Il soggetto per la nuova opera, che Donizetti avrebbe dovuto scrivere nel 1838 per Napoli fu suggerito dallo stesso tenore previsto come protagonista, Adolphe Nourrit, che, abbandonate le scene parigine dove ormai era Duprez ad imperare, cercò in Donizetti e nella sua nuova opera un'occasione per rinverdire la sua fama. Ma proprio il soggetto, tratto dal Polyeucte di Corneille, non trovò l'approvazione della censura dell'epoca (era infatti impensabile portare in scena la vita di un santo) e ciò fece sì che le prove venissero bloccate non permettendo al Poliuto di avere la sua prima, che avverrà solo nel 1848, pochi mesi dopo la morte di Donizetti. In seguito alla censura subita Donizetti prese la strada di Parigi, mentre il tenore Nourrit fu trovato, poco tempo dopo, morto suicida. Approdato a Parigi Donizetti cambiò radicalmente Poliuto per farne Les Martyrs, vero e proprio grand-opéra, che vide la sua prima all'Opéra di Parigi nell'aprile del 1840, con primi interpreti Gilbert Louis Duprez come Polyeucte (per il quale Donizetti scrisse una nuova scena al III atto) e Julie Dorus-Gras come Pauline. La prima della versione italiana, come detto, fu rimandata al 1848, sempre a Napoli, con Carlo Baucardé (primo Manrico verdiano) ed Eugenia Tadolini.
Nonostante la sfortuna iniziale Poliuto sopravvisse nei teatri europei, pur senza mai diventare un titolo di stabile repertorio, grazie soprattutto all'interesse dei grandi interpreti, che nel ruolo del titolo vollero cimentarsi, basti qualche nome come Negrini, Tamberlick,Tamagno, De Negri, Escalais, Pertile, fino a Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi e Franco Corelli. Interesse dovuto ad un ruolo dalla tessitura centrale, non privo di scatti all'acuto e ad un personaggio aulico e drammatico, che permetteva ai tenori di forza di fare sfoggio di un fraseggio aulico e nobile e di cimentarsi in scene romantiche come la maledizione, che chiude il secondo atto.
Dopo qualche anno in cui era nuovamente caduto in oblio il Poliuto ritorna prima ad Amsterdam nel 2007 e ora in teatro con un nuovo allestimento a Bilbao. Benchè le difficoltà nell'allestire Poliuto possano dirsi inferiori rispetto ad altre opere dello stesso compositore , mettere insieme un degno cast capace di rendere giustizia a quanto scritto nello spartito è oggigiorno sempre più
difficile, e quanto avvenuto a Bilbao ne è la prova, nonostante i nomi di grido (è veramente il caso di dirlo).
Motivo d'interesse primario di questa produzione era l'atteso debutto di Fiorenza Cedolins nei panni di Paolina, suo primo approccio col compositore bergamasco (non col Belcanto, già mal praticato con la Norma). Mi sento di dire che alla prova dell'ascolto non si capiscono i motivi dell'interesse della signora per questo repertorio. Fin dall'entrata prendiamo atto del suo stato
vocale, non più roseo : in basso la voce appare spesso inconsistente, con gravi di petto molto vicini al parlato, difficoltà nel mantenere omogenei i registri, un registro centrale timbricamente depauperato, dai suoni spesso tubati, fino ad acuti aperti e gridati. Di tutte queste cose ne abbiamo prova già dalla cavatina "Di quai soavi lagrime", che scarseggia in quanto a legato,
seguita da una cabaletta (eseguita senza ripetizione) farcita di difficoltà nelle agilità, nelle note puntate e negli acuti, gridacchiati e, come nel caso dell'acuto finale, calanti. Queste difficoltà unite al fiato spesso corto si riscontrano in tutta l'opera e inficiano qualche bella intenzione che l'interprete pure avrebbe (l'attaccare il si naturale nel duetto col tenore mezzoforte e rinforzarlo, è un bellissimo effetto, qui, purtroppo, vanificato) e proprio non si capiscono i motivi per cui la signora sceglie di chiudere il concertato del II atto con un re sovracuto,tirato e strillacchiato. Il canto d'agilità, poi, non è proprio terreno d'elezione della cantante friulana, che ripropone uno stile vicino ai soprani d'inizio anni 50 come Caterina Mancini, senza però averne l'opulenza dei mezzi.
Insomma ci sono motivi bastanti per avere forti, fortissimi dubbi sulla futura Lucrezia Borgia di Torino e soprattutto sul perchè la signora Cedolins voglia affrontare questi titoli del repertorio belcantistico.
Francisco Casanova come Poliuto non ricorda neanche alla lontana un tenore di forza dall'accento aulico e veemente, tutt'altro. La voce è spesso indietro, grigia, ogni qual volta la linea è in zona medio acuta i suoni si fanno opachi, regna un senso di fatica, che toglie al personaggio ogni grandiosa auliticà pensata da Donizetti, basti l'esempio della grande scena di Poliuto
"Fu macchiato l'onor mio" e delle frasi d'invettiva del finale II, che invece di risuonare veementi risultano strozzate e cantate con voce secca e priva di ampiezza.
Il duetto tra soprano e tenore, celeberrimo soprattutto per la parte finale, "Il suon dell'arpe angeliche", che i due protagonisti riprendono all'unisono proprio prima della morte, con due simili interpreti perde ogni fascino musicale ed artistico per ridursi ad un poutpourri di agilità raffazzonate, acuti gridati e suoni strozzati.
Severo è Vladimir Stoyanov, che pur non brillando per fantasia nel fraseggio e pur non essendo affatto un baritono grand-seigneur da Donizetti (il suo modello sembra essere piuttosto il tradizionale baritono da tardo Verdi e Verismo) mostra una linea vocale molto più solida dei due interpreti e alla fine passa per il più professionale.
Una nota merita il pessimo Callistene di Giovanni Battista Parodi, che per modello sembra invece avere l'anziano Furlanetto, così da rendere un Pontifex romano un bolso declamatore dalla voce dura e sgraziata.
A concertare il tutto Fabrizio Maria Carminati, che taglia il Poliuto come in une recita anni 40-50, senza però avere uno dei cast dell'epoca e perciò rendendo i tagli doppiamente inaccettabili, oggi più di ieri.
Tra sfortuna e fortuna insomma il Poliuto continua a calcare i palcoscenici, con la speranza di poterlo vedere un giorno rappresentato con le giuste voci e i giusti Artisti, in grado di rendere giustizia ad una partitura di grande fascino.
Donizetti - Poliuto
Concertato e Finale Atto II - Leyla Gencer (con A. Zambon & V. Sardinero)
Nonostante la sfortuna iniziale Poliuto sopravvisse nei teatri europei, pur senza mai diventare un titolo di stabile repertorio, grazie soprattutto all'interesse dei grandi interpreti, che nel ruolo del titolo vollero cimentarsi, basti qualche nome come Negrini, Tamberlick,Tamagno, De Negri, Escalais, Pertile, fino a Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi e Franco Corelli. Interesse dovuto ad un ruolo dalla tessitura centrale, non privo di scatti all'acuto e ad un personaggio aulico e drammatico, che permetteva ai tenori di forza di fare sfoggio di un fraseggio aulico e nobile e di cimentarsi in scene romantiche come la maledizione, che chiude il secondo atto.
Dopo qualche anno in cui era nuovamente caduto in oblio il Poliuto ritorna prima ad Amsterdam nel 2007 e ora in teatro con un nuovo allestimento a Bilbao. Benchè le difficoltà nell'allestire Poliuto possano dirsi inferiori rispetto ad altre opere dello stesso compositore , mettere insieme un degno cast capace di rendere giustizia a quanto scritto nello spartito è oggigiorno sempre più
difficile, e quanto avvenuto a Bilbao ne è la prova, nonostante i nomi di grido (è veramente il caso di dirlo).
Motivo d'interesse primario di questa produzione era l'atteso debutto di Fiorenza Cedolins nei panni di Paolina, suo primo approccio col compositore bergamasco (non col Belcanto, già mal praticato con la Norma). Mi sento di dire che alla prova dell'ascolto non si capiscono i motivi dell'interesse della signora per questo repertorio. Fin dall'entrata prendiamo atto del suo stato
vocale, non più roseo : in basso la voce appare spesso inconsistente, con gravi di petto molto vicini al parlato, difficoltà nel mantenere omogenei i registri, un registro centrale timbricamente depauperato, dai suoni spesso tubati, fino ad acuti aperti e gridati. Di tutte queste cose ne abbiamo prova già dalla cavatina "Di quai soavi lagrime", che scarseggia in quanto a legato,
seguita da una cabaletta (eseguita senza ripetizione) farcita di difficoltà nelle agilità, nelle note puntate e negli acuti, gridacchiati e, come nel caso dell'acuto finale, calanti. Queste difficoltà unite al fiato spesso corto si riscontrano in tutta l'opera e inficiano qualche bella intenzione che l'interprete pure avrebbe (l'attaccare il si naturale nel duetto col tenore mezzoforte e rinforzarlo, è un bellissimo effetto, qui, purtroppo, vanificato) e proprio non si capiscono i motivi per cui la signora sceglie di chiudere il concertato del II atto con un re sovracuto,tirato e strillacchiato. Il canto d'agilità, poi, non è proprio terreno d'elezione della cantante friulana, che ripropone uno stile vicino ai soprani d'inizio anni 50 come Caterina Mancini, senza però averne l'opulenza dei mezzi.
Insomma ci sono motivi bastanti per avere forti, fortissimi dubbi sulla futura Lucrezia Borgia di Torino e soprattutto sul perchè la signora Cedolins voglia affrontare questi titoli del repertorio belcantistico.
Francisco Casanova come Poliuto non ricorda neanche alla lontana un tenore di forza dall'accento aulico e veemente, tutt'altro. La voce è spesso indietro, grigia, ogni qual volta la linea è in zona medio acuta i suoni si fanno opachi, regna un senso di fatica, che toglie al personaggio ogni grandiosa auliticà pensata da Donizetti, basti l'esempio della grande scena di Poliuto
"Fu macchiato l'onor mio" e delle frasi d'invettiva del finale II, che invece di risuonare veementi risultano strozzate e cantate con voce secca e priva di ampiezza.
Il duetto tra soprano e tenore, celeberrimo soprattutto per la parte finale, "Il suon dell'arpe angeliche", che i due protagonisti riprendono all'unisono proprio prima della morte, con due simili interpreti perde ogni fascino musicale ed artistico per ridursi ad un poutpourri di agilità raffazzonate, acuti gridati e suoni strozzati.
Severo è Vladimir Stoyanov, che pur non brillando per fantasia nel fraseggio e pur non essendo affatto un baritono grand-seigneur da Donizetti (il suo modello sembra essere piuttosto il tradizionale baritono da tardo Verdi e Verismo) mostra una linea vocale molto più solida dei due interpreti e alla fine passa per il più professionale.
Una nota merita il pessimo Callistene di Giovanni Battista Parodi, che per modello sembra invece avere l'anziano Furlanetto, così da rendere un Pontifex romano un bolso declamatore dalla voce dura e sgraziata.
A concertare il tutto Fabrizio Maria Carminati, che taglia il Poliuto come in une recita anni 40-50, senza però avere uno dei cast dell'epoca e perciò rendendo i tagli doppiamente inaccettabili, oggi più di ieri.
Tra sfortuna e fortuna insomma il Poliuto continua a calcare i palcoscenici, con la speranza di poterlo vedere un giorno rappresentato con le giuste voci e i giusti Artisti, in grado di rendere giustizia ad una partitura di grande fascino.
Donizetti - Poliuto
Concertato e Finale Atto II - Leyla Gencer (con A. Zambon & V. Sardinero)
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