Un tempo lontano coloro i quali, oggi, vengono chiamati agenti, portavano nomi che hanno fatto la storia dell'opera. Per restare in Italia Barbaja, Marelli, Lanari, i Ricordi, i Sonzogno sino all'anarco-socialista Walter Mocchi e "disperata verista" moglie (Emma Carelli).
Quali liberi imprenditori competeva loro, appunto, la qualifica di impresario. Municipalità grandi e piccole, famiglie proprietarie di teatri affidavano in toto, ossia appaltavano loro le gestioni delle stagioni d'opera. Rischiavano sempre e solo del proprio e, quindi, potevano morire nel'oro o nella più nera miseria.
La libera imprenditoria importava risparmi, economie e, magari, meschine piccinerie tipiche, appunto, di chi rischiava del proprio. Esemplare la risposta a Lanari di Marietta Alboni, che respinge con quel minimo di garbo, che la minimale educazione impone, una scrittura il cui solo cachet era un gioiello.
Inutile dire che compositori, cantanti, scenografi e giù sino ad orchestrali, coristi, macchinisti e comparse li detestavano o quasi e se ne lamentavano copiosamente. E, pur dovendogli le loro fortune, artistiche ed economiche, mai spesero una parola di elogio o di ringraziamento. Anzi in certi casi li ricompensarono sottraendogli dal talamo per un certo tempo comune, l'amante come accadde in Napoli, anno 1822, fra Rossini, Barbaja e la Colbran.
Poi vennero gli enti autonomi ed il capitale di rischio divenne quello dello Stato, ossia il nostro danaro, prelevato mediante l'imposizione fiscale. Rimanevano sempre i teatri di provincia dove si continuavano ad appaltare le stagioni e che divennero le palestre per i giovani talenti della bacchetta o del canto, le sedi sicure per i divi dove debuttare nuovi titoli o cantare senza prove o quasi o dove declinare privi dei rischi, che i grandi teatri comportano. Invito a considerare la ricchezza di proposte delle stagioni del Regio di Parma e di tutti i municipali emiliani, che sino alla fine degli anni '50 appaltavano agli impresari le proprie stagioni.
E funzionavano pure, negli enti autonomi, le collaborazoni fra direttori ed impresari.
Merito, forse, delle capacità professionali dei primi e dell'abilità dei secondi a piazzare i propri "prodotti" con attento equilibrio fra meriti artistici e necessità di botteghino. Esemplare Luduino Bonardi, che al direttore di un grandissimo teatro italiano, che gli richiedeva Maria Caniglia offrì per tre sere la diva e per le rimanenti una giovane debuttante o quasi: Renata Tebaldi. Decisione di innegabile equilibrio: il direttore artistico sfoggiava diva affermata e giovane in ascesa, faceva una gran figura con il proprio pubblico, risparmiava perchè il cachet della principiante (bravissima) non era quello della diva; l'agente lucrava le dovute e concordate percentuali; entrambi, per tempo, preparavano per il pubblico la successione della diva, che, magari, si esibiva per due serate in altro teatro, continuando il proprio assoluto presenzialismo e la debuttante, se reggeva l'impegno, poteva avanzare per la stagione successiva maggiori pretese e di scritture e di cachets.
Tutti, dico tutti, contenti. Certo il nostro agente disponeva della Tebaldi e della Caniglia!
Poi siamo arrivati alle fondazioni, sempre rette sul nostro denaro, distribuito dallo Stato, che, parimenti, distribuisce gli incarichi di direzione all'interno della fondazione. E allora ai ruoli di cui alla riflessione del trascorso venerdì.
E sopratutto all'abitudine (funesta!) di piazzare innanzi agli agenti, che visitano direzioni artistiche e loro anticamere, i titoli , che indiscutibilmente hanno deciso di offrire al pubblico.
Oggi al massimo qualcuno degli ultimissimi divi del canto può manifestare, proporre ed imporre un titolo, massime nei grandi teatri.
E l'agente, che oggi è sempre più, per forza di cose, un commerciale, che non ha nel proprio curriculum anni di frequentazioni di teatri grandi e piccoli, di spedizioni puntive e di trionfi epocali né tanto meno gli studi musicali del mancato cantante o del mancato strumentista, ma la sola affeziona ad un teatro o ad un artista di canto, risponde come solo per preparazione, istinti di sopravvivenza può, ossia piazzando il maggior numero di propri rappresentati a seconda della propria fama, potere e considerazione, accordi fra colleghi.
Ed in questa partita a dama nulla importa se l'agente dispone di un soprano da Butterfly, che le ragioni sopra sintetizzate impongono di convertire in Turandot o di uno da Semiramide, che deve essere mandata a farsi a pezzi la voce nei panni di madonna Contarini Foscari.
L'importante è conservare le posizioni acquisite (a fatica e ad ogni costo) ed impedire che altri le sottraggano. Ricordiamoci: è e rimane un commerciale. Soprani o mattoni, come insegnava il buon Titta Meneghini, sono sempre beni commerciabili.
I passaggi sono, quindi, due: convincere il direttore artistico di turno della perfezione della scelta proposta, caso mai lo stesso non fosse omnifidente, e poi con ogni mezzo coartare il prescelto per la parte (in genere reo di ignoranza o creduloneria e carente di consiglieri fidedegni) che la parte sia perfetta per la sua vocalità e che l'occasione non può e non deve essere persa.
Ricordate la famosa fabula di Fedro la Volpe ed il corvo. Circa lo stesso. E se poi il cantante scoppia, falla, fa fiasco (nonostante ausili di ogni tipo), arriva il principio di Rossella O'Hara: "domani è un altro giorno". Anzi, un altro cantante!
Gli ascolti
Verdi - La forza del destino
Atto IV - Pace mio Dio
1941 - Maria Caniglia (dir. Gino Marinuzzi)
1953 - Renata Tebaldi (dir. Dimitri Mitropoulos)
2007 - Violeta Urmana (dir. Zubin Mehta)
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