Di cosa vale la pena parlare, dopo la brutta recita cui ho assistito ieri sera?
Direi solamente della condotta professionale del due Meli – Temirkanov e del soprano Norma Fantini, attesa al rientro in Italia.
I primi per avere propiziato il disastro della serata; la seconda per essere incappata in una prova infelice. Temirkanov e Fantini, le mie sole curiosità ( deluse ) in questa produzione.
“Errare humanum est, perseverare demoniacum” dice l’adagio. Esporre per ben due volte consecutive al pubblico in antigenerale e generale l’indecente signora Tarasova, Azucena priva non solo dei connotati del cantante professionista, ma anche del minimale buon gusto oltre che del curriculum necessario ad essere scritturata in produzione di livello, ed osare pure mandarla in scena alla prima inaugurale ad onta delle aperte riprovazioni del pubblico alle prove, è stata operazione irrispettosa del pubblico come dei colleghi, costretti a lavorare tra ululati, grida, e consimila. Ogni persona accanto a cui passavo nel recarmi al mio posto prima della recita parlava dell’indegna Azucena della Tarasova, ridacchiando ed interrogandosi su quale caina si sarebbe creata in teatro, e se pure i protagonisti ce l’avrebbero fatta, date malattie, defezioni, fumi improvvisi visti alla prove, a cavarsi dai guai.
Tutto quel poco di buono che vi poteva essere nella produzione non è stato nemmeno preso in considerazione da un pubblico, quello del loggione, alterato dal comportamento della direzione artistica come della bacchetta ( continui i borbottii, i commenti e gli sfottò del pubblico del loggione ), incapaci di procedere alla doverosa protesta e persino alla moderazione degli incredibili effettacci dell'Azucena in questione. Direzioni artistiche e bacchette odierne paiono incapaci del minimo suggerimento in questi frangenti, procedendo incauti ed indifferenti verso il disastro, in questo caso anche a detrimento del resto della compagnia: un esempio per tutti, il caso della signora Smirnova nella recente Aida scaligera, fatte le debite proporzioni tra le cantanti.
Il maestro Temirkanov, non contento della propria assenza di rigore, si è pure esibito in una direzione insignificante, non certo all’altezza del nome che porta: direzione accesasi solo a tratti, nei cori o in qualche punto qua e là, ma caratterizzata da accompagnamenti perlopiù fiacchi, senza suggestione, dall’ingresso di Ferrando, al duetto Manrico Azucena, sino a quello finale Leonora Conte, ad onta del bel suono dell’orchestra. Per giunta l’affiatamento tra buca e coro, in particolare, non è parso sempre ineccepibile, come pure certi scollamenti con i solisti.
Il pubblico ha perciò riprovato apertamente, in corso di serata come alla fine, direzione artistica e bacchetta, accolta da un’enorme salve di bu alla singola.Sacrosanti.
La prova deludente di Norma Fantini non giunge inattesa per questo blog ( le mie perplessità ve le esternai in giugno, allorquando commentai il cartellone del Verdi festival ), e non per disistima della cantante, o perchè ormai mi stia trasformando nel polpo Paul, quanto perché …..”il canto non è l’arte della cabala”, ma scienza parecchio esatta.
Due sono le prerogative necessarie che la difficilissima scrittura di donna Leonora richiede al soprano: confidenza assoluta con la parte alta della voce, dal passaggio in sù, dove questa deve aver ampiezza ma anche assoluto galleggiamento sul fiato, e bella affinità con un certo canto di agilità, trilli e staccati in primis ( sui gravi del Miserere si può anche transigere, a patto di barcamenarsi con gusto, perché quelle sono note che quasi nessun soprano ha mai avuto…).
Leonora è personaggio dalla componente belcantistica assai accentuata, psicologicamente astratto nei cantabili delle arie, nella scena del convento sino alle ultime altissime battute del ”Prima che d’altri vivere”, ora acceso dal “sacro fuoco” della primadonna verdiana nelle cabalette, nelle strette di terzetto e duetto come nel Miserere. Le arie, in particolare il terribile “D’amor sull’ali rosee”, non tollerano lo sforzo, la stimbratura, la durezza della voce: se si canta a piena voce, servono o un timbro straordinario alla Arroyo, o la brillantezza di una Sutherland; oppure se si sfuma, come di prammatica, occorrono o i piani, non dico della Caballè ma quelli sicurissimi e fascinosi alla Gencer; al limite i falsettini di chi bara, stile Ricciarelli o ultima Cedolins, perché anche così si può vincere la partita. Di qui non si scappa.
E qui la signora Fantini non poteva prendere partito alcuno: i suoi sono gli acuti di un soprano che spinge oltre il passaggio, vuoi per scuola vuoi perché appensantita da più di un decennio di opere spinte, amministrate bene ma senza avere la vera voce del soprano spinto. Le note possono arrivare da una certa altezza in su solo forte e dure, anche vibrate, completamente fuori luogo nel canto del IV atto. Ha lottato negli atti che precedono, cercando i piani e le nuances, che pure le costano fatica, riuscendovi bene sino ad un certo punto dell’opera. Poi tutto è cessato, il canto si è fatto difficile e macchinoso. Né la Fantini è cantante che sa barare, vuoi per carattere vuoi per modo di cantare.
Quanto al canto di agilità, avrebbe anche potuto mancare di leggerezza e di slancio nelle cabalette, perché sarebbe stato normale data la carriera che si porta sulle spalle, ma non eseguire del tutto i trilli o mancare parte della cadenza in fondo al “Tu vedrai che amore in terra” è stato un po’ eccessivo per il pubblico. Di qui l’esito poco felice di una prova che la Fantini ha preparato avendo cura delle intenzioni e del fraseggio, dalla sortita a tutte le battute rivolte a Conte e Manrico, sino al finale della prigione, ove, stringendo i denti, è riuscita a cantare ancora con gusto e lirismo. Lo sforzo profuso, però, non è bastato per convincere, né per piacere a me come a gran parte del pubblico che, và anche detto, ieri sera è stato in grado di udire i difetti oggettivi di questa cantante pur avendo sorvolato, in passato recente, su prove orribili come quelle della Theodossiou nel Nabucco, o la Dalla Benetta nel Corsaro ed altre. Prove ove erano mancate oltre alle note anche il gusto e le intenzioni musicali. Ecco perchè ieri sera più che mai, di fronte alla completa sordità per il non -canto di Nucci o la faticosissima prova di Alvarez, mi sono convinta che il pubblico di Parma sia difficile non perchè effettivamente selettivo come quello scaligero, ma perché alterno, talora umorale, di fronte ai cantanti. Se ti amano vai sempre e comunque, se non ti amano o non ti conoscono…dipende dalla sera.
Detto questo, però, non comprendo le ragioni per cui una cantante esperta, professionalissima ed oculata come la signora Fantini abbia deciso improvvisamente ( o chi per lei ) di cimentarsi in una parte altissima ed in punta di forchetta, essendo abituata da lungo tempo a tessiture più centrali come Aida, Valois, Chenier e Tosca. Una nota spinta in Aida non è una nota spinta in Trovatore, i vociomani lo sanno bene.
Spiace, perché dopo la vergognosa vicenda scaligera, questa cantante avrebbe meritato una riparazione italiana diversa, un ‘occasione per provare i cambiamenti effettuati sul proprio canto in questi anni trascorsi all’estero, ma il Trovatore non era proprio il titolo giusto.
Quanto al resto, vi ho in parte detto.
Il basso, signor Deyan Vatchkov, è uscito indenne da una serata nata male per tutti, cantando senza gloria o meriti speciali. La voce non è da basso vero, ma da baritono che la pecia e la ingola, more solito.
L’ennesimo Manrico del signor Alvarez ha deluso, come già all’Arena questa estate. Di questo tenore abbiamo parlato già altre volte. Ha cantato con monotonia e piattezza, di fibra ( seppure bella….bellissima fibra!). Ha avuto voce vera solo nei primi due atti, dato che dalla pausa è rientrato con volume ridotto, fiato cortissimo nell’ ”Ah si ben mio” ( con tanto di imbarazzanti tentativi di eseguire i quasi mai cantati trilli scritti ), una Pira faticosissima, ed il quarto atto senza benzina. Ha deluso parecchio i suoi numerosi fans parmigiani.
Nucci si è prodotto in una recita last minute per sostituire l’indisposto Sgura. Ha riscosso il solo vero successo della sera, lui solo, come al solito. Il suo canto ha deluso anche parecchi dei suoi fans, perché la voce non ha più legato, timbro né morbidezza alcuna, recitativi inclusi. Per me, inascoltabile. Ma a Parma per Nucci va così.
Produzione senza infamia e senza lode, gradevole da vedere, ma senza alcunché di nuovo o di particolarmente suggestivo. Regia quasi assente, se non banale, ma niente di grave o di dannoso ad una produzione nata male e ancor peggio gestita.
Direi solamente della condotta professionale del due Meli – Temirkanov e del soprano Norma Fantini, attesa al rientro in Italia.
I primi per avere propiziato il disastro della serata; la seconda per essere incappata in una prova infelice. Temirkanov e Fantini, le mie sole curiosità ( deluse ) in questa produzione.
“Errare humanum est, perseverare demoniacum” dice l’adagio. Esporre per ben due volte consecutive al pubblico in antigenerale e generale l’indecente signora Tarasova, Azucena priva non solo dei connotati del cantante professionista, ma anche del minimale buon gusto oltre che del curriculum necessario ad essere scritturata in produzione di livello, ed osare pure mandarla in scena alla prima inaugurale ad onta delle aperte riprovazioni del pubblico alle prove, è stata operazione irrispettosa del pubblico come dei colleghi, costretti a lavorare tra ululati, grida, e consimila. Ogni persona accanto a cui passavo nel recarmi al mio posto prima della recita parlava dell’indegna Azucena della Tarasova, ridacchiando ed interrogandosi su quale caina si sarebbe creata in teatro, e se pure i protagonisti ce l’avrebbero fatta, date malattie, defezioni, fumi improvvisi visti alla prove, a cavarsi dai guai.
Tutto quel poco di buono che vi poteva essere nella produzione non è stato nemmeno preso in considerazione da un pubblico, quello del loggione, alterato dal comportamento della direzione artistica come della bacchetta ( continui i borbottii, i commenti e gli sfottò del pubblico del loggione ), incapaci di procedere alla doverosa protesta e persino alla moderazione degli incredibili effettacci dell'Azucena in questione. Direzioni artistiche e bacchette odierne paiono incapaci del minimo suggerimento in questi frangenti, procedendo incauti ed indifferenti verso il disastro, in questo caso anche a detrimento del resto della compagnia: un esempio per tutti, il caso della signora Smirnova nella recente Aida scaligera, fatte le debite proporzioni tra le cantanti.
Il maestro Temirkanov, non contento della propria assenza di rigore, si è pure esibito in una direzione insignificante, non certo all’altezza del nome che porta: direzione accesasi solo a tratti, nei cori o in qualche punto qua e là, ma caratterizzata da accompagnamenti perlopiù fiacchi, senza suggestione, dall’ingresso di Ferrando, al duetto Manrico Azucena, sino a quello finale Leonora Conte, ad onta del bel suono dell’orchestra. Per giunta l’affiatamento tra buca e coro, in particolare, non è parso sempre ineccepibile, come pure certi scollamenti con i solisti.
Il pubblico ha perciò riprovato apertamente, in corso di serata come alla fine, direzione artistica e bacchetta, accolta da un’enorme salve di bu alla singola.Sacrosanti.
La prova deludente di Norma Fantini non giunge inattesa per questo blog ( le mie perplessità ve le esternai in giugno, allorquando commentai il cartellone del Verdi festival ), e non per disistima della cantante, o perchè ormai mi stia trasformando nel polpo Paul, quanto perché …..”il canto non è l’arte della cabala”, ma scienza parecchio esatta.
Due sono le prerogative necessarie che la difficilissima scrittura di donna Leonora richiede al soprano: confidenza assoluta con la parte alta della voce, dal passaggio in sù, dove questa deve aver ampiezza ma anche assoluto galleggiamento sul fiato, e bella affinità con un certo canto di agilità, trilli e staccati in primis ( sui gravi del Miserere si può anche transigere, a patto di barcamenarsi con gusto, perché quelle sono note che quasi nessun soprano ha mai avuto…).
Leonora è personaggio dalla componente belcantistica assai accentuata, psicologicamente astratto nei cantabili delle arie, nella scena del convento sino alle ultime altissime battute del ”Prima che d’altri vivere”, ora acceso dal “sacro fuoco” della primadonna verdiana nelle cabalette, nelle strette di terzetto e duetto come nel Miserere. Le arie, in particolare il terribile “D’amor sull’ali rosee”, non tollerano lo sforzo, la stimbratura, la durezza della voce: se si canta a piena voce, servono o un timbro straordinario alla Arroyo, o la brillantezza di una Sutherland; oppure se si sfuma, come di prammatica, occorrono o i piani, non dico della Caballè ma quelli sicurissimi e fascinosi alla Gencer; al limite i falsettini di chi bara, stile Ricciarelli o ultima Cedolins, perché anche così si può vincere la partita. Di qui non si scappa.
E qui la signora Fantini non poteva prendere partito alcuno: i suoi sono gli acuti di un soprano che spinge oltre il passaggio, vuoi per scuola vuoi perché appensantita da più di un decennio di opere spinte, amministrate bene ma senza avere la vera voce del soprano spinto. Le note possono arrivare da una certa altezza in su solo forte e dure, anche vibrate, completamente fuori luogo nel canto del IV atto. Ha lottato negli atti che precedono, cercando i piani e le nuances, che pure le costano fatica, riuscendovi bene sino ad un certo punto dell’opera. Poi tutto è cessato, il canto si è fatto difficile e macchinoso. Né la Fantini è cantante che sa barare, vuoi per carattere vuoi per modo di cantare.
Quanto al canto di agilità, avrebbe anche potuto mancare di leggerezza e di slancio nelle cabalette, perché sarebbe stato normale data la carriera che si porta sulle spalle, ma non eseguire del tutto i trilli o mancare parte della cadenza in fondo al “Tu vedrai che amore in terra” è stato un po’ eccessivo per il pubblico. Di qui l’esito poco felice di una prova che la Fantini ha preparato avendo cura delle intenzioni e del fraseggio, dalla sortita a tutte le battute rivolte a Conte e Manrico, sino al finale della prigione, ove, stringendo i denti, è riuscita a cantare ancora con gusto e lirismo. Lo sforzo profuso, però, non è bastato per convincere, né per piacere a me come a gran parte del pubblico che, và anche detto, ieri sera è stato in grado di udire i difetti oggettivi di questa cantante pur avendo sorvolato, in passato recente, su prove orribili come quelle della Theodossiou nel Nabucco, o la Dalla Benetta nel Corsaro ed altre. Prove ove erano mancate oltre alle note anche il gusto e le intenzioni musicali. Ecco perchè ieri sera più che mai, di fronte alla completa sordità per il non -canto di Nucci o la faticosissima prova di Alvarez, mi sono convinta che il pubblico di Parma sia difficile non perchè effettivamente selettivo come quello scaligero, ma perché alterno, talora umorale, di fronte ai cantanti. Se ti amano vai sempre e comunque, se non ti amano o non ti conoscono…dipende dalla sera.
Detto questo, però, non comprendo le ragioni per cui una cantante esperta, professionalissima ed oculata come la signora Fantini abbia deciso improvvisamente ( o chi per lei ) di cimentarsi in una parte altissima ed in punta di forchetta, essendo abituata da lungo tempo a tessiture più centrali come Aida, Valois, Chenier e Tosca. Una nota spinta in Aida non è una nota spinta in Trovatore, i vociomani lo sanno bene.
Spiace, perché dopo la vergognosa vicenda scaligera, questa cantante avrebbe meritato una riparazione italiana diversa, un ‘occasione per provare i cambiamenti effettuati sul proprio canto in questi anni trascorsi all’estero, ma il Trovatore non era proprio il titolo giusto.
Quanto al resto, vi ho in parte detto.
Il basso, signor Deyan Vatchkov, è uscito indenne da una serata nata male per tutti, cantando senza gloria o meriti speciali. La voce non è da basso vero, ma da baritono che la pecia e la ingola, more solito.
L’ennesimo Manrico del signor Alvarez ha deluso, come già all’Arena questa estate. Di questo tenore abbiamo parlato già altre volte. Ha cantato con monotonia e piattezza, di fibra ( seppure bella….bellissima fibra!). Ha avuto voce vera solo nei primi due atti, dato che dalla pausa è rientrato con volume ridotto, fiato cortissimo nell’ ”Ah si ben mio” ( con tanto di imbarazzanti tentativi di eseguire i quasi mai cantati trilli scritti ), una Pira faticosissima, ed il quarto atto senza benzina. Ha deluso parecchio i suoi numerosi fans parmigiani.
Nucci si è prodotto in una recita last minute per sostituire l’indisposto Sgura. Ha riscosso il solo vero successo della sera, lui solo, come al solito. Il suo canto ha deluso anche parecchi dei suoi fans, perché la voce non ha più legato, timbro né morbidezza alcuna, recitativi inclusi. Per me, inascoltabile. Ma a Parma per Nucci va così.
Produzione senza infamia e senza lode, gradevole da vedere, ma senza alcunché di nuovo o di particolarmente suggestivo. Regia quasi assente, se non banale, ma niente di grave o di dannoso ad una produzione nata male e ancor peggio gestita.
2 commenti:
recensione condivisibile riguardo alla signora Tarasova giustamente contestata,ma sarebbe da contestare molto piu duramente chi ha deciso di mandarla sul palco,lo stesso direttore Temirkanov avrebbe dovuto avere il dovere di protestarla,ma d'altrone Temirkanov ha dato l'impressione di non conoscere nemmeno l'opera che stava dirigendo,Il soprano Fantini è stato detto che era indisposta,certo che l'impegno c'è l'ha messo e ha iniziato abbastanza bene,ma poi è calata vistosamente,e per me ha finito l'opera quasi parlando si vedeva dalla faccia che era stremata.
Se un cantante è indisposto ci sono i sostituti..
Alvarez come Manrico e una delusione continua Nucci,è vero che ormai è l'ombra del Nucci che è stato,ma ovunque va si salva,è in ogni caso è sempre un riferimento.Orchestra non degna di questo evento,ma spesso quando l'orchestra suona male la colpa è di chi la dirige,per me la colpa è di Temirkanov.
Concordo su tutto, tranne che sul bel suono dell´orchestra. Per quanto dalla diretta internet non si potesse valutare fino in fondo, quel che ho sentito mi basta per affermare che un´orchestra del genere in Germania non sarebbe ritenuta degna di suonare nemmeno nella scuola di musica di un paesino.
Se a Parma vogliono fare la Bayreuth del prosciutto, sarebbe opportuno dotarsi di complessi strumentali e corali almeno decorosi.
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