Julian Budden definisce l’aria di Elena “Arrigo, ah parli un core” il “centro immobile” del duetto tra soprano e tenore all’atto quarto dei Vespri Siciliani. Centro immobile perché lo svolgersi dell’incontro tra i due, dapprima uno scontro poi il riavvicinarsi dei due amanti che comunque non avranno unione in terra, si arresta. In un momento di sospensione del dramma, la Duchessa perdona Arrigo, dichiara di amarlo comunque, ma oramai le loro origini diverse ne separano i destini, inevitabilmente. L’amore, il rimpianto, la tristezza nobilmente composta e distaccata della primadonna caratterizzano il brano, celeberrimo, passo chiave della protagonista del secondo grand-opéra di Verdi.
Brano che trova raramente esecuzione integrale della scrittura causa la monumentale cadenza finale, che comprende una scala cromatica discendente dal mi nat al fa sotto il rigo, perfettamente eseguita di fatto solo da Maria Callas ( che pure parte dal do: le altre ne fanno esecuzioni parziali della discesa in basso o alternative ).
La scena è stata cantata in tanti modi, unendo timbro e fraseggio in casi eccezionali ed indimenticabili, di solo timbro oppure di solo fraseggio ma molto bene, né di timbro né di fraseggio, ossia male…modernamente, come ben immaginerete.
Tre sono le esecutrici eccezionali di questa parata che vi proponiamo, la Callas ( negli anni in cui era davvero la grande Callas ), la Cerquetti e la Caballè. Fedelissima esecutrice di ogni segno di espressione scritto da Verdi la prima, non perde mezza forcella, un f, niente; una linea di canto bellissima, aristocratica, dolente ma comunque vigorosa, ad onta di qualche nasalità in certi momenti. Al suo fianco, e la preferenza mi pare questioni di gusto, Anita Cerquetti, dal timbro sontuoso, anche lei nobilissima, dalla dizione scandita e perfetta, italianissima nel porgere le frasi una dopo l’altra. Possiede un timbro superiore alla Callas, ma l’esecuzione musicale di questa mi pare resti superiore. Incarnano entrambe il gusto del Verdi d’annata, lontano da ogni effetto studiato poi da chi, in virtù della ricercatezza del fraseggio o di qualche fascinoso artificio, affrontò Verdi senza possedere vera voce verdiana. In questo non alludo, nel caso dei Vespri, a Montserrat Caballè, che di “manipolazioni” verdiane ne operò tante in seguito, quanto piuttosto alla Gencer ed alla Scotto. La Caballè, infatti, produsse nei Vespri uno dei suoi più importanti capi d’opera, che cantò libera da certi vizi riscontrabili in altre prove. Voce non certo da soprano drammatico d’agilità, quale è quella necessaria alla vocalità di Elena, la Caballè canta con assoluta pienezza del suo mezzo straordinario, emettendo suoni di bellezza soggiogante, ma mai abusati o compiaciuti. A meno delle note gravi sotto il rigo, eseguite di petto non troppo bene, canta anche lei con rara ( per lei! ) aderenza alla scrittura verdiana, timbro nobile e linea di canto compostissima e sfumata. Gli acuti, quelli attaccati scoperti delle scale discendenti della chiusa ( il si nat !!! ), sono suoni celestiali, inumani direi, che la collocano nettamente al di sopra di tutte le Elene a lei successive dell’era recente.
Più vicino al modello Callas Cerquetti l’esecuzione di Antonietta Stella, figlia della medesima epoca. No sarà stata pari alle precedenti, ma la sua esecuzione è notevolissima per via del timbro, notoriamente bellissimo, la sua dizione chiara e scandita, la nobiltà innata dell’accento. In particolare, lei come le predette signore, è in grado di cantare sul passaggio superiore con assoluta facilità e solidità, emettendo sempre suoni pieni, nitidi e a fuoco, che da un certo punto in poi di questi audio, da Olivia Stapp in poi, di fatto non connotano più le voci, a riprova che in fatto di tecnica e di tradizione nel suo insegnamento abbiamo perduto alcuni fondamentali per la strada. La Stella non è certo cantante struggente, manca qua e là di magia ( penso alle scale discendenti ), ma canta ad un livello per noi oggi inimmaginabile.
Primedonne di razza, fino in fondo, Leyla Gencer e Renata Scotto, praticano l’arte del canto e quello del baro con la stessa dimestichezza, la prima assistita per me ( che la amo anche quando canta con la voce a pezzi ) da una intelligenza e da un senso delle cose rarissimi; la seconda mossa da una volontà irrefrenabile di essere sempre al di sopra della propria natura vocale e da una fantasia interpretativa senza limiti. Alla Gencer il gioco riesce benissimo laddove, mancando il timbro ed immagino anche lo spessore della voce in teatro, screzia il canto nobile con delle vene di passionalità: l’amante dice “ Io t’amo”, “Io muoio” con una intensità che fa rabbrividire; tocca l’ascoltatore con l’effetto del rallentamento compiaciuto della seconda strofa, e mette in chiusa al pezzo un fiatone da brivido dopo le scale discendenti amministrate con i suoi celebri acuti flautati presi scoperti. Insomma, un cervello ed un senso del teatro stupefacenti, senza…la voce adatta alla parte.
La Scotto canta benissimo, si affida al virtuosismo del tempo lento, lentissimo, come da arcaica tradizione documentata da Ester Mazzoleni. E sceglie anche la via dei portamenti, compiaciuti ed insistiti. Già su “Un ‘aura di contento” arriva il brivido che la grande primadonna vuole e sa provocare, ma con l’andare dell’aria la vicenda assume un po’ il tono della grande, ciclopica impresa. Il tempo si fa troppo largo per sostenere tutto il brano con senso di facilità, che è poi quello che lo spettatore deve avere, dunque il tutto alla fine oscilla tra la grande emozione e la grande fatica. Esecuzione mirabile ma esagerata nella ricercatezza.
Nell’era moderna solo Martina Arroyo sta al pari della Caballè per qualità timbrica: più della spagnola ha le note centro gravi, indubbiamente più rotonde e piene. Voce bellissima, acuti di una facilità eccezionale, ma interprete inerte, dal fraseggio lato, all’americana tanto per intenderci, non certo sulla parola o cesellato all’italiana, come il Verdi alla nostra maniera pretende. Tuttavia un canto di qualità altissima ed indimenticabile da chi ha potuto sentire questa grande cantante in teatro.
Più italiana nel fraseggio la Kabaivanska, non potendo certo avvalersi di un timbro di qualità eccelsa. La zona acuta della voce è, notoriamente, la parte migliore; nei gravi soffre pur eseguendo la cadenza pressoché integralmente, e si affida all’arte del piano, della sfumatura, e più in generale del fraseggio, che è stato suo terreno di carriera. Al di là di molti suoni non belli, la trovo assai emozionante e pregnante, anche se l’handicap timbrico non si riesce sempre a dimenticare nello scorrere del brano.
Da qui in poi le parole da spendere sono poche, per cantanti o dalla voce evidentemente inadatta ma pur capaci, come la Deutekom o la stessa Stapp, che canta assai peggio della prima ( legato scarso, i re e i mi bem centrali sulla e stretta e scoperta, duri i piani, brutto il si nat della scala discendente ); oppure voci di grande qualità timbrica ma male in arnese, come Carol Vaness ( che ogni tanto balla, apre sul passaggio, non è sfumata né fascinosa, grida il si nat alla seconda scala discendente su “Ah”, si riaggiusta la cadenza…etc ) o Daniela Dessì ( che balla sul passaggio ma riesce comunque ad eseguire i piani, molto belli, apre i suoni in basso e strilla il si nat della scala discendente, riarrangiandosi la cadenza che comunque non le riesce come dovrebbe…); oppure voci adatte alla parte ma malmesse, come una compromessa Guleghina, in grado di cantare bene solo piano, sebbene priva di legato, e con una chiusa dell’aria incommentabile; o la Radvanovsky, la cui esecuzione lentissima non costituisce affatto un prodigio quanto una scelta errata, che ci obbliga ad apprezzare appieno l’handicap timbrico e l’inespressività della cantante, fortemente limitata sul piano tecnico ( i mi sul passaggio come pure il sol acuto di “Io t’amo” sono note tremende..per non parlare del si nat come della cadenza, in cui gratta anche e si inceppa…).
Insomma , in era recente la sola Susan Dunn ha saputo dirci qualcosa di significativo nei panni di Elena, ma anche lei in virtù del timbro e non certo dell’”arte del dire”, come prova la sua esecuzione facilissima ( ad onta delle note sul passaggio superiore un po’ ballanti ) ma poco fraseggiata della scena.
Gli ascolti
Giuseppe Verdi
I Vespri siciliani
Atto IV
Arrigo, ah, parli a un core
1909 - Ester Mazzoleni
1951 - Maria Callas
1955 - Anita Cerquetti
1957 - Antonietta Stella
1964 - Leyla Gencer
1970 - Renata Scotto
1970 - Martina Arroyo
1973 - Raina Kabaivanska
1974 - Montserrat Caballè
1975 - Christine Deutekom
1985 - Olivia Stapp
1986 - Susan Dunn
1997 - Daniela Dessì
1998 - Carol Vaness
2003 - Nelly Miricioiu
2005 - Maria Guleghina
2007 - Sondra Radvanovsky
Brano che trova raramente esecuzione integrale della scrittura causa la monumentale cadenza finale, che comprende una scala cromatica discendente dal mi nat al fa sotto il rigo, perfettamente eseguita di fatto solo da Maria Callas ( che pure parte dal do: le altre ne fanno esecuzioni parziali della discesa in basso o alternative ).
La scena è stata cantata in tanti modi, unendo timbro e fraseggio in casi eccezionali ed indimenticabili, di solo timbro oppure di solo fraseggio ma molto bene, né di timbro né di fraseggio, ossia male…modernamente, come ben immaginerete.
Tre sono le esecutrici eccezionali di questa parata che vi proponiamo, la Callas ( negli anni in cui era davvero la grande Callas ), la Cerquetti e la Caballè. Fedelissima esecutrice di ogni segno di espressione scritto da Verdi la prima, non perde mezza forcella, un f, niente; una linea di canto bellissima, aristocratica, dolente ma comunque vigorosa, ad onta di qualche nasalità in certi momenti. Al suo fianco, e la preferenza mi pare questioni di gusto, Anita Cerquetti, dal timbro sontuoso, anche lei nobilissima, dalla dizione scandita e perfetta, italianissima nel porgere le frasi una dopo l’altra. Possiede un timbro superiore alla Callas, ma l’esecuzione musicale di questa mi pare resti superiore. Incarnano entrambe il gusto del Verdi d’annata, lontano da ogni effetto studiato poi da chi, in virtù della ricercatezza del fraseggio o di qualche fascinoso artificio, affrontò Verdi senza possedere vera voce verdiana. In questo non alludo, nel caso dei Vespri, a Montserrat Caballè, che di “manipolazioni” verdiane ne operò tante in seguito, quanto piuttosto alla Gencer ed alla Scotto. La Caballè, infatti, produsse nei Vespri uno dei suoi più importanti capi d’opera, che cantò libera da certi vizi riscontrabili in altre prove. Voce non certo da soprano drammatico d’agilità, quale è quella necessaria alla vocalità di Elena, la Caballè canta con assoluta pienezza del suo mezzo straordinario, emettendo suoni di bellezza soggiogante, ma mai abusati o compiaciuti. A meno delle note gravi sotto il rigo, eseguite di petto non troppo bene, canta anche lei con rara ( per lei! ) aderenza alla scrittura verdiana, timbro nobile e linea di canto compostissima e sfumata. Gli acuti, quelli attaccati scoperti delle scale discendenti della chiusa ( il si nat !!! ), sono suoni celestiali, inumani direi, che la collocano nettamente al di sopra di tutte le Elene a lei successive dell’era recente.
Più vicino al modello Callas Cerquetti l’esecuzione di Antonietta Stella, figlia della medesima epoca. No sarà stata pari alle precedenti, ma la sua esecuzione è notevolissima per via del timbro, notoriamente bellissimo, la sua dizione chiara e scandita, la nobiltà innata dell’accento. In particolare, lei come le predette signore, è in grado di cantare sul passaggio superiore con assoluta facilità e solidità, emettendo sempre suoni pieni, nitidi e a fuoco, che da un certo punto in poi di questi audio, da Olivia Stapp in poi, di fatto non connotano più le voci, a riprova che in fatto di tecnica e di tradizione nel suo insegnamento abbiamo perduto alcuni fondamentali per la strada. La Stella non è certo cantante struggente, manca qua e là di magia ( penso alle scale discendenti ), ma canta ad un livello per noi oggi inimmaginabile.
Primedonne di razza, fino in fondo, Leyla Gencer e Renata Scotto, praticano l’arte del canto e quello del baro con la stessa dimestichezza, la prima assistita per me ( che la amo anche quando canta con la voce a pezzi ) da una intelligenza e da un senso delle cose rarissimi; la seconda mossa da una volontà irrefrenabile di essere sempre al di sopra della propria natura vocale e da una fantasia interpretativa senza limiti. Alla Gencer il gioco riesce benissimo laddove, mancando il timbro ed immagino anche lo spessore della voce in teatro, screzia il canto nobile con delle vene di passionalità: l’amante dice “ Io t’amo”, “Io muoio” con una intensità che fa rabbrividire; tocca l’ascoltatore con l’effetto del rallentamento compiaciuto della seconda strofa, e mette in chiusa al pezzo un fiatone da brivido dopo le scale discendenti amministrate con i suoi celebri acuti flautati presi scoperti. Insomma, un cervello ed un senso del teatro stupefacenti, senza…la voce adatta alla parte.
La Scotto canta benissimo, si affida al virtuosismo del tempo lento, lentissimo, come da arcaica tradizione documentata da Ester Mazzoleni. E sceglie anche la via dei portamenti, compiaciuti ed insistiti. Già su “Un ‘aura di contento” arriva il brivido che la grande primadonna vuole e sa provocare, ma con l’andare dell’aria la vicenda assume un po’ il tono della grande, ciclopica impresa. Il tempo si fa troppo largo per sostenere tutto il brano con senso di facilità, che è poi quello che lo spettatore deve avere, dunque il tutto alla fine oscilla tra la grande emozione e la grande fatica. Esecuzione mirabile ma esagerata nella ricercatezza.
Nell’era moderna solo Martina Arroyo sta al pari della Caballè per qualità timbrica: più della spagnola ha le note centro gravi, indubbiamente più rotonde e piene. Voce bellissima, acuti di una facilità eccezionale, ma interprete inerte, dal fraseggio lato, all’americana tanto per intenderci, non certo sulla parola o cesellato all’italiana, come il Verdi alla nostra maniera pretende. Tuttavia un canto di qualità altissima ed indimenticabile da chi ha potuto sentire questa grande cantante in teatro.
Più italiana nel fraseggio la Kabaivanska, non potendo certo avvalersi di un timbro di qualità eccelsa. La zona acuta della voce è, notoriamente, la parte migliore; nei gravi soffre pur eseguendo la cadenza pressoché integralmente, e si affida all’arte del piano, della sfumatura, e più in generale del fraseggio, che è stato suo terreno di carriera. Al di là di molti suoni non belli, la trovo assai emozionante e pregnante, anche se l’handicap timbrico non si riesce sempre a dimenticare nello scorrere del brano.
Da qui in poi le parole da spendere sono poche, per cantanti o dalla voce evidentemente inadatta ma pur capaci, come la Deutekom o la stessa Stapp, che canta assai peggio della prima ( legato scarso, i re e i mi bem centrali sulla e stretta e scoperta, duri i piani, brutto il si nat della scala discendente ); oppure voci di grande qualità timbrica ma male in arnese, come Carol Vaness ( che ogni tanto balla, apre sul passaggio, non è sfumata né fascinosa, grida il si nat alla seconda scala discendente su “Ah”, si riaggiusta la cadenza…etc ) o Daniela Dessì ( che balla sul passaggio ma riesce comunque ad eseguire i piani, molto belli, apre i suoni in basso e strilla il si nat della scala discendente, riarrangiandosi la cadenza che comunque non le riesce come dovrebbe…); oppure voci adatte alla parte ma malmesse, come una compromessa Guleghina, in grado di cantare bene solo piano, sebbene priva di legato, e con una chiusa dell’aria incommentabile; o la Radvanovsky, la cui esecuzione lentissima non costituisce affatto un prodigio quanto una scelta errata, che ci obbliga ad apprezzare appieno l’handicap timbrico e l’inespressività della cantante, fortemente limitata sul piano tecnico ( i mi sul passaggio come pure il sol acuto di “Io t’amo” sono note tremende..per non parlare del si nat come della cadenza, in cui gratta anche e si inceppa…).
Insomma , in era recente la sola Susan Dunn ha saputo dirci qualcosa di significativo nei panni di Elena, ma anche lei in virtù del timbro e non certo dell’”arte del dire”, come prova la sua esecuzione facilissima ( ad onta delle note sul passaggio superiore un po’ ballanti ) ma poco fraseggiata della scena.
Gli ascolti
Giuseppe Verdi
I Vespri siciliani
Atto IV
Arrigo, ah, parli a un core
1909 - Ester Mazzoleni
1951 - Maria Callas
1955 - Anita Cerquetti
1957 - Antonietta Stella
1964 - Leyla Gencer
1970 - Renata Scotto
1970 - Martina Arroyo
1973 - Raina Kabaivanska
1974 - Montserrat Caballè
1975 - Christine Deutekom
1985 - Olivia Stapp
1986 - Susan Dunn
1997 - Daniela Dessì
1998 - Carol Vaness
2003 - Nelly Miricioiu
2005 - Maria Guleghina
2007 - Sondra Radvanovsky
9 commenti:
Balla serie di ascolti.Mi permetto però un dissenso: piuttosto delle totalmente inutili ultime due, io avrei inserito la bella esecuzione della Ricciarelli inclusa nel suo primo recital discografico, "Omaggio a Giuseppe Verdi", RCA 1972
grazie per gli ascolti,per me in questa lista la Callas,e quella che piu mi piace seguita dalla Scotto,che ci mette una grande interpretazione,quasi commovente all'inizio.A proposito mi piacerebbe leggere un commento di Semolino sulla Callas e la Scotto.
Dissento da Mozart,se la Riciarelli canta come in questo video,è lontana anni luce dalla Callas,e ancor piu dalla Scotto.
a meno che nell'edizione discografica abbia fatto un miracolo!
http://www.youtube.com/watch?v=Fcjuc4nkEPQ
dissento sia da Mozart per quanto riguarda la ricciarelli, che da Pasquale per quanto riguarda la callas: troppo naso! troppo naso!
credo che l'interpetazione più bella sia senza dubbio quella di "anì"! la più nobile, la più fiera e poi con una voce non bella, bellissima!!!!!
Per me dopo Callas viene poi Gencer, Cerquetti.
Interessante Mazzoleni.
Delle volte ci si dementica che queste opera furono fatte nel primo novecento e bisogna ricordare ai giovani che l'opera lirica non è nata dopo il 1975 e che il cd o dvd patinatissimo non vuol dire necessariamente qualità!
Ho un punto debole per Arroyo che è personale avendo fatto un lungo viaggio insieme. Fu deliziosissima.
Splendida la Cerquetti, ma la mia preferita resta la Arroyo, pur nell'ammirazione di QUELLA Callas (per mio gusto una delle sue migliori testimonianze audio). Non mi piace per nulla la Mazzoleni. Molto interessante la Deutekom.
che lotta fra gencer , scotto, caballè, ma fra callas e anita siamo ai vertici della classifica. Ma la nobiltà del timbro della cerquetti la dizione sono qualche cosa di irripetibile
Callas-Cerquetti? Vince l'Anita a "senza se e senza ma"...
Callas, Cerquetti, Scotto, Caballè, Stella...tutte grandissime.... stilare una classifica mi pare... inadeguato..specie se poi ascoltiamo le ultime che evengono proposte.... e non c'è molto da stare allegri.... ciao ciao Maometto II
http://www.youtube.com/watch?v=Fcjuc4nkEPQ
beh per se questa è una brutta esecuzione
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