Inauguriamo con questo intervento una serie di riflessioni sul Don Carlo verdiano e i suoi personaggi, riflessioni che ci accompagneranno, con cadenza periodica (o quasi), lungo le prossime settimane fino alla vigilia di Sant’Ambrogio. È infatti con Don Carlo, nella tradizionale versione in quattro atti e in lingua italiana, che si aprirà la stagione scaligera 2008-09 e ci sembrerebbe di fare torto al capolavoro verdiano e al massimo teatro italiano, che torna ad allestirlo dopo sedici anni di prudente silenzio, se non cogliessimo questa occasione per ripassare un titolo che, mai stato di grande repertorio, pare in questi ultimi tempi quasi svanito nel nulla, tanto sporadiche ne sono le riprese sulle scene liriche. Ed è un peccato, se si considera che, fra le opere di Verdi, Don Carlo è una di quelle che maggiori soddisfazioni offrono tanto ai cantanti quanto al direttore d’orchestra ed al regista, posto ovviamente che i suddetti sappiano e vogliano essere all’altezza della situazione.
E partiamo, quindi, con il primo dei sei personaggi in cerca di cantanti (e, se possibile, interpreti!), ovvero il marchese di Posa. Il primo interprete, Jean-Baptiste Faure, aveva in repertorio Favorita e Ugonotti ed avrebbe, poco dopo la prima parigina del 1867, creato la parte di Amleto nell’opera di Thomas. Rodrigo s’inserisce senza esitazioni sulla scia dei grandi personaggi baritonali dell’opera francese (certo Donizetti compreso), per i quali è necessaria non tanto una voce potente e dal timbro sontuoso, quanto un interprete scafato e attento alle mille indicazioni espressive del dettato verdiano, sicuro nei fa e sol acuti scritti come nell’esecuzione di trilli e appoggiature.
Superfluo aggiungere che il marchese di Posa, come ogni Grande di Spagna che si rispetti, non grida mai, neppure quando affronta una nemica pericolosa come la principessa d’Eboli, e in nessun caso potrebbe discendere a tanta scortesia al cospetto del suo Re. La famigerata parola scenica, per essere veramente tale, deve essere cantata, e non recitata. Del resto basta dare un’occhiata a quelli che furono i più frequenti Marchesi di Posa sulle scene italiane (e non solo) tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del XX secolo per accorgersi di come, al personaggio, sia necessario in primo luogo un grande cantante (o almeno un cantante tecnicamente a posto) e non un ossesso che digrigna i denti dipingendo così una pace dei sepolcri che evoca piuttosto gli eterni tormenti. Se in Italia, accanto alla curiosità di un Paul Lhérie (già primo Don José, passato dalla corda di tenore a quella di baritono) alla Scala nel 1884, i pionieri furono due divi del calibro di Antonio Cotogni (che Verdi volle accompagnare al pianoforte nella morte di Posa, e al cui canto il Maestro si commosse fino alle lacrime) e Virgilio Collini, presto ebbe inizio il regno di Giuseppe Kaschmann, che contese a Carlo Galeffi la palma di Rodrigo più longevo sui nostri palcoscenici.
Il baritono istriano, dotato di voce morbida e possente, si rivela interprete raffinato e modernissimo, attento a cesellare la parola ma non per questo dimentico degli abbellimenti e della dinamica, come dimostra l’ascolto proposto della romanza del secondo (primo nella versione italiana) atto, di fronte alla quale un cantante di generosa natura e peregrina raffinatezza quale Milnes fa la figura, a voler essere buoni, del principiante.
E quanto a Cotogni, non sarà inutile riascoltare, nella grande scena della morte, uno dei suoi più illustri allievi, Mattia Battistini, che abbiamo appositamente selezionato in due ascolti registrati a undici anni di distanza, e comunque quando il Commendatore della lirica italiana aveva abbondantemente superato l’età sinodale dei cinquanta e si trovava in quella che doveva essere, giocoforza, la fase calante della carriera. Ebbene, Battistini non solo non emette un solo suono che sia brutto o tecnicamente reprensibile, ma attraverso un canto nobile e composto, fatto di mille sfumature, pianissimi e rubati (forse persino eccessivi per il gusto moderno, complice in questo anche la difficoltà corrente d’imbattersi in simili finezze), risulta sommamente espressivo, donando alla registrazione una forza teatrale che la gran parte delle esecuzioni live non si sogna neppure di sfiorare.
E se al Metropolitan l’opera debuttò solo nel 1920 ed ebbe fino agli anni Cinquanta meno di quindici recite in totale (il duetto Martinelli-De Luca, che proponiamo in apertura degli ascolti, è proprio un omaggio alla prima del Met, cui parteciparono anche la Ponselle, la Matzenauer e Didur), la gestione di Rudolf Bing incrementò la frequenza del titolo, ma non la qualità media delle esecuzioni. Ardua impresa sarebbe stata, del resto.
Gli ascolti - Don Carlos
Acte II
Dieu: tu semas dans nos âmes - Giuseppe De Luca & Giovanni Martinelli (1921 - link alternativo), Renato Bruson & Jaime Aragall (1987 - link alternativo)
L'Infant Carlos, notre espérance - Giuseppe Kaschmann (1903 - link alternativo), Sherrill Milnes (1971 - link alternativo)
Restez! Auprès de ma personne - Paolo Silveri & Nicola Rossi-Lemeni (1951 - link alternativo), Ettore Bastianini & Boris Christoff (1960 - link alternativo), Piero Cappuccilli & Nicolai Ghiaurov (1968 - link alternativo)
Acte IV
Oui Carlos! C'est mon jour suprême - Mattia Battistini (1913 - link alternativo), Tito Gobbi (1964 - link alternativo), Titta Ruffo (1905 - link alternativo)
Carlos, écoute - Mattia Battistini (1924 - link alternativo), Riccardo Stracciari (1916 - link alternativo), Dmitri Hvorostovsky (2006 - link alternativo)
E partiamo, quindi, con il primo dei sei personaggi in cerca di cantanti (e, se possibile, interpreti!), ovvero il marchese di Posa. Il primo interprete, Jean-Baptiste Faure, aveva in repertorio Favorita e Ugonotti ed avrebbe, poco dopo la prima parigina del 1867, creato la parte di Amleto nell’opera di Thomas. Rodrigo s’inserisce senza esitazioni sulla scia dei grandi personaggi baritonali dell’opera francese (certo Donizetti compreso), per i quali è necessaria non tanto una voce potente e dal timbro sontuoso, quanto un interprete scafato e attento alle mille indicazioni espressive del dettato verdiano, sicuro nei fa e sol acuti scritti come nell’esecuzione di trilli e appoggiature.
Superfluo aggiungere che il marchese di Posa, come ogni Grande di Spagna che si rispetti, non grida mai, neppure quando affronta una nemica pericolosa come la principessa d’Eboli, e in nessun caso potrebbe discendere a tanta scortesia al cospetto del suo Re. La famigerata parola scenica, per essere veramente tale, deve essere cantata, e non recitata. Del resto basta dare un’occhiata a quelli che furono i più frequenti Marchesi di Posa sulle scene italiane (e non solo) tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del XX secolo per accorgersi di come, al personaggio, sia necessario in primo luogo un grande cantante (o almeno un cantante tecnicamente a posto) e non un ossesso che digrigna i denti dipingendo così una pace dei sepolcri che evoca piuttosto gli eterni tormenti. Se in Italia, accanto alla curiosità di un Paul Lhérie (già primo Don José, passato dalla corda di tenore a quella di baritono) alla Scala nel 1884, i pionieri furono due divi del calibro di Antonio Cotogni (che Verdi volle accompagnare al pianoforte nella morte di Posa, e al cui canto il Maestro si commosse fino alle lacrime) e Virgilio Collini, presto ebbe inizio il regno di Giuseppe Kaschmann, che contese a Carlo Galeffi la palma di Rodrigo più longevo sui nostri palcoscenici.
Il baritono istriano, dotato di voce morbida e possente, si rivela interprete raffinato e modernissimo, attento a cesellare la parola ma non per questo dimentico degli abbellimenti e della dinamica, come dimostra l’ascolto proposto della romanza del secondo (primo nella versione italiana) atto, di fronte alla quale un cantante di generosa natura e peregrina raffinatezza quale Milnes fa la figura, a voler essere buoni, del principiante.
E quanto a Cotogni, non sarà inutile riascoltare, nella grande scena della morte, uno dei suoi più illustri allievi, Mattia Battistini, che abbiamo appositamente selezionato in due ascolti registrati a undici anni di distanza, e comunque quando il Commendatore della lirica italiana aveva abbondantemente superato l’età sinodale dei cinquanta e si trovava in quella che doveva essere, giocoforza, la fase calante della carriera. Ebbene, Battistini non solo non emette un solo suono che sia brutto o tecnicamente reprensibile, ma attraverso un canto nobile e composto, fatto di mille sfumature, pianissimi e rubati (forse persino eccessivi per il gusto moderno, complice in questo anche la difficoltà corrente d’imbattersi in simili finezze), risulta sommamente espressivo, donando alla registrazione una forza teatrale che la gran parte delle esecuzioni live non si sogna neppure di sfiorare.
E se al Metropolitan l’opera debuttò solo nel 1920 ed ebbe fino agli anni Cinquanta meno di quindici recite in totale (il duetto Martinelli-De Luca, che proponiamo in apertura degli ascolti, è proprio un omaggio alla prima del Met, cui parteciparono anche la Ponselle, la Matzenauer e Didur), la gestione di Rudolf Bing incrementò la frequenza del titolo, ma non la qualità media delle esecuzioni. Ardua impresa sarebbe stata, del resto.
Gli ascolti - Don Carlos
Acte II
Dieu: tu semas dans nos âmes - Giuseppe De Luca & Giovanni Martinelli (1921 - link alternativo), Renato Bruson & Jaime Aragall (1987 - link alternativo)
L'Infant Carlos, notre espérance - Giuseppe Kaschmann (1903 - link alternativo), Sherrill Milnes (1971 - link alternativo)
Restez! Auprès de ma personne - Paolo Silveri & Nicola Rossi-Lemeni (1951 - link alternativo), Ettore Bastianini & Boris Christoff (1960 - link alternativo), Piero Cappuccilli & Nicolai Ghiaurov (1968 - link alternativo)
Acte IV
Oui Carlos! C'est mon jour suprême - Mattia Battistini (1913 - link alternativo), Tito Gobbi (1964 - link alternativo), Titta Ruffo (1905 - link alternativo)
Carlos, écoute - Mattia Battistini (1924 - link alternativo), Riccardo Stracciari (1916 - link alternativo), Dmitri Hvorostovsky (2006 - link alternativo)
20 commenti:
Don Carlo (e Carlos) non è proprio “svanito nel nulla”, se appena mettiamo il naso fuori dai nostri angusti confini!
Copenhagen, Dresda, Francoforte, Amburgo, Oslo, Vienna e Zurigo (e sono certo che la lista non finisce qui) mettono in scena nella prossima stagione (o in questi giorni) l’opera che inaugura LaScala quest’anno.
Adoro il Don Carlo,é forse la mia opera prediletta di Verdi.Tra gli ascolti io avrei inserito anche Dietrich Fischer Dieskau,che debuttó come Posa a Berlino nel 1948,e Renato Bruson,uno dei pochi interpreti moderni a rendere giustizia al coté cavalleresco e patetico della parte.Comunque, non sono d´accordo con il provincialismo culturale della Scala,che ripropone la versione in 4 atti,mentre avrebbe potuto finalmente riprendere la versione 1867 in francese,che alla Staatsoper di Vienna é in repertorio da anni e nel teatro milanese non é mai stata eseguita.
Ciao da Stoccarda
Errore di battitura:al posto di Bruson leggasi Thomas Hampson
Daland, se è per questo anche a Barcellona è stato fatto l'anno scorso... il punto è sempre: come e... perché. Come si fa e perché non si fa più spesso... forse le due cose sono correlate.
Mozart, a me basterebbe un "bel" Don Carlo, anche in italiano e coi tagli... purché cantato come lo cantavano quei ruderi che abbiamo messo negli ascolti, con la stessa eleganza, senza tetraggini e svenevolezze. Il che forse spiega l'assenza dagli ascolti di Fischer-Dieskau e Hampson ;-)
Caro Mozart2006, devo dirti che non mi è mai piaciuto il Posa di Fischer Dieskau (nè il suo Verdi in generale). Ho come riferimento la sua interpretazione nel Don Carlo diretto da Solti (con la Tebaldi, Bergonzi, la Bumbry e Ghiaurov) e devo dirti che proprio mi sfuggono i motivi per cui è tanto apprezzato in quel ruolo. Ma a questo punto chiedo a te di dirci quali sarebbero i motivi che ti fanno considerare Fischer Dieskau un Posa storico: io ad esempio, l'ho trovato interprete grossolano (almeno quanto è raffinato nel repertorio tedesco), per nulla aristocratico, sempre affettato, privo di sfumature e con continui e fastidiosi sfoghi nel "parlato". E mai mi sarei aspettato una tale performance da un cantante che di solito è finissimo dicitore, morbido ed elegante. Forse un fraintendimento della poetica verdiana? Mi piacerebbe però confrontare la mia con altre opinioni.
Per Daland: ovviamente il discorso riguarda anche il modus in cui viene rappresentato. Comunque non potrai negare che (anche solo dando una rapida scorsa alla discografia live - ufficiale e non) che un'opera come Don Carlo (s) che mai è stata o sarà "di repertorio" ha conosciuto stagioni migliori (forse per l'insistenza di alcuni interpreti/istrioni..penso a Christoff).
Su Fischer-Dieskau concordo solo in parte con Duprez. E' vero che, dal punto di vista canoro, non è il baritono verdiano classico. tecnica e timbro sono ben lontani da quegli artisti che sono il paradigma del baritono verdiano (amato, stracciari, tagliabue, de luca, schlusnus e qualche altro). e, per tali motivi, il suo rodrigo non è entusiasmante. forse anche perché il ruolo presuppone un'identificazione fra canto(inteso come punto d'incontro fra colore, timbro, accento, il tutto saldato da tecnica adeguata) e personaggio. meglio, la nobiltà e la generosità di posa dovrebbero esprimersi mediante un timbro nobile, misurato, tondo, elegante, spontaneo. ovvero il contrario di quelle che sono le caratteristiche di fischer-dieskau.
quindi, sî, fischer-dieskau non è un grande posa.
ma è un grande rigoletto, in disco (in scena non so come sarebbe risultato ma non bene penso). e qui lo è dato che si tratta di costruire il personaggio in modo molto maggiore rispetto a posa. la psicologia di rigoletto, le situazioni a cui si trova confrontato sono multiformi ed il tutto si ritrova riverberato nel canto del personaggio, fra i più sfaccettati della letterattura operistica. e ciò permette a fischer-dieskau di emergere come pochi, dato che il suo canto è comunque di alto livello e riesce a rendere appieno questa varietà. non che superi per carità i modelli poc'anzi citati, ma merita di essere citato al loro fianco.
e rimane quindi falstaff: e anche qui fischer-dieskau non convince in quanto troppo ricercato, artificiale. la sua conoscenza dell'arte del lied e, quindi, il suo amore per la parola e per il testo lo induce a calibrare e rifinire ogni sillaba del falstaff, finendo per risultare stucchevole, snaturando il personaggio (che, fine, non è di certo).
cari saluti a tutti.
Emanuele
Ricordo un recente Don Carlo a Palermo, i cui esiti, Elisabetta a parte, non sono stati disastrosi.
credo che don carlo o carlos che non sia opera di repertorio in senso stretto come lo sono ( o lo furono) aida, ballo e forza, per restare a Verdi.
In Scala, poi, è diventata quasi sinonimo di opera inaugurale. In quarant'anni ben 4 volte. E tutte con nuovi allestimenti, ripresi sempre meno ed in spreto assoluto delle nostre tasche.
La scelta è ulteriore prova della scarsissima fantasia e cultura di chi deve programmare e produrre, perchè un cast di don carlo sarebbe stato anche il cast per Africana e, forse per Ebrea. Opere di assenza ormai secolare sul palcoscenico scaligero.
Anche io sognerei, una volta nella vita, un don carlos versione 1867 completo di peregrina danzata secondo gusto e coreografia da grand-operà.
Quanto al signor Fischer Dieskau, che ho avuto la (s)ventura di ascoltare in uan Winterraise scaligera, posso ricordarne il sussiego con il quale ha negato un bis sul presupposto dell'intangibile unità di Winteraise, la voce secca e il canto assai prossimo al parlato, dispensato per l'intera serata. Era, attenuante, un Fischer Diesckau arrivato alla fine. Però cantava così da almeno vent'anni.
Il suo Posa, in fondo ripropone i difetti vocali ed interpretativi di Winteraise. Pure il Macbeth non è una meraviglia.
Rigoletto certo è scavato, introverso, ma l'aureo timbro e l'accento dolente, piagato ossia insurrezionale e vindice di Schlusnus, per restare in ambito tedesco sono un viaggio nel bello (per essere assolutamente crociano) e nel pertinente.
ciao domenico
Per Emanuele: mi riferivo in particolare al Posa di Fischer Dieskau. Dici assai bene quando scrivi "la nobiltà e la generosità di posa dovrebbero esprimersi mediante un timbro nobile, misurato, tondo, elegante, spontaneo. ovvero il contrario di quelle che sono le caratteristiche di fischer-dieskau". Ed è, in effetti, quanto ho rilevato io dall'ascolto. Il Rigoletto è meglio - te ne do atto, anche se in generale non mi entusiasma - ma torniamo a livelli analoghi a Posa con Falstaff (come hai detto pure tu, con Macbeth e, soprattutto, con Jago). Io penso che Fischer Dieskau abbia del tutto frainteso la poetica verdiana, non ritenendo - forse per un certo snobismo culturale che faceva apparire l'opera italiana dell'800 qualcosa di più triviale e basso rispetto alla musica vocale tedesca coeva - che cifra autentica e fondamentale nell'interpretare Verdi è la nobiltà.
Su Winterreise non mi soffermo, sono abbastanza allergico ai lieder (e mi basta l'ascolto dell'unica edizione che ho, con Hans Hotter, che trovo ottima). Sul declino di Fischer Dieskau invece sono d'accordo con Donzelli: è stato lento, ma continuo.
Devo dire che adoro il Don Carlos, forse la mia opera di Verdi preferita... E devo anche dire che non ho mai ascoltato un Posa che sia reale e fedele specchio di quanto scritto sullo spartito... E' forse il personaggio dell'opera più difficile da reperire dal punto di vista vocale. I grandi interpreti verdiani di sempre hanno rischiato più volte di sovrapporlo alla classica vocalità verdiana di "grande repertorio", semplicemente perchè si esprime con la voce del baritono! Ma Posa si distacca completamente dal clichè del baritono verdiano. Fischer-Dieskau poteva essere certamente interessante come vocalità (è un baritono abbastanza chiaro, e Posa non sembra poter essere assimilato a Simone o Amonasro!!!), ma gli esiti a cui è giunto sono piuttosto alterni. Altrettanto interessante poteva essere la vocalità di Coni, chiara, elegante, ma all'epoca del Don Carlo scaligero la voce era davvero ridotta al lumicino. Neanche gli ascolti dei cimeli anteguerra da voi inseriti mi hanno del tutto soddisfatto: Kaschmann è piuttosto belante nel complesso, nonostante l'esecuzione più che precisa di molte indicazioni contenute sullo spartito; orribili Milnes e Gobbi (nonostante adori Gobbi, ma Rodrigo non faceva proprio per lui!), mentre notevole è Silveri, forse l'unico che sento più vicino alla fisionomia di Posa così come tratteggiata dalla geniale musica di Verdi. Superbi rimangono sempre Titta Ruffo e Mattia Battistini, anche se troppo ancorati al clichè del baritono verdiano "da grande repertorio". Strana è l'esecuzione di Stracciari... Eccezionale la ripresa in pp della seconda strofa dell'aria; il timbro è quanto mai adatto al personaggio; ma interpretativamente mi sembra abbastanza circospetto; si sente (o almeno io lo sento!) un certo qual sospetto per un personaggio che non è mai stato parte del grande "repertorio" (i guai della tradizione!!!!).
Caro Duprez,
giusto: verdi poco si addice a opere di revisionismo di stampo intellettualistico. ed è ciò - fra le altre cose - che mi dava tanto fastidio nel verdi di muti dell'epoca scaligera. quella volontà di "rivelare" al pubblico ignorante che verdi non è un compositore da loggione, bandendo quindi quegli asseriti effettacci che lo sviliscono... ma come ? affidandolo a voci insipide, incolori, inesistenti ? ricordate il renato di tale bruno caproni, o la leonora di tale georgina lukas, o l'otello di clifton forbis (altri esempi abondano) ? e che serve allora avere una violetta che canta "amami alfredo" su un crescendo orchestrale perfetto ma gelido come le nevi del polo sud ante riscaldamento climatico ? o un duetto della sfida in forza del destino ove tenore e baritono sembravano incantenati ed incapaci di esprimersi in modo quantomeno acceso ?
Verdi non era intellettuale né era di estrazione nobile; i suoi personaggi ìnvece sì. o erano nobili e si esprimevano di conseguenza o avevano sentimenti nobili con conseguenza analoga. Un canto nobile, di qualità, con una varietà di fraseggio appropriata dovrebbo sempre essere sufficienti a rendere giustizia a Verdi. cosa che si tende a dimenticare o a non ricordare perché fa comodo, dato che si riesce a spacciare come di qualità esecuzioni scadenti.
cordiali saluti
emanuele
Signori,
mentre qui si disquisisce dottamente di interpretazione verdiana,a Zurigo si esegue la Traviata alla Hauptbanhof,davanti ai binari.O tempora,o mores...
Mozart2006...ho visto alcuni spezzoni di questa Traviata "ferroviaria"..un'oscenità. Ma peggio ancora dell'idea di fondo (inscenare un'opera in una stazione ferroviaria IN FUNZIONE, con passeggeri che vanno avanti e indietro o che parlano al cellulare, altoparlante che annincia i treni che partono, convogli in arrivo) sono le esibizioni dei cantanti (o meglio sedicenti tali) impiegati: la Mei è impressionante (in senso negativo: parla invece di cantare) e Alfredo strilla (e stona). Davvero incredibile una porcheria del genere.
Accipicchia che idea strampalata... quanto mi dispiace per la Mei! Pare sia messa maluccio ultimamente! Adoravo la sua voce! Che peccato!
P.S. qualcuno ha o sa se c'è qualche registrazione sua di "Popoli di Tessaglia"? So per certo che l'ha eseguita in gioventù.
Strampalata a dir poco... Non conosco le ultime vicende relative alla Mei, mi è bastato però ascoltarne alcuni minuti stasera: capisco che il fine di questa curiosa performance fosse tutto fuorché musicale (diciamolo: una baracconata tremenda), tuttavia un cantante è un professionista sempre (o almeno dovrebbe). Stasera ho ascoltato urla, stonature, parlati, voce bonsai, assenza di un qualsiasi fraseggio, assenza delle basilari cognizioni tecniche. Ma lasciando perdere questa sciagurata Traviata (che sicuramente a breve sarà disponibile in DVD ufficiale..ci scommetto) la Mei è esempio preclaro di quanto andiamo sostenendo circa lo status del canto verdiano: ammesso che pure fosse stata in forma strepitosa, Violetta è personaggio assolutamente improponibile per la sua vocina, piccola, sottile e corta, senza la neccessaria tenuta di fiato per reggere le arcate verdiane. E non solo Violetta, ma tutto Verdi le dovrebbe essere inibito. Ma invece lo affronta, in un male compreso intento di liricizzarlo (che poi altro non vuol dire che ridurlo ai minimi termini di una lettura falsa e falsificatrice). Verdi bonsai, Traviata bonsai, melodramma bonsai..di grande resta solo la fregatura che viene confezionata per il pubblico (che tanto è di bocca buona e applaude sempre e comunque, come tanti robottini a molla).
Concordo... la Mei non è una voce verdiana, ma adoro la sua voce! Mi cantasse la calunnia, la adorerei lo stesso! Ho comprato il DVD della sua Traviata (precedente) di Zurigo e, pur essendo evidente che non è parte per lei, ogni tanto emerge con tutte le sue qualità, specie nel terzo atto. Ma di questo Popoli di Tessaglia non mi sapete dire niente?
Ho visto anch'io la Traviata ferroviaria (dal secondo atto alla fine) e concordo con Duprez: uno spettacolo ben poco riuscito, più per causa dei cantanti (e vogliamo parlare del megataglio da Gran Dio morir sì giovane alla fine??? Praticamente cassata tutta la scena conclusiva... la Mei era al lumicino, ok, ma non mi sembra una scusa...) che della strampalata regia (però l'arrivo dell'ambulanza è stato notevole, sembrava E.R... solo che Clooney avrebbe cantato un papà Germont più elegante di Veccia! e taccio dell'Alfredo piccolo piccolo di Grigolo, stonato e belante). E comunque l'ambientazione ferroviaria non è una novità: penso al Falstaff con la regia di Willy Decker, ambientato alla stazione di Windsor. Magari, anziché Traviata, avrebbero potuto fare un'opera più... "da bar"! Che so, Contes d'Hoffmann, Fra' Diavolo, al limite anche Rigoletto! Ma Violetta che vive al bar (fra l'altro collocato accanto a una farmacia... dove la signora avrebbe potuto facilmente trovare un modo di alleviare i suoi dolori)... troppo signori, troppo!!!
A questo punto,per la prossima operazione é solo questione di far lavorare la fantasia.Io personalmente suggerisco una Carmen rappresentata in mezzo a una vera corrida.Vi immaginate il divertimento?Per la Traviata,consiglio una recita ambientata all´Artemis,il piú grande e famoso bordello di Berlino.Tra l´altro,una Violetta che morisse in mezzo alle prostitute avrebbe almeno minimi requisiti di credibilitá...
Scherzi a parte,per censurare simili iniziative basta ricordarsi le parole di Canio:"Il teatro e la vita non son la stessa cosa".
Peccato... questi ascolti mi sarebbero stati molto utili un paio di mesi fa... Comunque notevole Battistini 68enne!
Scusate ma il Rodrigo di Bruscantini non lo considerate? Lo trovo paradigmatico!
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