Produzione garbata del Barbiere rossiniano in quel di Parma, senza eccessi né in positivo né in negativo. La sicura professionalità di un praticante specializzato di questo repertorio, il tenore Dimitri Korchak, e l’inattesa sorpresa di una new entry, il signor Luca Salsi, beniamino di casa, hanno guidato in porto un’edizione connotata da una serie di buone cose ma anche da svariate mende musicali, da parte della buca in special modo, incorniciate da un allestimento, firmato Vizioli, che si lascia vedere e a volte anche diverte, anche se con qualche nuances di gusto dubbio.
Dirigeva l’Orchestra del Regio il giovane e lanciatissimo signor Battistoni, la cui arte si può con difficoltà dissociare da quella della compagine che ha guidato. Abbiamo udito una direzione abbastanza veloce e brillante, che ci ha permesso di non soffrire per la lunghezza, spesso mal gestita, dei due monumentali atti, talvolta precisa nell’esecuzione dei crescendo o nei cambi di ritmo, altre volte davvero brutta negli accompagnamenti al canto come nello sviluppo dell’intensità sonora, per la latitanza degli archi, in particolare, e la qualità del suono complessivo dell’orchestra. Quella degli archi, fatto già rilevato in passato, è questione cruciale per questa orchestra, che altre volte ha dato prove migliori, ma comunque insufficienti per il livello richiesto da un teatro come il Regio di Parma. Il maestro Battisoni non avrà saputo cavar molto dai suoi uomini, certo è che l’orchestra, se punta alla propria sopravvivenza, deve autonomamente pensare di metter rimedio a questo stato di cose. Il finale 1 è parso una sorta di disco music in cui si sentivano solo percussioni e fiati ( effetto davvero indescrivibile..!), spaventoso il temporale del II atto, la sinfonia qualcosa di meglio ma con un sound tendente al “cordadabucato ensemble” etc.. Detto questo, il maestro, come tutti i fanciulli talentuosi ma acerbi, ha convinto e diretto a tratti. Scatenatissimo sul podio, si preoccupa di dare attacchi e suggerire col gesto una miriade di cose, anche inutili, come la coloratura dei cantanti, con eccessivo dispendio di energie. Una volta accesi i passi vocalizzati dei solisti, questi, in un modo o nell’altro, vanno da sé, e gestiscono il loro canto a prescindere dalla bacchetta, quindi non si vede la necessità del suo gesticolare furibondo. Altre volte, il suo gesto verso il palco pareva in contraddizione con quello che arrivava dalla buca, ossia un suono vuoto, fiacco ed incolore, che doveva trovare altra qualità esecutiva. Quanto al canto, anche qui il giovane Battistoni ha peccato di quell’incoerenza figlia dell’inesperienza. A che serve fare eseguire le variazioni del da capo della Calunnia ad un basso, il signor Giovanni Furlanetto, che non riesce ad eseguire quanto scritto da Rossini con un canto professionale? Come concilia, in un’edizione in cui il tenore si esibisce nel rondò, che Rosina tagli il da capo di “Contro un cor” ?..dato il livello tecnico della cantante, forse non era meglio la versione facilitata della scena, anziché esibire quel moncherino senza senso, oppure ripiegare sulla sostituzione di tradizione della scena in toto con qualcosa alla portata della cantante? Perché non gestire le qualità che ha messo a disposizione il signor Salsi, comunque neofita del repertorio, per spingerlo ad una migliore messa a fuoco del suo personaggio, laddove bastava davvero poco per avere una gran prova? Detto questo, rimarchiamo la brillantezza e la sicurezza del signor Battistoni, che come giovane “prodigio” mi ha meglio impressionato di altri, ma che ha ancora bisogno di decantare alcuni aspetti della sua professionalità, cioè di trovare il tempo di riflettere a fondo sulle cose, prima che il meccanismo in cui è entrato, come domostra la recentemente annunciata stagione scaligera, lo bruci.
Il canto.
Migliori in campo sono stati il tenore ed il baritono. Il signor Korchak appartiene alla schiera degli epigoni di J.D Florez, o meglio dei tenorini leggeri che modernamente praticano, con accenti lirici troppo spesso spinti al femmineo, la parte centralizzante di Almaviva. Ha una linea di canto aggraziata, elegante, che và in sofferenza quando la parte si agita ed il conte esibisce il lato virile ( non quello da cicisbeo settecentesco che oggi tutti ci ammanniscono !!! ) del personaggio. Abusa del retro naso per trovare un suono omogeneo e sicuro in tutta la gamma, quella acuta in particolare, sino a ritrovarsi un’emissione molto “chevrotante”. Sempre cadendo nei luoghi comuni di questo prototipo tenorile, tende anche a non coprire i suoni al centro, cantando con e ed a aperte, fatto che il pubblico percepisce nettamente e che alla lunga, mentre la lunghezza della parte si fa sentire, stanca l’orecchio di un pubblico che tra il suono eunucoide ed uno becero sforzato, preferisce il secondo ( mentre sono sbagliati entrambi !). Così il buon signor Korchak, il solo che veramente abbia cantato con gusto rossiniano, nonostante si sia dimostrato in grado di cantare fiorito con bella precisione ed abbia mostrato, pur con un vocino, diversità di accenti, sebbene nella resa di un personaggio poco virile, non ha raccolto dai parmigiani il tributo meritato, sopratutto all’esecuzione del difficile rondò. Ha esibito nella scena, come già una volta in precedenza, un portamentone preso davvero senza intonazione e che ha suscitato il mormorio della sala, quindi tutto il suo lavoro è finito censito, more parmigiana, dalla solinga voce, già udita alla prima del Trovatore, che gli ha gridato “Taglio!”, apostrofe che, a mio avviso, non meritava. O meglio, se questa scena continua ad essere proposta da tenori che non ne hanno l’adeguato peso vocale, (che si sforzava di avere un Blake) ossia l’attuale Florez, ma e soprattutto i Brownlee, i Mironov, i Gatell (!!!) etc, non vedo perché il signor Korchak non la debba eseguire, soprattutto per un teatro come Parma. Ha cantato molto meglio dei protagonisti della Forza, eppure non è piaciuto allo stesso modo….. Diversa la questione che riguarda il signor Salsi, che ci ha mostrato un lato di sé che, dopo il suo Corsaro, ci ha piacevolmente stupiti. Se allora aveva mancato, a mio avviso, nel canto come nella resa del personaggio, questa avventura in Figaro, non so se occasionale o intenzionale, ha rivelato un cantante potenzialmente assai interessante per questo repertorio o anche per certo Donizetti. In un mondo fatto di Figari bercianti e sguaiati, Luca Salsi ha fatto udire un canto finalmente composto, di buona emissione ( contrariamente alla prova bussetana ) e sonorità, bel timbro, ed un personaggio da perfezionare nella concezione ma a portata di mano, col quale potrebbe avere spazio nei grandi teatri. Io credo che Figaro non debba essere gestito come un personaggio buffo sempre alle prese con le gags, luogo comune nel quale il baritono parmigiano, anche per via della regia, è incorso spesso l’altra sera, ma come un geniale motore dell’azione, elegante ed evidentemente al di sopra di tutti per via della propria intelligenza ed arguzia. Se poi cantasse l’aria con minore velocità e maggior precisione ed intenti espressivi, dato che non gli manca nulla per farlo, avremmo davvero un buon Figaro, più cantante e meno “cabarettista” di quanto siamo soliti udire. Deve lavorare sul canto fiorito, quello sì, per risolvere non dico tutto, come il difficilissimo duetto con Rosina, dove ne sentiamo regolarmente di cotte e di crude da tutti, ma almeno i passi più abbordabili come la cavatina, ed i sillabati, per dare spolvero alla sua performance.
Il signor Praticò, don Bartolo, è indubbiamente simpatico, parla anche un ottimo dialetto parmigiano, ma l’età si sente e il confronto, anche solo con se stesso, è arduo. Il suono è chioccio, talora anche sguaiato, i sillabati non più brillanti come un tempo, il mezzo vocale acciaccato sebbene grande e sonoro, la presenza fisica…immensa. Il pubblico ha rimarcato per due portamenti il signor Korchak mentre si è mostrato assai soddisfatto della prova del signor Praticò, che intenzionalmente arta la propria voce, alla ricerca continua di effettacci gratuiti e dozzinali che potrebbe ben risparmiarsi. Nell’era della filologia, dopo tante rimostranze contro i Corena, i Trimarchi etcc. gradiamo queste performances, ripeto, gratuite persino da parte di chi ha mezzi e sapienza per cantare come Dio comanda ( perché Bruno Praticò se vuole fare, sa fare e bene ).
Del signor Furlanetto vi ho già in parte detto. L’emissione è fortemente nasale e tubata, ad onta delle variazioni eseguite nell’aria, il canto sempre inficiato da questo problema di base. La voce non è nemmeno ampia, dunque il suo Basilio non può impressionare né piacere rimanendo sempre sulla cifra caricaturale.
La signora Kermoklidze è stata una Rosina insufficiente per ragioni timbriche e di tecnica , nonostante il suo darsi da fare in scena. Rosina è, nella sua vivacità ed esuberanza, personaggio vocale acrobatico, dotato di slancio talora anche travolgente ( come al difficile duetto con Figaro ), che deve sapere bene amministrare la voce nella tessitura acuta se vuole essere convincente. Ho udito invece, una voce niente affatto bella, grigia e fibrosa, poco incline alle tessiture acute e solo in qualche occasione in confidenza col canto di agilità. E, soprattutto, grandi limiti tecnici. Spesso esecutrice men che letterale del testo, ha eseguito in modo scolastico la cavatina di ingresso, inciampato malamente nell’ostico duetto con Figaro, scorciato la scena della lezione, cempennato il cadenzone al terzetto con il conte ( li pure lui in affanno ). A questo punto, se l’arte mezzosopranile corrente è questa, mentre accettiamo, contro ogni dato storiografico, un tenorino nel ruolo di Almaviva che non può rendere l’esatto profilo del personaggio pensato da Rossini, potremmo ben ripristinare la prassi della Rosina soprano, che almeno ci renderebbe l’esatto carattere vocale, brillante ed acrobatico, della protagonista femminile. Invece procediamo con mezzosoprani impari al compito e mettiamo i tenorini a cantare la parte compresa di rondò etcc…..Ma le contraddizioni della musicologia, si sa, sono poi queste, e nemmeno noi del pubblico siamo esenti dalle contraddizioni, perchè, se avesse avuto un metro di giudizio uguale per tutti, chi ha "beccato" il tenore avrebbe dovuto contestare a pieni polmoni il mezzosprano e pure il buffo....
L’allestimento del signor Vizioli, palesemente in scia registica con il mitico Ponnelle, presenta, nell’economia dei costi, alcune contraddizioni di “cifra” ( le architetture stilizzate contraddette dalla libreria scala “fotograficamente” restituita ..ad esempio ) ma funziona, senza impressionare per novità o altro. Bello il gioco cromatico di alcune scene, con colori accesi contrastanti, come la scena del duetto Figaro - Almaviva o la semplice poesia del temporale, momenti certamente più riusciti, meno la scena d'entrata. Molta regia, perlopiù adeguata e simpatica, con qualche eccesso di controscene e troppi “mostrar la coscia” della protagonista, qualche gag eccessiva ed una resa troppo convenzionale dei personaggi, cui però non ha saputo togliere uno solo dei luoghi comuni più…comuni!
Dirigeva l’Orchestra del Regio il giovane e lanciatissimo signor Battistoni, la cui arte si può con difficoltà dissociare da quella della compagine che ha guidato. Abbiamo udito una direzione abbastanza veloce e brillante, che ci ha permesso di non soffrire per la lunghezza, spesso mal gestita, dei due monumentali atti, talvolta precisa nell’esecuzione dei crescendo o nei cambi di ritmo, altre volte davvero brutta negli accompagnamenti al canto come nello sviluppo dell’intensità sonora, per la latitanza degli archi, in particolare, e la qualità del suono complessivo dell’orchestra. Quella degli archi, fatto già rilevato in passato, è questione cruciale per questa orchestra, che altre volte ha dato prove migliori, ma comunque insufficienti per il livello richiesto da un teatro come il Regio di Parma. Il maestro Battisoni non avrà saputo cavar molto dai suoi uomini, certo è che l’orchestra, se punta alla propria sopravvivenza, deve autonomamente pensare di metter rimedio a questo stato di cose. Il finale 1 è parso una sorta di disco music in cui si sentivano solo percussioni e fiati ( effetto davvero indescrivibile..!), spaventoso il temporale del II atto, la sinfonia qualcosa di meglio ma con un sound tendente al “cordadabucato ensemble” etc.. Detto questo, il maestro, come tutti i fanciulli talentuosi ma acerbi, ha convinto e diretto a tratti. Scatenatissimo sul podio, si preoccupa di dare attacchi e suggerire col gesto una miriade di cose, anche inutili, come la coloratura dei cantanti, con eccessivo dispendio di energie. Una volta accesi i passi vocalizzati dei solisti, questi, in un modo o nell’altro, vanno da sé, e gestiscono il loro canto a prescindere dalla bacchetta, quindi non si vede la necessità del suo gesticolare furibondo. Altre volte, il suo gesto verso il palco pareva in contraddizione con quello che arrivava dalla buca, ossia un suono vuoto, fiacco ed incolore, che doveva trovare altra qualità esecutiva. Quanto al canto, anche qui il giovane Battistoni ha peccato di quell’incoerenza figlia dell’inesperienza. A che serve fare eseguire le variazioni del da capo della Calunnia ad un basso, il signor Giovanni Furlanetto, che non riesce ad eseguire quanto scritto da Rossini con un canto professionale? Come concilia, in un’edizione in cui il tenore si esibisce nel rondò, che Rosina tagli il da capo di “Contro un cor” ?..dato il livello tecnico della cantante, forse non era meglio la versione facilitata della scena, anziché esibire quel moncherino senza senso, oppure ripiegare sulla sostituzione di tradizione della scena in toto con qualcosa alla portata della cantante? Perché non gestire le qualità che ha messo a disposizione il signor Salsi, comunque neofita del repertorio, per spingerlo ad una migliore messa a fuoco del suo personaggio, laddove bastava davvero poco per avere una gran prova? Detto questo, rimarchiamo la brillantezza e la sicurezza del signor Battistoni, che come giovane “prodigio” mi ha meglio impressionato di altri, ma che ha ancora bisogno di decantare alcuni aspetti della sua professionalità, cioè di trovare il tempo di riflettere a fondo sulle cose, prima che il meccanismo in cui è entrato, come domostra la recentemente annunciata stagione scaligera, lo bruci.
Il canto.
Migliori in campo sono stati il tenore ed il baritono. Il signor Korchak appartiene alla schiera degli epigoni di J.D Florez, o meglio dei tenorini leggeri che modernamente praticano, con accenti lirici troppo spesso spinti al femmineo, la parte centralizzante di Almaviva. Ha una linea di canto aggraziata, elegante, che và in sofferenza quando la parte si agita ed il conte esibisce il lato virile ( non quello da cicisbeo settecentesco che oggi tutti ci ammanniscono !!! ) del personaggio. Abusa del retro naso per trovare un suono omogeneo e sicuro in tutta la gamma, quella acuta in particolare, sino a ritrovarsi un’emissione molto “chevrotante”. Sempre cadendo nei luoghi comuni di questo prototipo tenorile, tende anche a non coprire i suoni al centro, cantando con e ed a aperte, fatto che il pubblico percepisce nettamente e che alla lunga, mentre la lunghezza della parte si fa sentire, stanca l’orecchio di un pubblico che tra il suono eunucoide ed uno becero sforzato, preferisce il secondo ( mentre sono sbagliati entrambi !). Così il buon signor Korchak, il solo che veramente abbia cantato con gusto rossiniano, nonostante si sia dimostrato in grado di cantare fiorito con bella precisione ed abbia mostrato, pur con un vocino, diversità di accenti, sebbene nella resa di un personaggio poco virile, non ha raccolto dai parmigiani il tributo meritato, sopratutto all’esecuzione del difficile rondò. Ha esibito nella scena, come già una volta in precedenza, un portamentone preso davvero senza intonazione e che ha suscitato il mormorio della sala, quindi tutto il suo lavoro è finito censito, more parmigiana, dalla solinga voce, già udita alla prima del Trovatore, che gli ha gridato “Taglio!”, apostrofe che, a mio avviso, non meritava. O meglio, se questa scena continua ad essere proposta da tenori che non ne hanno l’adeguato peso vocale, (che si sforzava di avere un Blake) ossia l’attuale Florez, ma e soprattutto i Brownlee, i Mironov, i Gatell (!!!) etc, non vedo perché il signor Korchak non la debba eseguire, soprattutto per un teatro come Parma. Ha cantato molto meglio dei protagonisti della Forza, eppure non è piaciuto allo stesso modo….. Diversa la questione che riguarda il signor Salsi, che ci ha mostrato un lato di sé che, dopo il suo Corsaro, ci ha piacevolmente stupiti. Se allora aveva mancato, a mio avviso, nel canto come nella resa del personaggio, questa avventura in Figaro, non so se occasionale o intenzionale, ha rivelato un cantante potenzialmente assai interessante per questo repertorio o anche per certo Donizetti. In un mondo fatto di Figari bercianti e sguaiati, Luca Salsi ha fatto udire un canto finalmente composto, di buona emissione ( contrariamente alla prova bussetana ) e sonorità, bel timbro, ed un personaggio da perfezionare nella concezione ma a portata di mano, col quale potrebbe avere spazio nei grandi teatri. Io credo che Figaro non debba essere gestito come un personaggio buffo sempre alle prese con le gags, luogo comune nel quale il baritono parmigiano, anche per via della regia, è incorso spesso l’altra sera, ma come un geniale motore dell’azione, elegante ed evidentemente al di sopra di tutti per via della propria intelligenza ed arguzia. Se poi cantasse l’aria con minore velocità e maggior precisione ed intenti espressivi, dato che non gli manca nulla per farlo, avremmo davvero un buon Figaro, più cantante e meno “cabarettista” di quanto siamo soliti udire. Deve lavorare sul canto fiorito, quello sì, per risolvere non dico tutto, come il difficilissimo duetto con Rosina, dove ne sentiamo regolarmente di cotte e di crude da tutti, ma almeno i passi più abbordabili come la cavatina, ed i sillabati, per dare spolvero alla sua performance.
Il signor Praticò, don Bartolo, è indubbiamente simpatico, parla anche un ottimo dialetto parmigiano, ma l’età si sente e il confronto, anche solo con se stesso, è arduo. Il suono è chioccio, talora anche sguaiato, i sillabati non più brillanti come un tempo, il mezzo vocale acciaccato sebbene grande e sonoro, la presenza fisica…immensa. Il pubblico ha rimarcato per due portamenti il signor Korchak mentre si è mostrato assai soddisfatto della prova del signor Praticò, che intenzionalmente arta la propria voce, alla ricerca continua di effettacci gratuiti e dozzinali che potrebbe ben risparmiarsi. Nell’era della filologia, dopo tante rimostranze contro i Corena, i Trimarchi etcc. gradiamo queste performances, ripeto, gratuite persino da parte di chi ha mezzi e sapienza per cantare come Dio comanda ( perché Bruno Praticò se vuole fare, sa fare e bene ).
Del signor Furlanetto vi ho già in parte detto. L’emissione è fortemente nasale e tubata, ad onta delle variazioni eseguite nell’aria, il canto sempre inficiato da questo problema di base. La voce non è nemmeno ampia, dunque il suo Basilio non può impressionare né piacere rimanendo sempre sulla cifra caricaturale.
La signora Kermoklidze è stata una Rosina insufficiente per ragioni timbriche e di tecnica , nonostante il suo darsi da fare in scena. Rosina è, nella sua vivacità ed esuberanza, personaggio vocale acrobatico, dotato di slancio talora anche travolgente ( come al difficile duetto con Figaro ), che deve sapere bene amministrare la voce nella tessitura acuta se vuole essere convincente. Ho udito invece, una voce niente affatto bella, grigia e fibrosa, poco incline alle tessiture acute e solo in qualche occasione in confidenza col canto di agilità. E, soprattutto, grandi limiti tecnici. Spesso esecutrice men che letterale del testo, ha eseguito in modo scolastico la cavatina di ingresso, inciampato malamente nell’ostico duetto con Figaro, scorciato la scena della lezione, cempennato il cadenzone al terzetto con il conte ( li pure lui in affanno ). A questo punto, se l’arte mezzosopranile corrente è questa, mentre accettiamo, contro ogni dato storiografico, un tenorino nel ruolo di Almaviva che non può rendere l’esatto profilo del personaggio pensato da Rossini, potremmo ben ripristinare la prassi della Rosina soprano, che almeno ci renderebbe l’esatto carattere vocale, brillante ed acrobatico, della protagonista femminile. Invece procediamo con mezzosoprani impari al compito e mettiamo i tenorini a cantare la parte compresa di rondò etcc…..Ma le contraddizioni della musicologia, si sa, sono poi queste, e nemmeno noi del pubblico siamo esenti dalle contraddizioni, perchè, se avesse avuto un metro di giudizio uguale per tutti, chi ha "beccato" il tenore avrebbe dovuto contestare a pieni polmoni il mezzosprano e pure il buffo....
L’allestimento del signor Vizioli, palesemente in scia registica con il mitico Ponnelle, presenta, nell’economia dei costi, alcune contraddizioni di “cifra” ( le architetture stilizzate contraddette dalla libreria scala “fotograficamente” restituita ..ad esempio ) ma funziona, senza impressionare per novità o altro. Bello il gioco cromatico di alcune scene, con colori accesi contrastanti, come la scena del duetto Figaro - Almaviva o la semplice poesia del temporale, momenti certamente più riusciti, meno la scena d'entrata. Molta regia, perlopiù adeguata e simpatica, con qualche eccesso di controscene e troppi “mostrar la coscia” della protagonista, qualche gag eccessiva ed una resa troppo convenzionale dei personaggi, cui però non ha saputo togliere uno solo dei luoghi comuni più…comuni!
1 commenti:
Credo che il grido "Taglio!" esemplifichi, nella sua stupida ignoranza e violenza, il livello infimo raggiunto dalla media del pubblico: in particolare quello che si autoproclama "defensor" di chissà quale sacralità, ma - nei fatti - incapace di distinguere il merito dal demerito. Chiedere il taglio del rondò di Almaviva (chiesto probabilmente per "tradizione" tra le più idiote, non certo per l'esecuzione), dimostra come i pretesi "esperti" parmigiani, non siano esperti proprio di nulla. Non è la prima volta, non sarà l'ultima: ma ancora si può dar credito a certa gente che si beve le pagliacciate di Praticò e nulla dice di un'orchestra imbarazzante?
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