E’ ormai consuetudine sentire dire nei nostri teatri d’opera che BASTA IL NOME, quasi come una volta, quando la pubblicità diceva BASTA LA PAROLA, dopo aver nominato un celebre….confetto lassativo. Potreste ben accusarci di riprendere l’analogia tra etichette farmaceutiche ed etichette operistiche, ma effettivamente pare che l’opera sia ormai, di fatto, omologata anche negli slogan al mondo del commercio, sostituita, in toto, la legge del “metallo portentoso” a quella dell’arte.
Numerose sono le dimostrazioni, ultima in ordine di tempo l’affaire della Borgia torinese, con la sparizione ( a dir poco prevedibile ) della protagonista, la sostituzione last minute con altra ancor più improbabile ed improponibile ( quando non indecente ) protagonista, e assurdo pertichino finale all’aggiornamento del cartellone online con due recite, fanalino di coda, della diva originariamente annunciata, a garantire il sold out. Sold out ....non certo l’effettiva presenza. Un dolce scivolìo fuor dal cartellone, quasi una filatura…..un morendo della primadonna.
Il Regio di Torino bissa la figuraccia fatta qualche mese fa con l’Ariane et Barbableu, missing diva Sonia Ganassi, e toglie ogni velo davanti ad abbonati e melomani itineranti sulle costumanze che reggono il moderno “andare in scena”. Si, perché soltanto una logica basata sul nome, avulsa da ogni benché minima seria considerazione sulle oggettive possibilità vocali degli artisti scritturati e, ancor peggio, pervicacemente indifferente alle condizioni in cui si trovano gran parte dei cosiddetti GRANDI, può causare queste continue offese al pubblico.
Ed anche, aggiungiamolo una volta per tutte, offese a quei cantanti che magari nome non hanno, ma che si trovano chiamati, per legge di mercato, a tappare i buchi e sostituire all’ultimo, a non volere o potere dire di no, in cerca della loro occasione, insomma a “farsi usare” da un sistema che, comunque, non darà loro spazio perché privi ……di nome! Fama costruita in molti luoghi, tutti differenti dal palcoscenico.
Già, perché mentre una faccia della medaglia investe da vicino il pubblico, turlupinato al momento in cui acquista i biglietti ( anche costosi ) per sentire il proprio beniamino, che orami troppo spesso rimane a casa, moribondo, con le corde vocali a brandelli, l’altra faccia, quella di cui noi ci dimentichiamo, è quella del mercato delle voci, dominato e schiacciato dalla medesima logica, che non dà spazio a chi, magari, vale altrettanto, ma non ha spalle larghe, o meglio, managers dalle spalle larghe. Già, perché una volta si percepiva in modo chiaro e palpabile la differenza tra chi si esibiva nei grandi teatri e chi, invece, cantava in provincia.
E, comunque, chi cantava, anche se rallentato dai giochi dei “mercanti”, riusciva ugualmente a ritagliarsi notorietà e pubblico. La storia della Rossini renaissance coincide spesso con questo fenomeno. Oggi le antiche differenze non si colgono, perchè…non ci sono!
Due le conseguenze: spesso il cosiddetto secondo cast offra prestazioni superiori a quelle dei primi, più celebri e blasonati; non esistono più i teatri di provincia, essenziali per farsi le ossa, lontani da pericolosi debutti e dove si esibiscono professionisti di grandi o buone capacità cui, poco è mancato per la grandissima carriera.
Un tempo non lontano allestire senza guai opere come Forza del destino o Ballo in maschera era la regola oggi questi ed altri titoli sono naufragi e guai certi e sicuri.
Del resto il meccanismo è chiaro e scoperto. E’ di questi giorni la notizia del “pompaggio” in atto nei più grandi teatri del mondo di una tra le tante, una ragazzina certo di bell’aspetto, ma di modestissime qualità vocali e parecchi inciampi tecnici, da non riuscire a convincere nel “Oh, mio babbino caro”. Ma il management pensa che BASTA IL NOME, crea il nome e il gioco è fatto! E così ecco i vuoti articoli pubblicitari sulle riviste, le interviste, i fori, i Loggioni, insomma ….tutto l’armamentario usato e liso dei venditori di….confetti lassativi! Perché l’importante è creare una famigliarità tra noi e questi aspiranti divi, il nostro riconoscimento dei loro volti e del loro NOME sulle locandine ed il gioco è fatto. E finchè il gioco regge, il nome è tale. Quando non regge più……se ne sforna un altro, come i papi e i cardinali dei proverbi!
E così assistiamo agli imbarazzanti cambi di rotta dei mass media, dei portatori di banner pubblicitari e di foto omaggio natalizie, cooptatori di giovani affascinanti dall’opera, ma inesperti ( e che tali devono rimanere, altrimenti chi li convince la volta dopo della qualità dei prodotti di agenzia??!!), che si rivoltano improvvisamente contro chi, di fatto, è ancora quello di qualche mese prima, ossia….un NOME!.....con tutto ciò che ne consegue per la credibilità della critica...
….Però…..però….in effetti adesso c’è un PERO’ con cui i moderni mercanti di giovani non fanno i conti, ossia che le ultime generazioni di cantori non sono solide come quelle che li hanno preceduti. Perché la mostruosa robustezza di lavoratori indefessi ed instancabili colonne dello stars system come le grandi Caballè prima, poi, i meno bravi Domingo o peggio, le Ricciarelli o le Studer, è perduta. Perché anche il loro canto generico e qualunquista, quando non addirittura malcanto, è inarrivabile per gli odierni tuttofare, che di quelli non hanno né la preparazione tecnica minimale, né le doti naturali eccellenti. Spesso nemmeno il saper stare in scena ad onta di fisici e pose da pubblicità di profumi ed intimo !!!!.
I NOMI del nostro presente hanno delle durate di carriera che in proiezione sono assai più brevi delle programmazioni in cui si avventurano grandi teatri,.. Barcellona…New York..etc., anzi a dire il vero, in taluni casi nemmeno garantiscono la stagione successiva. L’ultima Lucia del Metropolitan è riuscita a scioccarci, se ancora è possibile, per lo stato in cui versava il tenore, una delle più belle voci degli ultimi anni, che avrebbe meritato solo la protesta da parte del teatro.
Viene da domandarsi a che pensino i signori, che compilano i cartelloni e quali siano presupposti che li muovono. Immaginiamo che le risposte siano che i nomi hanno grande utilità, perché consentono loro di pensare poco a ciò che fanno, nascondendosi comodamente dietro di loro sia davanti ai consigli di amministrazione che davanti al pubblico, nel presupposto, oramai assai fondato, che alla gente …..BASTA IL NOME. La prova viene proprio dalle performances incredibili cui alcuni grandi teatri hanno abituato il loro pubblico, e l’ultima Lucia del Met continua ad essere l’esempio.
La logica del nome cristallizza l’incontro tra l’offerta mercantile ed il grande pubblico, che si riconosce nella diva formato top model, o il divo di stampo cinematografico, ossia nell’immagine, ma non certo nel suono. Ne sono la prova le considerazioni amare di cantanti come la Sutherland, “ Al giorno d’oggi non farei carriera! ” e ci si domanda se la grande Dame alluda al pubblico disabituato al canto professionale o a chi è delegato a scritturare i cantanti. Mi piacerebbe assistere a selezioni dove grandi e mediocri del passato o anche cantanti di oggi venissero audizionati da direttori artistici bendati, incapaci di riconoscerne i nomi e vedere cosa sceglierebbero in forza delle loro nude orecchie. Chissa a quali sconvolgenti graduatorie assisteremmo! Forse la benda non serve neppure, ripensandoci, perché dubito che molti di questi signori abbiamo minima dimestichezza e cognizione del recente passato.
Mi domando se gli addetti ai lavori riflettano sul sistema di cui sono consapevole e colpevole parte. Sistema che ha reso regola non solo arrivare tardivamente alle prove, ma arrivarci in male arnese; sparire all’ultimo minuto e lasciare il teatro nel panico; farsi venire in gola tutto quel che può venire sino a, restare afoni, senza riuscire ad ultimare la recita ( penso ai recenti protagonisti maschili di Tristano milanese e newyorkese o del Ballo parigino; alla Violetta milanese lo scorso anno; ai forfait del Liceu; agli “incidenti” occorsi alle due ultime edizioni del ROF e chi più ne ha più ne metta…!!).
Gli arrivi all’ultimo dei censurati Caballé, Domingo, Ricciarelli e Carreras poggiavano, sembra paradosso dirlo, su ben altri e solidi elementi.
E guai a chi si permette di affermare che l’incidente e la malattia, ora anche le gravidanze, siano diventati strumenti attivi di gestione delle stagioni; guai a chi si permette brevi sguardi di carattere generale, come questo, perché sarebbe certo un catastrofista e non una persona che mette insieme dati oggettivi e documentati, che facilmente si offrono all’analisi “statistica”ed alle sue desolanti conclusioni; guai a chi avesse il coraggio di impugnare la penna su una testata ufficiale di settore, perché lì …il silenzio, anzi l’assenso è doveroso. Tanto doveroso che la schierata critica riscrive le sue monumentali recensioni, illuminata dall’arte canora dell’ultimo divo o diva, propiziata dal sistema. E soprattutto guai ad interrogarsi sul PERCHE’ di questi declini tanto rapidi, quanto impressionanti e sofferti, di cantanti, che, sfasciati ed esausti, continuano ad essere scritturati per impegni impossibili nella sola idea, con i fenomeni, che hanno condotto a questi sia pure parziali pensieri. Si deve rispondere oggi cantano troppo. Se chi afferma tale banalità leggesse la cronologia di un qualsiasi divo sino agli anni ’60 o ’70 dovrebbe rimangiarsi le proprie disinformate opinioni.
Chiedersi il PERCHE’ è la sola cosa che la logica del nome non ammette, perché la spiegazione vera, quella che viene dalla competenza in materia di tecnica vocale per chi canta, e di competenza nelle scelte dei cantanti sui ruoli per chi sceglie e gestisce, metterebbe in crisi questo sistema. E’ più comodo sedersi, obbligare il pubblico ad ingoiare ogni cosa amministrando l’opinione pubblica a mezzo riviste e fori, autogiustificandosi con la nenia che al presente non ci sono più le voci di un tempo perchè estinte causa misteriosa glaciazione, anziché ammettere che , invece, le voci ci sono, ma che le male amministriamo, a tempo di USA E GETTA. E’ meglio continuare a navigare così, a suon di mezzucci, pubblicità e peana comprati secondo bisogno, immagino presto anche una programmazione dei forfait e dei tappabuchi che rimpiazzeranno il latitante NOME di turno…
Quanto a noi, il pubblico, siamo in grado di fare a meno dei NOMI? Siamo certi di ascoltare e valutare con la medesima attenzione e considerazione i NOMI e gli sconosciuti?
Numerose sono le dimostrazioni, ultima in ordine di tempo l’affaire della Borgia torinese, con la sparizione ( a dir poco prevedibile ) della protagonista, la sostituzione last minute con altra ancor più improbabile ed improponibile ( quando non indecente ) protagonista, e assurdo pertichino finale all’aggiornamento del cartellone online con due recite, fanalino di coda, della diva originariamente annunciata, a garantire il sold out. Sold out ....non certo l’effettiva presenza. Un dolce scivolìo fuor dal cartellone, quasi una filatura…..un morendo della primadonna.
Il Regio di Torino bissa la figuraccia fatta qualche mese fa con l’Ariane et Barbableu, missing diva Sonia Ganassi, e toglie ogni velo davanti ad abbonati e melomani itineranti sulle costumanze che reggono il moderno “andare in scena”. Si, perché soltanto una logica basata sul nome, avulsa da ogni benché minima seria considerazione sulle oggettive possibilità vocali degli artisti scritturati e, ancor peggio, pervicacemente indifferente alle condizioni in cui si trovano gran parte dei cosiddetti GRANDI, può causare queste continue offese al pubblico.
Ed anche, aggiungiamolo una volta per tutte, offese a quei cantanti che magari nome non hanno, ma che si trovano chiamati, per legge di mercato, a tappare i buchi e sostituire all’ultimo, a non volere o potere dire di no, in cerca della loro occasione, insomma a “farsi usare” da un sistema che, comunque, non darà loro spazio perché privi ……di nome! Fama costruita in molti luoghi, tutti differenti dal palcoscenico.
Già, perché mentre una faccia della medaglia investe da vicino il pubblico, turlupinato al momento in cui acquista i biglietti ( anche costosi ) per sentire il proprio beniamino, che orami troppo spesso rimane a casa, moribondo, con le corde vocali a brandelli, l’altra faccia, quella di cui noi ci dimentichiamo, è quella del mercato delle voci, dominato e schiacciato dalla medesima logica, che non dà spazio a chi, magari, vale altrettanto, ma non ha spalle larghe, o meglio, managers dalle spalle larghe. Già, perché una volta si percepiva in modo chiaro e palpabile la differenza tra chi si esibiva nei grandi teatri e chi, invece, cantava in provincia.
E, comunque, chi cantava, anche se rallentato dai giochi dei “mercanti”, riusciva ugualmente a ritagliarsi notorietà e pubblico. La storia della Rossini renaissance coincide spesso con questo fenomeno. Oggi le antiche differenze non si colgono, perchè…non ci sono!
Due le conseguenze: spesso il cosiddetto secondo cast offra prestazioni superiori a quelle dei primi, più celebri e blasonati; non esistono più i teatri di provincia, essenziali per farsi le ossa, lontani da pericolosi debutti e dove si esibiscono professionisti di grandi o buone capacità cui, poco è mancato per la grandissima carriera.
Un tempo non lontano allestire senza guai opere come Forza del destino o Ballo in maschera era la regola oggi questi ed altri titoli sono naufragi e guai certi e sicuri.
Del resto il meccanismo è chiaro e scoperto. E’ di questi giorni la notizia del “pompaggio” in atto nei più grandi teatri del mondo di una tra le tante, una ragazzina certo di bell’aspetto, ma di modestissime qualità vocali e parecchi inciampi tecnici, da non riuscire a convincere nel “Oh, mio babbino caro”. Ma il management pensa che BASTA IL NOME, crea il nome e il gioco è fatto! E così ecco i vuoti articoli pubblicitari sulle riviste, le interviste, i fori, i Loggioni, insomma ….tutto l’armamentario usato e liso dei venditori di….confetti lassativi! Perché l’importante è creare una famigliarità tra noi e questi aspiranti divi, il nostro riconoscimento dei loro volti e del loro NOME sulle locandine ed il gioco è fatto. E finchè il gioco regge, il nome è tale. Quando non regge più……se ne sforna un altro, come i papi e i cardinali dei proverbi!
E così assistiamo agli imbarazzanti cambi di rotta dei mass media, dei portatori di banner pubblicitari e di foto omaggio natalizie, cooptatori di giovani affascinanti dall’opera, ma inesperti ( e che tali devono rimanere, altrimenti chi li convince la volta dopo della qualità dei prodotti di agenzia??!!), che si rivoltano improvvisamente contro chi, di fatto, è ancora quello di qualche mese prima, ossia….un NOME!.....con tutto ciò che ne consegue per la credibilità della critica...
….Però…..però….in effetti adesso c’è un PERO’ con cui i moderni mercanti di giovani non fanno i conti, ossia che le ultime generazioni di cantori non sono solide come quelle che li hanno preceduti. Perché la mostruosa robustezza di lavoratori indefessi ed instancabili colonne dello stars system come le grandi Caballè prima, poi, i meno bravi Domingo o peggio, le Ricciarelli o le Studer, è perduta. Perché anche il loro canto generico e qualunquista, quando non addirittura malcanto, è inarrivabile per gli odierni tuttofare, che di quelli non hanno né la preparazione tecnica minimale, né le doti naturali eccellenti. Spesso nemmeno il saper stare in scena ad onta di fisici e pose da pubblicità di profumi ed intimo !!!!.
I NOMI del nostro presente hanno delle durate di carriera che in proiezione sono assai più brevi delle programmazioni in cui si avventurano grandi teatri,.. Barcellona…New York..etc., anzi a dire il vero, in taluni casi nemmeno garantiscono la stagione successiva. L’ultima Lucia del Metropolitan è riuscita a scioccarci, se ancora è possibile, per lo stato in cui versava il tenore, una delle più belle voci degli ultimi anni, che avrebbe meritato solo la protesta da parte del teatro.
Viene da domandarsi a che pensino i signori, che compilano i cartelloni e quali siano presupposti che li muovono. Immaginiamo che le risposte siano che i nomi hanno grande utilità, perché consentono loro di pensare poco a ciò che fanno, nascondendosi comodamente dietro di loro sia davanti ai consigli di amministrazione che davanti al pubblico, nel presupposto, oramai assai fondato, che alla gente …..BASTA IL NOME. La prova viene proprio dalle performances incredibili cui alcuni grandi teatri hanno abituato il loro pubblico, e l’ultima Lucia del Met continua ad essere l’esempio.
La logica del nome cristallizza l’incontro tra l’offerta mercantile ed il grande pubblico, che si riconosce nella diva formato top model, o il divo di stampo cinematografico, ossia nell’immagine, ma non certo nel suono. Ne sono la prova le considerazioni amare di cantanti come la Sutherland, “ Al giorno d’oggi non farei carriera! ” e ci si domanda se la grande Dame alluda al pubblico disabituato al canto professionale o a chi è delegato a scritturare i cantanti. Mi piacerebbe assistere a selezioni dove grandi e mediocri del passato o anche cantanti di oggi venissero audizionati da direttori artistici bendati, incapaci di riconoscerne i nomi e vedere cosa sceglierebbero in forza delle loro nude orecchie. Chissa a quali sconvolgenti graduatorie assisteremmo! Forse la benda non serve neppure, ripensandoci, perché dubito che molti di questi signori abbiamo minima dimestichezza e cognizione del recente passato.
Mi domando se gli addetti ai lavori riflettano sul sistema di cui sono consapevole e colpevole parte. Sistema che ha reso regola non solo arrivare tardivamente alle prove, ma arrivarci in male arnese; sparire all’ultimo minuto e lasciare il teatro nel panico; farsi venire in gola tutto quel che può venire sino a, restare afoni, senza riuscire ad ultimare la recita ( penso ai recenti protagonisti maschili di Tristano milanese e newyorkese o del Ballo parigino; alla Violetta milanese lo scorso anno; ai forfait del Liceu; agli “incidenti” occorsi alle due ultime edizioni del ROF e chi più ne ha più ne metta…!!).
Gli arrivi all’ultimo dei censurati Caballé, Domingo, Ricciarelli e Carreras poggiavano, sembra paradosso dirlo, su ben altri e solidi elementi.
E guai a chi si permette di affermare che l’incidente e la malattia, ora anche le gravidanze, siano diventati strumenti attivi di gestione delle stagioni; guai a chi si permette brevi sguardi di carattere generale, come questo, perché sarebbe certo un catastrofista e non una persona che mette insieme dati oggettivi e documentati, che facilmente si offrono all’analisi “statistica”ed alle sue desolanti conclusioni; guai a chi avesse il coraggio di impugnare la penna su una testata ufficiale di settore, perché lì …il silenzio, anzi l’assenso è doveroso. Tanto doveroso che la schierata critica riscrive le sue monumentali recensioni, illuminata dall’arte canora dell’ultimo divo o diva, propiziata dal sistema. E soprattutto guai ad interrogarsi sul PERCHE’ di questi declini tanto rapidi, quanto impressionanti e sofferti, di cantanti, che, sfasciati ed esausti, continuano ad essere scritturati per impegni impossibili nella sola idea, con i fenomeni, che hanno condotto a questi sia pure parziali pensieri. Si deve rispondere oggi cantano troppo. Se chi afferma tale banalità leggesse la cronologia di un qualsiasi divo sino agli anni ’60 o ’70 dovrebbe rimangiarsi le proprie disinformate opinioni.
Chiedersi il PERCHE’ è la sola cosa che la logica del nome non ammette, perché la spiegazione vera, quella che viene dalla competenza in materia di tecnica vocale per chi canta, e di competenza nelle scelte dei cantanti sui ruoli per chi sceglie e gestisce, metterebbe in crisi questo sistema. E’ più comodo sedersi, obbligare il pubblico ad ingoiare ogni cosa amministrando l’opinione pubblica a mezzo riviste e fori, autogiustificandosi con la nenia che al presente non ci sono più le voci di un tempo perchè estinte causa misteriosa glaciazione, anziché ammettere che , invece, le voci ci sono, ma che le male amministriamo, a tempo di USA E GETTA. E’ meglio continuare a navigare così, a suon di mezzucci, pubblicità e peana comprati secondo bisogno, immagino presto anche una programmazione dei forfait e dei tappabuchi che rimpiazzeranno il latitante NOME di turno…
Quanto a noi, il pubblico, siamo in grado di fare a meno dei NOMI? Siamo certi di ascoltare e valutare con la medesima attenzione e considerazione i NOMI e gli sconosciuti?
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