare. BEL-CAN-TIS-TA.
Una Violetta si puo cantare in modo veristico o belcantistico - da soprano d´agilità, lirico-leggiero o spinto. - Se fatto bene. Ma CANTARLA si deve.
bellissima recensione e sacrosante verità
Signori perdonate la franchezza, ma voi di questa “Traviata” non avete capito NULLA!
Verdi ha composto il ruolo di Violetta pensando alla voce della Dessay!
E’ palese, lapalissiano direi!!!
Una “Traviata” ai tempi dello “Strategggismo sentimentale” e sono certa che Verdi si sarebbe affidato ad Alfonso Luigi Marra per la stesura del libretto!
Chissenefrega della tecnica, dell’appoggio, dell’intonazione, dello stile, della partitura, delle note! Altre sono le esigenze in “Traviata”. Ma che ne volete sapere voi cosa esprime un canto lacerato! Quelle della Dessay non sono stecche: sono l'espressione dell'animo! Il fraseggio non è piatto: è ASTRATTO così ognuno può immaginarsi ciò che più gli aggrada! Il pigolar-accennato della Dessay rappresenta il corpo morto che si frantuma come il cristallo di fronte all'ineluttabilità del destino. Lei lotta aggrappata alla vita. Lei spezza la voce e la linea di canto, perchè è intimamente lacerata e frantumata dal potere e dalla morte che la opprimono; tutta la Traviata è, in pratica, una lacerata esperienza pre-morte di Violetta; è lei che rivive le cause della sua devastante dipartita, la quale è la sconfitta di noi tutti, di una società, di un mondo malato che si estingue! Non sta cantando come un pulcino eh; ella rappresenta con la sola interpretaZione, con la “Z” maiuscola, il momento esatto in cui il male prende il sopravvento schiacciandola. Ma che ve lo dico a fare! Un approccio scioccante! Siamo di fronte alla svolta epocale delle prossime interpretaZioni verdiane. Ora c'è solo Natalie "La" Violetta del millennio! Storica, che commuove e smuove le membra! Colei che ha polverizzato ogni cantante che ha indegnamente (e diciamolo) interpretato Violetta prima di lei! Bisognerebbe bruciare ogni disco e CD in circolazione per rispettare e non insultare tale MASTODONTICA interpretaZione! Io l’ho già fatto! Finalmente possiamo scrivere “Callas ADDIO!”
Ascoltate pure come pigola “Alfredo, Alfredo, di questo core”, come se ormai la tisi ed il dolore umano l'avessero trasformata in una larva; oppure come “accenna” “Sarò la, tra quei fior”, recisi come la sua tragica esistenza. Ora ripiango al solo pensiero, mi si squama la pelle! Sono tuttora provata! Come ti fa vivere il dolore fisico la Dessay, niuna: strabiliante!
Come fate a non comprendere? Io sono scioccata! E’ tutto così pieno d'ammmore!
Infiniti poi i piccoli incisi di questa interpretaZione gigantesca: lei si spoglia degli abiti del proprio ruolo per ritrovare se stessa, vittima lacerata degli eventi, di un ammmmore impossibbbbbile e della tisi che ormai l'ha vita; lei che vaga in stato sonnambulistico catatonico perchè morta dentro, dimostrandolo perfettamente con la "voce" (ora del decesso 23:50 ben prima del termine; la lettera, poi, ha cambiato per SEMPRE la mia esistenza conducendomi ad un livello superiore!
ASCOLTATE E COMPRENDETE!!!
Rispetto alla registrazione della prima la lettura della missiva è stata più veloce; nell'audio sembrava una bimba che aveva imparato a leggere il giorno prima, ovvia metafora dell’innocenza ormai lacerata e perduta, Che pathos!
Certo io l’avrei voluta più accennata, più sussurata, quasi parlata, ma sono certo che la Dessay dimenticherà ben presto le note “recitandola” FINALMENTE a soggetto!
Meritatissimi gli applausi ad una Natalie Dessay, magnifica!
La “Traviata” più meravigliosa della storia dell'umanità passata presente e futura!
Castronovo è forse il più grande Alfredo del creato; peccato somigli ad un Kaufmann delle favelas, ma il suo canto rappresenta perfettamente l'urlo di un'anima lacerata dalla propria smania di vivere prigioniera di se stessa. Tezier rappresenta con la linea vocale seghettata il potere che piega e frantuma con rozzezza l'anima piagata di Violetta. Langrée ha condotto in maniera perfettamente agonizzante e tisica, per adeguarsi alla protagonista!
Marianne
http://www.youtube.com/watch?v=BUm5CQZ3DQM
marianne lo scrivi cosi convinta che mi preoccupi hi hi
Ma lo sono, Pasquale, lo sono!!!
Ciò che conta nell'opera non sono le note!
Non bisogna mica cantare no, no, no!
Ciò che conta è l'EMOZZZZZIONE con la "Z" maiuscola, come interpretaZione!
Si potrà anche dire che la COSMICA Natalie non canti in maschera, che sia l'ectoplasma dell'ombra dell'ombra del ricordo della cantante che fu, ma ormai quella che era un tempo è fuori moda, non è "à la page", non è stylosa né lovvosa: ma scherziamo!!!
Non si può cantare bene, figuriamoci in maschera!
Cielo, potrei svenire!!!
Fanny Heldy canta benissimo, interpreta ottimamente, fa venire quasi da piangere che non ci sia una Violetta così oggi; ma canta in maschera!!! CHE OVVOVE!!! E' una tardona in confronto alla SUPREMA Natalia!!!
Vuoi mettere con la STELLARE Natalie, che è fashionissima non cantando in maschera e accennando tutta la parte trasformandola in una roba che nemmanco Verdi aveva sognato??? E poi che interpretaZione, che emoZioni che ci ha regalato l'OLIMPICA Natalia!
Ti immagini oggi una Fanny Heldy che canta bene, si, ma è così poco alla moda???
Come minimo la fischierebbero; invece alla Natalia credo intitoleranno anche una Cattedrale nel centro di Aix con tanto di fonte miracolosa!
Era ora!!!
Come dicono le giornaliste giulive quando intervistano un direttore d'orchestra di cui ignoravano l'esistenza fino a 10 minuti prima:
"Maestro, ogni volta una grande emoZione!"
Viva la Moda!!!
Marianne
Marianne, sono commosso...se qualche sito progressista usa le tue frasi nelle recensioni, stavolta fatti pagare i diritti, mi raccomando.
Viva l´ammmore!
Non ho visto questa attesissima Traviata e non so se la vedrò, posso però citare la precedente fatica della Dessay, o almeno quella più consistente, ossia la Cleopatra nel Giulio Cesare dato a Parigi quest'inverno.
In tutta franchezza non mi è sembrata così male, almeno nella ripresa in video che ho guardato... certo, le manca quella freschezza che aveva inizialmente, e certo non è stata aiutata dalla regia ingessatissima, ma ha fatto la sua figura, nonostante non sia la Cleopatra definitiva.
Va anche aggiunto, però, che deve aver avuto diversi problemi di voce, non essendo riuscita ad eseguire tutte le recite dovute e avendo avuto qualche problema in un paio di esse.
caro luca,
so che il 2 agisto si può lucrare il cosiddetto perdono d'assisi, ma anticiparlo e regalarlo alla dessay mi sembra francamente troppo.
senza perifrasi il cui scirippo blocca lo spirito critico la cantante è finita da tempo. Ama recitare: bene si dia alla prosa. Magari esiste la versione lugduniense di Felicita Colombo ossia Felicité Coulomb e la reciti per la propria gioja e per quella del pubblico. Pucclico che è ben peggio di lei perchè applaudire le invereconde pagliaciate della signora (un tempo cantante valida e preparata) significa avere l'apparato uditivo lese in maniera irreversibile e vare perso dignità e buon gusto.
ciao a tutti
domenico donzelli
Siamo nell'era della tecnologia avanzata. Registratori digitali perfetti, che captano anche i sospiri. Ma la Dessay non si riascolta? Non capisce che il ritiro dalle scene è opportuno quando manca la materia prima? Perchè insistere pensando ad un miracolo di padre Pio?
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