Higinia Tuñón, in arte Hina Spani soprano argentino di carriera internazionale fra il 1915 ed il 1935 è per alcuni aspetti una cantante esemplare la cui vicenda professionale offre, oggi, spunti di riflessione. Ad esempio il repertorio. Qualcuno potrà dire alla luce degli ascolti proposti, che o per l’aspetto vocale o per quello interpretativo o per la perizia tecnica ci sia sempre qualche soprano coevo migliore in quelle pagine. Neanche molti, aggiungo io, meno ancora se si utilizzano i tre criteri che ho richiamato, ma preme riflettere sul fatto che oggi qualunque grande teatro di oggi ( e per grande intendo quelli dove si esibisce la nomenklatura delle grandi case discografiche e collegate agenzie) una Hina Spani consentirebbe di allestire il repertorio dal 1850 in poi senza problemi, patemi, rischi di riprovazione del pubblico , ricorso a sostegni che non siano quelli dello spontaneo calore e considerazione del pubblico. Ingredienti perduti, cui recenti esperienze di ascolto impongono di aggiungere, irreparabilmente.
Nata in provincia di Buenos Aires, ufficialmente nel 1896, la Spani studiò dapprima nel proprio paese d’origine poi raggiunse l’Italia, allora il paese del canto, e studiò con Vittorio Moratti, allievo a sua volta del Lamperti. Vittorio Moratti era, oltre che maestro di canto, rinomato accompagnatore di cantanti in concerto e l’esperienza fu significativa per la giovane argentina, che nello svolgimento della propria carriera molto dedicò al concerto di canto. Il debutto avvenne nel 1915 alla Scala come Anna nella Loreley. Laureata cantante di fama e vaglia tornò, complice il primo conflitto mondiale in patria dove a parte il debutto nella prima locale di Francesca da Rimini quale Samaritana, fu subito uno dei nomi del Colón cantando dapprima parti di soprano lirico come Nedda, Micaela, donna Elvira e ancora Anna di Loreley accanto a Claudia Muzio, la diva, con Rosa Raisa, del teatro bonaerense.
Tornò in Italia nella stagione 1922 al San Carlo affrontò ben sette titoli fra cui Cavalleria Rusticana, Boheme, Sieglinde di Walkure a Marina del Boris, cantò frequentemente all’Opera di Roma fra l’altro Guglielmo Tell e Ballo in maschera, segno dell’ampliamento in direzione drammatica del repertorio, fu frequentemente presente all’EIAR e naturalmente cantò sempre in patria esibendosi sino al 1939 quando chiuse carriera interpretandola Lady Macbeth con de Sved e Panizza sul podio.
Al primo ascolto della Spani sentiamo una voce ampia, timbrata e sonora di schietto soprano lirico robusto. Oggi non abbiamo Manon di Massenet, che vantino lo slancio e la sicurezza del soprano argentino nei primo acuti del recitativo dell’aria del picciol desco o che siano in grado mantenendo la voce sul fiato e senza falsettare di eseguire l’aria con una considerevole varietà espressiva, adeguata gamma di colori e smorzature ed una dizione scolpitissima. Poi possiamo anche eccepire che qualche suono centrale sia un poco aperto, ma in zona grave la linea di canto ed il controllo del suono sono quelli di scuola, che molti soprani molto più famosi della Spani non praticavano.
Mi sembra anche abbastanza ovvio che il modello interpretativo della Spani sia la divina del Colón ossia Claudia Muzio. Fatto che è evidente nei brani del Verdi cosiddetto “pesante”. A quell’epoca normalmente le Leonore del Trovatore e le Amelie del Ballo (Muzio esclusa) disponevano anche in virtù dell’utilizzo non sempre moderato ed oculato dei suoni di petto di voci ben più ampie e ben più risonanti di quelle della Spani. Eppure a parte qualche difficoltà, nel senso della tendenza a cantare con l’esibizione della saldissima ottava superiore senza troppe modulazioni nella sezione conclusiva dove la voce è chiamata a legare si bem e do acuto, ascoltiamo timbro di qualità, emissione sorvegliata, ampia e morbida ed espressione dolente e commossa (senza, sia chiaro, gli splendori vocali di una Raisa o le trovate interpretative di una Muzio), consona al momento scenico. Basta sentire accento e suono all’attacco del “miserere m’aita signor” della sortita di Amelia al secondo atto.
Nel repertorio post verdiano la misura è la sigla della Spani atteso che la voce è veramente splendida nei primi acuti, lega le frasi senza nessuna difficoltà come accade nella salita al si bem di “gaia isolata, bianca”.
E qui si impone un’altra notazione che può spiegare le ragioni di una carriera certamente internazionale, ma non ai massimi livelli, ovvero per il gusto del tempo la Spani non aveva la voce particolare ed unica di una Muzio e neppure le uscite interpretative di una Dalla Rizza ed anche di una Pampanini. Uscite interpretative che , soprattutto per la Dalla Rizza il pubblico del dopo Callas o più correttamente del dopo Olivero difficilmente può accettare, ma era il gusto del tempo.
La riprova che questa sia la ragione della carriera sta nell’esecuzione dei brani da camera. Certo oggi le arie del Parisotti per giunta con accompagnamento orchestrale fanno storcere il naso e gridare allo scempio filologico. Ma vanno prese per quello che sono, brani dove il cantante mette in mostra le proprie doti ed ai tempi della Spani era questa la sede per la cantante indicata come stilista. Altro ed identico caso quello di poco successivo di Gabriella Gatti. Il gusto per il canto legato, per il rubato per la dinamica sfumata che la Spani sfoggia in questo Settecento rivisitato è però esemplare e richiama un’altra esimia e intramontabile concertista, sempre di area spagnola ossia Doña Teresa Berganza. Ancor più evidente la comunanza è nei brani diciamo folkoristici spagnoli, è sempre il folklore della dama di buona famiglia e ceto sociale elevato, che si diletta a cantare per intrattenere gli amici, ma che intrattenimento se ascoltiamo la Canción del Carretero o i controtempi – alla Schipa- di Oh primavera di Tirindelli. Autore che qualcuno disprezza perché in lingua italiana e non in idioma tedesco, ma che invitiamo a sentire e risentire per il solo gusto di sentire cantare bene, al di fuori di coinvolgimenti intellettuali o -peggio- intellettualoidi !
Gli ascolti
Hina Spani
Rossini - Guillaume Tell
Atto II
Sombre forêt (1931)
Verdi - Il trovatore
Atto I
Tacea la notte placida (1927)
Atto IV
D'amor sull'ali rosee (1928)
Verdi - Un ballo in maschera
Atto II
Ma dall'arido stelo divulsa (1926)
Puccini - Manon Lescaut
Atto II
In quelle trine morbide (1926)
Puccini - Tosca
Atto II
Vissi d'arte (1929)
Puccini - Madama Butterfly
Atto III
Tu, tu, piccolo Iddio (1929)
Gounod - Faust
Atto III
Il m'aime! (1926)
Massenet - Manon
Atto II
Adieu, notre petite table (1926)
Wagner - Lohengrin
Atto II
Euch Luften, die mein Klagen (1926)
Scarlatti - Se Florindo è fedele (1929)
Pergolesi (attr.) - Se tu m'ami (1930)
Tirindelli - Oh primavera (1931)
Buchardo - Canción del carretero (1930)
Nata in provincia di Buenos Aires, ufficialmente nel 1896, la Spani studiò dapprima nel proprio paese d’origine poi raggiunse l’Italia, allora il paese del canto, e studiò con Vittorio Moratti, allievo a sua volta del Lamperti. Vittorio Moratti era, oltre che maestro di canto, rinomato accompagnatore di cantanti in concerto e l’esperienza fu significativa per la giovane argentina, che nello svolgimento della propria carriera molto dedicò al concerto di canto. Il debutto avvenne nel 1915 alla Scala come Anna nella Loreley. Laureata cantante di fama e vaglia tornò, complice il primo conflitto mondiale in patria dove a parte il debutto nella prima locale di Francesca da Rimini quale Samaritana, fu subito uno dei nomi del Colón cantando dapprima parti di soprano lirico come Nedda, Micaela, donna Elvira e ancora Anna di Loreley accanto a Claudia Muzio, la diva, con Rosa Raisa, del teatro bonaerense.
Tornò in Italia nella stagione 1922 al San Carlo affrontò ben sette titoli fra cui Cavalleria Rusticana, Boheme, Sieglinde di Walkure a Marina del Boris, cantò frequentemente all’Opera di Roma fra l’altro Guglielmo Tell e Ballo in maschera, segno dell’ampliamento in direzione drammatica del repertorio, fu frequentemente presente all’EIAR e naturalmente cantò sempre in patria esibendosi sino al 1939 quando chiuse carriera interpretandola Lady Macbeth con de Sved e Panizza sul podio.
Al primo ascolto della Spani sentiamo una voce ampia, timbrata e sonora di schietto soprano lirico robusto. Oggi non abbiamo Manon di Massenet, che vantino lo slancio e la sicurezza del soprano argentino nei primo acuti del recitativo dell’aria del picciol desco o che siano in grado mantenendo la voce sul fiato e senza falsettare di eseguire l’aria con una considerevole varietà espressiva, adeguata gamma di colori e smorzature ed una dizione scolpitissima. Poi possiamo anche eccepire che qualche suono centrale sia un poco aperto, ma in zona grave la linea di canto ed il controllo del suono sono quelli di scuola, che molti soprani molto più famosi della Spani non praticavano.
Mi sembra anche abbastanza ovvio che il modello interpretativo della Spani sia la divina del Colón ossia Claudia Muzio. Fatto che è evidente nei brani del Verdi cosiddetto “pesante”. A quell’epoca normalmente le Leonore del Trovatore e le Amelie del Ballo (Muzio esclusa) disponevano anche in virtù dell’utilizzo non sempre moderato ed oculato dei suoni di petto di voci ben più ampie e ben più risonanti di quelle della Spani. Eppure a parte qualche difficoltà, nel senso della tendenza a cantare con l’esibizione della saldissima ottava superiore senza troppe modulazioni nella sezione conclusiva dove la voce è chiamata a legare si bem e do acuto, ascoltiamo timbro di qualità, emissione sorvegliata, ampia e morbida ed espressione dolente e commossa (senza, sia chiaro, gli splendori vocali di una Raisa o le trovate interpretative di una Muzio), consona al momento scenico. Basta sentire accento e suono all’attacco del “miserere m’aita signor” della sortita di Amelia al secondo atto.
Nel repertorio post verdiano la misura è la sigla della Spani atteso che la voce è veramente splendida nei primi acuti, lega le frasi senza nessuna difficoltà come accade nella salita al si bem di “gaia isolata, bianca”.
E qui si impone un’altra notazione che può spiegare le ragioni di una carriera certamente internazionale, ma non ai massimi livelli, ovvero per il gusto del tempo la Spani non aveva la voce particolare ed unica di una Muzio e neppure le uscite interpretative di una Dalla Rizza ed anche di una Pampanini. Uscite interpretative che , soprattutto per la Dalla Rizza il pubblico del dopo Callas o più correttamente del dopo Olivero difficilmente può accettare, ma era il gusto del tempo.
La riprova che questa sia la ragione della carriera sta nell’esecuzione dei brani da camera. Certo oggi le arie del Parisotti per giunta con accompagnamento orchestrale fanno storcere il naso e gridare allo scempio filologico. Ma vanno prese per quello che sono, brani dove il cantante mette in mostra le proprie doti ed ai tempi della Spani era questa la sede per la cantante indicata come stilista. Altro ed identico caso quello di poco successivo di Gabriella Gatti. Il gusto per il canto legato, per il rubato per la dinamica sfumata che la Spani sfoggia in questo Settecento rivisitato è però esemplare e richiama un’altra esimia e intramontabile concertista, sempre di area spagnola ossia Doña Teresa Berganza. Ancor più evidente la comunanza è nei brani diciamo folkoristici spagnoli, è sempre il folklore della dama di buona famiglia e ceto sociale elevato, che si diletta a cantare per intrattenere gli amici, ma che intrattenimento se ascoltiamo la Canción del Carretero o i controtempi – alla Schipa- di Oh primavera di Tirindelli. Autore che qualcuno disprezza perché in lingua italiana e non in idioma tedesco, ma che invitiamo a sentire e risentire per il solo gusto di sentire cantare bene, al di fuori di coinvolgimenti intellettuali o -peggio- intellettualoidi !
Gli ascolti
Hina Spani
Rossini - Guillaume Tell
Atto II
Sombre forêt (1931)
Verdi - Il trovatore
Atto I
Tacea la notte placida (1927)
Atto IV
D'amor sull'ali rosee (1928)
Verdi - Un ballo in maschera
Atto II
Ma dall'arido stelo divulsa (1926)
Puccini - Manon Lescaut
Atto II
In quelle trine morbide (1926)
Puccini - Tosca
Atto II
Vissi d'arte (1929)
Puccini - Madama Butterfly
Atto III
Tu, tu, piccolo Iddio (1929)
Gounod - Faust
Atto III
Il m'aime! (1926)
Massenet - Manon
Atto II
Adieu, notre petite table (1926)
Wagner - Lohengrin
Atto II
Euch Luften, die mein Klagen (1926)
Scarlatti - Se Florindo è fedele (1929)
Pergolesi (attr.) - Se tu m'ami (1930)
Tirindelli - Oh primavera (1931)
Buchardo - Canción del carretero (1930)
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