Alcune considerazioni sul Don Giovanni presentato lunedì 20 alla Staatsoper viennese.
Nuova e lussuosa produzione firmata Jean-Louis Martinoty, solita ambientazione atemporale con richiami settecenteschi, qualche forzatura e una scena finale ben gestita (anche se donna Elvira agghindata da Suor Sorriso poteva esserci risparmiata).
Quanto ai singoli artisti, li elenchiamo in ordine crescente di decoro dimostrato e di conseguente meritata attenzione.
I divi d’Arcangelo ed Esposito, padrone e servo, si rifanno alle caccole e all’approssimazione dei Raimondi e dei Corena, senza peraltro possederne la "canna" vocale. D’Arcangelo canta con voce bitumata, larga ma non ampia né sonora (l’orchestra lo sommerge ad esempio nel finale I e nella scena della dannazione), sfalsettante a ogni tentativo di nuance (serenata). Esposito, voce da baritono brillante prestata a un ruolo da basso vero (inesistente il sostegno armonico offerto dal cantante negli ensemble, fin dall’introduzione), sfoggia nell’aria del catalogo il catalogo, appunto, dei propri malvezzi: suoni nasali e malfermi in acuto, difficoltà nel legato, parlati e cachinni indegni di un teatro di provincia. Misteri dello star system.
Altro mistero è come possano i Wiener Philharmoniker risultare svogliati e poco amalgamati in una partitura che dovrebbero conoscere anche capovolta. Inutile attendersi brio e colori da Franz Welser-Möst, neo Generalmusikdirektor del Teatro, ma almeno andare a tempo! Ottimi, per contro, i solisti in scena nei due finali.
Ulteriore mistero e rinnovate riflessioni impone la prova di Albert Dohmen, reputato specialista wagneriano, quale Commendatore. Prova che risulta illuminante circa il livello del canto wagneriano, specializzato e specializzando, di oggi. Quando erano affidati alle cure di cantanti wagneriani, ma non solo, del calibro di Journet o List, i Commendatori mostravano altra diginità, sia da vivi che da morti.
Ildikó Raimondi quale Elvira sostituiva praticamente all’ultimo Roxana Constantinescu, spartita dal cartellone dopo le prime recite (la première, trasmessa dalla radio austriaca, può forse illuminare in proposito). Ci asteniamo da commenti, se non per rilevare che l’intonazione non dovrebbe costituire un tratto negoziabile, a qualunque stadio della preparazione di un ruolo.
Saimir Pirgu si rifà agli Ottavio languidi e linfatici di certa tradizione deteriore, che però sfoggiavano di solito maggiore dolcezza e minore titubanza sul passaggio di registro.
Sylvia Schwartz è la classica Zerlina formato soubrette, garbata ma non sempre corretta sotto il profilo dell’intonazione. Se imparasse a respirare correttamente, ne trarrebbe sicuro giovamento. Anche Adam Plachetka (Masetto), la voce più omogenea e l’interprete più misurato del cast, potrebbe risultare maggiormente sonoro e quindi più incisivo se appoggiasse con maggiore costanza ed evitasse oscuramenti artificiali del timbro. Le premesse per una carriera ci sono, a ogni modo.
Sally Matthews porta assai bene il lutto ed è una voce, per gli standard odierni. Non è un soprano drammatico, ma oggi le donn’Anna di questo tipo sono rarissime, per non dire estinte. Le manca, per risultare convincente, una tecnica che le consenta di non gridare sul secondo passaggio (recitativo della scoperta del cadavere del padre), di cantare piano senza sfalsettare, di non emettere suoni tubati (Rachen-Arie) e di evitare scivolate d’intonazione (picchettati sul la naturale nel rondo). Come e più che per Plachetka, auguriamo anche a lei una pausa di riflessione. Salutare per tutti, in primis per gli addetti alla gestione delle voci, massime giovani.
Gli ascolti
Mozart - Don Giovanni
Atto I
Ma qual mai s'offre, o Dèi...Fuggi, crudele, fuggi - Maria Reining & Julius Patzak (1936)
Madamina, il catalogo è questo - Georg Hahn (1936)
Ah fuggi il traditor - Ilva Ligabue (1970)
Fin ch'han dal vino - Karl Hammes (1936)
Atto II
Vedrai carino - Mafalda Favero (1941)
Nuova e lussuosa produzione firmata Jean-Louis Martinoty, solita ambientazione atemporale con richiami settecenteschi, qualche forzatura e una scena finale ben gestita (anche se donna Elvira agghindata da Suor Sorriso poteva esserci risparmiata).
Quanto ai singoli artisti, li elenchiamo in ordine crescente di decoro dimostrato e di conseguente meritata attenzione.
I divi d’Arcangelo ed Esposito, padrone e servo, si rifanno alle caccole e all’approssimazione dei Raimondi e dei Corena, senza peraltro possederne la "canna" vocale. D’Arcangelo canta con voce bitumata, larga ma non ampia né sonora (l’orchestra lo sommerge ad esempio nel finale I e nella scena della dannazione), sfalsettante a ogni tentativo di nuance (serenata). Esposito, voce da baritono brillante prestata a un ruolo da basso vero (inesistente il sostegno armonico offerto dal cantante negli ensemble, fin dall’introduzione), sfoggia nell’aria del catalogo il catalogo, appunto, dei propri malvezzi: suoni nasali e malfermi in acuto, difficoltà nel legato, parlati e cachinni indegni di un teatro di provincia. Misteri dello star system.
Altro mistero è come possano i Wiener Philharmoniker risultare svogliati e poco amalgamati in una partitura che dovrebbero conoscere anche capovolta. Inutile attendersi brio e colori da Franz Welser-Möst, neo Generalmusikdirektor del Teatro, ma almeno andare a tempo! Ottimi, per contro, i solisti in scena nei due finali.
Ulteriore mistero e rinnovate riflessioni impone la prova di Albert Dohmen, reputato specialista wagneriano, quale Commendatore. Prova che risulta illuminante circa il livello del canto wagneriano, specializzato e specializzando, di oggi. Quando erano affidati alle cure di cantanti wagneriani, ma non solo, del calibro di Journet o List, i Commendatori mostravano altra diginità, sia da vivi che da morti.
Ildikó Raimondi quale Elvira sostituiva praticamente all’ultimo Roxana Constantinescu, spartita dal cartellone dopo le prime recite (la première, trasmessa dalla radio austriaca, può forse illuminare in proposito). Ci asteniamo da commenti, se non per rilevare che l’intonazione non dovrebbe costituire un tratto negoziabile, a qualunque stadio della preparazione di un ruolo.
Saimir Pirgu si rifà agli Ottavio languidi e linfatici di certa tradizione deteriore, che però sfoggiavano di solito maggiore dolcezza e minore titubanza sul passaggio di registro.
Sylvia Schwartz è la classica Zerlina formato soubrette, garbata ma non sempre corretta sotto il profilo dell’intonazione. Se imparasse a respirare correttamente, ne trarrebbe sicuro giovamento. Anche Adam Plachetka (Masetto), la voce più omogenea e l’interprete più misurato del cast, potrebbe risultare maggiormente sonoro e quindi più incisivo se appoggiasse con maggiore costanza ed evitasse oscuramenti artificiali del timbro. Le premesse per una carriera ci sono, a ogni modo.
Sally Matthews porta assai bene il lutto ed è una voce, per gli standard odierni. Non è un soprano drammatico, ma oggi le donn’Anna di questo tipo sono rarissime, per non dire estinte. Le manca, per risultare convincente, una tecnica che le consenta di non gridare sul secondo passaggio (recitativo della scoperta del cadavere del padre), di cantare piano senza sfalsettare, di non emettere suoni tubati (Rachen-Arie) e di evitare scivolate d’intonazione (picchettati sul la naturale nel rondo). Come e più che per Plachetka, auguriamo anche a lei una pausa di riflessione. Salutare per tutti, in primis per gli addetti alla gestione delle voci, massime giovani.
Gli ascolti
Mozart - Don Giovanni
Atto I
Ma qual mai s'offre, o Dèi...Fuggi, crudele, fuggi - Maria Reining & Julius Patzak (1936)
Madamina, il catalogo è questo - Georg Hahn (1936)
Ah fuggi il traditor - Ilva Ligabue (1970)
Fin ch'han dal vino - Karl Hammes (1936)
Atto II
Vedrai carino - Mafalda Favero (1941)
20 commenti:
Leggendo il resoconto del collega Tamburini, spiace constatare che a Vienna ancora non si è superata l'estetica del "Mozart viennese" (o, peggio, quello "tedesco"). Il Mozart pesante della (pessima" tradizione tardoromantica e novecentesca, che ha compromesso la morbidezza dell'autentica vocalità mozartiana, consegnandola a cantanti wagneriani et similia. Da lì vengono i Commendatori stile Fafner (intollerabili e vociferanti), così come i sopranoni iperdrammatici (più adatti ad Elektra o Brunilde) in ruoli scritti (o congeniali) per Aloysa Weber (anche se la prima Donn'Anna fu la Saporiti: peraltro frequentatrice di Paisiello e Cimarosa...non certo della rocca delle valchirie) e Caterina Cavalieri: la prima - tanto per comprenderne la vocalità - destinataria di arie da concerto altamente virtuosistiche (K294, K418 e SOPRATTUTTO K319, ossia la più impervia costruzione della letteratura sopranile); la seconda prima Konstanze del Ratto. Rovescio della medaglia - di questa ipertrofia drammatica nelle voci femminili - la solita languida ed esangue macchietta di Don Ottavio: questo perché, semplicemente, l'estetica tedesca (fortemente condizionata da certe storture romantiche) non riesce a comprenderne la figura, il personaggio e il ruolo. Stesso dicasi per il protagonista: troppe volte trasformato in un satanico crapulone con la bava alla bocca. Mi spiace per D'Arcangelo, cantante che apprezzo moltissimo, soprattutto nel repertorio mozartiano e barocco. Esposito, invece, è una triste conferma...
Discorso a parte per i Wiener, che, evidentemente necessitano pure loro di un vero direttore e non un mero kappelmeister...
caro duprez un po' ti devo semtire perchè è rispondo con una domanda fra la donna anna di una leider o anche di una sutherland, che avrebbe cantato benissimo molte parti di wagner e le attuali zanzarette e zanzarine ti cosa scegli?
Io mi tengo questa frau magari poco "gnocche", ma con altre doti ......
credo che quello che oggi noi sentiamo e censuriamo, chi più chi meno sia non un prodotto, ma un cattivo sottoprodotto
ciao dd
Caro Duprez, basta ascoltare Maria Reining, che cantava abitualmente Strauss e Wagner ma che è anche una donn'Anna di gran voce, eloquente e dolcissima, senza per questo essere una gallinella (mal) spennata. Ma ci potrebbero essere tanti esempi possibili, dall'Anna di Frida Leider all'Elvira di Maria Mueller, all'Ottavio di Julius Patzak, persino troppo eroico per il pusillanime genero mancato del Commendatore. Io ci andrei cauto prima di censurare QUESTO Mozart "tedesco". Ben altri sono i "campioni" del Mozart deteriore, capitanati dalla signora Legge-Emi, ma l'argomento ci portrebbe lontano, e quindi qui mi fermo...
"Mi spiace per D'Arcangelo, cantante che apprezzo moltissimo, soprattutto nel repertorio mozartiano e barocco."
Il repertorio mozartiano e soprattutto quello barocco mi pare sia proprio il repertorio nel quale D'Arcangelo si è specializzato.
Io lo trovo ovunque improponibile: voce tutta ingolata, canta perennemente come avesse una patata in bocca, è totalmente inetto nel canto di coloratura (che risolve tossendo le note con catarrosi spasmi di glottide), duro e fibroso, annerisce la voce nello stomaco e non sa neanche cosa sia la maschera. Penso sia uno dei peggiori cantanti degli ultimi anni (il che vuol dire uno dei peggiori di sempre), nonché la negazione del canto barocco come di ogni canto.
Personalmente non sarei mai e poi mai andato a vedere una produzione simile. Onore al coraggio di Tamburini.
E' vero in parte, cari Domenico ed Antonio... Il problema che pongo va oltre la riuscita della singola aria o della gradevolezza d'ascolto. Il fatto è che il Mozart tedesco e wagnerizzato, anche se ben cantato, resta fuorviante. Nessuno di noi mette in dubbio il fatto che cantare Wagner e cantare Mozart richieda due stili e due approcci completamente diversi. Nessuno però dovrebbe non riconoscere come tra fine '800 e primi '900 si sia imposta una visione estetica - nell'interpretazione mozartiana - che nulla ha a che fare con le reali ed autentiche richieste delle partiture. Mozart scrive per una scuola di canto "all'italiana" discendente diretta del barocco e della scuola napoletana. A questo aggiunge una scrittura geniale ed un trattamento orchestrale incomparabile con qualsiasi altro suo collega (almeno sino a Wagner) per invenzione, originalità e autonomia (non bastano le voci per eseguire Mozart, affatto). Ascoltare voci Straussiane in tale repertorio mi urta, così come mi urta la conseguente ipertrofia orchestrale, l'ingigantirsi delle compagini, la drammatizzazione a tutti i costi, l'appesantimento, l'accentuazione di prtesi (e inesistenti) aspetti romantici... Il fatto che la Leider esegua come sappiamo le arie di Donn'Anna dimostra solo che la grande cantante sapeva padroneggiare stili diversi, giacché non cantava certo Wagner così come interpretava Mozart (o meglio cercava di farlo, dato che avrebbe dovuto scontrarsi con l'insipienza di chi, al contrario, nutriva ancora visioni hoffmaniane di Don Giovanni), idem per le altre... Il problema, nei loro casi, è il contorno orchestrale..spesso indegno di cotante voci, vuoi perché compromesso da elefantiasi wagneriane, vuoi perché mortificato da compagimi indegne (come l'orchestra del Met sino a Levine: un'accozzaglia di suonacci indegna di qualsiasi dopolavoro ferroviario...e PER CORTESIA, non mi si dica che in Mozart direzione e orchestra sono aspetti secondaria...non si tratta del frin-frin che accompagna Donizetti, Bellini e in parte Verdi). Oggi le voci "mozartiane" hanno solo il tombro "zanzaresco" giacché in relatà ripetono - soprattutto in area germanica - il solito e usato trattamento wagnerizzante applicato a Mozart (da qui le scontate difficoltà a gestire fiati, appoggio e colorature).
Non mi sembra calzante, tuttavia, l'esempio della Sutherland: anzi dimostra ciò che sostengo...il Wagner della Stupenda può essere interessante, diverso, ma saggiamente l'ha accantonato. Spiace che abbia accantonato pure Mozart...ma credo dipenda dalla scarsa dimestichezza del marito con partiture che richiedano qualcosa in più che non il mero accompagnamento della moglie...
Con tutto il rispetto, Mancini, non condivido una riga di ciò che scrivi...mi sembrano, anzi, considerazioni livorose dettate da un pregiudizio (ma l'hai mai ascoltato D'Arcangelo?).
Chissà perché, ma certe argomentazioni (e il modo barbaro di esprimerle) mi sembrano riconducibili a certe fonti (che non voglio nominare per riaprire polemiche sterili). A mio parere frasi tipo "voce tutta ingolata, canta perennemente come avesse una patata in bocca, è totalmente inetto nel canto di coloratura (che risolve tossendo le note con catarrosi spasmi di glottide), duro e fibroso, annerisce la voce nello stomaco e non sa neanche cosa sia la maschera. Penso sia uno dei peggiori cantanti degli ultimi anni (il che vuol dire uno dei peggiori di sempre), nonché la negazione del canto barocco come di ogni canto"...dimostrano solo preconcetto e incapacità di un giudizio equilibrato. Insomma è il pregiudizio di chi ritiene il canto morto con la disfatta di Caporetto... Bah..resto perplesso.
Anch'io sono perplesso Duprez.
Da parte mia nessun pregiudizio, credimi.
In D'Arcangelo sento esattamente i gravi difetti che ho elencato sopra.
http://www.youtube.com/watch?v=a05G0NJ7nHQ&feature=fvw
http://www.youtube.com/watch?v=7oWhpdffuvQ
E' un cantante che esemplifica in modo completo la maniera odierna di cantare il barocco, con la voce bitumata ed ingolata.
Duprez, questo tuo odio verso il Deutsche Mozart non lo condivido.
Vorrei fare solo qualche esempio senza perdermi in elenchi retorici do aggetivi di elogio, anche perchè non ne sarei capace.
Donzelli e Tamburini giustamente tirano in mezzo due mostri del canto come la Leider e la Reining, il cui Mozart, lungi dall'essere pesante e sgraziato, rasenta davvero la perfezione. Come basta anche sentire l'Elettra della Grob Prandl o la Contessa della Seinemeyer, cantanti rinchiuse nella fredda categoria wagneriana, eppure straordinarie anche nel repertorio mozartiano.
Idem per la tua antipatia verso l'ipertrofia orchestrale nel mozart tedesco. non so se è un tuo pregiudizio verso le grandi bacchette tedesche. Correggimi se sbagli, ma sembra così. Credo tuttavia che le Nozze di Busch o il Don Giovanni di Furtwangler siano davvero l'apice del nostro secolo nell'esecuzione orchestrale mozartiana.
PS: credo che il Don Giovanni sia per certi versi la più tedesca delle opere dapontiane, e forse quella che anticipa maggiormente gli esiti musicali nordeuropei del primo 800'.
allora un po' di polemica pre natalizia fra tramezzini e tartine.....quandoi belcantisti ossia i soliti Horne, Ramey, Blake, Dupuy, Anderson, si sono avvicinati con parsimonia a Mozart (parsimonia in parte dovuta al loro interesse limitato e sopratutto al fatto che altri capponi mal capponati, gallinelle mezze spiumate e targate cinque sorelle DOVEVANO essere i mozartiani di riferimento) nessuno ha riconosciuto loro doti e meriti precipui e stilistica adeguatezza. Eppure erano e sono i cantanti da Mozart per una serie piuttosto ovvia di motivi. E prima di loro hanno eseguito un esemplare Mozart cantanti che erano grandi in Puccini o Strauss (come Eleanor Steber e Lotte Lehmann) o in Verdi come Pinza, senza che si possa eccepire alcun chè alla loro esecuzione.
Perchè mal capponati che biascicano "ombre eranti e dollenti" credo nulla abbiamo a che vedere con un bel Mozart.
Non vedo motivi per non apprezzare il Mozart di voci timbrate corpose e di volume. Penso in tempi recenti a Carol Vaness, tecnicamente incompleta, ma efficace e per accento e per resa del personaggio.
ciao dd
Ma infatti, carissimi, vorrei chiarire che il Mozart della Leider (ad esempio) non può essere ridotto al Mozart wagnerizzato...per il fatto semplicissimo (ma oggi improponibile) che lei sapeva padroneggiare stili differenti. Ma questo resta merito individuale, pur in un orizzonte estetico falsificato.
Caro Francesco, nessun odio sterile per il deutsche Mozart, ma semplice riconoscimento della sua pretestuosità (e dei suoi eccessi). Potrà, in certi casi, riuscire, ma siamo ben lontani dallo spirito di quelle partiture (basta leggerle, non è necessario fare sedute spiritiche). Nessuna antipatia, poi, verso le grandi bacchette tedesca: grandissime (in particolare Furtwangler), portatrici però di un Mozart largamente falsificato da suggestioni romantiche, che semplicemente sono inesistenti. E poi anche lì occorre operare dei distinguo. Se prendi Walter, Fricsay, il primo Karajan ascolti un Mozart più moderno e trasparente. Altra cosa quello di Klemperer (bruttino)...e pure Furtwangler (direttore che ADORO) in Mozart mi lascia perplesso.
Ti contesto però quanto scrivi su Don Giovanni: è opera di puro razionalismo illuminista, spietata e crudele, ma estremamente lucida e disincantata. Nulla di tedesco o di romantico vi traspare. E' proprio il romanticismo ad appropriarsene falsificandola (tanto che in area germanica, ad esempio, si ometteva la scena finale e l'opera finiva con la morte di Don Giovanni). Furtwangler e Mitropoulos perpetuano questa visione..un Don Giovanni scuro, satanico, romantico (certo lo fanno da par loro, ma resta una forzatura)... Naturalmente è comprensibile questa visione, è da considerare storicamente, ma non può condizionare il presente. Oggi, purtroppo, si assiste ad una rimasticatura di questo Mozart. O peggio, ci viene propinato il Mozart "all'inglese" che a partire dalla sciagura di Beecham infesta il mercato discografico (superficiale, fragile, british, bianchiccio e tanto compito...).
Caro Donzelli...il problema è che le voci mozartiane sono state sprecate in altri repertori, per lasciar spazio ai cantanti sbiancati e asettici di scuola anglosassone o ai monoliti wagneriani...
Ovviamente concordo con te sul puro piacere d'ascolto di Steber, Lehman, Leider (ma anche Vaness e altri..), ma erano cantanti che sapevano variare lo stile e certamente non cantavano Wagner e Strauss così come cantavano Mozart...
E non apriamo il capitolo "tenori mozartiani"...ci sarebbe da piangere...ora come allora!
cosa c'è di più nord-europeo del razionalismo illuminista?
comunque qual'è il tuo Mozart ideale? quello di Jacobs?
Beh, Francesco...ovviamente mi riferisco al preromanticismo nordeuropeo, cosa con cui Don Giovanni e Mozart non c'entrano nulla. Poi che dirti, il mio ideale non è Jacobs, ma neppure quello suonato da orchestre adatte all'VIII di Mahler, con vocioni wagneriani e lentezza pachidermica...
Il mio Don Giovanni preferito, comunque, è quello diretto da Karajan a Salisburgo nel 1960.
Siamo certi che il razionalismo illuminista sia *così* nordeuropeo? E siamo sicuri che Mozart e l'Austria tardosettecentesca (musicale e non) siano *così* illuministi/illuminati? Più che altro, sotto il governo di Giuseppe II vedrei i cascami dell'Illuminismo gallico, irrigiditi in esteriorità geometrica e (rumorosamente) vuota. Nel Don Giovanni mi pare si possa vedere altro che giocoso, galante disimpegno, e mi domando se davvero non vi si possa cogliere(almeno in alcune scene) quell'eccentricità armonica e quella morbosa inquietudine di Stimmung - prima ancora che musicale - da cui sarebbero germogliati Weber, Marschner e Spohr. Sbaglierò, ma l'ottimismo di un'apollinea (quanto ipotetica) Aufklaerung andrebbe cercato altrove, in Mozart.
Ma chi lo dice che l'illuminismo è "galante disimpegno"? L'inquietudine che si scova nel Don Giovanni è inquietudine dell'intelletto, cinismo della ragione..uno spietato esercizio razionale. Nulla, ma proprio nulla consente di ridurlo a mero anticipatore di istanze preromantiche. Questa è la falsificazione che una cultura germanocentrica e imbevuta di romanticismo e storicismo hegeliano, ci ha imposto, portando al fraintendimento di Mozart prima, e di Beethoven poi (anch'egli inserito con prepotenza, e superficialità, tra i "compositori romantici").
Purtroppo vedo che le suggestioni di Hoffmann e Kierkegaard non sono affatto superate.
Ma io non vedo nulla di sconcertante nell'affermare che Weber, Spohr e Marschner abbiano avuto ben presente la scena del cimitero e la penultima del secondo atto al momento di concepire i propri lavori. E' un dato di fatto assodato, di cui si può rendere conto chiunque ascolti Jessonda, Hans Heiling o Euryanthe (e anche, per la verita, il Freischuetz). Hoffmann e Kirkegaard erano ben lungi dal mio discorso, che, a quanto vedo, è stato frainteso. Evidentemente non c'entrano nulla, e non varrebbe la pena di rimarcarlo. Così come non ci sarebbe bisogno di rimarcare che Mozart non è un precursore della Schaueroper. Ma fissarsi su un'idea di apollineo illuminismo mi pare altrettanto sterile (e falsante) quanto il suo contrario. Non c'è solo cinismo, nel Don Giovanni, e le devianze dall'abituale condotta armonica sono evidenti, specie in momenti di maggiore tensione drammaturgica, o dove il soprannaturale fa il proprio ingresso: è il portato di una prassi compositiva che non hanno certo inventato i romantici (vorrei dire, *pur con le dovute cautele*: non dimentichiamo l'Orfeo monteverdiano); proprio dei romantici (e dei *pre*-romantici) sarà, semmai, un riuso diffuso di tali espedienti, unito a deliberata ricerca di eccentricità armonica. Affermare un dato di fatto così ovvio non significa in alcun modo vedere in Don Giovanni il nonno dell'Olandese o lo zio di Lord Ruthven - e mi chiedo anzi come si possa pensare una simile bizzarria... L'importanza del Don Giovanni sulle successive generazioni di musicisti è un fatto innegabile, e questo perché parti dell'opera sono latrici di uno squilibrio armonico e drammaturgico patente. Ovviamente questo non giustifica elefantiasi orchestrale, pesantezze direttoriali o stacchi di tempo geriatrici. Ma non mi pareva proprio di aver affermato qualcosa di anche solo lontanamente assimilabile a tutto ciò.
Caro Hans Sachs...innanzitutto grazie per aver meglio chiarito (probabilmente ho frainteso), però il discorso che fai mi sembra confonda i diversi piani. Un conto è scrivere e sostenere che tutta una serie di compositori successivi a Mozart (e riconducibili, pur tra mille sfumature differenti, al preromanticismo tedesco) abbiano trovato ispirazione e spunti a certi lavori del compositore (naturale ed innegabile); altra cosa è sostenere che nell'opera mozartiana vi siano suggestioni preromantiche. Proprio il fatto che Spohr e Marschner, abbiano ritenuto di vedere in Don Giovanni istanze preromantiche, deriva dalla lettura che loro fanno dell'opera mozartiana (limitatamente ad alcuni aspetti e ad alcuni lavori: oltre a Don Giovanni pensa ai destini ottocenteschi del K466). Che si fonda su di un fraintendimento estetico e ideale (poco importa alla fine, giacché il tutto va considerato storicamente). Il sovrannaturale che irrompe in Mozart non ha (per schema, struttura, armonia, scelte musicali e drammatiche) nulla a che vedere con il sovrannaturale di Weber e Marschner (c'è un bel testo di Elisabetta Fava sull'argomento). La scena del Commendatore o del Cimitero non può essere paragonata alla Gola del Lupo (ad esempio), i presupposti e le finalità sono differenti. E di conseguenza il linguaggio musicale. L'irrazionale mozartiano è, in realtà, assai razionale, poichè inteso come exemplum etico (ecco perchè è indispensabile non tagliare il finale dell'opera, poiché verrebbe falsata completamente). E quando non lo è (come nel Flauto Magico) assume i toni della favola (seppur filosoficamente intesa) inserendosi in un genere diciamo di svago (la zauber oper). Questo non vuole dire negare l'influenza di Don Giovanni sulle generazioni romantiche, tutt'altro...ma la considerazione che tale influenza si basa su di un fraintendimento. Allo stesso modo l'intera parabola beethoveniana.
Qualche riflessione natalizia sul "Mozart tedesco". E' chiaro che il "Don Giovanni" non presenta elementi romantici in senso proprio; e, tutto sommato, neppure preromantici. Il suo mondo è certo quello del razionalismo illuminista. Basta a provarlo il fatto che in questa opera ogni personaggio, quando parla, ha ragione lui. Tutti hanno dignità di parola; e non tutto si riduce alla travolgente personalità del protagonista. Quindi fare di Mozart un precursore di Spohr, di Hoffmann o di Marschner sarebbe davvero fuori luogo. Nondimeno si deve notare che nessuna opera coeva può esibire un protagonista con un'individualità così rilevata e prepotente; anche se questa individualità, lo si è notato prima, non è sufficiente a togliere dignità a chi le si oppone. A partire da questa ricchezza di contrasti si introduce nell'opera una tensione sonora che in qualche modo prefigura ciò che verrà; e che rende credibile un'interpretazione che metta in rilievo soprattutto questa tensione. Duprez dice giustamente che uno dei segni fondamentali di questa interpretazione romantica è la soppressione durante l'Ottocento del sestetto finale. Va però detto che questa soppressione risale addirittura alla prima viennese al Burgtheater, sette mesi dopo la prima di Praga; segno che lo stesso Mozart riteneva credibile la possibilità di finire l'opera con la morte del protagonista, con la conseguente sottolineatura della sua individualità. Ritengo perciò credibile un'interpretazione che dia il massimo rilievo possibile alla tensione e ai contrasti dell'opera, con quella capacità di intelligente forzatura che appartiene agli interpreti di genio; in primo luogo a Furtwaengler, il cui "Don Giovanni" è caro al mio cuore più di ogni altro.
E, del resto, se si ritiene credibile l'interpretazione da parte di FUrtwaengler del "Freischuetz", che l'illustre direttore immerge in una clima fosco da "Goetterdaemmerung", perché questo non dovrebbe valere anche per il "Don Giovanni"? E che dire della "Grande" di Schubert, vista come il precedente immediato di Bruckner"? Il fatto è che un direttore veramente grande, appunto perché ha una sua visione ben determinata e personale, applicandola ad opere anche molto lontani dalla sua terra d'elezione, può svelare in queste opere risvolti non banali e non limitati al contesto in cui quelle opere sono nate. Altro è invece il discorso per Klemperer. In Mozart Duprez lo definisce "pesante". Ecco, io non sono d'accordo. Mi sembra che, almeno per quanto riguarda il "Don Giovanni", Klemperer sottoponga il tessuto orchestrale di Mozart ad un'analisi la cui trasparenza mi sembra non conosca l'uguale; questo dà all'opera l'equilibrio e la chiarezza di una sorta di epifania della ragione; di una ragione che non è però fuori del tempo, bensì rende giustizia alla radice illuministica di quell'opera, ironica, disincantata e crudele, come lo era stata l'estetica di una delle passioni della giovinezza di Klemperer: Paul Hindemith.
Marco Ninci
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