Trasmissione radiofonica del Don Carlos verdiano, versione in 5 atti in italiano, dal Metropolitan Opera di NY sabato sera. Trasmissione di un disastro applaudito dalla generosa platea newyorkese, stigmatizzato al contrario sui fori, da diversi sms negativi inviati dagli ascoltatori italiani alla redazione della RAI, perché il pubblico italiano non è ancora stato abituato a reggere un siffatto infimo livello esecutivo delle opere verdiane. Gli italiani ancora recalcitrano, come fecero proprio al Don Carlo, all’Aida ed al Simon Boccanegra scaligeri, al recente Verdi Festival di Parma, al Rigoletto veneziano etc….Resistiamo, ma ancora per quanto?
Già, ancora per quanto, dato che lo star system ha l’ardire di mandare in scena sul più prestigioso palcoscenico mondiale assieme alla Scala una compagnia di canto abborracciata, i cui componenti, forse fatto salvo per ciò che è stato Giorgio Giuseppini, sostituto last minute di Ferruccio Furlanetto, dimostravano tutti di non possedere né i fondamenti tecnici minimi per affrontare tale impegno, né speciali virtù timbriche naturali, né un minimo senso del fraseggio verdiano.
Un Don Carlo di origine orientale, Yonghoon Lee, voce da tenorino gonfiata, acuti urlati, fraseggio meccanico ed insipido; un baritono di blasone (?), Simon Keenlyside, costantemente con il centro masticato in bocca, acuti indietro e forzati, tutto di fibra, e fraseggio improprio tanto da dubitare che capisse cosa stesse cantando, dato che su ogni frase ha cercato di berciare, digrignando i denti, di dare di naso, di “morsicare” letteralmente tutte le più belle, liriche e nobili frasi di Posa.
Il senescente Filippo di G. Giuseppini, voce stanca, fraseggio scolastico, né ieratico né dolente, ingolato e fibroso, indietro e fisso in alto. Il duetto con Posa, per entrambi, un must del fallimento del canto verdiano, senza aristocrazia, senza dialettica tra i due, nemmeno personaggi nobili parevano, nessuna intenzione…ricordate il famoso “canto di conversazione” ? Ecco, l’esatto contrario!
E le donne?? Le donne!!!! Una Eboli, Anna Smirnova, dal canto casuale, ordinario, musicalmente anche sgangherato, con la voce aperta e di petto sotto, tutta tubata, il centro senza legato, gli acuti urlati, insomma un concentrato dei peggiori difetti dell’Obratzova e della Barbieri decotte. Ha cantato una versione parodistica della “Canzone del velo”, ed un surreale “O don fatale”, per non parlare di cosa è accaduto nel meraviglioso terzetto del giardino, dove in tre si sono prodigati a fare del loro meglio..! Una Valois, quella di Marina Poplavskaja, cui persino quella imbarazzata e talora imbarazzante dell’esausta Fiorenza Cedolins scaligera bagna il naso in ogni battuta (!). Voce senza alcun sostegno del fiato, sempre bassa, o in bocca a falsettare, o retronasale in alto, perennemente “sotto” nell’intonazione e fissa, di timbro senescente assai poco gradevole, cortissima in alto, chè la Valois non sale per nulla ( giustamente prossima Violetta al Met al posto della diva Anja, tanto per garantire un primo atto di qualità! ), fraseggio inesistente anche per lei, quello di chi non capisce ciò che sta dicendo. E il maestro Nazét Seguin? Una buona orchestra, un po’ fracassona, tempi comuni, senza originalità ma nemmeno contrasto col canto, ma un perfetto latitante con i cantanti, stando a quanto abbiamo sentito.
Ecco qui il pacco dono, è il caso di dirlo, della trasmissione radiofonica dal Met, perfettamente incartata dalla stagnola lucente dei soliti cronisti Rai che han mescolato buona informazione e panzane straordinarie, funzionali a decantare un evento che di interessante aveva assai poco.
Topica favolosa e favolistica quella che il Met avrebbe inaugurato la prassi del Don Carlo in 5 atti con “l’era Bing”, mentre sino ad allora si sarebbe allestita solo la versione in 4 atti. Insurrezione dei miei archeo-autori e lettori ventenni, e sottolineo ventenni, perchè loro sanno che è vero il contrario! Il Don Carlo dell’era Bing ( a memoria, direi che il cast inaugurale del 1950-51 era Bjoerling-Warren-Hines-Barbieri-Rigall- Striedry, poi ripreso mille volte con vari cast e bacchette sino al 1972 ), di cui esistono le incisioni per documentare la realtà dei fatti, era in 4 atti, mentre, al contrario, era in 5 atti la prima produzione newyorkese, del 1920 ( Martinelli, Matzenauer - Ponselle, Didur, De Luca….!!!!), con tanto di Peregrina e strano taglio del duetto Filippo Inquisitore. E poi, scusatemi, ma la grande scena del III atto ( vers. in 5 ) ha luogo sulla piazza di Nostra Dona de Atocha a Madrid, mica….a Valladolid !!!! Mille inutili discorsi sulla produzione, sull’allestimento, che il pubblico radiofonico nemmeno vede, mentre la musica trasmessa è un disastro condito con madornali errori di radiocronaca, a decantare la versione in 5 atti dell’era Bing.
Piange Verdi, piange, perché non trova esecutori professionali, non trova se stesso nel canto dei suoi moderni esecutori, è abortito nei suoi obbiettivi drammaturgici per ogni dove.
Milano, Londra, Berlino, Vienna, Parma, Firenze, Ney York, San Francisco, Bilbao, Parigi….a Mantova!, dappertutto Verdi piange.
Le rappresentazioni dei titoli verdiani falliscono, con o senza contestazioni poco importa, nel tradimento dell’autore e con performances teatrali imbarazzanti. Si stona, si urla, si bercia, si cala, si parla perfino, anzi, si accenna, come abbiamo udito al Verdi festival parmigiano, ci si barcamena alla bell’è meglio, sotto il livello di guardia. Chè l’Arena di Verona di solo 20 anni fa aveva un livello incomparabile ed irraggiungibile oggi da parte di tutte le stelline e stellette e starrrrsssss che calcano i maggior palcoscenici del mondo.
Recentemente, arrampicandosi sugli specchi per giustificare cast e direzione artistica parmigiana, un critico ha concluso affermando che le produzioni verdiane di ottobre sono fallite perché non si è fatto teatro di regia, ricorrendo ad allestimenti tradizionali per Vespri e Trovatore. Sono sempre quelli che non volendo ed ormai non potendo più recensire la scena, dato il livello cui siamo scesi, recensiscono le voci ed il comportamento del pubblico, quasi che loro non lavorassero per i loro deputati lettori, il pubblico appunto, ma per altri, ossia quelli che con siffatti obbrobri ci affliggono.
L’adagio “Fin che la barca và, lasciala andare” sta finendo perché l’incantabilità e, dunque, l’irrapresentabilità di Verdi è già qui con noi, appartiene al nostro presente. Le difficoltà finanziarie giungono propizie a deviare l’attenzione dalle ambizioni, squagliatesi pian piano come un gelatino multigusto al sole d’agosto, di una Verdi “edision” in dvd di targa parmigiana e di una rappresentazione di massa delle opere di Verdi entro il 2013, mentre non abbiamo gli artisti adeguati per rappresentare un solo titolo per anno! Fantaverdi da fantaopera con fantacast, e “fanta” sta ormai chiaramente per …..fantasma!
Dopo il Boccanegra ed il Posa di Bruson, niente più baritoni verdiani. Quanti anni ha il signor Bruson oggi? Dopo Maria Chiara non più una Amelia o una Aida almeno veramente liriche, con la voce duttile e morbida. Quanti anni ha oggi la signora Chiara? Dopo il Filippo II e l’Attila di Ramey, che di verdiano aveva assai poco, ma di tecnica e classe per simulare ne aveva parecchia, quanti altri bassi che non siano tubati o ingolati per non dire altro, e capaci di fraseggiare, abbiamo udito in Verdi? E quanti anni ha oggi il signor Ramey? Dopo Fiorenza Cossotto è arrivata, con voce veramente verdiana e non prestata a Verdi, la solo signora Zajich. Quanti anni ha oggi la signora, e come cantano e chi sono le nuove Eboli o Amneris che stanno per prendere il suo posto? L'argomento tenori nemmeno lo affronto..
Devo continuare? Potremmo aprire il tema “errori di cast” , errori di insipienza, e non solo purtroppo, da parte di chi gestisce, sceglie e fa scegliere. Sarebbe un tema triste, anche se ormai ridotto a pochi esempi, tanto il mercato delle voci è rarefatto e fermo. Eppure le scelte assurde come certe carriere ingiustificate, sorrette dalla parte complice della stampa, il melomane di lungo corso le vede e le sa riconoscere. Come altrettanto triste sarebbe affrontare il tema delle voci “giovani”, del loro livello di impreparazione palese in cui versano mentre si lasciano lanciare allo sbaraglio su ruoli che non possono ricoprire, con esiti di cui è meglio tacere. Giovani che hanno anche mezzi naturali ragguardevoli ma cantano in modo abominevole, senza possedere, con tutta evidenza, le coordinate di base per orientarsi nell’universo del canto verdiano, coordinate tecniche ma anche stilistiche, di gusto. Potremmo anche parlare delle grandi bacchette, annoiate complici di questo modo incolto ed insipiente di fare opera, insipienti loro stessi in alcuni casi, sordi a certi disastri che fanno scritturare nei cast da loro guidati fin tanto che….qualcuno da lassù glieli fischia! Solo allora sentono, ma solo allora, sennò vanno avanti così, indifferenti, “Fin che la barca và….”.E dell’arte, dell’opera chi se ne….?
E chi deve scrivere? Anzi, chi doveva iniziare anni ed anni fa a rilevare che il canto verdiano era in declino, che le voci verdiane stavano sparendo, anziché interrogarsi su quanto stava con tutta evidenza accadendo, per bocca di certi “grandi cantanti”, che ha fatto, a parte fermarsi alla buvette riservata collocata nei foyers dei teatri? Se ne accorgono adesso?
La morale è poi una, e cioè che nessuna delle parti in causa sente di aver alcuna responsabilità in questo. A nessuno viene in mente di pensare che sia di fatto un problema di ignoranza e di incultura, di perdita di una tradizione del fare, di un sapere preciso, quello tecnico-vocale e stilistico. Questione troppo, troppo grande da affrontare, che richiederebbe tanta umiltà da parte di quelli che “fanno” nell’opera. Più facile risolvere che, in fondo, è colpa di altri, del “destino”, del normale scorrere delle cose, della mancanza di un teatro di regia in Verdi, anzi, fatemelo dire, meglio dire che la vera colpa è di quei soliti quattro che si lamentano tra il pubblico perché ancora si ricordano di cosa sia il cantare Verdi! Che se lo dimentichino, e alla svelta!!! Così se tutto è dimenticato, prestazioni come quelle su menzionate di colpo saranno eventi di vera ed alta qualità musicale, e finalmente il raglio dell’asino trasformato nel canto delle Muse!
Gli ascolti
Verdi - Don Carlos
Atto IV
O don fatale
Per me giunto è il dì supremo
Atto V
Tu che le vanità...E' dessa
Don Carlos - Yonghoon Lee
Elisabetta di Valois - Marina Poplavskaya
Rodrigo - Simon Keenlyside
La principessa Eboli - Anna Smirnova
Filippo II - Giorgio Giuseppini
Il Grande Inquisitore - Eric Halfvarson
Direttore d'orchestra - Yannick Nézet-Séguin
Già, ancora per quanto, dato che lo star system ha l’ardire di mandare in scena sul più prestigioso palcoscenico mondiale assieme alla Scala una compagnia di canto abborracciata, i cui componenti, forse fatto salvo per ciò che è stato Giorgio Giuseppini, sostituto last minute di Ferruccio Furlanetto, dimostravano tutti di non possedere né i fondamenti tecnici minimi per affrontare tale impegno, né speciali virtù timbriche naturali, né un minimo senso del fraseggio verdiano.
Un Don Carlo di origine orientale, Yonghoon Lee, voce da tenorino gonfiata, acuti urlati, fraseggio meccanico ed insipido; un baritono di blasone (?), Simon Keenlyside, costantemente con il centro masticato in bocca, acuti indietro e forzati, tutto di fibra, e fraseggio improprio tanto da dubitare che capisse cosa stesse cantando, dato che su ogni frase ha cercato di berciare, digrignando i denti, di dare di naso, di “morsicare” letteralmente tutte le più belle, liriche e nobili frasi di Posa.
Il senescente Filippo di G. Giuseppini, voce stanca, fraseggio scolastico, né ieratico né dolente, ingolato e fibroso, indietro e fisso in alto. Il duetto con Posa, per entrambi, un must del fallimento del canto verdiano, senza aristocrazia, senza dialettica tra i due, nemmeno personaggi nobili parevano, nessuna intenzione…ricordate il famoso “canto di conversazione” ? Ecco, l’esatto contrario!
E le donne?? Le donne!!!! Una Eboli, Anna Smirnova, dal canto casuale, ordinario, musicalmente anche sgangherato, con la voce aperta e di petto sotto, tutta tubata, il centro senza legato, gli acuti urlati, insomma un concentrato dei peggiori difetti dell’Obratzova e della Barbieri decotte. Ha cantato una versione parodistica della “Canzone del velo”, ed un surreale “O don fatale”, per non parlare di cosa è accaduto nel meraviglioso terzetto del giardino, dove in tre si sono prodigati a fare del loro meglio..! Una Valois, quella di Marina Poplavskaja, cui persino quella imbarazzata e talora imbarazzante dell’esausta Fiorenza Cedolins scaligera bagna il naso in ogni battuta (!). Voce senza alcun sostegno del fiato, sempre bassa, o in bocca a falsettare, o retronasale in alto, perennemente “sotto” nell’intonazione e fissa, di timbro senescente assai poco gradevole, cortissima in alto, chè la Valois non sale per nulla ( giustamente prossima Violetta al Met al posto della diva Anja, tanto per garantire un primo atto di qualità! ), fraseggio inesistente anche per lei, quello di chi non capisce ciò che sta dicendo. E il maestro Nazét Seguin? Una buona orchestra, un po’ fracassona, tempi comuni, senza originalità ma nemmeno contrasto col canto, ma un perfetto latitante con i cantanti, stando a quanto abbiamo sentito.
Ecco qui il pacco dono, è il caso di dirlo, della trasmissione radiofonica dal Met, perfettamente incartata dalla stagnola lucente dei soliti cronisti Rai che han mescolato buona informazione e panzane straordinarie, funzionali a decantare un evento che di interessante aveva assai poco.
Topica favolosa e favolistica quella che il Met avrebbe inaugurato la prassi del Don Carlo in 5 atti con “l’era Bing”, mentre sino ad allora si sarebbe allestita solo la versione in 4 atti. Insurrezione dei miei archeo-autori e lettori ventenni, e sottolineo ventenni, perchè loro sanno che è vero il contrario! Il Don Carlo dell’era Bing ( a memoria, direi che il cast inaugurale del 1950-51 era Bjoerling-Warren-Hines-Barbieri-Rigall- Striedry, poi ripreso mille volte con vari cast e bacchette sino al 1972 ), di cui esistono le incisioni per documentare la realtà dei fatti, era in 4 atti, mentre, al contrario, era in 5 atti la prima produzione newyorkese, del 1920 ( Martinelli, Matzenauer - Ponselle, Didur, De Luca….!!!!), con tanto di Peregrina e strano taglio del duetto Filippo Inquisitore. E poi, scusatemi, ma la grande scena del III atto ( vers. in 5 ) ha luogo sulla piazza di Nostra Dona de Atocha a Madrid, mica….a Valladolid !!!! Mille inutili discorsi sulla produzione, sull’allestimento, che il pubblico radiofonico nemmeno vede, mentre la musica trasmessa è un disastro condito con madornali errori di radiocronaca, a decantare la versione in 5 atti dell’era Bing.
Piange Verdi, piange, perché non trova esecutori professionali, non trova se stesso nel canto dei suoi moderni esecutori, è abortito nei suoi obbiettivi drammaturgici per ogni dove.
Milano, Londra, Berlino, Vienna, Parma, Firenze, Ney York, San Francisco, Bilbao, Parigi….a Mantova!, dappertutto Verdi piange.
Le rappresentazioni dei titoli verdiani falliscono, con o senza contestazioni poco importa, nel tradimento dell’autore e con performances teatrali imbarazzanti. Si stona, si urla, si bercia, si cala, si parla perfino, anzi, si accenna, come abbiamo udito al Verdi festival parmigiano, ci si barcamena alla bell’è meglio, sotto il livello di guardia. Chè l’Arena di Verona di solo 20 anni fa aveva un livello incomparabile ed irraggiungibile oggi da parte di tutte le stelline e stellette e starrrrsssss che calcano i maggior palcoscenici del mondo.
Recentemente, arrampicandosi sugli specchi per giustificare cast e direzione artistica parmigiana, un critico ha concluso affermando che le produzioni verdiane di ottobre sono fallite perché non si è fatto teatro di regia, ricorrendo ad allestimenti tradizionali per Vespri e Trovatore. Sono sempre quelli che non volendo ed ormai non potendo più recensire la scena, dato il livello cui siamo scesi, recensiscono le voci ed il comportamento del pubblico, quasi che loro non lavorassero per i loro deputati lettori, il pubblico appunto, ma per altri, ossia quelli che con siffatti obbrobri ci affliggono.
L’adagio “Fin che la barca và, lasciala andare” sta finendo perché l’incantabilità e, dunque, l’irrapresentabilità di Verdi è già qui con noi, appartiene al nostro presente. Le difficoltà finanziarie giungono propizie a deviare l’attenzione dalle ambizioni, squagliatesi pian piano come un gelatino multigusto al sole d’agosto, di una Verdi “edision” in dvd di targa parmigiana e di una rappresentazione di massa delle opere di Verdi entro il 2013, mentre non abbiamo gli artisti adeguati per rappresentare un solo titolo per anno! Fantaverdi da fantaopera con fantacast, e “fanta” sta ormai chiaramente per …..fantasma!
Dopo il Boccanegra ed il Posa di Bruson, niente più baritoni verdiani. Quanti anni ha il signor Bruson oggi? Dopo Maria Chiara non più una Amelia o una Aida almeno veramente liriche, con la voce duttile e morbida. Quanti anni ha oggi la signora Chiara? Dopo il Filippo II e l’Attila di Ramey, che di verdiano aveva assai poco, ma di tecnica e classe per simulare ne aveva parecchia, quanti altri bassi che non siano tubati o ingolati per non dire altro, e capaci di fraseggiare, abbiamo udito in Verdi? E quanti anni ha oggi il signor Ramey? Dopo Fiorenza Cossotto è arrivata, con voce veramente verdiana e non prestata a Verdi, la solo signora Zajich. Quanti anni ha oggi la signora, e come cantano e chi sono le nuove Eboli o Amneris che stanno per prendere il suo posto? L'argomento tenori nemmeno lo affronto..
Devo continuare? Potremmo aprire il tema “errori di cast” , errori di insipienza, e non solo purtroppo, da parte di chi gestisce, sceglie e fa scegliere. Sarebbe un tema triste, anche se ormai ridotto a pochi esempi, tanto il mercato delle voci è rarefatto e fermo. Eppure le scelte assurde come certe carriere ingiustificate, sorrette dalla parte complice della stampa, il melomane di lungo corso le vede e le sa riconoscere. Come altrettanto triste sarebbe affrontare il tema delle voci “giovani”, del loro livello di impreparazione palese in cui versano mentre si lasciano lanciare allo sbaraglio su ruoli che non possono ricoprire, con esiti di cui è meglio tacere. Giovani che hanno anche mezzi naturali ragguardevoli ma cantano in modo abominevole, senza possedere, con tutta evidenza, le coordinate di base per orientarsi nell’universo del canto verdiano, coordinate tecniche ma anche stilistiche, di gusto. Potremmo anche parlare delle grandi bacchette, annoiate complici di questo modo incolto ed insipiente di fare opera, insipienti loro stessi in alcuni casi, sordi a certi disastri che fanno scritturare nei cast da loro guidati fin tanto che….qualcuno da lassù glieli fischia! Solo allora sentono, ma solo allora, sennò vanno avanti così, indifferenti, “Fin che la barca và….”.E dell’arte, dell’opera chi se ne….?
E chi deve scrivere? Anzi, chi doveva iniziare anni ed anni fa a rilevare che il canto verdiano era in declino, che le voci verdiane stavano sparendo, anziché interrogarsi su quanto stava con tutta evidenza accadendo, per bocca di certi “grandi cantanti”, che ha fatto, a parte fermarsi alla buvette riservata collocata nei foyers dei teatri? Se ne accorgono adesso?
La morale è poi una, e cioè che nessuna delle parti in causa sente di aver alcuna responsabilità in questo. A nessuno viene in mente di pensare che sia di fatto un problema di ignoranza e di incultura, di perdita di una tradizione del fare, di un sapere preciso, quello tecnico-vocale e stilistico. Questione troppo, troppo grande da affrontare, che richiederebbe tanta umiltà da parte di quelli che “fanno” nell’opera. Più facile risolvere che, in fondo, è colpa di altri, del “destino”, del normale scorrere delle cose, della mancanza di un teatro di regia in Verdi, anzi, fatemelo dire, meglio dire che la vera colpa è di quei soliti quattro che si lamentano tra il pubblico perché ancora si ricordano di cosa sia il cantare Verdi! Che se lo dimentichino, e alla svelta!!! Così se tutto è dimenticato, prestazioni come quelle su menzionate di colpo saranno eventi di vera ed alta qualità musicale, e finalmente il raglio dell’asino trasformato nel canto delle Muse!
Gli ascolti
Verdi - Don Carlos
Atto IV
O don fatale
Per me giunto è il dì supremo
Atto V
Tu che le vanità...E' dessa
Don Carlos - Yonghoon Lee
Elisabetta di Valois - Marina Poplavskaya
Rodrigo - Simon Keenlyside
La principessa Eboli - Anna Smirnova
Filippo II - Giorgio Giuseppini
Il Grande Inquisitore - Eric Halfvarson
Direttore d'orchestra - Yannick Nézet-Séguin
3 commenti:
siccome ho condiviso il traumatico ascolto posso solo aggiungere che i commentatori sono al livello degli spettacoli
Con tutti i "fori" che ci sono in giro per la Rete, questa rappresentazione deve davvero avere fatto davvero acqua da tutte le parti! ;-)
Beh...il fatto che il pubblico del MET abbia applaudito non mi stupisce affatto: non credo che esistano precedenti di una pur minima contestazione da parte di quel pubblico. Avrei da ridire però sul fatto che il MET rappresenti il più prestigioso palcoscenico mondiale! Così come sulla "resistenza" del pubblico italiano (sento applaudire cose invereconde). Sull'orchestra di quel teatro, poi, inutile infierire: pare che la cura Levine (che la trasformò da compagine di serie C a grande orchestra) sia un bel ricordo... Del resto anche ai tempi gloriosi era qualcosa di osceno (mi è impossibile ascoltare il Wagner e lo Strauss di quei tempi interpretato da una compagine così scadente). Sul sito del MET compaiono pure le foto dell'allestimento....coerentemente con il resto è orribile!
Ps: immagino i commenti dei cronisti..
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