Oggi intendo presentare ai nostri lettori un’iniziativa che abbiamo insieme deciso di intraprendere ed ideato a seguito delle recenti esperienze teatrali e radiofoniche in argomento di …Giuseppe Verdi. Già, perché tra naufragi, rivolte di sala ed ascolti radiofonici da raccapriccio siamo stati costretti, prima di tutto, a rispolverare vecchi ascolti per risistemare le nostre orecchie, quindi a riflettere su uno stato dell’arte, oggettivo ed inequivocabile, del canto verdiano e che brevissimamente si potrebbe sintetizzare con la celebre espressione di una primadonna verista: “Tutto è finito!”.
Catastrofisti? Necrofili, come ha recentemente ha affermato qualche incolto professionista dell’adulazione da saldo? Nostalgici? Passatisti per sistema?
Eh, no cari signori, no, no! Melomani, altro chè, anzi ME-LO-MA-NI, di quelli che “a g’ pies àncòra sinteìr cantér”, con buona pace dei tardivi e superati sostenitori del teatro di regia in Verdi mentre il teatro di regia sta fallendo, contestato in ogni parte del pianeta. Amanti del canto, quello di scuola, dove le voci “galleggiando” sul fiato, si flettono alle mille intenzioni del grande fraseggiatore, dell’artista, come Verdi esigeva dai suoi esecutori.
Ad inopinate iniziative moderne, discograficamente nominate “Verdi edition”, che attendiamo ci vengano proposte in un futuro assai prossimo, debitamente sponsorizzate sulla carta stampata, quale documentazione, al contrario, di un presente modesto e regolarmene inadeguato alle esigenze del compositore, il nostro irriducibile Corriere ha deciso di opporre la propria “Verdi Edission”, per dirla con la pronuncia del Maestro.
Certi della debolezza dei nostri mezzi di produzione, diffusione e pubblicizzazione, ma profondamente convinti della forza titanica del passato, dei suoi monumentali protagonisti, taluni anche in odore di perfezione assoluta, editeremo per il nostro pubblico melomaniaco, parmigiano in particolare, tutte le opere di Verdi, sia in prima edizione che nei rifacimenti redatti dal Maestro e consegnati alla tradizione esecutiva, come pure, ove possibile, le grandi incisioni a 78 giri.
Le editeremo con un ritmo per noi assai stringente, due volte al mese, nei giorni 10 e 27, giorni di nascita e morte di Verdi, a partire da questo mese di gennaio 2010, al fine di produrre, di qui al 2013, la commemorazione del grande compositore.
Il senso dell’iniziativa è quello di consentire la documentazione palpabile di come crediamo si debba eseguire Verdi nel canto, ossia con la voce e con il gusto di chi lo ha cantato e diretto nel corso del novecento, mostrando anche l’evolversi della tradizione vocale ed interpretativa. Lo scopo è quello di provare, da un lato, che non esiste evoluzione alcuna nella tradizione del canto verdiano laddove non vi sia un canto di un certo tipo ed amministrato da bacchette colte e realmente conoscitrici dell’arte verdiana; dall’altro la natura effimera delle moderne concezioni su cui si basano gli odierni allestimenti, che non bastano a colmare l’inadeguatezza permanente dei cantanti.
Lagnare noiosamente la mancanza di voci verdiane ( come di bacchette! ) per poi rifugiarsi in teorizzazioni ridicole sulla modernità, sul teatro che cambia ed evolve per diventare un “altro” indefinito, sistematicamente insufficiente alla prova del palcoscenico, non serve. Il passato insegna, con chiarezza e con una forza superiore ad ogni altra argomentazione, ed è lì a mostrare la via da percorrere, anche per essere noi stessi. Ed è un passato straordinariamente bello ed appagante all’ascolto, pur senza l’aiuto della scena. Il rispetto dell’autore, come la capacità di restituirlo nel presente, possono venire solo dalla conoscenza del passato, nel bene come nel male, dalla comparazione tra il moderno modo di cantare e quello del passato, recente o remoto. Esistono ragioni precise alla base dell’assenza di grandi voci, voci importanti, di grande qualità timbrica, duttili, omogenee, capaci di flettersi in ogni zona del pentagramma agli intenti prescritti da Verdi. Non parliamo poi della distanza tra il nostro gusto contemporaneo e quello della tradizione in fatto di fraseggio, dato che oggi, fatto salvo qualche anziano ancora in circolazione, nessuno fraseggia più. A volerla capire e conoscere la lezione è lì, nei documenti sonori che abbiamo ereditato, variegata ed eterogenea, a provarci che Verdi si può eseguire in molti modi e secondo gusti diversi, ma con una ed una sola tecnica di canto, e può essere diversamente valido ed efficace. Se davvero ci interessa onorare l’autore, non abbiamo da far altro che cominciare ad ascoltare la tradizione, ma sentendo davvero, con le orecchie ben aperte e non intasate dalle frottole con cui oggi ci autogiustifichiamo quando gettiamo il pubblico denaro in disastri annunciati e prenotati al momento in cui si redigono i cartelloni. Se si vuole fare qualcosa perché l’opera non finisca in un megaplayback, in melomani serrati in casa con i dischi, o in allestimenti cappottari o pornografici, dove si odano solo rumori corporali assortiti ed il pubblico insultato dai protagonisti o da certi “giornalai” per le dovute rimostranze in sala, non abbiamo da fare altro che accendere lo stereo e metterci ad ascoltare, con l’interesse a capire cosa e come facessero certi grandi artisti della voce e della bacchetta per incantare il loro il pubblico….verdianamente.
“Verdi Edission”, lo dice il nome: un progetto grisiano per conoscere il passato, divertendoci con ascolti eccellenti, al cospetto dell’arte dei grandi. Per stimolarci tutti a ripartire daccapo.
Verdi
I Lombardi alla prima Crociata
Atto II
Oh madre...Se vano è il pregare - Giannina Arangi Lombardi (1933)
Catastrofisti? Necrofili, come ha recentemente ha affermato qualche incolto professionista dell’adulazione da saldo? Nostalgici? Passatisti per sistema?
Eh, no cari signori, no, no! Melomani, altro chè, anzi ME-LO-MA-NI, di quelli che “a g’ pies àncòra sinteìr cantér”, con buona pace dei tardivi e superati sostenitori del teatro di regia in Verdi mentre il teatro di regia sta fallendo, contestato in ogni parte del pianeta. Amanti del canto, quello di scuola, dove le voci “galleggiando” sul fiato, si flettono alle mille intenzioni del grande fraseggiatore, dell’artista, come Verdi esigeva dai suoi esecutori.
Ad inopinate iniziative moderne, discograficamente nominate “Verdi edition”, che attendiamo ci vengano proposte in un futuro assai prossimo, debitamente sponsorizzate sulla carta stampata, quale documentazione, al contrario, di un presente modesto e regolarmene inadeguato alle esigenze del compositore, il nostro irriducibile Corriere ha deciso di opporre la propria “Verdi Edission”, per dirla con la pronuncia del Maestro.
Certi della debolezza dei nostri mezzi di produzione, diffusione e pubblicizzazione, ma profondamente convinti della forza titanica del passato, dei suoi monumentali protagonisti, taluni anche in odore di perfezione assoluta, editeremo per il nostro pubblico melomaniaco, parmigiano in particolare, tutte le opere di Verdi, sia in prima edizione che nei rifacimenti redatti dal Maestro e consegnati alla tradizione esecutiva, come pure, ove possibile, le grandi incisioni a 78 giri.
Le editeremo con un ritmo per noi assai stringente, due volte al mese, nei giorni 10 e 27, giorni di nascita e morte di Verdi, a partire da questo mese di gennaio 2010, al fine di produrre, di qui al 2013, la commemorazione del grande compositore.
Il senso dell’iniziativa è quello di consentire la documentazione palpabile di come crediamo si debba eseguire Verdi nel canto, ossia con la voce e con il gusto di chi lo ha cantato e diretto nel corso del novecento, mostrando anche l’evolversi della tradizione vocale ed interpretativa. Lo scopo è quello di provare, da un lato, che non esiste evoluzione alcuna nella tradizione del canto verdiano laddove non vi sia un canto di un certo tipo ed amministrato da bacchette colte e realmente conoscitrici dell’arte verdiana; dall’altro la natura effimera delle moderne concezioni su cui si basano gli odierni allestimenti, che non bastano a colmare l’inadeguatezza permanente dei cantanti.
Lagnare noiosamente la mancanza di voci verdiane ( come di bacchette! ) per poi rifugiarsi in teorizzazioni ridicole sulla modernità, sul teatro che cambia ed evolve per diventare un “altro” indefinito, sistematicamente insufficiente alla prova del palcoscenico, non serve. Il passato insegna, con chiarezza e con una forza superiore ad ogni altra argomentazione, ed è lì a mostrare la via da percorrere, anche per essere noi stessi. Ed è un passato straordinariamente bello ed appagante all’ascolto, pur senza l’aiuto della scena. Il rispetto dell’autore, come la capacità di restituirlo nel presente, possono venire solo dalla conoscenza del passato, nel bene come nel male, dalla comparazione tra il moderno modo di cantare e quello del passato, recente o remoto. Esistono ragioni precise alla base dell’assenza di grandi voci, voci importanti, di grande qualità timbrica, duttili, omogenee, capaci di flettersi in ogni zona del pentagramma agli intenti prescritti da Verdi. Non parliamo poi della distanza tra il nostro gusto contemporaneo e quello della tradizione in fatto di fraseggio, dato che oggi, fatto salvo qualche anziano ancora in circolazione, nessuno fraseggia più. A volerla capire e conoscere la lezione è lì, nei documenti sonori che abbiamo ereditato, variegata ed eterogenea, a provarci che Verdi si può eseguire in molti modi e secondo gusti diversi, ma con una ed una sola tecnica di canto, e può essere diversamente valido ed efficace. Se davvero ci interessa onorare l’autore, non abbiamo da far altro che cominciare ad ascoltare la tradizione, ma sentendo davvero, con le orecchie ben aperte e non intasate dalle frottole con cui oggi ci autogiustifichiamo quando gettiamo il pubblico denaro in disastri annunciati e prenotati al momento in cui si redigono i cartelloni. Se si vuole fare qualcosa perché l’opera non finisca in un megaplayback, in melomani serrati in casa con i dischi, o in allestimenti cappottari o pornografici, dove si odano solo rumori corporali assortiti ed il pubblico insultato dai protagonisti o da certi “giornalai” per le dovute rimostranze in sala, non abbiamo da fare altro che accendere lo stereo e metterci ad ascoltare, con l’interesse a capire cosa e come facessero certi grandi artisti della voce e della bacchetta per incantare il loro il pubblico….verdianamente.
“Verdi Edission”, lo dice il nome: un progetto grisiano per conoscere il passato, divertendoci con ascolti eccellenti, al cospetto dell’arte dei grandi. Per stimolarci tutti a ripartire daccapo.
Verdi
I Lombardi alla prima Crociata
Atto II
Oh madre...Se vano è il pregare - Giannina Arangi Lombardi (1933)
3 commenti:
Non si può che esservene gratissimi!
questo sì che è creare della giusta e meritata suspance!
Molto curioso di leggere e ascoltare queste edizioni, in particolar modo perchè mi sembrano segnare la continuità con le analisi verdiane della forza del destino che tanto piacevolmente ci hanno accompagnato in questi mesi.
certo che l'idea è sempre quella, ma vorremmo e lo vedrete fra breve dar luogo ad una disamina di verdi che non sia solo vocalistica. Ben inteso non siamo musicologi ( ecco perchè parliamo di voci!!!), ma vorremmo offrire qualche spunto di riflessione, ben consci che su verdi sono corsi fiumi di inchiostro
ciao dd
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