Il luciferino personaggio di Lady Macbeth non fu propriamente una riscoperta di Maria Callas, protagonista del melodramma verdiano il 7 dicembre 1952, anche se quella ripresa segnò un nuovo ed ininterrotto corso per questo titolo, propiziato in primo luogo da grandi direttori d’orchestra, a partire da de Sabata e Kleiber padre, Gui sino ai recenti Abbado e Muti.
Sia pure con l’indispensabile concorso di una grande prima donna. Perché senza una protagonista di elevato livello tecnico ed interpretativo la riproposta di Macbeth è perdente in partenza.
Senza proporre classifiche Maria Callas, Leyla Gencer, Shirley Verrett e Ghena Dimitrova sono state per pubblico e critica le Lady Macbeth di riferimento. Le prime tre ampliamemte documentate in registrazioni di facile reperimento. Quindi le omettiamo negli ascolti.
Non sono state, però, le sole. La discussione è aperta e costante circa le grandi protagoniste. Alla discussione contribuisce in larga misura la storia compositiva dell’opera e sopratutto una malintesa interpretazione degli scritti verdiani circa le qualità vocali richieste alla protagonista femminile nell’ottica dell’autore.
Quanto alla vicenda compositiva. La versione che tutte le protagoniste proposte eseguono è quella del 1865 e non quella del 1847 scritta per Marianna Barbieri Nini. Nella riscrittura dal 1847 al 1865 la protagonista è meno impegnata sul versante acrobatico e la caratteristica di una scrittura in certi punti da mezzo soprano è ulteriormente accentuata. In questo senso di veda la sostituzione al secondo atto dell’ario Trionfai con la “luce langue”. Non per nulla la prima esecutrice italiana della versione 1865 fu la Fricci, prima Eboli, famosa come Selika ed anche come Borgia. Il title role di Borgia, non si dimentichi, era una delle opere della Barbieri Nini.
Non per nulla nelle riprese attuali molti soprani centrali o mezzi acutissimi sono state acclamate nel ruolo.
Al di sopra di tutte Grace Bumbry. Il primo incontro documentato con il personaggio (salisburgo 1964 con la direzione di Sawallisch) non è dei migliori sia sotto il profilo vocale che interpretativo. La grande Bumbry c’è tutta sia come vocalista che come interprete in una edizione newyorkese, anche se con un direttore di solido mestiere.
E’ strano che una cantante dalla carriera fenomenale non abbia mai avuto l’occasione di essere protagonista con il supporto di una grande direzione.
Eppure va detto che vocalmente solo la giovane Callas o la Gencer del 1960 superano la veemenza, la penetrazione vocale e il fraseggio accurato, insinuante di questa autentica fuoriclasse. La cui grandezza, forse, durante la carriera è un po’ sfuggita.
Il malinteso circa la vocalità della Lady nasca da una lettera di Verdi, che censura Eugenia Tadolini, proposta dal Teatro di San Carlo, come pure nel 1857 Verdi stesso minaccerà il ritiro dell’opera dal Teatro degli Italiani nell’ipotesi di Giulia Grisi, declinante, ma pur sempre indiscussa regina del des Italiens.
Interpretata alla lettera l’opinione di Verdi porterebbe a concludere che la titolare di Lady Macbeth debba cantare come un personaggio di Kurt Weill.
Forse Verdi lamentava l’inadeguatezza vocale ed interpretativa di Eugenia Tadolini e Giulia Grisi, cantanti di formazione e gusto donizettiani (per non dire rossiniani) e nessuna delle due all’epoca all’apice della forma vocale.
Sta di fatto che se da un lato la scrittura vocale ambigua ha portato anche a risultati di levatura storica dall’altro l’interpretazione degli scritti verdiani ha giustificato protagoniste provenienti dalle file delle più esagitate urlatrici wagneriane tipo Borkh, Varnay, Jones.
Se pensiamo ai ruoli sia della Barbieri-Nini (l’unica che attentò all’impero rossiniano parigino di Giulia Grisi con una strepitosa Semiramide nel 1848) che della Fricci la Lady wagneriana o straussiana in salsa declamata è un macroscopico errore. Storico e musicale. E’ dovere ed onestà documentare, e copiosamente, come applicata ad una parte che richieda, come tutte quelle del primo Verdi, dimestichezza con i passi di agilità, capacità di smorzare, rinforzare il suono in ogni zona della voce, di essere elegante ed insinuante (è pur sempre una demoniaca regina!!) la cantante di gusto e scuola wagneriana parlata annaspi miseramente e sia paradossalmente l’interprete meno rilevante.
La riprova è che una Renata Scotto non giovanissima, alle prese con il solito “passo più lungo della gamba” (ne ha fatti tantissimi nella propria carriera) riesca ad essere un’interprete credibile ed attentissima ed a reggere l’impervia scrittura. Re be, del sonnambulismo compreso, in grazia della tecnica all’italiana.
Certo che se la cantante wagneriana di turno risponde alla voce e soprattutto al gusto ed alla tecnica di Birgit Nilsson si potrà eccepire, magari sulla base del corrente pregiudizio che non sulla reale resa teatrale, circa la sensibilità dell’interprete, ma nessuna protagonista sfoggia la facilità di vanto del soprano svedese. Ed il risultato non cambia neppure quando i panni della protagonista sono affidati alla saldezza del registro acuto di Olivia Stapp. All’epoca delle sue performance (e parlo di venti anni or sono) si storceva il naso sulle qualità della interprete di questa cantante. Oggi impazziremmo per le bordate in alto e l’imperiosità dell’ottava superiore di Olivia Stapp.
Gli stessi difetti venivano imputati a Ghena Dimitrova. Chi abbia sentito la sua chiusa al finale del sonnabulismo in Arena può smentire ogni accusa di canto senza finezze. Ma l’attenzione al fraseggio ed ad una esecuzione elegante, pur con una voce tutt’altro che duttile e sottoposta a repertorio massacrante, erano una costante della cantante bulgara.
L’esecuzione del sonnambulismo, dell’aria del secondo atto e del duetto con Macbeth al terzo atto sono rilevanti ed indimenticabili sia sotto il profilo vocale che interpretivo. Anche se una cantante come Ghena Dimitrova perde molto del suo fascino nelle registrazioni. La Lady Macbeth di Ghena Dimitrova (seconda come ampiezza e volume solo alla Nilsson nei miei ricordi di ascoltatore) smentisce coi fatti e la costanza di esecuzioni che la protagonista debba essere solo un peso massimo, dimentica di legato, dinamica e precisione di esecuzione.
Verdi - Macbeth
Atto I
- Ambizioso spirto...Vieni t'affretta - Inge Borkh, Martina Arroyo, Grace Bumbry, Olivia Stapp, Christine Deutekom
- Fatal mia donna - Inge Borkh & Cornell MacNeil, Renata Scotto & Sherrill Milnes
- Schiudi inferno - Birgit Nilsson, Gwyneth Jones, Grace Bumbry, Olivia Stapp
Atto II
- La luce langue - Christa Ludwig, Grace Bumbry, Ghena Dimitrova, Dolora Zajick
- Trionfai, securi alfine (versione originale 1847) - Olivia Stapp
- Si colmi il calice - Astrid Varnay, Martina Arroyo, Grace Bumbry, Christine Deutekom
- Sangue a me quell'ombra chiede - Martina Arroyo & Sherrill Milnes, Grace Bumbry & Sherrill Milnes, Ghena Dimitrova & Piero Cappuccilli
Atto III
- Ove son io? - Birgit Nilsson & Cornell MacNeil, Grace Bumbry & Sherrill Milnes, Ghena Dimitrova & Piero Cappuccilli, Gwyneth Jones & James Morris
Atto IV
- Una macchia è qui tuttora - Birgit Nilsson, Renata Scotto, Christine Deutekom, Ghena Dimitrova
Sia pure con l’indispensabile concorso di una grande prima donna. Perché senza una protagonista di elevato livello tecnico ed interpretativo la riproposta di Macbeth è perdente in partenza.
Senza proporre classifiche Maria Callas, Leyla Gencer, Shirley Verrett e Ghena Dimitrova sono state per pubblico e critica le Lady Macbeth di riferimento. Le prime tre ampliamemte documentate in registrazioni di facile reperimento. Quindi le omettiamo negli ascolti.
Non sono state, però, le sole. La discussione è aperta e costante circa le grandi protagoniste. Alla discussione contribuisce in larga misura la storia compositiva dell’opera e sopratutto una malintesa interpretazione degli scritti verdiani circa le qualità vocali richieste alla protagonista femminile nell’ottica dell’autore.
Quanto alla vicenda compositiva. La versione che tutte le protagoniste proposte eseguono è quella del 1865 e non quella del 1847 scritta per Marianna Barbieri Nini. Nella riscrittura dal 1847 al 1865 la protagonista è meno impegnata sul versante acrobatico e la caratteristica di una scrittura in certi punti da mezzo soprano è ulteriormente accentuata. In questo senso di veda la sostituzione al secondo atto dell’ario Trionfai con la “luce langue”. Non per nulla la prima esecutrice italiana della versione 1865 fu la Fricci, prima Eboli, famosa come Selika ed anche come Borgia. Il title role di Borgia, non si dimentichi, era una delle opere della Barbieri Nini.
Non per nulla nelle riprese attuali molti soprani centrali o mezzi acutissimi sono state acclamate nel ruolo.
Al di sopra di tutte Grace Bumbry. Il primo incontro documentato con il personaggio (salisburgo 1964 con la direzione di Sawallisch) non è dei migliori sia sotto il profilo vocale che interpretativo. La grande Bumbry c’è tutta sia come vocalista che come interprete in una edizione newyorkese, anche se con un direttore di solido mestiere.
E’ strano che una cantante dalla carriera fenomenale non abbia mai avuto l’occasione di essere protagonista con il supporto di una grande direzione.
Eppure va detto che vocalmente solo la giovane Callas o la Gencer del 1960 superano la veemenza, la penetrazione vocale e il fraseggio accurato, insinuante di questa autentica fuoriclasse. La cui grandezza, forse, durante la carriera è un po’ sfuggita.
Il malinteso circa la vocalità della Lady nasca da una lettera di Verdi, che censura Eugenia Tadolini, proposta dal Teatro di San Carlo, come pure nel 1857 Verdi stesso minaccerà il ritiro dell’opera dal Teatro degli Italiani nell’ipotesi di Giulia Grisi, declinante, ma pur sempre indiscussa regina del des Italiens.
Interpretata alla lettera l’opinione di Verdi porterebbe a concludere che la titolare di Lady Macbeth debba cantare come un personaggio di Kurt Weill.
Forse Verdi lamentava l’inadeguatezza vocale ed interpretativa di Eugenia Tadolini e Giulia Grisi, cantanti di formazione e gusto donizettiani (per non dire rossiniani) e nessuna delle due all’epoca all’apice della forma vocale.
Sta di fatto che se da un lato la scrittura vocale ambigua ha portato anche a risultati di levatura storica dall’altro l’interpretazione degli scritti verdiani ha giustificato protagoniste provenienti dalle file delle più esagitate urlatrici wagneriane tipo Borkh, Varnay, Jones.
Se pensiamo ai ruoli sia della Barbieri-Nini (l’unica che attentò all’impero rossiniano parigino di Giulia Grisi con una strepitosa Semiramide nel 1848) che della Fricci la Lady wagneriana o straussiana in salsa declamata è un macroscopico errore. Storico e musicale. E’ dovere ed onestà documentare, e copiosamente, come applicata ad una parte che richieda, come tutte quelle del primo Verdi, dimestichezza con i passi di agilità, capacità di smorzare, rinforzare il suono in ogni zona della voce, di essere elegante ed insinuante (è pur sempre una demoniaca regina!!) la cantante di gusto e scuola wagneriana parlata annaspi miseramente e sia paradossalmente l’interprete meno rilevante.
La riprova è che una Renata Scotto non giovanissima, alle prese con il solito “passo più lungo della gamba” (ne ha fatti tantissimi nella propria carriera) riesca ad essere un’interprete credibile ed attentissima ed a reggere l’impervia scrittura. Re be, del sonnambulismo compreso, in grazia della tecnica all’italiana.
Certo che se la cantante wagneriana di turno risponde alla voce e soprattutto al gusto ed alla tecnica di Birgit Nilsson si potrà eccepire, magari sulla base del corrente pregiudizio che non sulla reale resa teatrale, circa la sensibilità dell’interprete, ma nessuna protagonista sfoggia la facilità di vanto del soprano svedese. Ed il risultato non cambia neppure quando i panni della protagonista sono affidati alla saldezza del registro acuto di Olivia Stapp. All’epoca delle sue performance (e parlo di venti anni or sono) si storceva il naso sulle qualità della interprete di questa cantante. Oggi impazziremmo per le bordate in alto e l’imperiosità dell’ottava superiore di Olivia Stapp.
Gli stessi difetti venivano imputati a Ghena Dimitrova. Chi abbia sentito la sua chiusa al finale del sonnabulismo in Arena può smentire ogni accusa di canto senza finezze. Ma l’attenzione al fraseggio ed ad una esecuzione elegante, pur con una voce tutt’altro che duttile e sottoposta a repertorio massacrante, erano una costante della cantante bulgara.
L’esecuzione del sonnambulismo, dell’aria del secondo atto e del duetto con Macbeth al terzo atto sono rilevanti ed indimenticabili sia sotto il profilo vocale che interpretivo. Anche se una cantante come Ghena Dimitrova perde molto del suo fascino nelle registrazioni. La Lady Macbeth di Ghena Dimitrova (seconda come ampiezza e volume solo alla Nilsson nei miei ricordi di ascoltatore) smentisce coi fatti e la costanza di esecuzioni che la protagonista debba essere solo un peso massimo, dimentica di legato, dinamica e precisione di esecuzione.
Verdi - Macbeth
Atto I
- Ambizioso spirto...Vieni t'affretta - Inge Borkh, Martina Arroyo, Grace Bumbry, Olivia Stapp, Christine Deutekom
- Fatal mia donna - Inge Borkh & Cornell MacNeil, Renata Scotto & Sherrill Milnes
- Schiudi inferno - Birgit Nilsson, Gwyneth Jones, Grace Bumbry, Olivia Stapp
Atto II
- La luce langue - Christa Ludwig, Grace Bumbry, Ghena Dimitrova, Dolora Zajick
- Trionfai, securi alfine (versione originale 1847) - Olivia Stapp
- Si colmi il calice - Astrid Varnay, Martina Arroyo, Grace Bumbry, Christine Deutekom
- Sangue a me quell'ombra chiede - Martina Arroyo & Sherrill Milnes, Grace Bumbry & Sherrill Milnes, Ghena Dimitrova & Piero Cappuccilli
Atto III
- Ove son io? - Birgit Nilsson & Cornell MacNeil, Grace Bumbry & Sherrill Milnes, Ghena Dimitrova & Piero Cappuccilli, Gwyneth Jones & James Morris
Atto IV
- Una macchia è qui tuttora - Birgit Nilsson, Renata Scotto, Christine Deutekom, Ghena Dimitrova
1 commenti:
Grazie, mica la conoscevo la Lady della Deutekom!!!
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