lunedì 24 marzo 2008

Così fan tutte a Parma: siamo in braghe di tela!


La vera novità e motivo di interesse di questo Così fan tutte pasquale è il forfait del direttore Attilio Cremonesi, discepolo di René Jacobs, filologo di fama e specialista di musica antica. Forfait, a quanto pare, fortemente desiderato dalla direzione del teatro e invocato dall'intero cast. Lo ha rimpiazzato all'ultimo Marco Zambelli, la cui prova appare ingiudicabile, non essendo possibile stabilire quanto di Cremonesi sia rimasto nella sua direzione. Abbastanza, a giudicare da fioriture interpolazioni e cadenze "baroccare" udite in orchestra e sul palco, ora piacevoli ora meno (vuoi per quello che sono, vuoi per come vengono eseguite). L'orchestra non ha suonato bene: attacchi sporchi, vere e proprie stecche segnatamente degli ottoni, una generale piattezza nelle dinamiche e nei colori, sfasamenti con i cantanti inaccettabili persino in prima prova d'assieme. E' preoccupante che l'orchestra di uno dei più importanti teatri italiani, dopo un mese di prove, annaspi in un'opera di Mozart. Che cosa combinerebbe alle prese con una qualsiasi partitura di Richard Strauss?
Quanto ai cantanti, abbiamo avuto una volta di più la prova che anche Mozart, ormai, rientra nel novero degli autori considerati "ineseguibili". In effetti è dura eseguire Mozart quando mancano i requisiti minimi dell'arte del canto, a cominciare dalla voglia di cantare.
Poiché, come ripetiamo ogni volta a rischio di risultare noiosi, il canto non si può e non si deve limitare alla dote di natura allo stato brado, la prova di Francesco Meli appare indicativa dello stato in cui versa la professione lirica. Il tenore genovese ha una voce naturalmente bella e anche ampia, ma dalla sua bocca escono solo berci e bastano due agilità due (nemmeno lontamente paragonabili a quelle che l'attendono al varco nell'Erisso pesarese) a metterlo in crisi e a farlo agitare scompostamente, come morso dalla tarantola di berganziana memoria. La quale Berganza, sia detto per inciso, eseguiva e tuttora esegue il canto di agilità senza perdere la perfetta compostezza della postura, nonché dell'emissione. Se il tenore stenta ovunque e s'impicca in acuto, segnatamente sul secondo passaggio, è l'ottava bassa la croce di Irina Lungu, che sfoggia voce ridotta e alleggerita rispetto alla Stuarda milanese (eseguita in un teatro ben più grande e dall'acustica ben più ingrata rispetto al Regio di Parma) e suona fioca in basso (regalo di un irrisolto primo passaggio di registro) e propensa al grido in acuto. La salvano l'innata musicalità e i generosi trasporti all'acuto particolarmente nel secondo atto, ma la chiusa del duetto con il tenore la vede a dir poco spossata. Più sonora risulta la Dorabella di Serena Gamberoni in Meli, se non fosse che il maggiore volume di suono ne sottolinea la tendenza a strillare come un aquilotto caduto dal nido, e si taccia dei fiati sistematicamente corti e delle agilità assai periclitanti. Forse la signora dovrebbe riflettere che una pagina come Smanie implacabili è parodia dell'opera seria per la situazione drammatica, non certo sotto il profilo vocale. E arriviamo al vero mistero od equivoco stravagante che dir si voglia di questa produzione, Stefanie Irányi, una vocina agra, mal emessa, che pasticcia e grida con poco o punto garbo e arriva a dimenticarsi metà della sua prima aria (e canta Despina, non una grande parte e nemmeno una parte lunga), al punto da doverla concludere ancheggiando e accennando come una comica dell'arte. La raffinata eleganza delle soubrette di tradizione appare anni luce di distanza da questa signora o signorina che, se avesse maggiore volume vocale, potremmo definire un'urlatrice (sarà forse una... declamatrice???) e che, allo stato attuale, dovrebbe meditare a lungo prima di affrontare uno qualsiasi dei mirabolanti impegni riportati nel suo curriculum nuovo fiammante. Per andare in scena bisognerebbe almeno memorizzare la parte.
Alex Esposito canta più compostamente del solito, almeno finché non s'imbatte in un punto coronato, che onora di contorcimenti del tutto analoghi a quelli di Meli. Ma almeno lui canta, o si sforza di farlo. Non possiamo dire altrettanto di un Andrea Concetti ormai pienamente a proprio agio nei panni del dicitore. Peraltro decisamente poco fine.
Irrilevante lo spettacolo di Adrian Noble, ambientato in riva al mare e in epoca contemporanea (i costumi sembrano acquistati al mercatino rionale, e se quelli delle signore ne valorizzano, ove possibile, l'avvenenza, le T-shirt e i pantaloni di pelle rendono goffi i signori e ne sottolineano la silhouette non sempre impeccabile). Peter Sellars e i coniugi Herrmann, nel frattempo, sono già al traguardo.
Insomma l'elemento forte di questa produzione, e quello che speriamo possa costituire un precedente in vista di future produzioni a rischio "baroccari" o comunque afflitte da direttori inadeguati al repertorio e alla professione in genere, resta il mancato approdo al podio del direttore inizialmente previsto. Ma un Così fan tutte, giova ribadire, non è opera che abbia bisogno di un'insigne bacchetta per funzionare... O almeno, così ricordavamo. Vi proponiamo a questo proposito alcuni ascolti, semplici esempi di modi profondamenti diversi fra loro di omaggiare l'estremo dramma giocoso di Mozart, un'opera che mantiene, a dispetto di tutto, una capacità di attrazione che trova pochi termini di paragone.



COSI' FAN TUTTE

Ouverture
- Vittorio Gui

Atto I

Ah guarda, sorella - Leontyne Price & Marilyn Horne
Vorrei dir e cor non ho - Sesto Bruscantini
Ah, scòstati! ... Smanie implacabili - Teresa Berganza
In uomini, in soldati - Graziella Sciutti
Temerari! ... Come scoglio - Eleanor Steber, Lella Cuberli, Sena Jurinac
Un'aura amorosa - Anton Dermota, Cesare Valletti, Richard Tucker, Alfredo Kraus

Atto II

Una donna a quindici anni - Lucia Popp
Il core vi dono - Wladimiro Ganzarolli & Teresa Berganza
Ei parte ... Per pietà, ben mio, perdona - Margarete Teschemacher, Leontyne Price, Sena Jurinac
Donne mie, la fate a tanti - Karl Kronenberg
In qual fiero contrasto ... Tradito, schernito - Luigi Alva, Richard Lewis

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